Regola di san Benedetto
Capitolo XXXVIII - La lettura in refettorio: 2. Dopo
la Messa e la comunione, il
lettore che entra in funzione si raccomandi nel coro alle preghiere dei
fratelli, perché Dio lo tenga lontano da ogni tentazione di vanità; 3. e tutti
ripetano per tre volte il versetto: "Signore apri le mie labbra e la mia bocca
annunzierà la tua lode", che è stato intonato dal lettore stesso, ...
10.Prima di iniziare la lettura, il monaco
di turno prenda un po' di vino aromatico, sia per
rispetto alla santa Comunione, sia
per evitare che il digiuno gli pesi troppo, 11. e poi mangi con i fratelli che
prestano servizio in cucina e in refettorio.
Capitolo LIX - I piccoli oblati: 1 Se qualche persona facoltosa volesse offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il ragazzo è ancora piccino, i genitori stendano la domanda di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente 2 e l'avvolgano nella tovaglia dell'altare insieme con l'oblazione della Messa e la mano del bimbo, offrendolo in questo modo.... 8 Quanto a coloro che non possiedono proprio nulla, facciano semplicemente la domanda e offrano il loro figlioletto con l'oblazione della Messa, alla presenza di testimoni.
Capitolo LXII
- I sacerdoti del monastero: 1.
Se un abate desidera che uno dei suoi monaci sia ordinato sacerdote o diacono
per il servizio della comunità scelga in essa un fratello degno di esercitare
tali funzioni. 2. Ma il monaco ordinato si guardi dalla vanità e dalla superbia
...
5.Conservi sempre il posto che gli spetta in
corrispondenza del suo ingresso in monastero, 6. tranne
che per
il ministero dell'altare,
oppure nel caso che la scelta della comunità o la volontà dell'abate l'abbiano
promosso in considerazione della sua vita esemplare.
LA SANTA MESSA
Papa Francesco
Serie di 15 Udienze Generali
da
mercoledì 8 novembre 2017 al 4 aprile 2018
Libreria Editrice Vaticana
Estratte dal sito della Santa Sede: www.vatican.va
10. Liturgia della Parola. III. Credo e Preghiera universale |
|
13. Liturgia eucaristica. III. "Padre nostro" e frazione del Pane |
|
8. Liturgia della Parola: I. Dialogo tra Dio e il suo popolo |
La Santa Messa - 1. Introduzione
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Iniziamo oggi una nuova serie di catechesi, che punterà lo sguardo sul “cuore”
della Chiesa, cioè l’Eucaristia. È fondamentale per noi cristiani
comprendere bene il valore e il significato della Santa Messa, per vivere
sempre più pienamente il nostro rapporto con Dio.
Non possiamo dimenticare il gran numero di cristiani che, nel mondo intero, in
duemila anni di storia, hanno resistito fino alla morte per difendere
l’Eucaristia; e quanti, ancora oggi, rischiano la vita per partecipare alla
Messa domenicale. Nell’anno 304, durante le persecuzioni di Diocleziano, un
gruppo di cristiani, del nord Africa, furono sorpresi mentre celebravano la
Messa in una casa e vennero arrestati. Il proconsole romano,
nell’interrogatorio, chiese loro perché l’avessero fatto, sapendo che era
assolutamente vietato. Ed essi risposero: «Senza la domenica non possiamo
vivere», che voleva dire: se non possiamo celebrare l’Eucaristia, non possiamo
vivere, la nostra vita cristiana morirebbe.
In effetti, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se non mangiate la carne del Figlio
dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo
giorno» (Gv 6,53-54).
Quei cristiani del nord Africa furono uccisi perché celebravano l’Eucaristia.
Hanno lasciato la testimonianza che si può rinunciare alla vita terrena per
l’Eucaristia, perché essa ci dà la vita eterna, rendendoci partecipi della
vittoria di Cristo sulla morte. Una testimonianza che ci interpella tutti e
chiede una risposta su che cosa significhi per ciascuno di noi partecipare al
Sacrificio della Messa e accostarci alla Mensa del Signore. Stiamo cercando
quella sorgente che “zampilla acqua viva” per la vita eterna?, che fa della
nostra vita un sacrificio spirituale di lode e di ringraziamento e fa di noi un
solo corpo con Cristo? Questo è il senso più profondo della santa Eucaristia,
che significa “ringraziamento”: ringraziamento a Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo che ci coinvolge e ci trasforma nella sua comunione di amore.
Nelle prossime catechesi vorrei dare risposta ad alcune domande importanti
sull’Eucaristia e la Messa, per riscoprire, o scoprire, come attraverso questo
mistero della fede risplende l’amore di Dio.
Il Concilio Vaticano II è stato fortemente animato dal desiderio di
condurre i cristiani a comprendere la grandezza della fede e la bellezza
dell’incontro con Cristo. Per questo motivo era necessario anzitutto attuare,
con la guida dello Spirito Santo, un adeguato rinnovamento della Liturgia,
perché la Chiesa continuamente vive di essa e si rinnova grazie ad essa.
Un tema centrale che i Padri conciliari hanno sottolineato è la formazione
liturgica dei fedeli, indispensabile per un vero rinnovamento. Ed è proprio
questo anche lo scopo di questo ciclo di catechesi che oggi iniziamo: crescere
nella conoscenza del grande dono che Dio ci ha donato nell’Eucaristia.
L’Eucaristia è un avvenimento meraviglioso nel quale Gesù Cristo, nostra vita,
si fa presente. Partecipare alla Messa «è vivere un’altra volta la passione e la
morte redentrice del Signore. È una teofania: il Signore si fa presente
sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo» (Omelia
nella S. Messa, Casa S. Marta, 10 febbraio 2014). Il Signore è lì con
noi, presente. Tante volte noi andiamo lì, guardiamo le cose, chiacchieriamo fra
noi mentre il sacerdote celebra l’Eucaristia… e non celebriamo vicino a Lui. Ma
è il Signore! Se oggi venisse qui il Presidente della Repubblica o qualche
persona molto importante del mondo, è sicuro che tutti saremmo vicino a lui, che
vorremmo salutarlo. Ma pensa: quando tu vai a Messa, lì c’è il Signore! E tu sei
distratto. È il Signore! Dobbiamo pensare a questo. “Padre, è che le messe sono
noiose” - “Ma cosa dici, il Signore è noioso?” - “No, no, la Messa no, i preti”
– “Ah, che si convertano i preti, ma è il Signore che sta lì!”. Capito? Non
dimenticatelo. «Partecipare alla Messa è vivere un’altra volta la passione e la
morte redentrice del Signore».
Proviamo ora a porci alcune semplici domande. Per esempio, perché si fa il segno
della croce e l’atto penitenziale all’inizio della Messa? E qui vorrei fare
un’altra parentesi. Voi avete visto come i bambini si fanno il segno della
croce? Tu non sai cosa fanno, se è il segno della croce o un disegno. Fanno così
[fa un gesto confuso]. Bisogna insegnare ai bambini a fare bene il segno della
croce. Così incomincia la Messa, così incomincia la vita, così incomincia la
giornata. Questo vuol dire che noi siamo redenti con la croce del Signore.
Guardate i bambini e insegnate loro a fare bene il segno della croce. E quelle
Letture, nella Messa, perché stanno lì? Perché si leggono la domenica tre
Letture e gli altri giorni due? Perché stanno lì, cosa significa la Lettura
della Messa? Perché si leggono e che c’entrano? Oppure, perché a un certo punto
il sacerdote che presiede la celebrazione dice: “In alto i nostri cuori?”. Non
dice: “In alto i nostri telefonini per fare la fotografia!”. No, è una cosa
brutta! E vi dico che a me dà tanta tristezza quando celebro qui in Piazza o in
Basilica e vedo tanti telefonini alzati, non solo dei fedeli, anche di alcuni
preti e anche vescovi. Ma per favore! La Messa non è uno spettacolo: è andare ad
incontrare la passione e la risurrezione del Signore. Per questo il sacerdote
dice: “In alto i nostri cuori”. Cosa vuol dire questo? Ricordatevi: niente
telefonini.
È molto importante tornare alle fondamenta, riscoprire ciò che è l’essenziale,
attraverso quello che si tocca e si vede nella celebrazione dei Sacramenti. La
domanda dell’apostolo san Tommaso (cfr Gv 20,25), di poter vedere e
toccare le ferite dei chiodi nel corpo di Gesù, è il desiderio di potere in
qualche modo “toccare” Dio per credergli. Ciò che San Tommaso chiede al Signore
è quello di cui noi tutti abbiamo bisogno: vederlo, toccarlo per poterlo
riconoscere. I Sacramenti vengono incontro a questa esigenza umana. I
Sacramenti, e la celebrazione eucaristica in modo particolare, sono i segni
dell’amore di Dio, le vie privilegiate per incontrarci con Lui.
Così, attraverso queste catechesi che oggi cominciano, vorrei riscoprire insieme
a voi la bellezza che si nasconde nella celebrazione eucaristica, e che, una
volta svelata, dà senso pieno alla vita di ciascuno. La Madonna ci accompagni in
questo nuovo tratto di strada. Grazie.
La Santa Messa - 2. La Messa è preghiera
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo con le catechesi sulla Santa Messa. Per comprendere la bellezza
della celebrazione eucaristica desidero iniziare con un aspetto molto semplice:
la Messa è preghiera, anzi, è la preghiera per eccellenza, la più alta, la più
sublime, e nello stesso tempo la più “concreta”. Infatti è l’incontro d’amore
con Dio mediante la sua Parola e il Corpo e Sangue di Gesù. È un incontro con il
Signore.
Ma prima dobbiamo rispondere a una domanda. Che cosa è veramente la preghiera?
Essa è anzitutto dialogo, relazione personale con Dio. E l’uomo è stato creato
come essere in relazione personale con Dio che trova la sua piena realizzazione
solamente nell’incontro con il suo Creatore. La strada della vita è verso
l’incontro definitivo con il Signore.
Il Libro della Genesi afferma che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza
di Dio, il quale è Padre e Figlio e Spirito Santo, una relazione perfetta di
amore che è unità. Da ciò possiamo comprendere che noi tutti siamo stati creati
per entrare in una relazione perfetta di amore, in un continuo donarci e
riceverci per poter trovare così la pienezza del nostro essere.
Quando Mosè, di fronte al roveto ardente, riceve la chiamata di Dio, gli chiede
qual è il suo nome. E cosa risponde Dio? : «Io sono colui che sono» (Es
3,14). Questa espressione, nel suo senso originario, esprime presenza e
favore, e infatti subito dopo Dio aggiunge: «Il Signore, il Dio dei vostri
padri, Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe» (v. 15). Così anche Cristo, quando
chiama i suoi discepoli, li chiama affinché stiano con Lui. Questa dunque
è la grazia più grande: poter sperimentare che la Messa, l’Eucaristia è il
momento privilegiato per stare con Gesù, e, attraverso di Lui, con Dio e con i
fratelli.
Pregare, come ogni vero dialogo, è anche saper rimanere in silenzio - nei
dialoghi ci sono momenti di silenzio -, in silenzio insieme a Gesù. E quando noi
andiamo a Messa, forse arriviamo cinque minuti prima e incominciamo a
chiacchierare con questo che è accanto a noi. Ma non è il momento di
chiacchierare: è il momento del silenzio per prepararci al dialogo. È il momento
di raccogliersi nel cuore per prepararsi all’incontro con Gesù. Il silenzio è
tanto importante! Ricordatevi quello che ho detto la settimana scorsa: non
andiamo ad un uno spettacolo, andiamo all’incontro con il Signore e il silenzio
ci prepara e ci accompagna. Rimanere in silenzio insieme a Gesù. E dal
misterioso silenzio di Dio scaturisce la sua Parola che risuona nel nostro
cuore. Gesù stesso ci insegna come realmente è possibile “stare” con il Padre e
ce lo dimostra con la sua preghiera. I Vangeli ci mostrano Gesù che si ritira in
luoghi appartati a pregare; i discepoli, vedendo questa sua intima relazione con
il Padre, sentono il desiderio di potervi partecipare, e gli chiedono: «Signore,
insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Abbiamo sentito nella Lettura prima,
all’inizio dell’udienza. Gesù risponde che la prima cosa necessaria per pregare
è saper dire “Padre”. Stiamo attenti: se io non sono capace di dire “Padre” a
Dio, non sono capace di pregare. Dobbiamo imparare a dire “Padre”, cioè mettersi
alla sua presenza con confidenza filiale. Ma per poter imparare, bisogna
riconoscere umilmente che abbiamo bisogno di essere istruiti, e dire con
semplicità: Signore, insegnami a pregare.
Questo è il primo punto: essere umili, riconoscersi figli, riposare nel Padre,
fidarsi di Lui. Per entrare nel Regno dei cieli è necessario farsi piccoli come
bambini. Nel senso che i bambini sanno fidarsi, sanno che qualcuno si
preoccuperà di loro, di quello che mangeranno, di quello che indosseranno e così
via (cfr Mt 6,25-32). Questo è il primo atteggiamento: fiducia e
confidenza, come il bambino verso i genitori; sapere che Dio si ricorda di
te, si prende cura di te, di te, di me, di tutti.
La seconda predisposizione, anch’essa propria dei bambini, è lasciarsi
sorprendere. Il bambino fa sempre mille domande perché desidera scoprire il
mondo; e si meraviglia persino di cose piccole perché tutto è nuovo per lui. Per
entrare nel Regno dei cieli bisogna lasciarsi meravigliare. Nella nostra
relazione con il Signore, nella preghiera –domando - ci lasciamo meravigliare o
pensiamo che la preghiera è parlare a Dio come fanno i pappagalli? No, è fidarsi
e aprire il cuore per lasciarsi meravigliare. Ci lasciamo sorprendere da Dio che
è sempre il Dio delle sorprese? Perché l’incontro con il Signore è sempre un
incontro vivo, non è un incontro di museo. È un incontro vivo e noi andiamo alla
Messa non a un museo. Andiamo ad un incontro vivo con il Signore.
Nel Vangelo si parla di un certo Nicodemo (Gv 3,1-21), un uomo anziano,
un’autorità in Israele, che va da Gesù per conoscerlo; e il Signore gli parla
della necessità di “rinascere dall’alto” (cfr v. 3). Ma che cosa significa? Si
può “rinascere”? Tornare ad avere il gusto, la gioia, la meraviglia della vita,
è possibile, anche davanti a tante tragedie? Questa è una domanda fondamentale
della nostra fede e questo è il desiderio di ogni vero credente: il desiderio di
rinascere, la gioia di ricominciare. Noi abbiamo questo desiderio? Ognuno di noi
ha voglia di rinascere sempre per incontrare il Signore? Avete questo desiderio
voi? Infatti si può perderlo facilmente perché, a causa di tante attività, di
tanti progetti da mettere in atto, alla fine ci rimane poco tempo e perdiamo di
vista quello che è fondamentale: la nostra vita del cuore, la nostra vita
spirituale, la nostra vita che è incontro con il Signore nella preghiera.
In verità, il Signore ci sorprende mostrandoci che Egli ci ama anche nelle
nostre debolezze. «Gesù Cristo […] è la vittima di espiazione per i nostri
peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo»
(1 Gv 2,2). Questo dono, fonte di vera consolazione – ma il Signore ci
perdona sempre – questo, consola, è una vera consolazione, è un dono che ci è
dato attraverso l’Eucaristia, quel banchetto nuziale in cui lo Sposo incontra la
nostra fragilità. Posso dire che quando faccio la comunione nella Messa, il
Signore incontra la mia fragilità? Sì! Possiamo dirlo perché questo è vero! Il
Signore incontra la nostra fragilità per riportarci alla nostra prima chiamata:
quella di essere a immagine e somiglianza di Dio. Questo è l’ambiente
dell’Eucaristia, questo è la preghiera.
La Santa Messa - 3. La Messa è il memoriale del Mistero pasquale di Cristo
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Proseguendo con le Catechesi sulla Messa, possiamo domandarci: che cos’è
essenzialmente la Messa? La Messa è il memoriale del Mistero pasquale di
Cristo. Essa ci rende partecipi della sua vittoria sul peccato e la morte, e
dà significato pieno alla nostra vita.
Per questo, per comprendere il valore della Messa dobbiamo innanzitutto capire
allora il significato biblico del “memoriale”. Esso «non è soltanto il ricordo
degli avvenimenti del passato, ma li rende in certo modo presenti e attuali.
Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che
viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla
memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 1363). Gesù Cristo, con la sua passione, morte,
risurrezione e ascensione al cielo ha portato a compimento la Pasqua. E la Messa
è il memoriale della sua Pasqua, del suo “esodo”, che ha compiuto
per noi, per farci uscire dalla schiavitù e introdurci nella terra promessa
della vita eterna. Non è soltanto un ricordo, no, è di più: è fare presente
quello che è accaduto venti secoli fa.
L’Eucaristia ci porta sempre al vertice dell’azione di salvezza di Dio: il
Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa su di noi tutta la sua
misericordia e il suo amore, come ha fatto sulla croce, così da rinnovare il
nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con
i fratelli. Dice il Concilio Vaticano II: «Ogni volta che il sacrificio della
croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato, viene
celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (Cost. dogm.
Lumen gentium, 3).
Ogni celebrazione dell’Eucaristia è un raggio di quel sole senza tramonto che è
Gesù risorto. Partecipare alla Messa, in particolare alla domenica, significa
entrare nella vittoria del Risorto, essere illuminati dalla sua luce, riscaldati
dal suo calore. Attraverso la celebrazione eucaristica lo Spirito Santo ci rende
partecipi della vita divina che è capace di trasfigurare tutto il nostro essere
mortale. E nel suo passaggio dalla morte alla vita, dal tempo all’eternità, il
Signore Gesù trascina anche noi con Lui a fare Pasqua. Nella Messa si fa Pasqua.
Noi, nella Messa, stiamo con Gesù, morto e risorto e Lui ci trascina avanti,
alla vita eterna. Nella Messa ci uniamo a Lui. Anzi, Cristo vive in noi e noi
viviamo in Lui. «Sono stato crocifisso con Cristo – dice San Paolo -, e non vivo
più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo
nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me»
(Gal 2,19-20). Così pensava Paolo.
Il suo sangue, infatti, ci libera dalla morte e dalla paura della morte. Ci
libera non solo dal dominio della morte fisica, ma dalla morte spirituale che è
il male, il peccato, che ci prende ogni volta che cadiamo vittime del peccato
nostro o altrui. E allora la nostra vita viene inquinata, perde bellezza, perde
significato, sfiorisce.
Cristo invece ci ridà la vita; Cristo è la pienezza della vita, e quando ha
affrontato la morte la annientata per sempre: «Risorgendo distrusse la morte e
rinnovò la vita» (Preghiera eucaristica IV). La Pasqua di Cristo è la vittoria
definitiva sulla morte, perché Lui ha trasformato la sua morte in supremo atto
d’amore. Morì per amore! E nell’Eucaristia, Egli vuole comunicarci questo suo
amore pasquale, vittorioso. Se lo riceviamo con fede, anche noi possiamo amare
veramente Dio e il prossimo, possiamo amare come Lui ha amato noi, dando
la vita.
Se l’amore di Cristo è in me, posso donarmi pienamente all’altro, nella certezza
interiore che se anche l’altro dovesse ferirmi io non morirei; altrimenti dovrei
difendermi. I martiri hanno dato la vita proprio per questa certezza della
vittoria di Cristo sulla morte. Solo se sperimentiamo questo potere di Cristo,
il potere del suo amore, siamo veramente liberi di donarci senza paura. Questo è
la Messa: entrare in questa passione, morte, risurrezione, ascensione di Gesù;
quando andiamo a Messa è come se andassimo al calvario, lo stesso. Ma pensate
voi: se noi nel momento della Messa andiamo al calvario – pensiamo con
immaginazione – e sappiamo che quell’uomo lì è Gesù. Ma, noi ci permetteremo di
chiacchierare, di fare fotografie, di fare un po’ lo spettacolo? No! Perché è
Gesù! Noi di sicuro staremmo nel silenzio, nel pianto e anche nella gioia di
essere salvati. Quando noi entriamo in chiesa per celebrare la Messa pensiamo
questo: entro nel calvario, dove Gesù dà la sua vita per me. E così sparisce lo
spettacolo, spariscono le chiacchiere, i commenti e queste cose che ci allontano
da questa cosa tanto bella che è la Messa, il trionfo di Gesù.
Penso che ora sia più chiaro come la Pasqua si renda presente e operante ogni
volta che celebriamo la Messa, cioè il senso del memoriale. La
partecipazione all’Eucaristia ci fa entrare nel mistero pasquale di Cristo,
donandoci di passare con Lui dalla morte alla vita, cioè lì nel calvario. La
Messa è rifare il calvario, non è uno spettacolo.
La Santa Messa - 4. Perché andare a Messa la domenica?
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Riprendendo il cammino di catechesi sulla Messa, oggi ci chiediamo: perché
andare a Messa la domenica?
La celebrazione domenicale dell'Eucaristia è al centro della vita della Chiesa
(cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2177). Noi cristiani andiamo a
Messa la domenica per incontrare il Signore risorto, o meglio per lasciarci
incontrare da Lui, ascoltare la sua parola, nutrirci alla sua mensa, e così
diventare Chiesa, ossia suo mistico Corpo vivente nel mondo.
Lo hanno compreso, fin dalla prima ora, i discepoli di Gesù, i quali hanno
celebrato l’incontro eucaristico con il Signore nel giorno della settimana che
gli ebrei chiamavano “il primo della settimana” e i romani “giorno del sole”,
perché in quel giorno Gesù era risorto dai morti ed era apparso ai
discepoli, parlando con loro, mangiando con loro, donando loro lo Spirito Santo
(cfr Mt 28,1; Mc 16,9.14; Lc 24,1.13; Gv 20,1.19),
come abbiamo sentito nella Lettura biblica. Anche la grande effusione dello
Spirito a Pentecoste avvenne di domenica, il cinquantesimo giorno dopo la
risurrezione di Gesù. Per queste ragioni, la domenica è un giorno santo per noi,
santificato dalla celebrazione eucaristica, presenza viva del Signore tra noi e
per noi. E’ la Messa, dunque, che fa la domenica cristiana! La domenica
cristiana gira intorno alla Messa. Che domenica è, per un cristiano, quella in
cui manca l’incontro con il Signore?
Ci sono comunità cristiane che, purtroppo, non possono godere della Messa ogni
domenica; anch’esse tuttavia, in questo santo giorno, sono chiamate a
raccogliersi in preghiera nel nome del Signore, ascoltando la Parola di Dio e
tenendo vivo il desiderio dell’Eucaristia.
Alcune società secolarizzate hanno smarrito il senso cristiano della domenica
illuminata dall’Eucaristia. E’ peccato, questo! In questi contesti è necessario
ravvivare questa consapevolezza, per recuperare il significato della festa, il
significato della gioia, della comunità parrocchiale, della solidarietà, del
riposo che ristora l’anima e il corpo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica,
nn. 2177-2188). Di tutti questi valori ci è maestra l’Eucaristia, domenica dopo
domenica. Per questo il Concilio Vaticano II ha voluto ribadire che «la domenica
è il giorno di festa primordiale che deve essere proposto e inculcato alla pietà
dei fedeli, in modo che divenga anche giorno di gioia e di astensione dal
lavoro» (Cost. Sacrosanctum Concilium, 106).
L’astensione domenicale dal lavoro non esisteva nei primi secoli: è un apporto
specifico del cristianesimo. Per tradizione biblica gli ebrei riposano il
sabato, mentre nella società romana non era previsto un giorno settimanale di
astensione dai lavori servili. Fu il senso cristiano del vivere da figli e non
da schiavi, animato dall’Eucaristia, a fare della domenica – quasi
universalmente – il giorno del riposo.
Senza Cristo siamo condannati ad essere dominati dalla stanchezza del
quotidiano, con le sue preoccupazioni, e dalla paura del domani. L’incontro
domenicale con il Signore ci dà la forza di vivere l’oggi con fiducia e coraggio
e di andare avanti con speranza. Per questo noi cristiani andiamo ad incontrare
il Signore la domenica, nella celebrazione eucaristica.
La Comunione eucaristica con Gesù, Risorto e Vivente in eterno, anticipa la
domenica senza tramonto, quando non ci sarà più fatica né dolore né lutto né
lacrime, ma solo la gioia di vivere pienamente e per sempre con il Signore.
Anche di questo beato riposo ci parla la Messa della domenica, insegnandoci, nel
fluire della settimana, ad affidarci alle mani del Padre che è nei cieli.
Cosa possiamo rispondere a chi dice che non serve andare a Messa, nemmeno la
domenica, perché l’importante è vivere bene, amare il prossimo? E’ vero che la
qualità della vita cristiana si misura dalla capacità di amare, come ha detto
Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni
per gli altri» (Gv 13,35); ma come possiamo praticare il Vangelo senza
attingere l’energia necessaria per farlo, una domenica dopo l’altra, alla fonte
inesauribile dell’Eucaristia? Non andiamo a Messa per dare qualcosa a Dio, ma
per ricevere da Lui ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Lo ricorda la
preghiera della Chiesa, che così si rivolge a Dio: «Tu non hai bisogno della
nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri
inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia
che ci salva» (Messale Romano, Prefazio comune IV).
In conclusione, perché andare a Messa la domenica? Non basta rispondere che è un
precetto della Chiesa; questo aiuta a custodirne il valore, ma da solo non
basta. Noi cristiani abbiamo bisogno di partecipare alla Messa domenicale perché
solo con la grazia di Gesù, con la sua presenza viva in noi e tra di noi,
possiamo mettere in pratica il suo comandamento, e così essere suoi testimoni
credibili.
La Santa Messa - 5. Riti di introduzione
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei entrare nel vivo della celebrazione eucaristica. La Messa è composta
da due parti, che sono la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica, così
strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto (cfr
Sacrosanctum Concilium, 56; Ordinamento Generale del Messale Romano,
28). Introdotta da alcuni riti preparatori e conclusa da altri, la celebrazione
è dunque un unico corpo e non si può separare, ma per una comprensione migliore
cercherò di spiegare i suoi vari momenti, ognuno dei quali è capace di toccare e
coinvolgere una dimensione della nostra umanità. È necessario conoscere questi
santi segni per vivere pienamente la Messa e assaporare tutta la sua bellezza.
Quando il popolo è radunato, la celebrazione si apre con i riti introduttivi,
comprendenti l’ingresso dei celebranti o del celebrante, il saluto – “Il Signore
sia con voi”, “La pace sia con voi” –, l’atto penitenziale – “Io confesso”, dove
noi chiediamo perdono dei nostri peccati –, il Kyrie eleison, l’inno del
Gloria e l’orazione colletta: si chiama “orazione colletta” non perché lì si fa
la colletta delle offerte: è la colletta delle intenzioni di preghiera di tutti
i popoli; e quella colletta dell’intenzione dei popoli sale al cielo come
preghiera. Il loro scopo – di questi riti introduttivi – è di far sì «che i
fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con
fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia» (Ordinamento
Generale del Messale Romano, 46). Non è una buona abitudine guardare
l’orologio e dire: “Sono in tempo, arrivo dopo il sermone e con questo compio il
precetto”. La Messa incomincia con il segno della Croce, con questi riti
introduttivi, perché lì incominciamo ad adorare Dio come comunità. E per questo
è importante prevedere di non arrivare in ritardo, bensì in anticipo, per
preparare il cuore a questo rito, a questa celebrazione della comunità.
Mentre normalmente si svolge il canto d’ingresso, il sacerdote con gli altri
ministri raggiunge processionalmente il presbiterio, e qui saluta l’altare con
un inchino e, in segno di venerazione, lo bacia e, quando c’è l’incenso, lo
incensa. Perché? Perché l’altare è Cristo: è figura di Cristo. Quando noi
guardiamo l’altare, guardiamo proprio dov’è Cristo. L’altare è Cristo. Questi
gesti, che rischiano di passare inosservati, sono molto significativi, perché
esprimono fin dall’inizio che la Messa è un incontro di amore con Cristo, il
quale «offrendo il suo corpo sulla croce […] divenne altare, vittima e
sacerdote» (prefazio pasquale V). L’altare, infatti, in quanto segno di Cristo,
«è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia» (Ordinamento
Generale del Messale Romano, 296), e tutta la comunità attorno all’altare,
che è Cristo; non per guardarsi la faccia, ma per guardare Cristo, perché Cristo
è al centro della comunità, non è lontano da essa.
Vi è poi il segno della croce. Il sacerdote che presiede lo traccia su di
sé e lo stesso fanno tutti i membri dell’assemblea, consapevoli che l’atto
liturgico si compie «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». E
qui passo a un altro argomento piccolissimo. Voi avete visto come i bambini
fanno il segno della croce? Non sanno cosa fanno: a volte fanno un disegno, che
non è il segno della croce. Per favore: mamma e papà, nonni, insegnate ai
bambini, dall’inizio - da piccolini - a fare bene il segno della croce. E
spiegategli che è avere come protezione la croce di Gesù. E la Messa incomincia
con il segno della croce. Tutta la preghiera si muove, per così dire, nello
spazio della Santissima Trinità – “Nel nome del Padre, del Figlio, e dello
Spirito Santo” –, che è spazio di comunione infinita; ha come origine e come
fine l’amore di Dio Uno e Trino, manifestato e donato a noi nella Croce di
Cristo. Infatti il suo mistero pasquale è dono della Trinità, e l’Eucaristia
scaturisce sempre dal suo cuore trafitto. Segnandoci con il segno della croce,
dunque, non solo facciamo memoria del nostro Battesimo, ma affermiamo che la
preghiera liturgica è l’incontro con Dio in Cristo Gesù, che per noi si è
incarnato, è morto in croce ed è risorto glorioso.
Il sacerdote, quindi, rivolge il saluto liturgico, con l’espressione: «Il
Signore sia con voi» o un’altra simile – ce ne sono parecchie –; e l’assemblea
risponde: «E con il tuo spirito». Siamo in dialogo; siamo all’inizio della Messa
e dobbiamo pensare al significato di tutti questi gesti e parole. Stiamo
entrando in una “sinfonia”, nella quale risuonano varie tonalità di voci,
compreso tempi di silenzio, in vista di creare l’“accordo” tra tutti i
partecipanti, cioè di riconoscersi animati da un unico Spirito e per un medesimo
fine. In effetti «il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il
mistero della Chiesa radunata» (Ordinamento Generale del Messale Romano,
50). Si esprime così la comune fede e il desiderio vicendevole di stare con il
Signore e di vivere l’unità con tutta la comunità.
E questa è una sinfonia orante, che si sta creando e presenta subito un momento
molto toccante, perché chi presiede invita tutti a riconoscere i propri peccati.
Tutti siamo peccatori. Non so, forse qualcuno di voi non è peccatore…Se qualcuno
non è peccatore alzi la mano, per favore, così tutti vediamo. Ma non ci sono
mani alzate, va bene: avete buona la fede! Tutti siamo peccatori; e per questo
all’inizio della Messa chiediamo perdono. E’ l’atto penitenziale. Non si
tratta solamente di pensare ai peccati commessi, ma molto di più: è l’invito a
confessarsi peccatori davanti a Dio e davanti alla comunità, davanti ai
fratelli, con umiltà e sincerità, come il pubblicano al tempio. Se veramente
l’Eucaristia rende presente il mistero pasquale, vale a dire il passaggio di
Cristo dalla morte alla vita, allora la prima cosa che dobbiamo fare è
riconoscere quali sono le nostre situazioni di morte per poter risorgere con Lui
a vita nuova. Questo ci fa comprendere quanto sia importante l’atto
penitenziale. E per questo riprenderemo l’argomento nella prossima catechesi.
Andiamo passo passo nella spiegazione della Messa. Ma mi raccomando: insegnate
bene ai bambini a fare il segno della croce, per favore!
La Santa Messa - 6. L’atto penitenziale
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Riprendendo le catechesi sulla celebrazione eucaristica, consideriamo oggi, nel
contesto dei riti di introduzione, l’atto penitenziale. Nella sua
sobrietà, esso favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente
i santi misteri, ossia riconoscendo davanti a Dio e ai fratelli i nostri
peccati, riconoscendo che siamo peccatori. L’invito del sacerdote infatti è
rivolto a tutta la comunità in preghiera, perché tutti siamo peccatori. Che cosa
può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo?
Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della
sua presunta giustizia. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano,
dove soltanto il secondo – il pubblicano – torna a casa giustificato, cioè
perdonato (cfr Lc 18,9-14). Chi è consapevole delle proprie miserie e
abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso
di Dio. Sappiamo per esperienza che solo chi sa riconoscere gli sbagli e
chiedere scusa riceve la comprensione e il perdono degli altri.
Ascoltare in silenzio la voce della coscienza permette di riconoscere che i
nostri pensieri sono distanti dai pensieri divini, che le nostre parole e le
nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo.
Perciò, all’inizio della Messa, compiamo comunitariamente l’atto penitenziale
mediante una formula di confessione generale, pronunciata alla prima
persona singolare. Ciascuno confessa a Dio e ai fratelli “di avere molto
peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”. Sì, anche in omissioni, ossia
di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Spesso ci sentiamo
bravi perché – diciamo – “non ho fatto male a nessuno”. In realtà, non basta non
fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le
occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù. E’ bene
sottolineare che confessiamo sia a Dio che ai fratelli di essere
peccatori: questo ci aiuta a comprendere la dimensione del peccato che, mentre
ci separa da Dio, ci divide anche dai nostri fratelli, e viceversa. Il peccato
taglia: taglia il rapporto con Dio e taglia il rapporto con i fratelli, il
rapporto nella famiglia, nella società, nella comunità: Il peccato taglia
sempre, separa, divide.
Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il
petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri.
Capita spesso infatti che, per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare
altri. Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con
sincerità. Confessare i propri peccati. Io ricordo un aneddoto, che raccontava
un vecchio missionario, di una donna che è andata a confessarsi e incominciò a
dire gli sbagli del marito; poi è passata a raccontare gli sbagli della suocera
e poi i peccati dei vicini. A un certo punto, il confessore le ha detto: “Ma,
signora, mi dica: ha finito? – Benissimo: lei ha finito con i peccati degli
altri. Adesso incominci a dire i suoi”. Dire i propri peccati!
Dopo la confessione del peccato, supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli
e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la
comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di questi «amici e modelli di
vita» (Prefazio del 1° novembre) ci sostiene nel cammino verso la piena
comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato.
Oltre al “Confesso”, si può fare l’atto penitenziale con altre formule, ad
esempio: «Pietà di noi, Signore / Contro di te abbiamo peccato. / Mostraci,
Signore, la tua misericordia. / E donaci la tua salvezza» (cfr Sal 123,3;
85,8; Ger 14,20). Specialmente la domenica si può compiere la benedizione
e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo (cfr OGMR, 51), che
cancella tutti i peccati. E’ anche possibile, come parte dell’atto penitenziale,
cantare il Kyrie eléison: con antica espressione greca, acclamiamo il
Signore – Kyrios – e imploriamo la sua misericordia (ibid., 52).
La Sacra Scrittura ci offre luminosi esempi di figure “penitenti” che,
rientrando in sé stessi dopo aver commesso il peccato, trovano il coraggio di
togliere la maschera e aprirsi alla grazia che rinnova il cuore. Pensiamo al re
Davide e alle parole a lui attribuite nel Salmo: «Pietà di me, o Dio, nel tuo
amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità» (51,3). Pensiamo
al figlio prodigo che ritorna dal padre; o all’invocazione del pubblicano: «O
Dio, abbi pietà di me, peccatore» ( Lc
18,13). Pensiamo anche a San Pietro, a Zaccheo, alla donna samaritana. Misurarsi
con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci
fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a
invocare la misericordia divina che trasforma e converte. E questo è quello che
facciamo nell’atto penitenziale all’inizio della Messa.
La Santa Messa - 7. Il canto del "Gloria" e l'orazione colletta
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel percorso di catechesi sulla celebrazione eucaristica, abbiamo visto che
l’Atto penitenziale ci aiuta a spogliarci delle nostre presunzioni e a
presentarci a Dio come siamo realmente, coscienti di essere peccatori, nella
speranza di essere perdonati.
Proprio dall’incontro tra la miseria umana e la misericordia divina prende vita
la gratitudine espressa nel “Gloria”, «un inno antichissimo e venerabile con il
quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e
l’Agnello» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 53).
L’esordio di questo inno – “Gloria a Dio nell’alto dei cieli” – riprende il
canto degli Angeli alla nascita di Gesù a Betlemme, gioioso annuncio
dell’abbraccio tra cielo e terra. Questo canto coinvolge anche noi raccolti in
preghiera: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di
buona volontà».
Dopo il “Gloria”, oppure, quando questo non c’è, subito dopo l’Atto
penitenziale, la preghiera prende forma particolare nell’orazione denominata
“colletta”, per mezzo della quale viene espresso il carattere proprio della
celebrazione, variabile secondo i giorni e i tempi dell’anno (cfr ibid.,
54). Con l’invito «preghiamo», il sacerdote esorta il popolo a raccogliersi con
lui in un momento di silenzio, al fine di prendere coscienza di stare
alla presenza di Dio e far emergere, ciascuno nel proprio cuore, le personali
intenzioni con cui partecipa alla Messa (cfr ibid., 54). Il sacerdote
dice «preghiamo»; e poi, viene un momento di silenzio, e ognuno pensa alle cose
di cui ha bisogno, che vuol chiedere, nella preghiera.
Il silenzio non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare
altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo.
Nella liturgia, la natura del sacro silenzio dipende dal momento in cui ha
luogo: «Durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, aiuta il
raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente
ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di
lode e di supplica» (ibid., 45). Dunque, prima dell’orazione iniziale, il
silenzio aiuta a raccoglierci in noi stessi e a pensare al perché siamo lì. Ecco
allora l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore.
Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al
Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e
amici malati o che attraversano prove difficili; desideriamo affidare a Dio le
sorti della Chiesa e del mondo. E a questo serve il breve silenzio prima che il
sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a voce alta a
Dio, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione,
facendo appunto la “colletta” delle singole intenzioni. Raccomando
vivamente ai sacerdoti di osservare questo momento di silenzio e non andare di
fretta: «preghiamo», e che si faccia il silenzio. Raccomando questo ai
sacerdoti. Senza questo silenzio, rischiamo di trascurare il raccoglimento
dell’anima.
Il sacerdote recita questa supplica, questa orazione di colletta, con le braccia
allargate è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi
secoli – come testimoniano gli affreschi delle catacombe romane – per imitare il
Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. E lì, Cristo è l’Orante ed è
insieme la preghiera! Nel Crocifisso riconosciamo il Sacerdote che offre a Dio
il culto a lui gradito, ossia l’obbedienza filiale.
Nel Rito Romano le orazioni sono concise ma ricche di significato: si possono
fare tante belle meditazioni su queste orazioni. Tanto belle! Tornare a
meditarne i testi, anche fuori della Messa, può aiutarci ad apprendere come
rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Possa la liturgia diventare
per tutti noi una vera scuola di preghiera.
La Santa Messa - 8. Liturgia della Parola: I. Dialogo tra Dio e il suo popolo
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo oggi le catechesi sulla Santa Messa. Dopo esserci soffermati sui
riti d’introduzione, consideriamo ora la Liturgia della Parola, che è una parte
costitutiva perché ci raduniamo proprio per ascoltare quello che Dio ha fatto e
intende ancora fare per noi. E’ un’esperienza che avviene “in diretta” e non per
sentito dire, perché «quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio
stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella parola, annunzia il Vangelo»
(Ordinamento Generale del Messale Romano, 29; cfr Cost. Sacrosanctum
Concilium, 7; 33). E quante volte, mentre viene letta la Parola di Dio, si
commenta: “Guarda quello…, guarda quella…, guarda il cappello che ha portato
quella: è ridicolo…”. E si cominciano a fare dei commenti. Non è vero? Si devono
fare dei commenti mentre si legge la Parola di Dio? [rispondono: “No!”]. No,
perché se tu fai delle chiacchiere con la gente non ascolti la Parola di Dio.
Quando si legge la Parola di Dio nella Bibbia – la prima Lettura, la seconda, il
Salmo responsoriale e il Vangelo – dobbiamo ascoltare, aprire il cuore, perché è
Dio stesso che ci parla e non pensare ad altre cose o parlare di altre cose.
Capito?... Vi spiegherò che cosa succede in questa Liturgia della Parola.
Le pagine della Bibbia cessano di essere uno scritto per diventare parola viva,
pronunciata da Dio. È Dio che, tramite la persona che legge, ci parla e
interpella noi che ascoltiamo con fede. Lo Spirito «che ha parlato per mezzo dei
profeti» (Credo) e ha ispirato gli autori sacri, fa sì che «la parola di Dio
operi davvero nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi» (Lezionario,
Introd., 9). Ma per ascoltare la Parola di Dio bisogna avere anche il cuore
aperto per ricevere le parole nel cuore. Dio parla e noi gli porgiamo ascolto,
per poi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato. È molto importante
ascoltare. Alcune volte forse non capiamo bene perché ci sono alcune letture un
po’ difficili. Ma Dio ci parla lo stesso in un altro modo. [Bisogna stare] in
silenzio e ascoltare la Parola di Dio. Non dimenticatevi di questo. Alla Messa,
quando incominciano le letture, ascoltiamo la Parola di Dio.
Abbiamo bisogno di ascoltarlo! E’ infatti una questione di vita, come ben
ricorda l’incisiva espressione che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni
parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). La vita che ci dà la Parola
di Dio. In questo senso, parliamo della Liturgia della Parola come della “mensa”
che il Signore imbandisce per alimentare la nostra vita spirituale. E’ una mensa
abbondante quella della liturgia, che attinge largamente ai tesori della Bibbia
(cfr SC, 51), sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, perché in essi è
annunciato dalla Chiesa l’unico e identico mistero di Cristo (cfr Lezionario,
Introd., 5). Pensiamo alla ricchezza delle letture bibliche offerte dai tre
cicli domenicali che, alla luce dei Vangeli Sinottici, ci accompagnano nel corso
dell’anno liturgico: una grande ricchezza. Desidero qui ricordare anche
l’importanza del Salmo responsoriale, la cui funzione è di favorire la
meditazione di quanto ascoltato nella lettura che lo precede. E’ bene che il
Salmo sia valorizzato con il canto, almeno nel ritornello (cfr OGMR, 61;
Lezionario, Introd., 19-22).
La proclamazione liturgica delle medesime letture, con i canti desunti dalla
Sacra Scrittura, esprime e favorisce la comunione ecclesiale, accompagnando il
cammino di tutti e di ciascuno. Si capisce pertanto perché alcune scelte
soggettive, come l’omissione di letture o la loro sostituzione con testi non
biblici, siano proibite. Ho sentito che qualcuno, se c’è una notizia, legge il
giornale, perché è la notizia del giorno. No! La Parola di Dio è la Parola di
Dio! Il giornale lo possiamo leggere dopo. Ma lì si legge la Parola di Dio. È il
Signore che ci parla. Sostituire quella Parola con altre cose impoverisce e
compromette il dialogo tra Dio e il suo popolo in preghiera. Al contrario, [si
richiede] la dignità dell’ambone e l’uso del Lezionario, la disponibilità di
buoni lettori e salmisti. Ma bisogna cercare dei buoni lettori!, quelli che
sappiano leggere, non quelli che leggono [storpiando le parole] e non si capisce
nulla. E’ così. Buoni lettori. Si devono preparare e fare la prova prima della
Messa per leggere bene. E questo crea un clima di silenzio ricettivo.
Sappiamo che la parola del Signore è un aiuto indispensabile per non smarrirci,
come ben riconosce il Salmista che, rivolto al Signore, confessa: «Lampada per i
miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Come
potremmo affrontare il nostro pellegrinaggio terreno, con le sue fatiche e le
sue prove, senza essere regolarmente nutriti e illuminati dalla Parola di Dio
che risuona nella liturgia?
Certo non basta udire con gli orecchi, senza accogliere nel cuore il seme della
divina Parola, permettendole di portare frutto. Ricordiamoci della parabola del
seminatore e dei diversi risultati a seconda dei diversi tipi di terreno (cfr
Mc 4,14-20). L’azione dello Spirito, che rende efficace la risposta, ha
bisogno di cuori che si lascino lavorare e coltivare, in modo che quanto
ascoltato a Messa passi nella vita quotidiana, secondo l’ammonimento
dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non
ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Parola di Dio
fa un cammino dentro di noi. La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non
rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle
opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al
cuore e alle mani. Impariamo queste cose. Grazie!
La Santa Messa - 9. Liturgia della Parola. II. Vangelo e omelia
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo con le catechesi sulla Santa Messa. Eravamo arrivati alle Letture.
Il dialogo tra Dio e il suo popolo, sviluppato nella Liturgia della Parola della
Messa, raggiunge il culmine nella proclamazione del Vangelo. Lo precede il canto
dell’Alleluia – oppure, in Quaresima, un'altra acclamazione – con cui
«l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel
Vangelo» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 62.). Come i misteri di Cristo illuminano l’intera rivelazione biblica,
così, nella Liturgia della Parola, il Vangelo costituisce la luce per
comprendere il senso dei testi biblici che lo precedono, sia dell’Antico che del
Nuovo Testamento. In effetti, «di tutta la Scrittura, come di tutta la
celebrazione liturgica, Cristo è il centro e la pienezza» (Introduzione al
Lezionario, 5.).
Sempre al centro c’è Gesù Cristo, sempre.
Perciò la stessa liturgia distingue il Vangelo dalle altre letture e lo circonda
di particolare onore e venerazione (Cfr Ordinamento Generale del Messale Romano,
60 e 134.). Infatti, la sua
lettura è riservata al ministro ordinato, che termina baciando il libro; ci si
pone in ascolto in piedi e si traccia un segno di croce in fronte, sulla bocca e
sul petto; i ceri e l’incenso onorano Cristo che, mediante la lettura
evangelica, fa risuonare la sua efficace parola. Da questi segni l’assemblea
riconosce la presenza di Cristo che le rivolge la “buona notizia” che converte e
trasforma. E’ un discorso diretto quello che avviene, come attestano le
acclamazioni con cui si risponde alla proclamazione: «Gloria a te, o Signore» e
«Lode a te, o Cristo». Noi ci alziamo per ascoltare il Vangelo: è Cristo che ci
parla, lì. E per questo noi stiamo attenti, perché è un colloquio diretto. E’ il
Signore che ci parla.
Dunque, nella Messa non leggiamo il Vangelo per sapere come sono andate le cose,
ma ascoltiamo il Vangelo per prendere coscienza che ciò che Gesù ha fatto e
detto una volta; e quella Parola è viva, la Parola di Gesù che è nel Vangelo è
viva e arriva al mio cuore. Per questo ascoltare il Vangelo è tanto importante,
col cuore aperto, perché è Parola viva. Scrive sant’Agostino che «la bocca di
Cristo è il Vangelo. Lui regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra»
(Sermone 85, 1: PL 38, 520; cf. anche Trattato sul vangelo di Giovanni, XXX, I:
PL 35, 1632; CCL 36, 289.).
Se è vero che nella liturgia «Cristo annunzia ancora il Vangelo» (Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 33.),
ne consegue che, partecipando alla Messa, dobbiamo dargli una risposta. Noi
ascoltiamo il Vangelo e dobbiamo dare una risposta nella nostra vita.
Per far giungere il suo messaggio, Cristo si serve anche della parola del
sacerdote che, dopo il Vangelo, tiene l’omelia. (Cfr Ordinamento Generale del
Messale Romano, 65-66; Introduzione al Lezionario, 24-27.)
Raccomandata vivamente dal Concilio Vaticano II come parte della stessa
liturgia (Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 52.), l’omelia
non è un discorso di circostanza - neppure una catechesi come questa che sto
facendo adesso -, né una conferenza neppure una lezione, l’omelia è un’altra
cosa. Cosa è l’omelia? E’ «un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il
Signore e il suo popolo», (Esort. ap. Evangelii gaudium, 137.)
affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la
nostra vita santa! La parola del Signore termina la sua corsa facendosi carne in
noi, traducendosi in opere, come è avvenuto in Maria e nei Santi. Ricordate
quello che ho detto l’ultima volta, la Parola del Signore entra dalle orecchie,
arriva al cuore e va alle mani, alle opere buone. E anche l’omelia segue la
Parola del Signore e fa anche questo percorso per aiutarci affinché la Parola
del Signore arrivi alle mani, passando per il cuore.
Ho già trattato l’argomento dell’omelia nell’Esortazione Evangelii gaudium,
dove ricordavo che il contesto liturgico «esige che la predicazione orienti
l’assemblea, e anche il predicatore, verso una comunione con Cristo
nell’Eucaristia che trasformi la vita»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 138.).
Chi tiene l’omelia deve compiere bene il suo ministero - colui che predica, il
sacerdote o il diacono o il vescovo -, offrendo un reale servizio a tutti coloro
che partecipano alla Messa, ma anche quanti l’ascoltano devono fare la loro
parte. Anzitutto prestando debita attenzione, assumendo cioè le giuste
disposizioni interiori, senza pretese soggettive, sapendo che ogni predicatore
ha pregi e limiti. Se a volte c’è motivo di annoiarsi per l’omelia lunga o non
centrata o incomprensibile, altre volte è invece il pregiudizio a fare da
ostacolo. E chi fa l’omelia deve essere conscio che non sta facendo una cosa
propria, sta predicando, dando voce a Gesù, sta predicando la Parola di Gesù. E
l’omelia deve essere ben preparata, deve essere breve, breve! Mi diceva un
sacerdote che una volta era andato in un’altra città dove abitavano i genitori e
il papà gli aveva detto: “Tu sai, sono contento, perché con i miei amici abbiamo
trovato una chiesa dove si fa la Messa senza omelia!”. E quante volte noi
vediamo che nell’omelia alcuni si addormentano, altri chiacchierano o escono
fuori a fumare una sigaretta… Per questo, per favore, che sia breve, l’omelia,
ma che sia ben preparata. E come si prepara un’omelia, cari sacerdoti, diaconi,
vescovi? Come si prepara? Con la preghiera, con lo studio della Parola di Dio e
facendo una sintesi chiara e breve, non deve andare oltre i 10 minuti, per
favore. Concludendo possiamo dire che nella Liturgia della Parola, attraverso il
Vangelo e l’omelia, Dio dialoga con il suo popolo, il quale lo ascolta con
attenzione e venerazione e, allo stesso tempo, lo riconosce presente e operante.
Se, dunque, ci mettiamo in ascolto della “buona notizia”, da essa saremo
convertiti e trasformati, pertanto capaci di cambiare noi stessi e il mondo.
Perché? Perché la Buona Notizia, la Parola di Dio entra dalle orecchie, va al
cuore e arriva alle mani per fare delle opere buone.
La Santa Messa - 10. Liturgia della Parola. III. Credo e Preghiera universale
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Buongiorno anche se la giornata è un po’ bruttina. Ma se l’anima è in gioia
sempre è un buon giorno. Così, buongiorno! Oggi l’udienza si farà in due parti:
un piccolo gruppo di ammalati è in aula, per il tempo e noi siamo qui. Ma noi
vediamo loro e loro vedono noi nel maxischermo. Li salutiamo con un applauso.
Continuiamo con la Catechesi sulla Messa. L’ascolto delle Letture bibliche,
prolungato nell’omelia, risponde a che cosa? Risponde a un diritto: il diritto
spirituale del popolo di Dio a ricevere con abbondanza il tesoro della Parola di
Dio (cfr Introduzione al Lezionario, 45). Ognuno di noi quando va
a Messa ha il diritto di ricevere abbondantemente la Parola di Dio ben letta,
ben detta e poi, ben spiegata nell’omelia. È un diritto! E quando la Parola di
Dio non è ben letta, non è predicata con fervore dal diacono, dal sacerdote o
dal vescovo si manca a un diritto dei fedeli. Noi abbiamo il diritto di
ascoltare la Parola di Dio. Il Signore parla per tutti, Pastori e fedeli. Egli
bussa al cuore di quanti partecipano alla Messa, ognuno nella sua condizione di
vita, età, situazione. Il Signore consola, chiama, suscita germogli di vita
nuova e riconciliata. E questo per mezzo della sua Parola. La sua Parola bussa
al cuore e cambia i cuori!
Perciò, dopo l’omelia, un tempo di silenzio permette di sedimentare nell’animo
il seme ricevuto, affinché nascano propositi di adesione a ciò che lo Spirito ha
suggerito a ciascuno. Il silenzio dopo l’omelia. Un bel silenzio si deve fare lì
e ognuno deve pensare a quello che ha ascoltato.
Dopo questo silenzio, come continua la Messa? La personale risposta di fede si
inserisce nella professione di fede della Chiesa, espressa nel “Credo”.
Tutti noi recitiamo il “Credo” nella Messa. Recitato da tutta
l’assemblea, il Simbolo manifesta la comune risposta a quanto insieme si è
ascoltato dalla Parola di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica,
185-197). C’è un nesso vitale tra ascolto e fede. Sono uniti. Questa - la fede
-, infatti, non nasce da fantasia di menti umane ma, come ricorda san Paolo,
«viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17).
La fede si alimenta, dunque, con l’ascolto e conduce al Sacramento. Così, la
recita del “Credo” fa sì che l’assemblea liturgica «torni a meditare e professi
i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell’Eucaristia» (Ordinamento
Generale del Messale Romano, 67).
Il Simbolo di fede vincola l’Eucaristia al Battesimo, ricevuto «nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», e ci ricorda che i Sacramenti sono
comprensibili alla luce della fede della Chiesa.
La risposta alla Parola di Dio accolta con fede si esprime poi nella supplica
comune, denominata Preghiera universale, perché abbraccia le necessità
della Chiesa e del mondo (cfr OGMR, 69-71; Introduzione al
Lezionario, 30-31). Viene anche detta Preghiera dei fedeli.
I Padri del Vaticano II hanno voluto ripristinare questa preghiera dopo il
Vangelo e l’omelia, specialmente nella domenica e nelle feste, affinché «con la
partecipazione del popolo, si facciano preghiere per la santa Chiesa, per coloro
che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli
uomini e per la salvezza di tutto il mondo» (Cost. Sacrosanctum Concilium,
53; cfr 1 Tm 2,1-2). Pertanto, sotto la guida del sacerdote che introduce
e conclude, «il popolo, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a
Dio preghiere per la salvezza di tutti» (OGMR, 69). E dopo le singole
intenzioni, proposte dal diacono o da un lettore, l’assemblea unisce la sua voce
invocando: «Ascoltaci, o Signore».
Ricordiamo, infatti, quanto ci ha detto il Signore Gesù: «Se rimanete in me e le
mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto» (Gv
15,7). “Ma noi non crediamo questo, perché abbiamo poca fede”. Ma se noi
avessimo una fede – dice Gesù – come il grano di senape, avremmo ricevuto tutto.
“Chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. E in questo momento della
preghiera universale dopo il Credo, è il momento di chiedere al Signore le cose
più forti nella Messa, le cose di cui noi abbiamo bisogno, quello che vogliamo.
“Vi sarà fatto”; in uno o nell’altro modo ma “Vi sarà fatto”. “Tutto è possibile
a colui che crede”, ha detto il Signore. Che cosa ha risposto quell’uomo al
quale il Signore si è rivolto per dire questa parola – tutto è possibile a
quello che crede-? Ha detto: “Credo Signore. Aiuta la mia poca fede”. Anche noi
possiamo dire: “Signore, io credo. Ma aiuta la mia poca fede”. E la preghiera
dobbiamo farla con questo spirito di fede: “Credo Signore, aiuta la mia poca
fede”. Le pretese di logiche mondane, invece, non decollano verso il Cielo, così
come restano inascoltate le richieste autoreferenziali (cfr Gc 4,2-3). Le
intenzioni per cui si invita il popolo fedele a pregare devono dar voce ai
bisogni concreti della comunità ecclesiale e del mondo, evitando di ricorrere a
formule convenzionali e miopi. La preghiera “universale”, che conclude la
liturgia della Parola, ci esorta a fare nostro lo sguardo di Dio, che si prende
cura di tutti i suoi figli.
La Santa Messa - 11. Liturgia eucaristica: I. Presentazione dei doni
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo con la catechesi sulla Santa Messa. Alla Liturgia della Parola – su
cui mi sono soffermato nelle scorse catechesi – segue l’altra parte costitutiva
della Messa, che è la Liturgia eucaristica. In essa, attraverso i santi
segni, la Chiesa rende continuamente presente il Sacrificio della nuova alleanza
sigillata da Gesù sull’altare della Croce (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 47). È stato il primo altare cristiano, quello della
Croce, e quando noi ci avviciniamo all’altare per celebrare la Messa, la nostra
memoria va all’altare della Croce, dove è stato fatto il primo sacrificio. Il
sacerdote, che nella Messa rappresenta Cristo, compie ciò che il Signore stesso
fece e affidò ai discepoli nell’Ultima Cena: prese il pane e il calice,
rese grazie, li diede ai discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate …
bevete: questo è il mio corpo … questo è il calice del mio sangue. Fate questo
in memoria di me».
Obbediente al comando di Gesù, la Chiesa ha disposto la Liturgia eucaristica in
momenti che corrispondono alle parole e ai gesti compiuti da Lui la
vigilia della sua Passione. Così, nella preparazione dei doni sono
portati all’altare il pane e il vino, cioè gli elementi che Cristo prese nelle
sue mani. Nella Preghiera eucaristica rendiamo grazie a Dio per l’opera
della redenzione e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo.
Seguono la frazione del Pane e la Comunione, mediante la quale riviviamo
l’esperienza degli Apostoli che ricevettero i doni eucaristici dalle mani di
Cristo stesso (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 72).
Al primo gesto di Gesù: «prese il pane e il calice del vino», corrisponde quindi
la preparazione dei doni. È la prima parte della Liturgia eucaristica. E’
bene che siano i fedeli a presentare al sacerdote il pane e il vino, perché essi
significano l’offerta spirituale della Chiesa lì raccolta per l’Eucaristia. È
bello che siano proprio i fedeli a portare all’altare il pane e il vino. Sebbene
oggi «i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino
destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni
conserva il suo valore e significato spirituale» (ibid., 73). E al
riguardo è significativo che, nell’ordinare un nuovo presbitero, il Vescovo,
quando gli consegna il pane e il vino, dice: «Ricevi le offerte del popolo santo
per il sacrificio eucaristico» (Pontificale Romano - Ordinazione dei
vescovi, dei presbiteri e dei diaconi). Il popolo di Dio che porta
l’offerta, il pane e il vino, la grande offerta per la Messa! Dunque, nei segni
del pane e del vino il popolo fedele pone la propria offerta nelle mani del
sacerdote, il quale la depone sull’altare o mensa del Signore, «che è il centro
di tutta la Liturgia eucaristica» (OGMR, 73). Cioè, il centro della Messa
è l’altare, e l’altare è Cristo; sempre bisogna guardare l’altare che è il
centro della Messa. Nel «frutto della terra e del lavoro dell’uomo», viene
pertanto offerto l’impegno dei fedeli a fare di sé stessi, obbedienti alla
divina Parola, un «sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente», «per il bene di
tutta la sua santa Chiesa». Così «la vita dei fedeli, la loro sofferenza, la
loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta
totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1368).
Certo, è poca cosa la nostra offerta, ma Cristo ha bisogno di questo poco. Ci
chiede poco, il Signore, e ci dà tanto. Ci chiede poco. Ci chiede, nella vita
ordinaria, buona volontà; ci chiede cuore aperto; ci chiede voglia di essere
migliori per accogliere Lui che offre se stesso a noi nell’Eucaristia; ci chiede
queste offerte simboliche che poi diventeranno il Suo corpo e il Suo sangue.
Un’immagine di questo movimento oblativo di preghiera è rappresentata
dall’incenso che, consumato nel fuoco, libera un fumo profumato che sale verso
l’alto: incensare le offerte, come si fa nei giorni di festa, incensare la
croce, l’altare, il sacerdote e il popolo sacerdotale manifesta visibilmente il
vincolo offertoriale che unisce tutte queste realtà al sacrificio di Cristo (cfr
OGMR, 75). E non dimenticare: c’è l’altare che è Cristo, ma sempre in
riferimento al primo altare che è la Croce, e sull’altare che è Cristo portiamo
il poco dei nostri doni, il pane e il vino che poi diventeranno il tanto: Gesù
stesso che si dà a noi.
E tutto questo è quanto esprime anche l’orazione sulle offerte. In essa
il sacerdote chiede a Dio di accettare i doni che la Chiesa gli offre, invocando
il frutto del mirabile scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza. Nel
pane e nel vino gli presentiamo l’offerta della nostra vita, affinché sia
trasformata dallo Spirito Santo nel sacrificio di Cristo e diventi con Lui una
sola offerta spirituale gradita al Padre. Mentre si conclude così la
preparazione dei doni, ci si dispone alla Preghiera eucaristica (cfr ibid.,
77).
La spiritualità del dono di sé, che questo momento della Messa ci
insegna, possa illuminare le nostre giornate, le relazioni con gli altri, le
cose che facciamo, le sofferenze che incontriamo, aiutandoci a costruire la
città terrena alla luce del Vangelo.
La Santa Messa - 12. Liturgia eucaristica: II. Preghiera eucaristica
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo le catechesi sulla Santa Messa e con questa catechesi ci soffermiamo
sulla Preghiera eucaristica. Concluso il rito della presentazione del
pane e del vino, ha inizio la Preghiera eucaristica, che qualifica la
celebrazione della Messa e ne costituisce il momento centrale, ordinato alla
santa Comunione. Corrisponde a quanto Gesù stesso fece, a tavola con gli
Apostoli nell’Ultima Cena, allorché «rese grazie» sul pane e poi sul calice del
vino (cfr Mt 26,27; Mc 14,23; Lc, 22,17.19; 1 Cor
11,24): il suo ringraziamento rivive in ogni nostra Eucaristia, associandoci al
suo sacrificio di salvezza.
E in questa solenne Preghiera – la Preghiera eucaristica è solenne - la Chiesa
esprime ciò che essa compie quando celebra l’Eucaristia e il motivo per cui la
celebra, ossia fare comunione con Cristo realmente presente nel pane e nel vino
consacrati. Dopo aver invitato il popolo a innalzare i cuori al Signore e a
rendergli grazie, il sacerdote pronuncia la Preghiera ad alta voce, a nome di
tutti i presenti, rivolgendosi al Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito
Santo. «Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si
unisca con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il
sacrificio» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 78). E per unirsi
deve capire. Per questo, la Chiesa ha voluto celebrare la Messa nella lingua che
la gente capisce, affinché ciascuno possa unirsi a questa lode e a questa grande
preghiera con il sacerdote. In verità, «il sacrificio di Cristo e il sacrificio
dell’Eucaristia sono un unico sacrificio» (Catechismo della Chiesa Cattolica,
1367).
Nel Messale vi sono varie formule di Preghiera eucaristica, tutte costituite da
elementi caratteristici, che vorrei ora ricordare (cfr OGMR, 79; CCC,
1352-1354). Sono bellissime tutte. Anzitutto vi è il Prefazio, che è un’azione
di grazie per i doni di Dio, in particolare per l’invio del suo Figlio come
Salvatore. Il Prefazio si conclude con l’acclamazione del «Santo»,
normalmente cantata. È bello cantare il “Santo”: “Santo, Santo, Santo il
Signore”. È bello cantarlo. Tutta l’assemblea unisce la propria voce a quella
degli Angeli e dei Santi per lodare e glorificare Dio.
Vi è poi l’invocazione dello Spirito affinché con la sua potenza consacri il
pane e il vino. Invochiamo lo Spirito perché venga e nel pane e nel vino ci sia
Gesù. L’azione dello Spirito Santo e l’efficacia delle stesse parole di Cristo
proferite dal sacerdote, rendono realmente presente, sotto le specie del pane e
del vino, il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce
una volta per tutte (cfr CCC, 1375). Gesù in questo è stato chiarissimo.
Abbiamo sentito come San Paolo all’inizio racconta le parole di Gesù: “Questo è
il mio corpo, questo è il mio sangue”. “Questo è il mio sangue, questo è il mio
corpo”. È Gesù stesso che ha detto questo. Noi non dobbiamo fare pensieri
strani: “Ma, come mai una cosa che …”. È il corpo di Gesù; è finita lì! La fede:
ci viene in aiuto la fede; con un atto di fede crediamo che è il corpo e il
sangue di Gesù. E’ il «mistero della fede», come noi diciamo dopo la
consacrazione. Il sacerdote dice: “Mistero della fede” e noi rispondiamo con
un’acclamazione. Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del Signore,
nell’attesa del suo ritorno glorioso, la Chiesa offre al Padre il sacrificio che
riconcilia cielo e terra: offre il sacrificio pasquale di Cristo offrendosi con
Lui e chiedendo, in virtù dello Spirito Santo, di diventare «in Cristo un solo
corpo e un solo spirito» (Pregh. euc. III; cfr Sacrosanctum Concilium,
48; OGMR, 79f). La Chiesa vuole unirci a Cristo e diventare con il
Signore un solo corpo e un solo spirito. E’ questa la grazia e il frutto della
Comunione sacramentale: ci nutriamo del Corpo di Cristo per diventare, noi che
ne mangiamo, il suo Corpo vivente oggi nel mondo.
Mistero di comunione è questo, la Chiesa si unisce all’offerta di Cristo e alla
sua intercessione e in questa luce, «nelle catacombe la Chiesa è spesso
raffigurata come una donna in preghiera con le braccia spalancate, in
atteggiamento di orante come Cristo ha steso le braccia sulla croce, così per
mezzo di Lui, con Lui e in Lui, essa si offre e intercede per tutti gli uomini»
(CCC, 1368). La Chiesa che ora, che prega. È bello pensare che la Chiesa
ora, prega. C’è un passo nel Libro degli Atti degli Apostoli; quando Pietro era
in carcere, la comunità cristiana dice: “Orava incessantemente per Lui”. La
Chiesa che ora, la Chiesa orante. E quando noi andiamo a Messa è per fare
questo: fare Chiesa orante.
La Preghiera eucaristica chiede a Dio di raccogliere tutti i suoi figli nella
perfezione dell’amore, in unione con il Papa e il Vescovo, menzionati per nome,
segno che celebriamo in comunione con la Chiesa universale e con la Chiesa
particolare. La supplica, come l’offerta, è presentata a Dio per tutti i membri
della Chiesa, vivi e defunti, in attesa della beata speranza di condividere
l’eredità eterna del cielo, con la Vergine Maria (cfr CCC, 1369-1371).
Nessuno e niente è dimenticato nella Preghiera eucaristica, ma ogni cosa è
ricondotta a Dio, come ricorda la dossologia che la conclude. Nessuno è
dimenticato. E se io ho qualche persona, parenti, amici, che sono nel bisogno o
sono passati da questo mondo all’altro, posso nominarli in quel momento,
interiormente e in silenzio o fare scrivere che il nome sia detto. “Padre,
quanto devo pagare perché il mio nome venga detto lì?”- “Niente”. Capito questo?
Niente! La Messa non si paga. La Messa è il sacrificio di Cristo, che è
gratuito. La redenzione è gratuita. Se tu vuoi fare un’offerta falla, ma non si
paga. Questo è importante capirlo.
Questa formula codificata di preghiera, forse possiamo sentirla un po’ lontana –
è vero, è una formula antica - ma, se ne comprendiamo bene il significato,
allora sicuramente parteciperemo meglio. Essa infatti esprime tutto ciò che
compiamo nella celebrazione eucaristica; e inoltre ci insegna a coltivare tre
atteggiamenti che non dovrebbero mai mancare nei discepoli di Gesù. I tre
atteggiamenti: primo, imparare a “rendere grazie, sempre e in ogni luogo”,
e non solo in certe occasioni, quando tutto va bene; secondo, fare della
nostra vita un dono d’amore, libero e gratuito; terzo, costruire la
concreta comunione, nella Chiesa e con tutti. Dunque, questa Preghiera
centrale della Messa ci educa, a poco a poco, a fare di tutta la nostra vita una
“eucaristia”, cioè un’azione di grazie.
La Santa Messa - 13. Liturgia eucaristica. III. "Padre nostro" e frazione del
Pane
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo con la Catechesi sulla Santa Messa. Nell’ultima Cena, dopo che Gesù
prese il pane e il calice del vino, ed ebbe reso grazie a Dio, sappiamo che
«spezzò il pane». A quest’azione corrisponde, nella Liturgia eucaristica della
Messa, la frazione del Pane, preceduta dalla preghiera che il Signore ci
ha insegnato, cioè del “Padre Nostro”.
E così cominciano i riti di Comunione, prolungando la lode e la supplica della
Preghiera eucaristica con la recita comunitaria del “Padre nostro”.
Questa non è una delle tante preghiere cristiane, ma è la preghiera dei figli
di Dio: è la grande preghiera che ci ha insegnato Gesù. Infatti,
consegnatoci nel giorno del nostro Battesimo, il “Padre nostro” fa risuonare in
noi quei medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Quando noi preghiamo col
“Padre Nostro”, preghiamo come pregava Gesù. È la preghiera che ha fatto Gesù, e
l’ha insegnata a noi; quando i discepoli gli hanno detto: “Maestro, insegnaci a
pregare come tu preghi”. E Gesù pregava così. È tanto bello pregare come Gesù!
Formati al suo divino insegnamento, osiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”,
perché siamo rinati come suoi figli attraverso l’acqua e lo Spirito Santo (cfr
Ef 1,5). Nessuno, in verità, potrebbe chiamarlo familiarmente “Abbà”
– “Padre” – senza essere stato generato da Dio, senza l’ispirazione dello
Spirito, come insegna san Paolo (cfr Rm 8,15). Dobbiamo pensare: nessuno
può chiamarlo “Padre” senza l’ispirazione dello Spirito. Quante volte c’è gente
che dice “Padre Nostro”, ma non sa cosa dice. Perché sì, è il Padre, ma tu senti
che quando dici “Padre” Lui è il Padre, il Padre tuo, il Padre dell’umanità, il
Padre di Gesù Cristo? Tu hai un rapporto con questo Padre? Quando noi preghiamo
il “Padre Nostro”, ci colleghiamo col Padre che ci ama, ma è lo Spirito a darci
questo collegamento, questo sentimento di essere figli di Dio.
Quale preghiera migliore di quella insegnata da Gesù può disporci alla Comunione
sacramentale con Lui? Oltre che nella Messa, il “Padre nostro” viene pregato,
alla mattina e alla sera, nelle Lodi e nei Vespri; in tal modo, l’atteggiamento
filiale verso Dio e di fraternità con il prossimo contribuiscono a dare forma
cristiana alle nostre giornate.
Nella Preghiera del Signore - nel “Padre nostro” - chiediamo il «pane
quotidiano», nel quale scorgiamo un particolare riferimento al Pane eucaristico,
di cui abbiamo bisogno per vivere da figli di Dio. Imploriamo anche «la
remissione dei nostri debiti», e per essere degni di ricevere il perdono di Dio
ci impegniamo a perdonare chi ci ha offeso. E questo non è facile. Perdonare le
persone che ci hanno offeso non è facile; è una grazia che dobbiamo chiedere:
“Signore, insegnami a perdonare come tu hai perdonato me”. È una grazia. Con le
nostre forze noi non possiamo: è una grazia dello Spirito Santo perdonare. Così,
mentre ci apre il cuore a Dio, il “Padre nostro” ci dispone anche all’amore
fraterno. Infine, chiediamo ancora a Dio di «liberarci dal male» che ci separa
da Lui e ci divide dai nostri fratelli. Comprendiamo bene che queste sono
richieste molto adatte a prepararci alla santa Comunione (cfr Ordinamento
Generale del Messale Romano, 81).
In effetti, quanto chiediamo nel “Padre nostro” viene prolungato dalla preghiera
del sacerdote che, a nome di tutti, supplica: «Liberaci, o Signore, da tutti i
mali, concedi la pace ai nostri giorni». E poi riceve una sorta di sigillo nel
rito della pace: per prima cosa si invoca da Cristo che il dono della sua pace
(cfr Gv 14,27) – così diversa dalla pace del mondo - faccia crescere la
Chiesa nell’unità e nella pace, secondo la sua volontà; quindi, con il gesto
concreto scambiato tra noi, esprimiamo «la comunione ecclesiale e l’amore
vicendevole, prima di comunicare al Sacramento» (OGMR, 82). Nel Rito
romano lo scambio del segno di pace, posto fin dall’antichità prima della
Comunione, è ordinato alla Comunione eucaristica. Secondo l’ammonimento di san
Paolo, non è possibile comunicare all’unico Pane che ci rende un solo Corpo in
Cristo, senza riconoscersi pacificati dall’amore fraterno (cfr 1 Cor
10,16-17; 11,29). La pace di Cristo non può radicarsi in un cuore incapace di
vivere la fraternità e di ricomporla dopo averla ferita. La pace la dà il
Signore: Egli ci dà la grazia di perdonare coloro che ci hanno offeso.
Il gesto della pace è seguito dalla frazione del Pane, che fin dal tempo
apostolico ha dato il nome all’intera celebrazione dell’Eucaristia (cfr OGMR,
83; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1329). Compiuto da Gesù durante
l’Ultima Cena, lo spezzare il Pane è il gesto rivelatore che ha permesso ai
discepoli di riconoscerlo dopo la sua risurrezione. Ricordiamo i discepoli di
Emmaus, i quali, parlando dell’incontro con il Risorto, raccontano «come
l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (cfr Lc 24,30-31.35).
La frazione del Pane eucaristico è accompagnata dall’invocazione dell’«Agnello
di Dio», figura con cui Giovanni Battista ha indicato in Gesù «colui che toglie
il peccato del mondo» (Gv 1,29). L’immagine biblica dell’agnello parla
della redenzione (cfr Es 12,1-14; Is 53,7; 1 Pt 1,19; Ap
7,14). Nel Pane eucaristico, spezzato per la vita del mondo, l’assemblea orante
riconosce il vero Agnello di Dio, cioè il Cristo Redentore, e lo supplica: «Abbi
pietà di noi … dona a noi la pace».
«Abbi pietà di noi», «dona a noi la pace» sono invocazioni che, dalla preghiera
del “Padre nostro” alla frazione del Pane, ci aiutano a disporre l’animo a
partecipare al convito eucaristico, fonte di comunione con Dio e con i fratelli.
Non dimentichiamo la grande preghiera: quella che ha insegnato Gesù, e che è la
preghiera con la quale Lui pregava il Padre. E questa preghiera ci prepara alla
Comunione.
La Santa Messa - 14. Liturgia eucaristica. IV. La Comunione
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
E oggi è il primo giorno di primavera: buona primavera! Ma cosa succede in
primavera? Fioriscono le piante, fioriscono gli alberi. Io vi farò qualche
domanda. Un albero o una pianta ammalati, fioriscono bene, se sono malati?. No!
Un albero, una pianta che non sono annaffiati dalla pioggia o artificialmente,
possono fiorire bene? No. E un albero e una pianta che ha tolto le radici o che
non ha radici, può fiorire? No. Ma, senza radici si può fiorire? No! E questo è
un messaggio: la vita cristiana dev’essere una vita che deve fiorire nelle opere
di carità, nel fare il bene. Ma se tu non hai delle radici, non potrai fiorire,
e la radice chi è? Gesù! Se tu non sei con Gesù, lì, in radice, non fiorirai. Se
tu non annaffi la tua vita con la preghiera e i sacramenti, voi avrete fiori
cristiani? No! Perché la preghiera e i sacramenti annaffiano le radici e la
nostra vita fiorisce. Vi auguro che questa primavera sia per voi una primavera
fiorita, come sarà la Pasqua fiorita. Fiorita di buone opere, di virtù, di fare
il bene agli altri Ricordate questo, questo è un versetto molto bello della mia
Patria: “Quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che ha di
sotterrato”. Mai tagliare le radici con Gesù.
E continuiamo adesso con la catechesi sulla Santa Messa. La celebrazione della
Messa, di cui stiamo percorrendo i vari momenti, è ordinata alla Comunione, cioè
a unirci con Gesù. La comunione sacramentale: non la comunione spirituale, che
tu puoi farla a casa tua dicendo: “Gesù, io vorrei riceverti spiritualmente”.
No, la comunione sacramentale, con il corpo e il sangue di Cristo. Celebriamo
l’Eucaristia per nutrirci di Cristo, che ci dona sé stesso sia nella Parola sia
nel Sacramento dell’altare, per conformarci a Lui. Lo dice il Signore stesso:
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv
6,56). Infatti, il gesto di Gesù che diede ai discepoli il suo Corpo e
Sangue nell’ultima Cena, continua ancora oggi attraverso il ministero del
sacerdote e del diacono, ministri ordinari della distribuzione ai fratelli del
Pane della vita e del Calice della salvezza.
Nella Messa, dopo aver spezzato il Pane consacrato, cioè il corpo di Gesù, il
sacerdote lo mostra ai fedeli, invitandoli a partecipare al convito eucaristico.
Conosciamo le parole che risuonano dal santo altare: «Beati gli invitati alla
Cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo».
Ispirato a un passo dell’Apocalisse – «beati gli invitati al banchetto di nozze
dell’Agnello» (Ap 19,9): dice “nozze” perché Gesù è lo sposo della Chiesa
– questo invito ci chiama a sperimentare l’intima unione con Cristo, fonte di
gioia e di santità. E’ un invito che rallegra e insieme spinge a un esame di
coscienza illuminato dalla fede. Se da una parte, infatti, vediamo la distanza
che ci separa dalla santità di Cristo, dall’altra crediamo che il suo Sangue
viene «sparso per la remissione dei peccati». Tutti noi siamo stati perdonati
nel battesimo, e tutti noi siamo perdonati o saremo perdonati ogni volta che ci
accostiamo al sacramento della penitenza. E non dimenticate: Gesù perdona
sempre. Gesù non si stanca di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere
perdono. Proprio pensando al valore salvifico di questo Sangue, sant’Ambrogio
esclama: «Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina» (De
sacramentis, 4, 28: PL 16, 446A). In questa fede, anche noi volgiamo
lo sguardo all’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e lo invochiamo: «O
Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una
parola e io sarò salvato». Questo lo diciamo in ogni Messa.
Se siamo noi a muoverci in processione per fare la Comunione, noi andiamo verso
l’altare in processione a fare la comunione, in realtà è Cristo che ci viene
incontro per assimilarci a sé. C’è un incontro con Gesù! Nutrirsi
dell’Eucaristia significa lasciarsi mutare in quanto riceviamo. Ci aiuta
sant’Agostino a comprenderlo, quando racconta della luce ricevuta nel sentirsi
dire da Cristo: «Io sono il cibo dei grandi. Cresci, e mi mangerai. E non sarai
tu a trasformarmi in te, come il cibo della tua carne; ma tu verrai trasformato
in me» (Confessioni VII, 10, 16: PL 32, 742). Ogni volta che noi
facciamo la comunione, assomigliamo di più a Gesù, ci trasformiamo di più in
Gesù. Come il pane e il vino sono convertiti nel Corpo e Sangue del Signore,
così quanti li ricevono con fede sono trasformati in Eucaristia vivente. Al
sacerdote che, distribuendo l’Eucaristia, ti dice: «Il Corpo di Cristo», tu
rispondi: «Amen», ossia riconosci la grazia e l’impegno che comporta diventare
Corpo di Cristo. Perché quando tu ricevi l’Eucaristia diventi corpo di Cristo.
E’ bello, questo; è molto bello. Mentre ci unisce a Cristo, strappandoci dai
nostri egoismi, la Comunione ci apre ed unisce a tutti coloro che sono una sola
cosa in Lui. Ecco il prodigio della Comunione: diventiamo ciò che riceviamo!
La Chiesa desidera vivamente che anche i fedeli ricevano il Corpo del Signore
con ostie consacrate nella stessa Messa; e il segno del banchetto eucaristico si
esprime con maggior pienezza se la santa Comunione viene fatta sotto le due
specie, pur sapendo che la dottrina cattolica insegna che sotto una sola specie
si riceve il Cristo tutto intero (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano,
85; 281-282). Secondo la prassi ecclesiale, il fedele si accosta normalmente
all’Eucaristia in forma processionale, come abbiamo detto, e si comunica in
piedi con devozione, oppure in ginocchio, come stabilito dalla Conferenza
Episcopale, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano,
come preferisce (cfr OGMR, 160-161). Dopo la Comunione, a custodire in
cuore il dono ricevuto ci aiuta il silenzio, la preghiera silenziosa. Allungare
un po’ quel momento di silenzio, parlando con Gesù nel cuore ci aiuta tanto,
come pure cantare un salmo o un inno di lode (cfr OGMR, 88) che ci aiuti
a essere con il Signore.
La Liturgia eucaristica è conclusa dall’orazione dopo la Comunione. In essa, a
nome di tutti, il sacerdote si rivolge a Dio per ringraziarlo di averci resi
suoi commensali e chiedere che quanto ricevuto trasformi la nostra vita.
L’Eucaristia ci fa forti per dare frutti di buone opere per vivere come
cristiani. E’ significativa l’orazione di oggi, in cui chiediamo al Signore che
«la partecipazione al suo sacramento sia per noi medicina di salvezza, ci
guarisca dal male e ci confermi nella sua amicizia» (Messale Romano,
Mercoledì della V settimana di Quaresima). Accostiamoci all’Eucaristia: ricevere
Gesù che ci trasforma in Lui, ci fa più forti. E’ tanto buono e tanto grande il
Signore!
La Santa Messa - 15. Riti di conclusione
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona Pasqua!
Voi vedete che oggi ci sono dei fiori: i fiori dicono gioia, allegria. In certi
posti la Pasqua è chiamata anche “Pasqua fiorita”, perché fiorisce il Cristo
risorto: è il fiore nuovo; fiorisce la nostra giustificazione; fiorisce la
santità della Chiesa. Per questo, tanti fiori: è la nostra gioia. Tutta la
settimana noi festeggiamo la Pasqua, tutta la settimana. E per questo ci diamo,
una volta in più, tutti noi, l’augurio di “Buona Pasqua”. Diciamo insieme:
“Buona Pasqua”, tutti! [rispondono: “Buona Pasqua!”]. Vorrei anche che dessimo
la Buona Pasqua – perché è stato Vescovo di Roma – all’amato Papa Benedetto, che
ci segue per televisione. A Papa Benedetto, tutti diamo la Buona Pasqua:
[dicono: “Buona Pasqua!”] E un applauso, forte.
Con questa catechesi concludiamo il ciclo dedicato alla Messa, che è proprio la
commemorazione, ma non soltanto come memoria, si vive di nuovo la Passione e la
Risurrezione di Gesù. L’ultima volta siamo arrivati fino alla Comunione e
l’orazione dopo la Comunione; dopo questa orazione, la Messa si conclude con la
benedizione impartita dal sacerdote e il congedo del popolo (cfr
Ordinamento Generale del Messale Romano, 90). Come era iniziata con il
segno della croce, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, è
ancora nel nome della Trinità che viene sigillata la Messa, cioè l’azione
liturgica.
Tuttavia, sappiamo bene che mentre la Messa finisce, si apre l’impegno della
testimonianza cristiana. I cristiani non vanno a Messa per fare un compito
settimanale e poi si dimenticano, no. I cristiani vanno a Messa per partecipare
alla Passione e Risurrezione del Signore e poi vivere di più come cristiani: si
apre l’impegno della testimonianza cristiana. Usciamo dalla chiesa per «andare
in pace» a portare la benedizione di Dio nelle attività quotidiane, nelle nostre
case, negli ambienti di lavoro, tra le occupazioni della città terrena,
“glorificando il Signore con la nostra vita”. Ma se noi usciamo dalla chiesa
chiacchierando e dicendo: “guarda questo, guarda quello…”, con la lingua lunga,
la Messa non è entrata nel mio cuore. Perché? Perché non sono capace di vivere
la testimonianza cristiana. Ogni volta che esco dalla Messa, devo uscire meglio
di come sono entrato, con più vita, con più forza, con più voglia di dare
testimonianza cristiana. Attraverso l’Eucaristia il Signore Gesù entra in noi,
nel nostro cuore e nella nostra carne, affinché possiamo «esprimere nella vita
il sacramento ricevuto nella fede» (Messale Romano, Colletta del lunedì
nell’Ottava di Pasqua).
Dalla celebrazione alla vita,
dunque, consapevoli che la Messa trova compimento nelle scelte concrete di chi
si fa coinvolgere in prima persona nei misteri di Cristo. Non dobbiamo
dimenticare che celebriamo l’Eucaristia per imparare a diventare uomini e
donne eucaristici. Cosa significa questo? Significa lasciare agire Cristo
nelle nostre opere: che i suoi pensieri siano i nostri pensieri, i suoi
sentimenti i nostri, le sue scelte le nostre scelte. E questo è santità: fare
come ha fatto Cristo è santità cristiana. Lo esprime con precisione san Paolo,
parlando della propria assimilazione a Gesù, e dice così: «Sono stato crocifisso
con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo
nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato
se stesso per me» (Gal 2,19-20). Questa è la testimonianza cristiana.
L’esperienza di Paolo illumina anche noi: nella misura in cui mortifichiamo il
nostro egoismo, cioè facciamo morire ciò che si oppone al Vangelo e all’amore di
Gesù, si crea dentro di noi un maggiore spazio per la potenza del suo Spirito. I
cristiani sono uomini e donne che si lasciano allargare l’anima con la forza
dello Spirito Santo, dopo aver ricevuto il Corpo e il Sangue di Cristo.
Lasciatevi allargare l’anima! Non queste anime così strette e chiuse, piccole,
egoiste, no! Anime larghe, anime grandi, con grandi orizzonti… Lasciatevi
allargare l’anima con la forza dello Spirito, dopo aver ricevuto il Corpo e il
Sangue di Cristo.
Poiché la presenza reale di Cristo nel Pane consacrato non termina con la Messa
(cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1374), l’Eucaristia viene
custodita nel tabernacolo per la Comunione ai malati e per l’adorazione
silenziosa del Signore nel Santissimo Sacramento; il culto eucaristico fuori
della Messa, sia in forma privata che comunitaria, ci aiuta infatti a rimanere
in Cristo (cfr ibid., 1378-1380).
I frutti della Messa, pertanto, sono destinati a maturare nella vita di ogni
giorno. Possiamo dire così, un po’ forzando l’immagine: la Messa è come il
chicco, il chicco di grano che poi nella vita ordinaria cresce, cresce e matura
nelle opere buone, negli atteggiamenti che ci fanno assomigliare a Gesù. I
frutti della Messa, pertanto, sono destinati a maturare nella vita di ogni
giorno. In verità, accrescendo la nostra unione a Cristo, l’Eucaristia
aggiorna la grazia che lo Spirito ci ha donato nel Battesimo e nella
Confermazione, affinché sia credibile la nostra testimonianza cristiana (cfr
ibid., 1391-1392).
Ancora, accendendo nei nostri cuori la carità divina, l’Eucaristia cosa fa?
Ci separa dal peccato: «Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e
progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da Lui con il
peccato mortale» (ibid., 1395).
Il regolare accostarci al Convito eucaristico rinnova, fortifica e approfondisce
il legame con la comunità cristiana a cui apparteniamo, secondo il principio che
l’Eucaristia fa la Chiesa (cfr ibid., 1396), ci unisce tutti.
Infine, partecipare all’Eucaristia impegna nei confronti degli altri,
specialmente dei poveri, educandoci a passare dalla carne di Cristo alla
carne dei fratelli, in cui egli attende di essere da noi riconosciuto, servito,
onorato, amato (cfr ibid., 1397).
Portando il tesoro dell’unione con Cristo in vasi di creta (cfr 2 Cor
4,7), abbiamo continuo bisogno di ritornare al santo altare, fino a quando, in
paradiso, gusteremo pienamente la beatitudine del banchetto di nozze
dell’Agnello (cfr Ap 19,9).
Ringraziamo il Signore per il cammino di riscoperta della santa Messa che ci ha
donato di compiere insieme, e lasciamoci attrarre con fede rinnovata a questo
incontro reale con Gesù, morto e risorto per noi, nostro contemporaneo. E che la
nostra vita sia sempre “fiorita” così, come la Pasqua, con i fiori della
speranza, della fede, delle opere buone. Che noi troviamo sempre la forza per
questo nell’Eucaristia, nell’unione con Gesù. Buona Pasqua a tutti!
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19 settembre 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net