La vita di San Pacomio,

Abate di Tabennisi [1]

(Festeggiato il) 14 maggio [2]

Scritta da uno sconosciuto autore greco

e tradotta in latino dal greco

da Dionigi il Piccolo [3], abate di Roma.

(Libera traduzione da "Patrologia Latina")

(Link al testo latino con italiano a fronte)

 

Prologo di Dionigi il Piccolo

Dionigi il Piccolo alla mia venerata ed anche illustrissima Signora in Cristo [4].

Rispondo alla vostra rispettosa richiesta ed alla preziosa opportunità che questa mi concede, offrendovi la vita di San Pacomio, tradotta fedelmente in latino dalla sua fonte greca. Il vostro prestigio mi ha a lungo rimproverato per il ritardo nell'adempiere alla promessa che avevo fatto, quindi non sarebbe giusto per me ritardare ulteriormente, specialmente poiché voi siete una persona abituata ad aspettarsi una promessa solenne piuttosto che una semplice intenzione. Avete desiderato ardentemente di imparare di più sulle discipline dei santi Padri e, per la grazia di Cristo, c'è un gran numero di storie che devono essere lette ed imitate. A causa del grande interesse che avete mostrato nel raccogliere le opere di ciascuno di loro, il merito di questo documento come dono divino per le epoche future è vostro.

Avete detto che prestate molta attenzione alle virtù che ammirate così tanto nelle vite dei santi. In effetti, siete diventata un tutt'uno con loro grazie all'illustre qualità delle vostre azioni, perché è inutile ammirare la virtù a meno che non la si aspiri per se stessi. È vivendo come i Santi che voi mostrate la vostra unione con loro, proprio come, al contrario, una vita in contrasto con i Santi è come un grande disordine in famiglia. Spesso dà origine a terribili odi familiari, dispute insensate, malizia cieca e stupida che può portare persino allo spargimento di sangue, con il malvagio in contrasto con il buono, l'avaro con il generoso, il turbolento con il pacifico, il pigro con l'industrioso, l'arrabbiato con il placido, il rozzo con il gentile, lo sfacciato con il modesto, lo stupido con il saggio, l'astuto con il semplice, il prepotente con i miti. Ma l'Apostolo delle genti suona una tromba ancora più efficace sulla natura di queste persone quando inveisce contro i pericoli di questi tempi presenti con le seguenti parole: "Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piacere più che di Dio" (2 Tm 3,2-4).

Qui il beatissimo Paolo riassume in poche parole meravigliose quello che stavo dicendo in precedenza con molte parole, perché mostra come coloro che amano il piacere diventano prigionieri dei desideri più viziosi. Ogni sorta di mali sorge quando Dio è disprezzato ed i piaceri sono amati. Attraverso l'amore del piacere, il diavolo attrae e inganna, lusinga per provocare la rovina, adula per distruggere. Per impedire che la gioia futura sia preferita al presente, le cose celesti alle cose terrene, le cose eterne alle transitorie, "l'Apostolo Paolo" dice: "Gli amanti del piacere più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore" (Ibid. 5). In altre parole, sono cristiani di nome ma non di fatto e fanno più danni come nemici in mezzo a noi di quanto lo fanno i nemici dall'esterno; come parte della Chiesa, essi sfigurano i devoti membri della Chiesa. L'Apostolo ci dà un chiaro avvertimento che dovremmo evitare la loro compagnia ed essere separati da loro non solo dallo spazio fisico ma dai nostri diversi modi di comportamento. E non deve sorprendere nessuno il fatto che questi parassiti siano i nemici dei giusti quando miseramente e ingannevolmente non si risparmiano neanche l'un l'altro, ma litigano ferocemente tra di loro. Il vostro santo e glorioso padre (Pacomio), il cui servo sono io, non solo si è dimostrato degno di sopportare i loro attacchi con pazienza e coraggio, ma con la sua morte benedetta ha trionfato su tutto il mondo per amore della Verità che è Cristo. Egli ha seguito in quasi ogni punto la regola di vita perfetta dei Santi ed io desidero ardentemente scrivere scrupolosamente e sapientemente riguardo a quella regola di uomini perfetti, in modo che si sappia in ogni luogo come il vostro padre sia diventato così famoso e glorioso e come sia da ammirare la virtù di un uomo che a stento può essere detto antico.

Per la grazia di Cristo voi avete parte nella sua eredità e potete tramandarla ai posteri sotto forma di un libro.

 

Il Prologo dell'autore

Nostro Signore Gesù Cristo, la fonte della saggezza e della luce della vera conoscenza, la vera Parola di Dio padre, da cui tutte le cose sono state create, è consapevole della nostra debolezza che ci fa cadere con tanta facilità nel peccato, tuttavia ci ha offerto molti rimedi grazie alla sua bontà. Abramo nostro padre obbedì agli ordini di Dio e, nell'offrire il proprio figlio come sacrificio, fu gradito a Dio e riacquistò subito l'erede e la ricompensa come merito della sua fede.

E Dio gli fece un giuramento dicendo: "Io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; ... Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra" (Gen 22,17-18). Riguardo a questa discendenza l'Apostolo ci istruisce chiaramente dicendo: "Non dice la Scrittura: «Ed ai discendenti», come se si trattasse di molti, ma: «Ed alla tua discendenza», come a uno solo, cioè Cristo" (Gal 3,16). 

E tutti i santi profeti conobbero questo importante segreto della redenzione degli uomini tramite la rivelazione dello Spirito Santo e, sapendo che Dio non può assolutamente mentire, predissero che un medico sarebbe disceso dal cielo per guarire le nostre malattie e pregarono continuamente affinché (Lui) si affrettasse a soccorrere con la sua presenza il genere umano. Ed il Signore misericordioso, che anticipa sempre i nostri pietosi desideri e non abbandona mai coloro che lo cercano con tutto il cuore, adempì le sue promesse negli ultimi tempi inviando il suo unico Figlio, nato da una donna, nato sotto la legge (Gal 4,4), che soffrì a causa della somiglianza con la nostra carne mortale e con la sua morte distrusse colui che aveva il potere della morte (Eb 2,14). Ed anzi nella sua divinità è rimasto insensibile (alla sofferenza), ci ha riscattati dalla corruzione e dalla distruzione e ci ha liberati dagli oscuri vincoli degli inferi. Ha completato l'opera della nostra redenzione ed ha accordato a tutti i popoli la remissione dei peccati rigenerandoli col battesimo, attirando tutti verso la vera fede mediante l'insegnamento degli Apostoli. Conformemente a ciò che dice il Vangelo: "Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19), così ci ha avvolti nel grembo del suo infinito amore.

Ma come la proclamazione del Vangelo ha brillato in tutte le terre e molti per la grazia di Cristo sono stati adottati come figli, così il nemico del genere umano arse di rabbia e condusse lotte molto più severe ed impegnative contro i servi di Dio di quanto fossero abituati. Il maledetto pensava così di impedirci l'accesso alla misericordia celeste. Ma le sue intenzioni sono state sventate ed annullate poiché con l'aiuto dei doni di Dio le sue astute insidie sono state rivolte contro di lui dai fedeli che vigilano con cura, portando confusione a se stesso e gloria eterna ai servitori di Cristo. Perché quando il Signore permise, per mettere alla prova la fede e la pazienza di coloro che si comportano così generosamente in questa guerra spirituale, che ci fossero degli Imperatori pagani e che la tempesta di una crudele persecuzione scoppiasse contro i cristiani di tutto il mondo, molti in Egitto diventarono santi Martiri, sopportando ogni specie di torture fino alla morte nel nome di Cristo ed insieme con Pietro vescovo di Alessandria [5] ottennero una corona eterna e la ricompensa dell'immortalità.

La moltitudine dei fedeli cresceva ogni giorno e si estendeva in ogni luogo. Molte chiese fiorirono con grande zelo in ricordo dei Martiri ed in quel numero fiorirono molto spesso i monasteri dove si praticava l'astinenza, si rinunciava al mondo e si adornavano i luoghi segreti della solitudine. Persone di tutte le nazioni che avevano iniziato a credere in Cristo erano ispirate dalle sofferenze dei Martiri che non avevano vacillato nella loro confessione di Cristo e per la grazia del Signore cominciarono ad imitare i santi nella loro vita e disciplina. Presero su se stessi questa frase dell'Apostolo (Paolo): "Andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra" (Eb 11,37-38). Essi cercavano la tranquillità della solitudine e, cercando il gioioso dono divino della propria salvezza attraverso la fede, fornirono un esempio agli altri di una vita più sublime e sacra.

Liberati da tutte le preoccupazioni terrene, emulavano la santità degli Angeli mentre vivevano ancora in questa carne mortale: facendo ciò scalarono le più alte vette della virtù, il loro splendore era incredibile, non erano manifestamente in alcun modo inferiori ai Padri dell'antichità, ed i loro meriti erano uguali a quelli di coloro che avevano lottato fino alla morte nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Così hanno logorato tutti i poteri di quei nemici invisibili di cui parla l'Apostolo, "La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6,12). Ostacolando gli attacchi multiformi dell'antico serpente, calpestarono la sua testa ed ottennero quelle ricompense eterne di cui è scritto: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano" (Is 64,4 e 1 Cor 2,9).

 

La vita

Capitolo I - In quel tempo la vita eccezionale del beato Antonio fu considerata un esempio da seguire per tutti. Si distinse emulando gli esempi di Elia, di Eliseo e del santo Giovanni Battista, ricercando con ammirabile zelo la solitudine nei luoghi più profondi del deserto, dove nel suo amore per la virtù visse una vita celestiale. Il santo Atanasio, vescovo di Alessandria, gli rese testimonianza con la sua penna. Era un interprete veramente degno del modo di vivere di Antonio che, su richiesta dei suoi fratelli, scrisse la Vita di Antonio per l'edificazione di molti e come modello per gli uomini spirituali.

Nel corso di questo lavoro fa anche menzione del Padre Amun [Vita Antonii cap.LX] che per grazia di Dio pose le basi della vita ora vissuta da quei fratelli sul monte Nitria. Ci ha anche detto qualcosa di come quel sant'uomo di Teodoro, [Vita Antonii cap.LX] quando era con Antonio, superò gli inganni multiformi del diavolo con una singolare e perfetta fermezza e con autentica fede davanti a Dio. E così, nella traboccante grazia di Dio, egli proclamò apertamente ciò che viene celebrato nei Salmi: "Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze" (Sal 65 (64),10). Infatti la gioia e la felicità sono sorte al posto della tristezza e dei gemiti; felicità e sicurezza al posto di ansia e miseria.

Da qui sono emersi in quasi ogni regione quegli uomini meravigliosi, i nostri Padri monastici ed i loro nomi sono scritti nel libro della vita. A quel tempo c'erano davvero pochissimi monaci in Egitto e nella Tebaide, ma dopo le persecuzioni di quei crudeli principi Diocleziano e Massimiano, una moltitudine di Gentili vi entrò, come Dio aveva ordinato fin dall'inizio dei tempi (Rm 11,25). La fecondità della Chiesa cominciò a dare i suoi numerosissimi frutti, poiché i santi vescovi con i loro insegnamenti apostolici mostrarono la strada nel cammino della fede tramite l'integrità della propria vita.

 

Capitolo II - Ed è in questo tempo che Pacomio, che viveva nella Tebaide, per la grazia di Dio divenne un cristiano. Proveniva da genitori e da religione pagani e si dice che abbia ricercato la virtù anche da adolescente per mezzo di rigorosi digiuni. Per la gloria di Cristo che ci ha chiamati dalle tenebre alla luce e per il beneficio di coloro che potrebbero leggere ciò, io racconto della sua vita condotta in modo rigoroso fin da giovane, poiché anche i suoi stessi inizi non discordano con la grande perfezione successiva.

 

Capitolo III - Mentre era ancora un ragazzo andò con i suoi genitori a sacrificare delle vittime ad un idolo sulle rive del fiume Nilo. Ma quando il sudicio sacerdote pagano tentò di eseguire i suoi soliti riti sacrileghi, la presenza di Pacomio fece cessare del tutto queste illusioni diaboliche. Il sacerdote, dopo avere a lungo esitato, rimase immobile come l'idolo che stava adorando, incapace di capire perché i demoni non stavano dando la loro solita risposta, finché alla fine uno spirito malvagio gli rivelò che era a causa del fanciullo Pacomio che i demoni erano stati insolitamente silenziosi. Il sacerdote allora proruppe furioso in queste parole:

"Perché questo nemico degli dei è venuto qui? Cacciatelo molto lontano da qui, liberiamocene al più presto!"

Quando i suoi genitori udirono ciò, si resero conto che si stava separando da loro e ne furono gravemente turbati, soprattutto perché con questa affermazione era stato dichiarato nemico degli dei. I suoi genitori erano incerti su che decisione prendere su di lui, perché già nel passato aveva vomitato il vino del sacrificio dei demoni dopo averlo solo assaggiato. Vedendo che non riuscivano a capirlo, si limitarono a tacere. Essi fecero in modo che fosse istruito nella cultura egiziana e fosse plasmato nello studio degli antichi.

 

Capitolo IV - In questo tempo, dopo le persecuzioni, Costantino continuò a regnare e condusse una guerra contro la tirannia di Massenzio. Emise un decreto reale secondo cui i giovani più eccellenti dovevano essere arruolati in servizio militare, tra i quali c'era Pacomio che fu reclutato ventenne, come più tardi lui stesso confermò. Essendo stato imbarcato con altri su di una nave verso luoghi stranieri, una sera attraccarono in una città dove i cittadini, vedendo con quanta severità le reclute fossero tenute imprigionate, chiesero cosa fosse loro successo e, spinti dalla compassione e motivati dai comandamenti di Cristo, ebbero pietà della loro triste situazione e portarono loro ciò che era necessario per rifocillarli. Pacomio, osservando ed ammirando moltissimo ciò che stavano facendo, chiese chi fossero questi uomini che erano così desiderosi e disposti a compiere tali umili atti di misericordia.

Gli fu detto che erano cristiani, che avevano l'abitudine di compiere atti di benevolenza verso tutti, ma soprattutto verso i viaggiatori. Volle anche sapere cosa significasse il nome di cristiano e gli fu detto che questi (cristiani) erano persone devote, seguaci di una vera religione, che credevano nel nome di Gesù Cristo, l'unigenito figlio di Dio, che erano ben disposti verso tutte le persone e che speravano che Dio li avrebbe ricompensati per tutte le loro buone opere nella vita futura. Il cuore di Pacomio fu risvegliato nel sentire ciò e, illuminato dalla luce divina, sentì una grande attrazione per la fede dei cristiani. Infiammato dal timore di Dio si allontanò un po’ dallo sguardo dei presenti, alzò le mani verso il cielo e disse:

"O Dio Onnipotente che hai fatto il cielo e la terra, se ti degnerai di ascoltare la mia preghiera, mi comunicherai la vera e perfetta norma di vita secondo il tuo santo nome e mi scioglierai da queste dolorose catene, allora mi impegnerò al tuo servizio per tutti i giorni della mia vita, volgerò le spalle al mondo e sarò fedele solo a te".

Dopo aver così pregato tornò dai suoi (compagni) e il giorno successivo salparono da quella città. Mentre navigavano da un posto all'altro, se Pacomio veniva tentato da piaceri illeciti del corpo o da attrattive mondane li respingeva in modo straordinario, ricordandosi sempre della sua promessa di servire Dio. Infatti, con l'aiuto della grazia divina fu un amante della castità fin dagli anni della gioventù.

 

Capitolo V - Quando l'imperatore Costantino, per la sua pietà e fede in Cristo, ottenne la vittoria sui suoi nemici, ordinò che le reclute fossero congedate. Così Pacomio ottenne la libertà che desiderava e tornando subito alla Tebaide inferiore andò alla chiesa che si trovava nel villaggio chiamato Chenoboscia [Khenoboskion nei testi greci; odierna Qasr al-Sayyad], dove divenne catecumeno e non molto tempo dopo ricevette la grazia di essere immerso nell'acqua che dà la vita. La notte stessa in cui fu iniziato ai sacri misteri vide nei suoi sogni come una rugiada celestiale che, cadendo sulla sua mano destra, l'aveva completamente riempita e si trasformò in un denso miele. E sentì una voce che gli diceva. «Pensa, Pacomio, quello che significa. Questo è infatti un segno della grazia che ti è stata donata da Cristo».

Da allora, infiammato dal desiderio di Dio e trafitto dal dardo salvifico dell'amore divino, si assoggettò completamente alle discipline ed ai precetti divini.

 

Capitolo VI - Venne anche a sapere di un certo anacoreta chiamato Palemone [o Palamone] che serviva il Signore in una remota parte del deserto. Andò subito a trovarlo, desiderando di abitare con lui, bussò alla sua porta e lo pregò di farlo entrare. Avendolo sentito, il vecchio socchiuse appena la porta e disse:

"Che cosa vuoi? Chi stai cercando?". Aveva un aspetto piuttosto severo a causa della rigida vita solitaria che aveva vissuto per così tanto tempo.

"Dio mi ha mandato da te", rispose Pacomio, "affinché io possa diventare un monaco".

Gli rispose l'anziano: "Non sei in grado di diventare un monaco qui, non è infatti una questione da poco pensare di vivere castamente da vero monaco. Molti nel passato vennero qui e si sono presto stancati, non possedendo la virtù della perseveranza".

Pacomio rispose: "Non tutti hanno gli stessi comportamenti. Perciò ti prego di farmi la grazia di ricevermi e nel corso del tempo riconoscerai pienamente tanto la mia volontà, quanto la mia capacità".

E l'anziano disse: "Te l'ho già detto che qui non puoi assolutamente diventare un monaco. Vai piuttosto in un altro monastero e, quando ti sarai dedicato per un certo tempo ad una vita di astinenza, allora torna da me ed io ti accoglierò senza indugio. Nondimeno ascolta quello che ti dico. Io vivo qui una vita estremamente sobria, o figlio, punisco il mio corpo con una disciplina molto severa e difficile, non mangio nient'altro che pane e sale, mi astengo completamente dall'olio e dal vino. Io veglio per metà della notte trascorrendo un po’ di quel tempo nella consueta preghiera ed altro tempo nella lettura e nella meditazione delle Scritture; a volte, in effetti, io continuo a vegliare tutta la notte".

Udito ciò Pacomio si spaventò, come fanno i bambini in presenza dei loro maestri; ma egli, rafforzato dalla grazia del Signore, era determinato a sottomettersi al duro impegno e rispose all'anziano: "Io confido nel Signore Gesù Cristo che, con l'aiuto delle tue preghiere, mi darà la forza e la pazienza per riuscire ad essere degno di perseverare in un così santo modo di vita per tutto il corso della mia vita".

 

Capitolo VII - Con intuizione spirituale il santo Palemone allora capì quale fosse la fede di Pacomio ed alla fine gli aprì la porta, lo accolse e lo vestì con l'abito monastico. E così vissero insieme nell'osservanza dell'astinenza e della preghiera. Inoltre, tessevano cilici [abiti e coperte di peli di capra] e lavoravano con le loro mani secondo le istruzioni dell'Apostolo (Ef 4,28), non solo per guadagnarsi da vivere, ma per poter avere qualcosa da dare a chi ne aveva bisogno. Quando vegliavano e celebravano le loro preghiere notturne, se il vecchio vedeva Pacomio sul punto di essere sopraffatto dal sonno, lo portava fuori e gli faceva trasportare un sacco di sabbia da un posto all'altro e con questo esercizio liberava la sua mente dal pericolo di essere oppressa dal peso del sonno. Lo istruiva e lo formava su come essere diligente nella preghiera.

Gli diceva: "Lavora, Pacomio, e vigila affinché (Dio non voglia) il tentatore non ti allontani da questo impegno sul quale ti sei obbligato e renda vano il nostro lavoro".

Pacomio si sottometteva obbediente e diligentemente a tutto ciò, crescendo ogni giorno sempre più nella pratica della santa astinenza e donando al venerabile anziano tanta gioia, così che non cessava mai di rendere grazie a Dio per il modo in cui Pacomio viveva la sua vita.

 

Capitolo VIII - A tempo debito arrivò il santissimo giorno di Pasqua ed il vecchio disse a Pacomio:

"Poiché questa festa è celebrata da tutti i cristiani, prepara per noi qualcosa (da mangiare) che sia adatto alla nostra consuetudine".

Sempre pronto ad obbedire, Pacomio fece ciò che gli era stato chiesto; oltre alla loro solita usanza prese un po' d'olio e lo mescolò con del sale tritato. Oltre all'olio (certe volte) erano soliti mangiare il lapsanum, cioè insalata selvatica, ed altre erbe.

Quando tutto fu pronto disse Pacomio all'anziano: "Ho fatto quello che hai chiesto, padre". Dopo le solite preghiere, il beato Palemone venne al tavolo ma, quando vide l'olio mescolato con il sale, si portò le mani alla testa e piangendo copiosamente disse:

"Il mio Signore è stato crocifisso ed ora io dovrei mangiare dell'olio?"

Per quanto Pacomio gli chiedesse di mangiarne un po', non lo assaggiò per niente.

Allora presero per il pasto del pane e del sale secondo l'abitudine e si sedettero insieme. Il vecchio benedisse il cibo col segno della Croce di Cristo, come era solito fare, ed entrambi mangiarono il cibo rendendo umilmente grazie a Dio (come era giusto) per il cibo che avevano da mangiare.

 

Capitolo IX - Un giorno, mentre Palemone e Pacomio stavano per accendere il fuoco prima della veglia, arrivò un fratello che voleva restare con loro. Dopo averlo ricevuto, mentre stavano parlando (come al solito) (questo fratello) si alzò e disse:

"Se tra di voi c'è uno con un po' di fede stia in piedi su questi carboni ardenti". E cominciò a recitare poco a poco e lentamente l'orazione Domenicale.

Il beato Palemone, che aveva intuito che il fratello era stato ingannato e gonfiato dall'orgoglio, lo riprese gridando: "Basta con questa follia, fratello! Non parlare mai più di una cosa così spregevole!"

Ma il fratello non solo non fece caso al rimprovero del vecchio ma, inorgoglito ancora di più dalla sua stessa arroganza, cominciò a stare audacemente sul fuoco, senza che nessuno glielo avesse ordinato. Si poteva vedere che, sotto l'influenza del nemico del genere umano e con il permesso del Signore, non subì assolutamente nessuna scottatura a causa del fuoco. Ciò che lo stesso fece impunemente servì solo a peggiorare la sua pazzia, come dice la Scrittura: "Il Signore li ha mandati nelle vie del male" (Pr 28,10 e Sir 2,16: Vulg.). Dopo aver fatto ciò, la mattina dopo lo stesso fratello se ne andò piuttosto presto, dicendo loro come rimprovero:

"Dov'è la vostra fede?".

Ma non molto tempo dopo, il diavolo avendo visto che questo fratello si era consegnato nelle sue mani e che sarebbe stato facile guidarlo in qualunque maleficio lui avesse voluto, si trasformò nell'aspetto di una bella donna vestita con splendide vesti e cominciò a bussare vigorosamente alla porta della cella del medesimo fratello. Quando egli aprì la porta il diavolo, travestito da donna, gli disse:

"Ti prego di aiutarmi, sono perseguitata dai miei creditori e temo che mi facciano cadere in qualche pericolo. Accoglimi nella tua cella, perché non sono in grado di pagare i miei debiti e, dal momento che mi salverò grazie a te, ricambierò il favore; infatti il Signore mi ha guidato da te".

Questo miserabile, completamente ottenebrato ed accecato nello spirito, incapace di discernere chi fosse e chi gli stesse dicendo queste cose, fece entrare (nella cella) il diavolo a sua rovina. Allora il nemico della nostra esistenza, vedendo che egli era capace di cadere in ogni malvagità, lo tentò con turpi pensieri lussuriosi. In poco tempo cedette alle suggestioni del nemico ed implorò i suoi abbracci come se fosse una donna. Dopo di che lo spirito immondo si riversò in lui, lo sfracellò selvaggiamente sul pavimento dove rotolò per un po’ e poi rimase molto a lungo come morto. Passarono parecchi giorni prima che tornasse in sé e, sentendosi disperatamente dispiaciuto per i suoi atti di pazzia, ritornò al santo Palemone e con inondazioni di lacrime gli raccontò con grida cosa era successo.

"Lo so, Padre, lo so che io sono la causa della mia stessa perdizione. Tu hai fatto bene a rimproverarmi e sono riprovevole per non averti ascoltato. Ma io ti prego, dammi l'aiuto delle tue sante preghiere affinché il nemico non mi strazi e mi annienti, posto come sono in un così grande pericolo".

Mentre continuava con lamenti e lacrime, sia il santo Palemone che il beato Pacomio piansero di compassione per lui, ma quello fu improvvisamente sconvolto dallo spirito malvagio, fuggì dalla loro presenza ed andò di qua e di là nel deserto correndo in modo sfrenato. Arrivò così in una città chiamata Panopoli, dove poi nella sua follia si gettò nella fornace di un bagno e morì bruciato all'istante.

 

Capitolo X – Pacomio, avendo visto ed udito questi fatti, si adoperò sempre più per mantenere la pratica dell'astinenza e per rimanere vigile in tutto ciò che faceva, ma specialmente nelle preghiere, in conformità con ciò che è scritto: "Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore" (Pr 4,23). Il vecchio ammirava attonito Pacomio, poiché non solo esteriormente si alimentava seguendo la sua abituale regola dell'astinenza, ma si sforzava interiormente di purificare la sua coscienza secondo un modello celeste, come dice il beato Apostolo: "Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza" (2 Cor 1,12), sicuro che con ciò si preparava una grande ricompensa nei cieli. Nel leggere le Scritture si sforzava di impararle a memoria, facendo ciò in modo diligente. Si soffermava con solerzia su di un particolare precetto, esaminandolo devotamente nella sua mente e quindi cercando di mettere in pratica giorno per giorno ciò che la sua memoria aveva conservato.

Soprattutto si distingueva dalla moltitudine per l'eccellenza nel dovere della pazienza e dell'umiltà e soprattutto nel più puro amore verso Dio ed il prossimo. Noi abbiamo appreso queste cose e molte altre da uomini santi di Dio che hanno dimorato con lui per molto tempo. Fornì loro un esempio di vita spirituale e, dopo aver letto le divine scritture, espose loro diligentemente ciò che era rilevante per l'edificazione delle loro anime. Ma poiché questi esempi sono così tanti da superare le forze della mia piccolezza, non scriverò più su di loro in questi scritti presenti. Infatti, io non ho sufficiente eloquenza per rendere giustizia ai meriti di un tale uomo.

 

Capitolo XI - Vicino alla montagna dove abitavano questi uomini santi, Palemone e Pacomio, c'era un luogo deserto dove crescevano molti cespugli spinosi. Pacomio andava spesso lì per raccogliere la legna da ardere, calpestando le spine con i piedi nudi. Ma si rallegrava con pazienza e coraggio che i suoi piedi fossero trafitti di spine, ricordando quanto degnamente nostro Signore fosse stato fissato alla croce con dei chiodi. Egli amava molto la solitudine e spesso rimaneva per un lungo tempo da solo in preghiera, supplicando Dio di liberarlo con indulgenza da tante illusioni.

 

Capitolo XII - Un giorno capitò che Pacomio vagò molto lontano dalla sua cella e arrivò in un villaggio chiamato Tabennisi, dove allora non viveva quasi nessuno. Dopo aver trascorso molto tempo in preghiera in quel luogo, secondo la sua solita usanza, udì una voce dal cielo che diceva:

"Resta qui, o Pacomio, e costruisci un monastero, perché molti verranno da te cercando di trarre profitto dalle tue istruzioni; tu li guiderai secondo la regola che io ti mostrerò".

Immediatamente gli apparve un angelo del Signore con in mano una tavoletta in cui era scritta la forma di vita che doveva insegnare a coloro che venissero a sottomettersi alla sua direzione. I religiosi di Tabennisi mantengono ancora oggi questa stessa regola, praticando sempre la stessa dieta, indossando lo stesso abito e osservando con grande considerazione la stessa disciplina. I monaci che vivono lì provengono da molti luoghi diversi e differiscono grandemente non solo per i costumi, ma per forza corporale e cultura; ne consegue quindi che essi hanno bisogno di osservare una regola diversa dall'usuale.

La grazia divina e l'integrità della sua vita avevano manifestato questa voce e Pacomio, ascoltandola con sincerità di cuore nella consapevolezza che proveniva dal cielo, approvò fortemente queste ammirabili regole. Ritornato dal venerabile vecchio Palemone, Pacomio gli raccontò ciò che era stato incaricato di fare dalla voce divina, pregandolo di tornare con lui in quel luogo, dove avrebbero potuto adempiere insieme i comandamenti del Signore. Non volendo deluderlo, poiché lo considerava un amatissimo figlio, in qualsiasi cosa che gli fosse stata chiesta di fare, Palemone cedette alle sue preghiere ed entrambi tornarono in quel villaggio dove costruirono una piccola cella, rallegrandosi nel Signore e aspettando l'adempimento delle sue promesse.

Dopo un po’ di tempo Palemone disse a Pacomio:

"Poiché sono molto consapevole che la grazia di Dio ti è stata conferita e che tu di conseguenza hai deciso di rimanere sempre qui, facciamo un patto tra di noi al fine di non separarci mai l'uno dall'altro, in modo che per tutto il tempo che rimarremo ancora in questa luce ci possiamo incoraggiare con frequenti visite".

Entrambi furono contenti di questo patto e, finché vissero, sia il beato anziano che Pacomio si presero cura di rispettarlo.

 

Capitolo XIII - Poco dopo, il venerabile Palemone cominciò a soffrire di gravi disturbi in tutto il suo corpo causati dal dolore alla milza proveniente dalle sue eccessive pratiche di astinenza. Infatti, qualche volta mangiava mentre si asteneva dal bere, mentre altre volte beveva senza mangiare nulla. Poiché alcuni fratelli che erano venuti a visitarlo l'avevano scongiurato di non continuare a rovinare il suo corpo già così debole, ma di dargli un po' di sollievo, infine si adattò alle loro preghiere allo scopo di fortificare un po' con sufficienti nutrimenti le sue membra indebolite. Ma ciò non durò molto a lungo. Infatti, poiché i soliti dolori alla milza peggioravano, abbandonati gli abbondanti cibi, tornò in fretta ai suoi vecchi modi di cibarsi dicendo:

"I Martiri di Cristo furono alcuni di loro fatti a pezzi, altri decapitati, alcuni bruciati nel fuoco, ma essi sopportarono con coraggio fino alla fine per amore della loro fede, ed io dovrei allora, con impazienza, disprezzare le gratificazioni che mi potrebbero venire attraverso la pazienza, cedendo a questi dolori insignificanti, attaccandomi a questa vita presente e spaventandomi per alcune afflizioni momentanee? Io mi sono fatto persuadere ed ho consumato cibi a cui non ero abituato e che hanno reso i miei dolori ancora peggiori, invece di darmi qualche sollievo. Quindi tornerò al mio vecchio regime e non rinuncerò al conforto della continenza, nel quale sono certo che si trovano la pace e la vera gioia, fuorché la pace e la gioia che troveremo in Dio. Non ho preso le armi della penitenza per compiacere agli uomini, ma mi sono impegnato a lottare per l'amore di Cristo".

Così egli continuò con virilità, ma nel giro di un mese fu logorato da una grave malattia. Pacomio veniva a fargli visita, prendendosi cura di lui come ad un padre, baciandogli i piedi ed abbracciandolo, sembrava che parlasse con lui dicendogli addio. E così il venerabile vecchio, carico di ogni virtù e, come sta scritto, "sazio di giorni" (Gb 42), riposò in pace. Il santo Pacomio seppellì il suo corpo ed i cori degli angeli sollevarono la sua anima e la portarono in cielo. Fatto ciò, Pacomio tornò al suo alloggio.

 

Capitolo XIV - Non molto tempo dopo suo fratello, di nome Giovanni, venne ad unirsi a lui, avendo sentito parlare di tutto ciò che stava facendo. Ciò diede a Pacomio la più grande gioia possibile, perché tra tutti quei cristiani battezzati che avevano scelto la vita solitaria, fino ad allora non aveva trovato nessuno della sua stessa famiglia. Così Giovanni, come vero fratello di Pacomio, seguì le sue orme e rimase con lui seguendo la stessa regola ed unito a lui nello stesso amore per Dio. Meditavano sulla legge di Dio giorno e notte (Sal 1,2) ed i loro spiriti non erano oppressi da alcuna preoccupazione mondana. Qualunque cosa rimanesse da ciò che producevano con il loro lavoro manuale la davano ai poveri e non si curavano del domani, in obbedienza ai precetti del Signore Gesù Cristo (Mt 6,34). Si costrinsero ad una così grande penuria di vestiti tanto da mantenere l'usanza di un solo "lebiton" [tunica senza maniche] fino a quando non fosse stato così sporco da dover essere lavato. Questo "lebiton" era un indumento di lino, simile al "colobium" [lunga tunica] ed è ancora oggi indossato dai monaci della Tebaide e dell'Egitto. Ma il benedetto Pacomio preferì mortificare il proprio corpo e generalmente indossava solo un "cilicio". [Camicia di pelo di capra.]

Visse così per quindici anni, in laboriosa fatica e sudore, nelle veglie e nell'astinenza. Di notte non si sdraiava per dormire, ma sedeva nel mezzo della sua cella senza nemmeno appoggiarsi contro il muro per sostenersi. Non trovò che fosse una pratica facile, ma la sopportò abbastanza allegramente, in previsione dell'eterno riposo che si preparava per lui nei cieli. Studiò le istituzioni di molti dei Padri, sforzandosi sempre, con suo fratello, di elevarsi alle vette della virtù. Si fecero poi dei sedili ed ognuno di loro visse al massimo delle proprie capacità nella massima umiltà e pazienza e con sincera fede (1 Tm 1,5).

 

Capitolo XV - Durante questo tempo a Pacomio fu data una guida divina riguardo alle regole che dovevano essere osservate da coloro che, per suo tramite, avrebbero riposto la loro fiducia nel Signore. Cominciò a fare aggiunte all'edificio in cui vivevano lui e suo fratello e costruì anche altri edifici per accogliere tutti coloro che (come abbiamo detto) avrebbero rinunciato al mondo e sarebbero venuti senza dubbio a servire Cristo. Egli costruì abbastanza alloggi per un gran numero di persone.

Ma mentre il santo Pacomio aveva allargato la zona su cui si estendeva il monastero, come abbiamo detto, ed aveva aumentato il numero di edifici, suo fratello aveva pensato alla solitudine ed alla vita da anacoreta ed amava la piccolezza della sua dimora. Essendo il maggiore dei due e non sopportando l'eccesso (di alloggi), si irritò e gli disse:

"Rinuncia a questa tua idea. Perché stai facendo tutto questo lavoro inutile sforzandoti invano di accrescere te stesso?".

Pacomio udì questo grave rimprovero e sopportò questa insolita durezza senza rispondere assolutamente nulla e, mantenendo la calma, continuò con quello che stava facendo. Ma la notte dopo andò nella parte inferiore di una casa di cui lui stesso aveva già costruito una parte, si prostrò in preghiera e cominciò a piangere amaramente dicendo:

"Guai a me! Il pensiero della carne rivendica ancora uno spazio dentro di me. Io sto ancora camminando secondo la carne, come ho appena scoperto (Cfr. Rm 8,5-13). Perché, essendomi impegnato a vivere così santamente, non è giusto che a volte diventi impaziente, a volte triste, a volte furioso, anche se potrei avere un buon motivo per essere arrabbiato. Abbi pietà di me, o Signore, affinché io non perisca e non soccomba ingannato dalle tentazioni del diavolo. Perché se la tua grazia mi abbandona ed il nemico trova in me una qualche partecipazione alle sue cattive azioni, mi ridurrà sotto la sua crudele schiavitù, come sta scritto: "L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina" (2 Pt 2,19). Ed ancora sta scritto: "Poiché chiunque osservi tutta la Legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto" (Gc 2,10).

"Io credo, o Signore, che le tue misericordie siano innumerevoli e che mi sostengono e mi aiutano senza alcun merito. Illuminato da te, io camminerò sulla via dei tuoi santi "dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte" (Fil 3,13). È così che la moltitudine dei tuoi servitori, che ti furono graditi fin dall'inizio, protetta dal tuo aiuto, ha eluso gli attacchi del diavolo ed ha brillato in lungo ed in largo di ammirevoli virtù per la salvezza di molti. Ma come potrei, o Signore, tentare di addestrare alla vita monastica coloro che ti degnerai di chiamare a questo scopo attraverso di me, quando io non ho ancora dominato le passioni della carne che mi combattono e non ho neppure osservato la tua legge con uno spirito immacolato? Ma io ripongo la mia fiducia in te, o Cristo, affinché la tua potenza possa venire in mio aiuto in tutte la cose ed io possa fare solo ciò che sarà gradito ai tuoi occhi. O Dio misericordioso, perdona, ti prego, tutti i miei peccati e purifica il mio cuore affinché si elevi senza sosta verso di te.

(Pacomio) perseverò tutta la notte in preghiera, confessando (le sue colpe) con lacrime e pianto al Signore. Versò così tante lacrime e così tanto sudore (perché era estate) che il pavimento su cui stava pregando si bagnò in modo tale che si poteva pensare che fosse stata versata dell'acqua. Quando (Pacomio) rimaneva in piedi a pregare era solito stendere le mani per diverse ore senza abbassarle per niente, mantenendo il corpo immobile come se fosse fissato alla croce e tenendo questa posizione ogni volta per lunghi periodi, stimolava la sua anima ad essere vigile in preghiera. E sebbene fosse molto dotato di ogni genere di virtù, mostrò un'incredibile umiltà ed un'ammirabile dolcezza nella vita condotta con suo fratello, sostenendolo in tutto.

Non molto tempo dopo, (suo fratello) giunse alla fine della sua vita terrena e Pacomio celebrò i suoi riti funerari con il dovuto onore. Trascorse un'intera notte a vegliare sul suo corpo con salmi e inni, raccomandò la sua anima a Dio, in cui entrambi avevano riposto la loro fiducia, e gli diede la sepoltura con grande cura.

 

Capitolo XVI – In seguito l'infaticabile Pacomio continuò ad umiliare se stesso nel suo stretto e rigoroso stile di vita, lottando per l'integrità e la purezza in tutte le cose. Quando i pensieri illeciti lo assalivano, li metteva immediatamente in fuga con l'aiuto di Dio e, radicato nel timore del Signore, perseverava (sulla sua strada). Si preoccupava sempre della punizione eterna e del dolore senza fine, "dove il verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc 9,44). Mentre Pacomio si asteneva, quindi, dalle pratiche disdicevoli e procedeva verso le cose migliori, per tutto il tempo si sforzava molto di ingrandire il suo monastero al fine di ricevere molti altri (fratelli). Ed il diavolo cominciò a contrastarlo ferocemente, digrignando i denti contro di lui come una bestia selvaggia, eccitandolo con ogni sorta di tentazioni nella speranza di trovare qualche apertura per i suoi inganni. Ma, protetto dallo scudo della fede, sventava diligentemente gli attacchi del nemico imparando a memoria e cantando le sacre Scritture.

 

Capitolo XVII - Un giorno in cui Pacomio implorava il Signore e stava per piegare le ginocchia in preghiera, una fossa apparve davanti a lui a causa di un'illusione demoniaca. Il nemico del genere umano in questo modo gli mostrava sempre una moltitudine di forme strane ed insignificanti, provando furtivamente e con inganno a distrarre la mente in preghiera dalla sua giusta intenzione, così che non fosse più in grado di offrire le preghiere al Signore in purezza. Con la rivelazione di Cristo, Pacomio riconobbe gli stratagemmi dei demoni e li respinse con disprezzo, ottenendo così un grande aumento di fede. Respingeva con costanza questi (spiriti maligni), ringraziando e benedicendo sinceramente il Signore.

Il sant'uomo aveva l'abitudine di andare in luoghi lontani dal monastero per pregare. Sulla via del ritorno gli spiriti impuri si divertivano spesso formando una gruppo e camminando in fila ordinata davanti a lui, incitandosi a vicenda come se stessero aprendo un varco per un grande giudice, gridando: "Fate posto all'uomo di Dio!" Ma Pacomio, armato della speranza di Cristo Redentore, disprezzava il loro ridicolo gioco e li considerava futili come il latrato dei cani.

Ben presto scoprirono che la grande costanza di quest'uomo impediva loro di essere in grado di abbattere le sue difese mediante un qualsiasi numero di questi giochi, e così si unirono in una grande falange e si precipitarono su di lui circondando il suo alloggio e scuotendo le fondamenta in una tale misura che l'uomo santo pensò che l'intero posto stava per cadere. Ma rimase imperterrito e, come al solito, pizzicò le corde della lira spirituale (della sua anima) declamando a gran voce: "Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra" (Sal 46 (45),2-3). La sua salmodia portò immediata pace e l'attacco dei nemici svanì come fumo.

Ma si ritirarono solo per un po’, proprio come i cani che abbandonano quello che stanno facendo quando si stancano, ma poi tornano più aggressivi che mai. Infatti, quando il santo dopo le sue preghiere si sedette come al solito al suo lavoro, il nemico apparve sotto forma di un enorme gallo in mezzo alle sue galline, cantando ripetutamente, e facendo altri rumori insoliti, prima di saltargli addosso e di lacerarlo gravemente con i suoi artigli. (Pacomio) fece il segno della croce sulla sua fronte e soffiò sul gallo, mettendolo subito in fuga. Conosceva, infatti, tutte le forme che il nemico poteva prendere ma, con timore di Dio, disprezzava assolutamente i suoi inganni. Spesso attaccato, non si stancava mai ma, come una torre inespugnabile, sopportava ogni lotta con la massima pazienza.

In alcune occasioni l'esercito demoniaco si sforzava di tentare il santo servo di Dio con quelli che sono chiamati fantasmi. Molti di loro si radunarono insieme, gli misero davanti una foglia d'albero a cui legarono delle spesse funi, e la trascinarono con un grande sforzo, schierati sul lato destro e sul sinistro; allora si incoraggiavano a vicenda e si sforzavano strenuamente come se dovessero muovere l'enorme peso di una grossa pietra. Gli spiriti malvagi facevano ciò nella speranza che la sua mente si sciogliesse in una forte risata, da cui avrebbero trovato il modo per biasimarlo. Ma Pacomio riconobbe la loro impudenza e gemendo ricorse al Signore come al solito nella preghiera. Ed immediatamente, per il potere di Cristo, tutto il loro schieramento fu ridotto a nulla.

Quando si sedeva a mangiare, ringraziando Dio, i demoni apparivano di frequente davanti a lui con le sembianze di bellissime donne di vario genere, mostrando una dissoluta e vergognosa nudità e che sembravano sedersi accanto a lui, avvicinandosi per toccarlo. Ma il fortissimo atleta, pur essendo molto turbato da ciò, tuttavia chiuse gli occhi esteriori e rivolse il suo sguardo interiore al Signore, per mezzo del quale riuscì a calpestare i loro grandi sforzi. Infatti, lui ricorreva alla misericordia del Signore che si degna sempre di venire in aiuto di coloro che hanno un cuore retto e contrito e che dice: "Non temete, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Ed (il Signore) custodiva il suo fedele servitore in tutte le cose.

 

Capitolo XVIII - In un'altra occasione il diavolo tormentò il sant'uomo con pesanti molestie e lo attaccò così ferocemente che dalla sera alla mattina tutto il suo corpo fu lacerato da molte percosse. Ma sebbene fosse crocifisso in un immenso dolore, non cedette mai alla disperazione, ma fu consapevole del Signore che non lascia mai soccombere i suoi servitori nella tentazione. Fu in quel momento che un monaco chiamato Apollo venne da lui per fargli visita. Mentre Pacomio stava conversando con lui sul tema della salvezza, esponendo le molteplici insidie del diavolo, cominciò anche ad esporre ad Apollo tutti i modi in cui lui era stato attaccato ed a raccontargli quanto fossero state dolorose le percosse che lui aveva sofferto.

Al ché il monaco disse: "Continua a combattere virilmente e sii forte nel cuore, venerabile Padre. Perché il diavolo sa che se tu cadrai vittima dei suoi conflitti, sarà facilmente in grado di superare anche noi che contiamo di avere la forza sufficiente poiché viviamo sotto l'ombra dei tuoi combattimenti e poiché noi guardiamo a te come il più grande possibile esempio di virtù. Perciò non cessare di combattere vigorosamente. Ma tu, forte nella protezione del Signore, resisti generosamente all'assalto (del diavolo), per non essere chiamato a rendere conto anche di noi, ciò che Dio non voglia. Perché se tu, che per grazia divina spicchi tra noi tutti, soccomberai per indolenza, diventerai una causa ed un'occasione di rovina per molti".

L'ascolto di queste parole diede a Pacomio un grande incoraggiamento nella sua battaglia contro i demoni. Egli glorificò Dio per la compagnia di questo fratello e lo pregò di non abbandonarlo. Apollo lo tenne presente e spesso venne a visitare il vecchio.

Poco dopo, tuttavia, durante una solita visita in cui dimorò per alcuni giorni da Pacomio, (Apollo) fu colpito da una grave malattia che lo portò dalla terra al cielo, dopo aver consumato tutta la sua vita in una virtù perfetta secondo il desiderio del vecchio (Pacomio). Egli lo seppellì con le sue stesse mani sante, cantando i soliti salmi, inni e canti spirituali.

 

Capitolo XIX - Dopo questo, il benedetto Pacomio crebbe tanto nella confidenza di Dio e prosperò così magnificamente nella speranza divina che spesso calpestò serpenti e scorpioni senza arrecarsi il minimo danno (cfr. Lc 10,19). Perfino i coccodrilli si sottomettevano docilmente a lui e lo trasportavano attraverso il fiume (Nilo) quando ne aveva bisogno, portandolo ovunque volesse andare. Per tutte queste cose rendeva costantemente grazie a Dio che lo aveva protetto da tutte le astuzie del nemico e pregava dicendo:

"Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri perché non hai disprezzato la mia umile condizione, né mi hai lasciato fuorviare nella mia grande debolezza dalle ingannevoli frodi del diavolo. Hai misericordiosamente disperso le tenebre della mia ignoranza e mi hai insegnato a fare la tua volontà. Perché io ero debole e meschino e per niente consapevole di ciò che dovesse essere la mia vita, tu mi hai elargito un sentimento di timore reverenziale, così che io mi sono salvato dalle tenebre esteriori e dalla punizione eterna ed ho avuto la consapevolezza che tu sei la vera luce e la gioia eterna".

 

Capitolo XX - Vedendo che i demoni non cessavano mai di attaccarlo con assiduità, il nostro fortissimo atleta combatteva ancora più vigorosamente per (conquistare) una santità di vita e chiedendo a Dio, se fosse stato possibile, di poter oltrepassare i limiti della sopportazione umana e superare la necessità del sonno. Così continuò a vegliare giorno e notte fino a quando non riuscì ad abbattere gli attacchi dei suoi nemici, come sta scritto: "Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpiti e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi. Tu mi hai cinto di forza per la guerra" (Sal 18 (17), 38-40)

Dopo che questa sua richiesta fu accordata (da Dio), al limite di ciò che permettesse la condizione umana, sopportò il nemico invisibile come se lo vedesse effettivamente, esercitandosi con perseveranza in colloqui elevati verso il cielo. Le sue preghiere erano incessanti, affinché la volontà di Dio fosse fatta in tutte le cose.

 

CAPITOLO XXI – Ed ancora una volta, mentre Pacomio vegliava in preghiera, un angelo del Signore gli apparve dicendo:

"La volontà del Signore, o Pacomio, è che tu lo serva con mente pura e che tu riunisca un gran numero dei monaci, che possano sforzarsi di servire Dio osservando tutte le regole del libro che ti è stato mostrato ". [Vedere il Capitolo XII] Infatti, aveva già ricevuto recentemente delle tavolette su cui erano incise le seguenti parole:

 

Capitolo XXII - Permetti che ciascuno mangi e beva secondo la propria forza ed obbligali a lavorare secondo ciò che mangiano. Non vietare loro né di mangiare con moderazione né di digiunare, ma dà un lavoro più duro a quelli che sono forti e mangiano di più, un lavoro più leggero ai deboli ed a coloro che digiunano.

Costruisci anche diverse celle e fa' dimorare tre (fratelli) in ogni cella. Che tutto il cibo sia preparato e mangiato in un unico posto.

Di notte indossino lebitoni di lino [vedere il capitolo XIV], cinti intorno ai fianchi e ciascuno di loro abbia una melote, cioè una mantella in pelle di capra tinta di bianco, senza la quale non devono né mangiare né dormire.

Quando vengono alla comunione dei Sacramenti di Cristo, allentino la loro cintura, tolgano la melote ed indossino solo la cocolla, (cioè un cappuccio che copre anche le spalle).

Fu anche decretato che i monaci debbano essere divisi in ventiquattro gruppi secondo il numero delle ventiquattro lettere dell'alfabeto greco e di dare a ciascun gruppo il nome di una di queste lettere, cominciando da α fino ad ω, in modo che quando all'archimandrita [6] viene chiesto di un qualunque (monaco) appartenente ad una così grande moltitudine, si possa avere una facile risposta.

Per esempio, quando gli si chiede come va (la classe) α, o ζ, ed ancora λ, o ρ, o σ, lo si viene a sapere dal significato particolare di ognuna di quelle lettere che esprime la valutazione di ogni gruppo. Puoi dare ai più semplici ed ai più puri il nome ι od a quelli che hanno un carattere più difficile e più tortuoso attribuirai il nome ξ, in modo che ogni lettera indichi ciascun gruppo in base al suo comportamento e al suo serio intento.

Solo i capi spirituali erano in grado di sapere cosa significasse ogni lettera.

Era anche scritto in quella tavoletta che se arrivasse un pellegrino di un altro monastero con diverse abitudini, nessuno debba mangiare con lui, eccetto quel fratello che, trovandosi in viaggio, non può osservare questa regola.

Chiunque entri nel monastero con l'intenzione di rimanervi stabilmente, per tre anni deve essere tenuto lontano dallo studio della Sacra Scrittura, affidandogli soltanto i lavori manuali più semplici. Prima di lasciarlo entrare nella carriera dei combattimenti spirituali deve passare il triennio.

Durante i pasti nascondano i loro volti nei loro cappucci in modo che un fratello non possa vedere nessun altro fratello mentre mangia. Durante il pasto stiano in silenzio ed i loro sguardi non vaghino al di fuori del tavolo.

L'Angelo che parlò con Pacomio stabilì anche che si dovevano recitare dodici preghiere durante il giorno, dodici la sera e dodici nella notte.

Quando Pacomio rimarcò che le preghiere fossero poche, l'Angelo rispose:

"Io ho stabilito così in modo che il più debole non trovi il compito troppo difficile. Ma coloro che sono perfetti non hanno bisogno di questa regola, perché nell'intimità delle proprie celle possono continuare a pregare ed a nutrirsi della contemplazione divina nella purezza del cuore".

Dopo aver detto tutto ciò, il messaggero celeste se ne andò e Pacomio rese grazie a Dio, poiché ora la sua visione era confermata da una triplice rivelazione. Cominciò ad accogliere tutti coloro che si offrivano alla misericordia di Dio attraverso la penitenza e, dopo una lunga prova di vita, venivano arruolati nella famiglia dei monaci. Egli li esortava a fuggire dall'immoralità del mondo e ad attenersi sempre alle regole sante. Insegnava loro che la regola generale secondo il Vangelo è che il monaco deve innanzitutto rinunciare al mondo intero, poi alla sua famiglia ed infine a se stesso, in modo che possa prendere la sua croce e seguire le orme adorabili di Cristo (Lc 14,26-27).

Istruiti in quel tipo di insegnamento da parte del beato anziano, essi presto offrirono i frutti più degni della penitenza, considerando soprattutto il fatto che, pur essendo debilitato a causa dell'età avanzata, egli perseguiva il proposito della vita spirituale con uno zelo immutato. Infatti, non solo si impegnava in una regola più severa, ma prendeva su di sé il controllo e la cura dell'intero monastero, sforzandosi di essere il servo di tutti, pur andando al di là delle sue forze. All'ora della refezione preparava il pasto per i fratelli ed adempiva ai soliti uffici. Seminava nell'orticello le verdure e le innaffiava con le sue stesse mani. Quando qualcuno bussava alla porta del monastero, accorreva con diligenza e dava una pronta risposta. Egli assisteva i malati giorno e notte ed in tutte queste cose dava un eccellente esempio ai suoi discepoli. Per questo motivo i nuovi arrivati al servizio del Signore si dedicavano più alacremente a tutti i doveri della pietà. Il beato anziano, vedendo che non potevano ancora prendere su di sé tante incombenze, li esortava ad evitare tutte le distrazioni e diceva loro:

"Perseverate con vigore (nella vocazione) in cui siete stati chiamati, fratelli, cantate i salmi, imparate a memoria gli altri libri (della Scrittura) ed in particolare il santo Vangelo. Poiché servendo il Signore ed amandovi gli uni gli altri come Egli ordina, diventerete perfetti, ristorerete in tutte le cose persino il mio spirito, specialmente se avrete cura di osservare tutti i precetti celesti".

 

Capitolo XXIII - I primi tre uomini che si unirono a Pacomio furono Psentaesi, Sourous e Obsis. Pacomio era loro molto di aiuto, costantemente ricordava loro la parola di Dio e li incoraggiava con il suo esempio a crescere nell'opera spirituale. Dal canto loro, mentre contemplavano la vita del vecchio come un esemplare di virtù, erano pieni di ammirazione e dicevano:

"Si sbagliano molto coloro che pensano che gli uomini possano vivere una vita di beatitudine grazie a qualche tipo di privilegio di nascita, come se non esistesse il libero arbitrio ed i peccatori non potessero dedicarsi alla virtù grazie alla penitenza. Noi infatti vediamo la manifesta generosità del Signore in questo venerabile padre Pacomio, i cui genitori erano pagani e profani e che si è talmente proteso nella beatitudine del culto divino da compiere tutto i comandamenti di Cristo.

Quindi, possiamo essere sicuri che ognuno di noi che lo desideri veramente, può, con l'aiuto della grazia di Dio, seguire il modello di questo santo uomo al fine di imitare la santità dei più perfetti dei padri. Perché cosa altro significa ciò che sta scritto nel Vangelo e che Cristo dice: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro" (Mt 11,28)? (Che cosa significa questo) se non che dovremmo sbarazzarci dei pesanti fardelli di iniquità che opprimono il genere umano ed aderire ad un bene immutabile che non perisce? Perciò cerchiamo di perseverare fino alla fine con questo vecchio, affinché possiamo essere trovati degni di essere glorificati con lui nella beatitudine eterna. Perché tutto ciò che ci insegna è giusto, non solo con le sue parole ma, ciò che è ancora più efficace, con il suo meraviglioso esempio. "

Andarono quindi dal santo Pacomio e gli dissero: "Perché, venerabile padre, tu prendi l'intera responsabilità del monastero su di te? "

Egli replicò: "Nessuno sfrutta le bestie da soma ed in fretta le costringe a lavorare con un carico così pesante da soccombere sotto il peso, ma le addestra a poco a poco, facendole abituare ai carichi più leggeri finché non siano abbastanza forti e capaci di portarne di più pesanti. Allo stesso modo è giusto che dobbiamo comportarci con voi come Cristo si è comportato con noi, affinché noi possiamo rallegrarci della vostra costanza in tutte le cose. Possa Dio misericordioso, che non disprezza mai le preghiere della mia umiltà, fortificare i vostri cuori nel suo insegnamento, affinché voi possiate compiere ogni buona opera con pazienza e longanimità, seguendo le orme dei santi Padri, così che coloro che vi vedranno servire Dio con una coscienza così pura ed a Lui gradita, verranno al servizio di Cristo e sosterranno con me, che sono il padre, una uguale parte di lavoro nella condotta del monastero".

 

Capitolo XXIV – Pacomio diede loro per regola quella che aveva ricevuto (dall'Angelo), vale a dire che dovevano mangiare moderatamente, vestirsi in modo molto ordinario e dormire solo il necessario. Ed avvenne che, secondo la volontà del Signore, che vuole la salvezza di tutti gli esseri umani e che elargisce tutti i progressi in buone opere, molti uomini vennero ad unirsi al vecchio per stare con lui, tra i quali Pecusio e Cornelio, Paolo ed un altro Pacomio, e Giovanni, che abbracciarono volentieri la fede immacolata e l'insegnamento salvifico del beato padre. Egli ordinò che coloro che ne erano capaci dovevano partecipare ai doveri del monastero e così in breve tempo il numero dei monaci si moltiplicò.

Quando un giorno di festa, secondo l'usanza, richiedeva loro di partecipare ai santi misteri, chiedevano ai presbiteri dei villaggi vicini di venire a celebrare la festa della gioia spirituale presso di loro. Infatti il vecchio non avrebbe permesso a nessuno di loro di svolgere i compiti del clero. Sosteneva che era molto più appropriato che i monaci non cercassero un primato di onore e gloria e che le opportunità di questo tipo dovessero essere sradicate dai cenobi, poiché sono spesso fonti di conflitti futili e di gelosie tra i fratelli. Proprio come il raccolto di un anno intero può essere distrutto se una scintilla cade sulla messe e non si spegne rapidamente, così se un pensiero mortale irrompe nella mente di un monaco, facendogli desiderare di essere il primo (tra i fratelli) o di diventare un chierico, può distruggere la discrezione che ha acquisito così faticosamente, se egli non scaccia rapidamente dal suo cuore la natura incendiaria di tale suggerimento. Quindi i comunicanti di Cristo devono rispettare i chierici delle chiese con tutta la mansuetudine e la purezza di spirito, poiché ciò è vantaggioso per i monaci, senza desiderare di elevarsi ad alcuna dignità religiosa.

"Ma se qualcuno tra i monaci è stato ordinato in precedenza da un vescovo," (diceva Pacomio), "accogliamo il suo ministero. Noi troviamo nell'Antico Testamento che non tutti avevano il permesso di assumere l'ufficio clericale, ma solo quelli provenienti dalla tribù di Levi nascevano con questa prerogativa. Quindi, se un fratello di indiscussa condizione sacerdotale arriva da altrove, non denigriamolo come se avesse usurpato questa santa dignità e si fosse proposto temerariamente in questo ministero. Come potremmo avere una così cattiva opinione di colui che supplichiamo con insistenza di amministrarci i celesti Sacramenti? È molto più appropriato che lo rispettiamo come un padre che sta facendo ciò che gli abbiamo chiesto di fare, che segue le orme dei santi e che non cessa di offrire i doni sacrificali a Dio, specialmente se la sua vita è conosciuta ed approvata da tutti.

Se si ritiene che egli si sia reso colpevole di qualche offesa, Dio non voglia, non sta a noi giudicarlo perché Dio, giudice giusto, ha posto i vescovi come giudici su tali persone. Essi sono come successori ed imitatori dei beati Apostoli ed hanno il potere di esaminare i particolari di ogni singolo caso e di dare un giudizio giusto su di essi. Noi dobbiamo concordare con i loro giudizi dal profondo del nostro cuore, poiché il Signore ci avverte di essere misericordiosi e dobbiamo sempre supplicare di non essere indotti in qualche tentazione" (Cfr. Mt 6,13).

Questo rinomato padre non solo pronunciò queste parole con una certa forza, ma le osservava con sollecitudine. E così quando un chierico veniva da lui volendo vivere sotto la sua Regola, gli rendeva l'onore che la chiesa esigeva riguardo ad uno di quel grado; (il chierico) da parte sua si assoggettava alle regole dei monaci ed obbediva a Pacomio come ad un padre, con grande umiltà.

 

Capitolo XXV - Il beato Pacomio amava tutti i servi di Cristo, vegliando su di loro sempre con le cure di un padre. Egli eseguiva le opere di misericordia con le proprie mani per i vecchi, per i malati ed anche per i più giovani, fortificando più di ogni altro i loro spiriti col sostegno spirituale. In qualche modo molti di loro stavano facendo progressi nella loro fede e nelle buone opere ed il numero dei fratelli aumentava, mentre quasi tutti si sforzavano di imitare la sua virtù. Quindi, tra di loro scelse i prepositi che fossero in grado di aiutarlo nella crescita delle anime che quotidianamente venivano da lui.

Come abbiamo detto, erano così tanti coloro che entravano e crescevano diversamente nella virtù, che si vedeva una grande diversità nei loro vari stati spirituali. Quindi il vecchio, secondo la regola datagli da Dio e con la grazia di Cristo che lo guidava in ogni cosa, decise le quantità ed i tipi di lavoro che tutti dovevano osservare, secondo la forza e l'abilità dei singoli. Alcuni si guadagnavano il vitto con il lavoro manuale, altri si prendevano cura dei fratelli, ma non vivevano tutto il tempo nello stesso modo poiché ognuno di essi doveva vivere con una certa astinenza, più stretta o più moderata, secondo il loro lavoro ed il loro zelo. La cura di tutto ciò che era indispensabile ai fratelli ed ai pellegrini (Pacomio) la attribuì ai più anziani dopo di lui.

Tuttavia, egli esortava tutti i monaci ad essere pronti nell'obbedienza, come se fosse un percorso diretto e facile verso le più alte le vette della perfezione, coltivando diligentemente il timore di Dio nei loro cuori. Perché, portando umilmente i frutti dell'obbedienza, avrebbero vissuto per Dio piuttosto che per se stessi. Questo venerabile padre si occupava principalmente della direzione spirituale, ma era sempre pronto ad intraprendere qualsiasi compito particolare se fosse successo che, per qualsiasi motivo, la persona a cui aveva affidato la responsabilità del monastero non fosse disponibile. Egli si considerava davvero come il servo di tutti. E lo faceva in modo abbastanza discreto e senza nessuna vanità, ciò che a volte è causa di rovina delle virtù degli uomini spirituali. Ordinava tutto in modo saggio e con la sua grande umiltà edificava tutti (i fratelli) nel Signore. Visitava con cura tutti i monasteri e quando tornava a rivedere con affetto paterno i suoi cari figli e li trovava vigorosamente vigili nell'opera di Dio, gioiva e si allietava molto del loro avanzamento nella virtù.

 

Capitolo XXVI - Accadde una volta che egli si preoccupò nel vedere che gli umili uomini dei paesi vicini, nel prendersi cura delle loro greggi, non ricevessero la comunione dei Sacramenti di Cristo né ascoltassero la solenne lettura dei libri divini che solennemente si svolgevano ovunque il sabato e la domenica. Quindi si consultò con santo Aprione [7], vescovo di Tentira, al fine di costruire una chiesa nel loro villaggio che era quasi deserto, in cui potessero venire tutti e partecipare ai misteri divini. Fatto ciò, poiché non c'erano sacerdoti ordinati per celebrare le solennità per il popolo, andava lui stesso alla chiesa con alcuni monaci all'ora della sinassi e leggeva alla gente alcune pagine della Scrittura. Come ho detto, nessun lettore era stato ancora nominato, né alcun altro chierico per celebrare i sacri misteri. Quindi, finché lì non ci fu nessun presbitero e nessuno degli altri membri dell'ordine clericale, Pacomio vi andava e svolgeva i doveri di lettore con un tale temerario entusiasmo e con gli occhi dello spirito e del corpo così concentrati che quando la gente vi assisteva credeva di guardare non un uomo ma un angelo di Dio. Come risultato di questa istruzione molti furono convertiti dall'errore e diventarono cristiani. Il suo amore per il prossimo era così perfetto, e la sua compassione così grande, che quando vedeva alcuni ingannati dal diavolo e che non adoravano il vero Dio ma vani idoli, si lamentava fortemente perché si erano persi e riversava fiumi di lacrime per la loro salvezza.

 

Capitolo XXVII - Il santo Atanasio era vescovo di Alessandria in quel tempo, [divenne vescovo nel 328] un uomo eccezionale in ogni virtù. Stava facendo una solenne visita di tutte le Chiese nella parte superiore della Tebaide, istruendo il popolo nella fede in Cristo con i suoi salutari insegnamenti, quando giunse navigando (sul Nilo) a Tabennisi. Non appena Pacomio lo venne a sapere, subito uscì per incontrarlo con tutti i suoi monaci; tutti con gioia ed esultanza salutarono questo grande pontefice di Cristo con salmi ed inni ed una vasta moltitudine di fratelli si rallegrava nel Signore per la sua venuta. Ma Pacomio non si presentò a questo famoso (uomo), ma deliberatamente si ritrasse e si nascose tra la folla di monaci. Il motivo era che il suddetto Aprione, vescovo di Tentira, aveva spesso parlato di lui al santo Atanasio, suggerendo che era un uomo meraviglioso e un vero servitore di Dio degno di essere promosso all'onore del sacerdozio.

Pacomio, sapendo ciò, non si mostrò in modo chiaro nascondendosi tra la folla dei monaci finché il vescovo (Atanasio) non passò oltre, poiché lo venerava come se in quel tempo non ci fosse nessuno uomo più eccezionale di lui. Aveva sentito parlare della sua vita santa e delle persecuzioni che aveva sofferto dagli Ariani a causa della sua confessione di Cristo. (Pacomio) ammirava con spirito zelante l'amore che mostrava verso tutti, e soprattutto ai monaci, e lo venerava con tutto l'affetto del cuore. Ma egli accordava il massimo rispetto non solo ad Atanasio, ma stimava con grande attenzione tutti gli uomini di vera fede. Invece detestava completamente gli eretici e aveva un particolare orrore per Origene che considerava un traditore blasfemo e che, come precursore di Ario e Melezio, era stato espulso dalla chiesa dal venerabile Eracla, vescovo di Alessandria, perché aveva aggiunto nelle sue spiegazioni argomenti odiosi e detestabili alla dottrina della Sacra Scrittura ed in tal modo sovvertiva molte anime. Proprio come coloro che preparano un veleno mascherano un gusto amaro con il miele, così fece (Origene) mescolando la dolcezza delle parole celesti al veleno delle sue opinioni errate e disseminando le sue dottrine perniciose tra coloro che erano inesperti. Così (Pacomio) metteva in guardia tutti i fratelli non solo dall'astenersi dal leggere i commenti di Origene, ma anche dal non dare retta a nessuno che li avesse letti. Si racconta che un giorno Pacomio trovò un volume di Origene e lo gettò subito in mare dicendo:

"Se non fosse per il fatto che so che contiene il santo Nome di Dio avrei consegnato tutte quelle verbosità blasfeme alle fiamme!"

Così amava la vera fede e cercava la verità. Così come si opponeva ai nemici della Chiesa con ostile avversione, altrettanto acclamava gioiosamente il crescente numero di cattolici e dichiarava che poteva discernere lo stesso Cristo redentore di tutti nella persona dei vescovi che lo testimoniavano sul trono della Chiesa.

Se mai avesse saputo di un fratello che calunniava qualcuno su qualunque argomento, non solo smetteva di fidarsi di lui, ma si allontanava in fretta da lui come sarebbe fuggito davanti ad un serpente, citando spesso le parole del salmista: "Chi calunnia in segreto il suo prossimo io lo ridurrò al silenzio" (Sal 101 (100),5).

"Nessuna persona buona", diceva, "permette al male di uscire dalla sua bocca ed insultare i santi padri con lingua velenosa. Ci sono molti posti nelle Scritture che mostrano come Dio sia indignato per tali offese. Si pensi all'esempio di Maria, (sorella di Mosé), che versò commenti sprezzanti su Mosè, si infettò con la lebbra e non ebbe alcuna possibilità di evitare il giudizio di Dio" (Cfr. Nm 12,10).

Con questo insegnamento conferiva grandi benefici ai suoi ascoltatori.

 

Capitolo XXVIII - [8]  La sorella consanguinea di Pacomio aveva sentito parlare della ammirabile disposizione di vita del vecchio ed andò al suo monastero desiderando di vederlo. Quando Pacomio seppe che era lì, le mandò questo messaggio tramite il portinaio:

"Ecco, sorella, hai sentito che sono vivo e vegeto, perciò riparti in pace e non essere triste per non essere stata in grado di vedermi con i tuoi occhi corporei. Ma se desideri seguire lo stesso tipo di vita che io sto conducendo, affinché tu possa trovare misericordia presso Dio, pensa ed esamina diligentemente in te stessa (riguardo a ciò); e se mi farai sapere che questo proposito ha messo radici nel tuo cuore, incaricherò i miei fratelli di costruirti una casa ad una certa distanza da qui dove potrai vivere una vita disciplinata e modesta. E non dubito che con il tuo esempio Dio chiamerà molte a vivere con te e grazie a te saranno degne di ottenere la ricompensa della salvezza eterna. Infatti, non è possibile all'uomo riposare in questa carne mortale a meno che non sia gradevole a Dio per le sue buone opere".

Sua sorella pianse amaramente nel sentire ciò: ma, toccata dalla grazia divina, prese presto a cuore le sane esortazioni e di conseguenza decise di servire Cristo. Quando Pacomio conobbe le intenzioni di sua sorella, rese grazie a Dio che gli aveva così rapidamente elargito la sua volontà e diede ordine ai più devoti dei fratelli di costruire per lei un monastero ad una certa distanza dal loro. Quando fu costruito lei iniziò a vivere la vita nel timore di Dio. Non passò molto tempo prima che molte altre si riunissero intorno a lei e che diventasse madre di una grande moltitudine. Insegnava ed esortava (le sorelle) su come distogliere il cuore dai desideri carnali al fine di elevarsi verso i beni celesti ed immortali, mostrando loro il cammino della salvezza tanto dal suo vivere quanto dal suo insegnamento.

Il santo Pacomio ordinò a Pietro, (un monaco) di età molto avanzata ed illustre per una venerabile vecchiaia, di visitare queste serve di Dio di tanto in tanto, in modo di sostenerle con le sue sante istruzioni. Costui, infatti, aveva mortificato tutte le sue passioni, ed il suo modo di esprimersi era ben condito con sale, come dice l'Apostolo (Col 4,6). Inoltre, era il più casto nello spirito e nel corpo e frequentemente parlava delle sacre Scritture alle vergini di Cristo, indicando loro ciò che era necessario per la salvezza. Pacomio scrisse anche delle regole per loro, seguendo le quali avrebbero sempre potuto condurre lo sviluppo delle loro vite. Ad eccezione della melote, che le donne non indossavano, la struttura di tutte le loro regole era esattamente la stessa dei monaci.

Se uno dei monaci desiderava visitare una sorella o qualche altro parente stretto che aveva nel monastero femminile, veniva nominato un monaco anziano di comprovata integrità per accompagnarlo. Quest'uomo avrebbe incontrato prima di tutto la superiora, dopo di che, in presenza di lei e di altre sorelle più anziane, il monaco avrebbe potuto vedere sua sorella o parente con grande pudore e santità, senza poterle offrire niente e neanche ricevere qualcosa da lei. Infatti nessuno dei due aveva qualcosa di proprio da offrire; era sufficiente per loro di potersi soltanto visitare a vicenda e di intrattenersi con la speranza della futura felicità eterna. Se le sorelle avevano bisogno di qualche lavoro di costruzione o di altro tipo svolto dai monaci, si nominavano uomini di esemplare virtù per dirigere i lavori richiesti ai fratelli. Lavorando nel timore di Dio, all'ora di pranzo tornavano al monastero, non potendo ricevere nulla da mangiare o da bere dalle sorelle.

C'è tuttora [nel 400 circa] un'unica regola osservata quotidianamente da donne e uomini, ad eccezione del fatto che le donne non portano la melote, come abbiamo detto. Quando una qualsiasi delle vergini moriva, le altre si occupavano del suo funerale ed eseguivano tutto ciò che era necessario per la sepoltura, trasportando il corpo fino alla riva del fiume (Nilo) che separava i due monasteri, cantando i consueti salmi. I monaci allora attraversavano il fiume con rami di palma e di ulivo e, cantando i salmi, riportavano indietro (la salma) per seppellirla con gioia nei loro sepolcri.

 

Capitolo XXIX - Questo modo di vivere cominciò a diffondersi all'esterno in lungo ed in largo ed il nome del santo Pacomio divenne noto ovunque e, grazie a lui, tutti rendevano grazie a Dio. Numerose persone rinunciavano agli affari di questo mondo e si affezionavano a questo straordinario modo di vita monastico ed alla sua ricerca spirituale. Tra questi Teodoro, un giovane di quasi quattordici anni, nato da genitori cristiani, molto rispettati al mondo, si convertì nel modo che dirò. L'undicesimo giorno del mese (egiziano) di Tybi, cioè l'ottavo giorno prima delle idi di gennaio, [9] veniva celebrata come al solito una festività egiziana. Mentre si rendeva conto di avere una grande e splendida casa ed un'abbondanza di beni di ogni genere, con compunzione di cuore per grazia di Dio, cominciò a considerare ed a dire a se stesso.

"Che ti gioverà, o infelice Teodoro, se guadagnerai il mondo intero (Mc 8,36) e godrai tutte le sue delizie mondane al prezzo di essere escluso dalle cose buone della vita eterna e immortale? Nessuno può godere delle delizie della vita presente e meritarsi la ricompensa di una gloria perenne".

Con profondi sospiri riguardo a questi pensieri entrò in una camera interna della sua casa e prostrando a terra il suo volto disse piangendo:

"Dio Onnipotente, che conosci i segreti dei nostri cuori, tu sai che non c'è niente in questo mondo che sia più importante per me del tuo amore. Quindi, ti prego nella tua misericordia di guidarmi nella tua volontà e di illuminare la mia anima miserabile affinché nell'oscurità dei miei peccati io non cada nella morte eterna. Concedi che con il dono della tua redenzione io possa lodarti e glorificarti per sempre".

Mentre pregava così, sua madre entrò e, vedendo che i suoi occhi erano pieni di lacrime, disse:

"Perché sei così triste, mio ​​amato figlio, e perché ti stai nascondendo da noi? Siamo stati preoccupati e sconvolti, cercandoti ovunque per poter condividere il nostro banchetto".

Teodoro rispose: "Ti supplico, vai a mangiare, madre. Da parte mia non posso mangiare niente."

Lei continuò a pregarlo, ma egli non pranzò con lei. Ogni giorno mentre andava a scuola per imparare le lettere digiunava almeno fino ai vespri, anche se spesso digiunava per due giorni. Si astenne da tutti i cibi ricchi e delicati per un periodo di due anni, sforzandosi di raggiungere la perfetta continenza, nella misura in cui la sua giovane età lo consentisse. Poi cominciò a chiedersi se avrebbe dovuto cercare un monastero e legarsi ad una santa regola. Abbandonando tutto ciò che aveva, trovò alcuni uomini religiosi che vivevano in una grande perfezione di vita ed andò a vivere con loro, progredendo sempre più nel timore del Signore.

 

Capitolo XXX - Questi monaci avevano una consuetudine di radunarsi dopo le preghiere della sera per meditare sulla divina sapienza ed un giorno accadde che Teodoro sentì uno di loro che sosteneva che il tabernacolo (di Mosé) [10] del vecchio Testamento ed il Santo dei Santi [11] si riferivano ai due nuovi popoli dei circoncisi e degli incirconcisi (Cfr. Eb 9,1-5).

(Questo monaco) diceva che il tabernacolo esteriore [ovvero la parte più esterna del tabernacolo] rappresentava il popolo primitivo dei Giudei ed il Santo dei Santi, che era interiore, raffigurava la vocazione di tutti i gentili che sono stati resi degni di entrare nel luogo più sacro e di partecipare ai più grandi misteri. Invece dei sacrifici animali, dell'Arca (dell'Alleanza) dove c'era la manna, della verga di Aronne che fioriva, delle tavole della Legge, del turibolo, della tavola, del candelabro e del propiziatorio, Dio stesso si è fatto misericordiosamente conoscere a noi nella persona del suo Verbo incarnato e ci ha illuminato con la luce della sua presenza, diventando lui stesso sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. Invece della manna ci ha dato il suo corpo come cibo.

Lo stesso fratello che aveva religiosamente dissertato coi monaci che erano presenti proseguì dicendo: "Questa spiegazione l'ho imparata dal nostro santo padre Pacomio, che per primo radunò i monaci nel monastero di Tabennisi, ed io con l'aiuto di Dio ho compiuto grandi progressi mentre ero in mezzo a loro. Ed io credo che il ricordo che ho di questo grande uomo sarà motivo del perdono di tutti i miei peccati".

Udendo ciò Teodoro si infiammò nell'animo e pregò in silenzio dicendo tra sé:

"O Signore Dio, se nel mondo c'è un uomo così giusto fa' che io possa vederlo e, seguendo le sue orme, io possa obbedire a tutti i tuoi comandi, così che possa essere trovato degno di godere di tutte quelle cose buone che hai promesso a coloro che ti amano".

Disse ciò nel pianto, non potendo resistere agli strali dell'amore divino.

Pochi giorni dopo il venerabile Pecusio, un uomo di una distinta vecchiaia, venne a visitare i fratelli, desideroso anche di sapere come stavano. Teodoro lo pregò apertamente di prenderlo come suo compagno e di guidarlo verso il sacro Pacomio. Senza alcuna discussione accettò liberamente di farlo. Quando arrivarono al monastero Teodoro venerò il Signore dicendo:

"Sii benedetto, o Signore, per aver risposto così rapidamente alle preghiere di un peccatore, ti sei degnato di concedermi ciò che ho chiesto".

Ed appena entrò nel monastero vide Pacomio, e cominciò a piangere di gioia.

Il venerabile padre gli disse: "Non piangere, figlio mio, perché anch'io sono solo un uomo peccatore, che cerca di fare l'opera di Dio".

Detto questo, lo introdusse nel monastero. Lo spirito di Teodoro si illuminò quando vide quanti fratelli c'erano, si lanciò ardentemente e con grande zelo nel culto divino e nel corso del tempo fece grandi passi in avanti nella virtù. Egli, infatti, riceveva grazie divine in abbondanza, si esercitava sia nelle buone opere che nelle buone parole, con meravigliosa umiltà e sincera contrizione di cuore, meticoloso nel suo digiuno, attento nelle veglie, sollecito nella preghiera, senza perdere alcuna possibilità di cercare sempre maggiori doni di grazia spirituale. Era in grado di dare grande conforto a coloro che erano in difficoltà e sapeva come correggere con ammonizioni umili e benevoli coloro che si erano persi in qualche colpa.

 

Capitolo XXXI – Pacomio, vedendolo vivere in un modo così ammirevole e brillante, lo strinse al suo cuore e lo amò profondamente.

Non appena sua madre seppe che dimorava dal beato Pacomio si affrettò a fargli visita, portando con sé delle lettere dei vescovi che ordinavano che le fosse restituito suo figlio. Le vergini la ospitarono nel monastero che, come abbiamo detto, era ad una certa distanza dagli uomini e da lì subito inviò le lettere dei vescovi al santo Pacomio, mentre lo supplicava di permetterle di vedere suo figlio. Allora Pacomio convocò Teodoro e gli disse: "Devo dirti, figlio mio, che tua madre è qui e vuole vederti e ci ha persino portato delle lettere dei vescovi. Quindi affrettati a soddisfare tua madre, specialmente per il motivo di questi santi vescovi che si sono degnati di scriverci per suo tramite".

Teodoro rispose: "Venerabile padre, io ho acquisito una certa conoscenza delle cose spirituali ed ora, prima di fare come chiedi, per favore assicurami che se la vedrò non dovrò rispondere a Dio di questo fatto nel giorno del giudizio. Poiché io ho abbandonato lei e tutto il mondo secondo il comandamento di Cristo. Come potrei incontrarmi con lei offendendo i fratelli (con cui vivo)? Infatti, se nei tempi precedenti alla manifestazione della grazia di Cristo, i figli di Levi voltarono le spalle ai loro stessi genitori per adempiere la giustizia della legge [12], quanto più io, che sono stato reso partecipe di tali grandi doni, devo anteporre l'amore di Dio all'amore dei genitori. Dice il Signore nel Vangelo, "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me" (Mt 10.37)".

Pacomio gli disse: "Se hai deciso che non sarebbe giusto vederla, figlio mio, non eserciterò alcuna pressione su di te. Questo rifiuto (di vedere tua madre) appartiene a coloro che hanno perfettamente rinunciato a questo mondo e che rinnegano completamente sé stessi. I monaci, in particolare, è bene che fuggano da tutti gli incontri futili e mondani e da vane conversazioni e che si associno seriamente solo a coloro che sono membra di Cristo. Perché se qualcuno governato da qualche passione mondana dice: "I miei genitori sono la mia carne, quindi dovrei amarli", ascolti ciò che dice il beato Pietro apostolo: "L'uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina" (2 Pt 2,19). "

E così chi è vinto dalla carne è sicuramente schiavo della carne. Quando la madre di Teodoro si rese conto che non l'avrebbe incontrata, decise di rimanere stabilmente nel monastero con le vergini di Cristo, dicendo a se stessa: "Se questa è la volontà del Signore, posso almeno vederlo tra gli altri monaci, e grazie a questa occasione anch'io porterò benefici alla mia anima finché persevererò in questo modo di vivere. E' certo che coloro che mantengono una rigida disciplina per amore di Cristo e non per vanagloria, contribuiscono molto all'avanzamento degli altri nelle virtù, anche se per un breve tempo sembrano disgustare alcuni (per il loro rigore)".

 

Capitolo XXXII – Come abbiamo riportato questo esempio per incoraggiare quelli che hanno il desiderio di cercare cose migliori; così ora pensiamo che sia giusto descrivere le negligenze di alcuni, come un avvertimento per coloro che ci leggeranno. Perché c'erano alcuni monaci che "vivevano secondo la carne" (Rm 8,5), né cercavano di "svestirsi dell'uomo vecchio" (Col 3,9) e di cui Pacomio era molto preoccupato. Spesso parlava loro con esortazioni salutari, ma non vedeva alcun segno di miglioramento in loro. Preoccupato e triste, implorava per loro il Signore sempre più intensamente dicendo:

"O Signore, Sovrano di tutto, Tu ci hai comandato di amare il nostro prossimo come noi stessi (Cfr. Lv 19,18, Mt 19,19). Poiché conosci i segreti del mio cuore, ti prego, non allontanare il tuo volto da me mentre grido a te per la loro salvezza; ma abbi pietà di loro, riempili con il tuo timore, affinché conoscendo il tuo potere divino possano servirti veramente, rafforzati in tutto ciò che fanno nella speranza delle tue promesse; poiché la mia anima è molto turbata a causa loro, e tutto il mio essere è completamente turbato". Detto ciò, tacque.

Dopo alcuni giorni, vedendo che non erano migliorati neanche grazie alle sue preghiere, rimanendo ancora in preghiera supplicò per loro il Signore e diede loro anche alcune regole particolari e personali di preghiera e di comportamento, nella speranza che applicandosi ad obbedire alle regole quasi come servitori avrebbero potuto a poco a poco aspirare come figli (di Dio) al dono di amarlo. Ma costoro si accorsero che così non avrebbero potuto seguire i propri malvagi desideri e, temendo la presenza del santo Pacomio ed ispirati dal timore di lui piuttosto che dalla sua purezza, caddero completamente in errore e partirono dal monastero, seguendo Satana e rigettando il meraviglioso modo di vivere (seguito da Pacomio).

Ma una volta che se ne furono andati, l'intero gregge fu ristabilito in uno stato di integrità, aumentando sempre di più nelle virtù, proprio come il grano buono è in grado di prosperare nel campo quando la zizzania viene sradicata (Mt 13,24-30). Ti ho detto tutto questo per dimostrarti che, così come nulla può ostacolare gli uomini impegnati nel secolo quando costoro abbracciano le istituzioni dei monaci, altrettanto non è di alcuna utilità, quando i monaci persistono nell'essere negligenti, la loro venerabile professione; ma neppure la preghiera paterna, né la comprensione saranno in grado di aiutare gli oziosi.

 

Capitolo XXXIII – In quel tempo il confessore Dionigi, presbitero ed economo, cioè amministratore della Chiesa di Tentira, era amicissimo del santo Pacomio. Costui apprese da qualcuno che Pacomio non avrebbe permesso alle persone che provenivano da un altro monastero di mangiare con i suoi fratelli, ma li teneva in un locale appartato vicino all'ingresso del monastero. Molto rattristato per questo motivo andò da Pacomio per fargli dei rimproveri piuttosto che delle ammonizioni e gli disse:

"Tu fai molto male, abba, a non trattare tutti con la carità imparziale che i fratelli meritano."

Pacomio ricevette questa correzione con grande pazienza e rassegnazione e gli rispose così:

"Il Signore sa qual è il mio scopo nel fare questo, e la tua affezione paterna sa che io non voglio turbare nessuna anima, né tanto meno disprezzarla. Perché dovrei osare di comportarmi così, provocando contro di me l'ira del mio Signore, che chiaramente afferma nel Vangelo che "quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40)? Quindi ascolta la mia spiegazione, venerabile padre, poiché io non faccio ciò che dici, allontanando o disprezzando coloro che vengono da me. Ma poiché ho accolto nel cenobio una moltitudine (di fratelli), io sono consapevole che molti sono da poco convertiti a Dio ed hanno inclinazioni molto diverse tra di loro. Inoltre, molti sono ancora così ignoranti del nostro stile di vita, da non sapere cosa sia un monaco. Alcuni di loro sono piuttosto giovani e vivono in una semplicità tale che non sanno riconoscere la loro mano destra dalla sinistra. Così ho pensato che fosse meglio che i fratelli che ci vengono a visitare fossero accolti col massimo onore in un posto separato. Io credo di non arrecare nessun insulto ai padri ed ai fratelli che vengono a visitarci ma, al contrario, essi sono accolti con più dovuta riverenza; specialmente se si uniscono a noi alle ore dell'Ufficio per servire Dio e, dopo di ciò, ognuno di loro va nel luogo loro assegnato, dove possono riposare. Io provvedo a fornire loro tutto ciò di cui hanno bisogno, per quanto posso secondo Dio".

Avendo ascoltato tutto questo, il presbitero Dionigi concordò sul fatto che Pacomio fosse degno di grandi lodi e disse che era sicuro che tutto fosse fatto secondo la volontà di Dio. Molto illuminato dalla spiegazione che il santo Pacomio gli aveva dato, tornò lieto a casa.

 

Capitolo XXXIV - C'era una donna nella città di Tentira che soffriva di un flusso di sangue ed aveva lottato con questa disabilità per molti anni. Aveva sentito che Pacomio era un servitore di Dio, vivendo in un modo meraviglioso e santo, e che Dionigi il presbitero era un suo carissimo amico. La donna supplicava Dionigi di avere pietà di lei e di chiedere a Pacomio di venire a visitarlo con il pretesto di una faccenda importante. Egli fu mosso dalle preghiere della donna ed agì senza indugio. Quando, dunque, Pacomio venne in chiesa, salutò Dionigi dopo le preghiere e si sedette subito accanto a lui. Mentre si stavano parlando, la donna si sentì fortificata dalla fiducia nella fede e credette di poter sentire Cristo che diceva: "Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata" (Mt 9,22). Si avvicinò silenziosamente alle sue spalle, tremando toccò il cappuccio con cui (Pacomio) copriva la testa ed immediatamente fu guarita. Cadde a faccia in giù ed adorava il Signore, glorificando la sua misericordia che attraverso i suoi servi conferisce tali grandi benefici a coloro che credono in lui. Il sant'uomo Dionigi capì cosa era successo e diede una benedizione alla donna che immediatamente tornò a casa sua.

 

Capitolo XXXV – Un tempo vi fu persino la necessità che il monastero dovesse essere protetto con un muro ed un fossato e lo stesso (Pacomio) fu lieto di dare il massimo aiuto ai fratelli che lavoravano in quel lavoro.

Alcuni giorni dopo un monaco presbitero che era padre di molti fratelli e che era solito visitare spesso il santo Pacomio, venne da lui portando con sé un fratello che era stato certamente causa di alcuni dissensi nel loro monastero. Per di più questo fratello, che era giunto con lui, lo aveva molto importunato perché gli fosse data la dignità sacerdotale, ma il presbitero lo aveva giudicato indegno di tale dono e cercava in vari modi di non accordargliela. Quando arrivò al punto da non poter più sopportare la sua importunità andò al santo Pacomio per presentargli tutto ciò che era successo, con la certezza che lui solo fosse in grado di risolvere tali dispute. Una volta che (Pacomio) ebbe pienamente compreso di cosa si trattava, disse al presbitero:

"Ora sei venuto da me per scoprire qual è la volontà di Dio, non è vero? La mia opinione è che tu debba dargli quello che chiede, senza preoccuparti di ciò che succederà. Infatti è probabile che esercitando questo ufficio la sua anima sarà liberata dal potere del diavolo. Perché spesso accade che quando un uomo cattivo riceve grandi favori, egli si dedichi a buoni propositi. Infatti, un desiderio di miglioramento è spesso l'occasione per la crescita di una vera devozione solo per quelle anime che non sono ancora cadute in una tale negligenza e pigrizia, affinché possano cercare di avanzare nelle virtù. Così, dunque, o fratello, è bene che noi facciamo ciò che è gradito a Dio. Infatti, testimonieremo che il suo amore è in noi se avremo compassione gli uni verso gli altri".

L'anziano accettò questa risposta ed eseguì l'ordine ricevuto. E quel fratello a cui era stato esaudito il suo desiderio tornò dal beato Pacomio in uno stato d'animo sereno e compunto, gettandosi con la faccia per terra si confessò dicendo:

"O uomo di Dio, tu sei stato molto edificato da Dio ed hai potuto discernere ciò che è necessario per la salvezza ed hai trasformato il male in bene. Perché se tu non fossi stato mite e comprensivo verso di me, ma mi avessi trattato severamente, avrei potuto abbandonare questo abito e mi sarei allontanato per sempre da Dio. Ma ora tu sei benedetto nel Signore perché hai salvato la mia anima".

Il venerabile vecchio lo sollevò da terra e lo pregò apertamente di vivere in modo degno della dignità che gli era stata conferita, per non essere negligente e soffrire le eterne pene nel tempo futuro. (Pacomio) lo baciò ed andò con lui fino all'ingresso del monastero, prima di mandarlo in pace

 

Capitolo XXXVI - Mentre Pacomio era ancora lì, un uomo che era venuto da lontano corse verso di lui e si gettò ai suoi piedi, supplicandolo di volere, per la grazia di Cristo, curare sua figlia che era posseduta da un demonio. Pacomio entrò nel monastero, lo lasciò fuori e gli mandò un messaggio attraverso il portinaio.

"Non è nostra abitudine parlare con le donne, ma se hai qualcuno dei suoi vestiti con te, mandacelo e, dopo averlo benedetto nel nome del Signore, te lo restituiremo subito; noi crediamo in Cristo che in questo modo tua figlia sarà liberata dagli attacchi del nemico".

Una tunica appartenente alla ragazza fu portata al sant'uomo, che la esaminò molto seriamente e disse:

"Questo vestito non è suo".

Tuttavia il padre assicurava che lo fosse e Pacomio gli rispose: "Sì, lo so che è proprio suo, ma se è una vergine dedicata a Dio, non ha mantenuto la sua santa purezza ed è per questo motivo che, dopo aver ispezionato la sua tunica ed aver percepito che era stata negligente dalla sua santa castità, ho dichiarato che non è suo. Che ella ti prometta agli occhi di Dio che d'ora in poi sarà continente e Cristo avrà pietà di lei e la farà guarire".

Addolorato ed arrabbiato, il padre interrogò sua figlia ed alla fine gli confessò che era proprio come aveva detto il santo Pacomio. Ella si impegnò con un giuramento che non si sarebbe mai più comportata in quel modo ed il beato uomo pregò per lei il Signore e le mandò un po’ di olio benedetto. L'unzione con l'olio produsse immediatamente una guarigione ed ella glorificò senza indugio Dio per averla liberata non solo dal demonio, ma anche da un ripugnante modo di vivere. E per il resto della sua vita con l'aiuto di Cristo si dedicò al dovere della continenza.

 

Capitolo XXXVII - La reputazione di questo sant'uomo si diffondeva così rapidamente che non sorprende che un altro uomo che piangeva senza sosta per suo figlio posseduto da un demonio e non poteva portarlo al monastero, aveva implorato Pacomio in ginocchio di implorare per suo figlio l'onnipotente potenza di Cristo. Pacomio pregò per lui e gli diede del pane benedetto, raccomandandogli fortemente che (suo figlio) indemoniato avrebbe dovuto prenderne un po’ prima di ogni pasto.

Quando suo figlio volle mangiare gli diede un po’ di questo pane, ma lo spirito immondo non gli permise assolutamente di mangiarlo; intanto riempì le sue mani con altri pani che erano in tavola e cominciò a mangiare. Così il padre spezzò il pane benedetto in pezzi più piccoli, tolse i noccioli da alcuni datteri ed al loro posto mise dei pezzi di pane. Non mise nient'altro oltre ai datteri di fronte a lui, sperando che senza saperlo suo figlio potesse ricevere una benedizione. Ma, dopo averli aperti, gettò via i pezzi di pane che vi erano stati messi, imprecò contro i datteri e si rifiutò di mangiare qualsiasi cosa. Così il padre lo tenne completamente senza cibo per diversi giorni, finché alla fine, costretto dalla fame, mangiò il pane benedetto; cadde immediatamente in un sonno profondo e fu liberato dallo spirito malvagio. Ed il padre portò il figlio con sé alla dimora del santo Pacomio, lodando e glorificando Dio che opera innumerevoli cose grandi e meravigliose per i suoi servi.

Questo beatissimo uomo fece molte altre guarigioni in virtù dello Spirito Santo, ma non fu mai presuntuoso, né attribuì alcun merito a se stesso. Inoltre, aveva questo dono di Dio che si comportava sempre in modo equilibrato in tutte le cose e non lasciava mai che il suo spirito si allontanasse dalla disciplina del Signore. E se mai avesse chiesto qualcosa a Dio e la sua richiesta non fosse stata soddisfatta, non si contristava minimamente, ma sopportava pazientemente sapendo che qualunque cosa avesse stabilito la divina misericordia era giusta per lui come per tutti gli altri. Poiché a volte, con le migliori intenzioni, chiediamo cose inopportune che non ci sono concesse perché la bontà di Dio ritiene opportuno rifiutarle. Allora (dobbiamo piuttosto credere che Dio) ci esaudisce con indulgenza nel momento in cui non soddisfa le richieste ottenebrate nella notte della nostra stessa ignoranza.

Capitolo XXXVIII - Un certo giovane di nome Silvano lasciò la sua vita sul palcoscenico per vivere nel monastero con il santo Pacomio. Ma dopo essere stato ricevuto, infettato dalle perverse abitudini del secolo, non poteva assoggettarsi a nessuna disciplina regolare. Incurante della propria salvezza trascorreva i suoi giorni in passatempi ridicoli e vuoti della sua vita precedente, e persino ottenne un certo seguito tra i fratelli, persuadendoli a imitarlo. La maggior parte dei fratelli si opponeva a ciò ed esortarono il santo Pacomio ad espellerlo dal monastero. Egli non fu d'accordo con questa decisione ma, sopportando tutto con serenità, parlò con il fratello, esortandolo a modificare i suoi modi ed a rinunciare al suo stile di vita precedente. Supplicava anche costantemente il Signore in suo favore, affinché con l'abituale abbondanza della sua misericordia riempisse di compunzione il cuore del giovane.

Ma il giovane persisteva nei suoi modi dissoluti, prospettando agli altri un esempio di perdizione, finché alla fine tutti furono d'accordo nel ritenere opportuno tagliarlo fuori dalla congregazione come completamente indegno.

Ma il beato Pacomio credette di dover ancora rinviare. Lo coinvolse con gli avvertimenti della massima dolcezza e saggezza e gli diede sante istruzioni, con il risultato che si infiammò di timore di Dio e la sua anima si rattristò per fede riguardo al suo futuro destino, tanto che fu completamente incapace di trattenersi dalle lacrime. Essendosi così completamente corretto, servì agli altri come grande esempio di conversione. Infatti, piangeva continuamente ovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo ed anche quando stava mangiando insieme ai fratelli non smetteva di lamentarsi. Questo fatto irritò molti dei monaci che dissero:

"Smetti infine di piangere, per favore, e getta via queste espressioni di dolore".

Egli rispose: "Per quanto mi sforzo di smettere di piangere, come voi chiedete, non ci riesco perché è come se nel mio petto bruciasse una fiamma che non mi permette di stare tranquillo".

Di nuovo gli dissero: "Allora piangi in privato o in ogni caso durante le preghiere, ma almeno quando ci raduniamo per il pasto dovresti mangiare e smettere di piangere. Perché è perfettamente possibile mantenere la compunzione nella tua anima senza tutte queste manifestazioni esteriori di pianto. Molti dei fratelli non riescono a mangiare quando ti vedono piangere".

E lo incitavano ad esporre il motivo di tanti pianti.

Allora disse loro: "Non vorreste che io piangessi, vedendo quanto sono sostenuto dai santi fratelli? Io dovrei persino adorare la polvere sotto i loro piedi e non mi considero degno di far parte della loro compagnia. Non dovrei piangere, quando un uomo di teatro, colpevole di molti peccati, riceve tanto riguardo? Ho sempre molto timore che anch'io, profano come Datan e Abiron, debba essere inghiottito da una voragine nella terra (Nm 16,32). Quegli uomini dalle mani e dalle azioni impure avevano tentato di fare uso di cose sante ed anch'io, benché sia così consapevole del dono di Dio, ho disprezzato la salvezza della mia anima a causa del mio rilassato comportamento. Riflettendo sempre su queste cose, non mi vergogno di piangere di fronte a tutti voi perché io conosco i miei molti peccati e devo espiarli con costanti fonti di lacrime. Sebbene io dia sfogo alla mia anima con lamenti, non faccio davvero una gran cosa poiché in questo momento non riesco a pensare ad alcuna punizione adeguata per i miei peccati".

Questo fratello progrediva in meglio di giorno in giorno e superava quasi tutti i suoi fratelli in umiltà, tanto che il santo Pacomio ebbe a dire su di lui in presenza di tutti i fratelli:

"Vi dichiaro, fratelli e figli, davanti a Dio ed ai suoi santi Angeli, che da quando questo cenobio è stato fondato, io ho conosciuto solo uno tra i fratelli, che sono o furono con me, che abbia seguito la mia umiltà".

Alcuni dei fratelli, sentito ciò, pensavano che stesse parlando di Teodoro, altri di Petronio, altri ancora di Orsiesi. Poiché Teodoro lo pregò di dire di chi stesse parlando ed il santo uomo ritardava la risposta, allora Teodoro glielo chiese di nuovo con maggiore urgenza. Anche altri fratelli anziani lo supplicavano perché dicesse chi fosse (il fratello) a cui rendeva una tale testimonianza.

Allora rispose Pacomio: "Non te lo direi mai se pensassi che la persona di cui ho parlato dovesse lasciarsi eccitare dagli stimoli della vanagloria, ma poiché non ho il minimo dubbio che, per la grazia di Cristo, tanto più sarà lodato quanto più si umilierà, quindi non temo di parlare bene di lui in presenza di tutti affinché lo possiate imitare.

Anche tu, Teodoro, e coloro che ti sono simili, combattendo generosamente nel monastero avete, con la grazia di Dio, incatenato il diavolo come fosse un passero e l'avete schiacciato sotto i vostri piedi come fosse polvere. Ma, Dio non voglia, se commetterete qualche negligenza voi vedrete colui che è sotto i vostri piedi alzarsi ed attaccarvi con spaventoso furore.

Ma questo giovane Silvano, che non molto tempo fa volevate cacciare dal monastero per la sua negligenza, ha umiliato così tanto il nemico e l'ha scacciato dai suoi pensieri, tanto da non poter essere paragonato a nessun altro, e con la sua grande umiltà l'ha vinto in tutte le cose. Infatti, mentre voi, fratelli miei, confidate con ambizione nelle opere di giustizia che compiete; questo (giovane) invece si giudica inferiore a tutti, per quanto duramente combatta, e con tutta la sua anima e tutto il suo coraggio egli si giudica inutile e meschino. È per questo che piange così prontamente, perché si abbassa e si umilia moltissimo e reputa di non fare nulla di importante. Non c'è nulla come l'umiltà di un cuore puro, insieme con le opere di penitenza, per distruggere il potere del diavolo".

Il suddetto giovane Silvano ha combattuto valorosamente al servizio di Dio per altri otto anni prima di giungere alla fine della sua vita in pace. Il beato Pacomio rese testimonianza della sua fine col fatto che una schiera di santi Angeli portò via la sua anima con grande gioia, offrendola come un sacrificio prescelto agli occhi di Cristo.

 

Capitolo XXXIX - In quello stesso tempo, il modo in cui Pacomio presiedeva ad un così straordinario stile di vita giunse all'attenzione di Varo, il vescovo della città di Panos, che era un uomo molto rispettato in tutte le sue azioni, devoto a Dio, e che si distingueva come uno che amava con fervore la vera fede. Mandò delle lettere a Pacomio, supplicandolo largamente affinché andasse a costruire dei monasteri che egli auspicava fossero eretti anche vicino alla sua città. Per una serie di ragioni accettò la richiesta del vescovo e, mentre si recava da lui, decise che sarebbe stato giusto durante il viaggio visitare tutti i monasteri sotto la sua guida. Mentre si avvicinava ad uno di questi monasteri, incontrò la processione funebre di uno dei fratelli che vi aveva trascorso la sua vita in modo negligente. I fratelli dello stesso monastero stavano conducendo i funerali con grande onore, cantando i soliti salmi, con i parenti e gli amici del defunto tutti presenti. Quando videro Pacomio deposero immediatamente la bara e gli chiesero di pregare il Signore per il morto e per se stessi. Non appena terminata la preghiera dovuta a Dio si rivolse ai fratelli dicendo:

"Smettete di cantare i salmi". Ordinò di togliere al defunto gli splendidi paramenti con cui era rivestito e li fece bruciare davanti a tutti, comandando di prendere il cadavere per seppellirlo senza alcun altro canto di salmi.

I fratelli, i genitori del defunto e tutti gli altri che erano lì, vedendo con stupore una cosa così fuori dal comune e molto stupefatti, pregarono il vecchio di permettere loro di cantare i soliti salmi su di lui.

Poiché egli non acconsentì, i genitori del defunto cominciarono ad accusarlo dicendo:

"Cos'è questa novità? Chi non ha pietà di un morto, anche se fosse suo nemico? La tragedia della sua morte è già abbastanza da sopportare. Non comportarti con un morto, ti preghiamo, come neanche farebbero delle bestie e neanche la tua santità te lo concederebbe. Considera che la nostra reputazione sarà disonorata e saremo sospettati di ogni sorta di altre malvagità nascoste. Volesse il cielo che non fossimo mai venuti in questo luogo! Volesse il cielo che (questo nostro parente) non fosse mai diventato un monaco! Ora non infliggerci un eterno dolore. Ti preghiamo di ripristinare il canto dei soliti salmi per il defunto".

Pacomio rispose così: "Veramente, fratelli e figli, mi addoloro più di voi in presenza di questa persona morta, nella misura in cui voi pensate solo a ciò che è visibile e temporale, mentre la mia preoccupazione è per la sua vita invisibile ed è per questo che ho preso questa decisione nei riguardi del morto. E voi gli procurate ancora più dolore di quanto credete con questo onore: io invece con questa ingiuria (che gli faccio) desidero procurargli un po' di riposo eterno e di soddisfazione (per i suoi peccati). Ciò significa che non mi sto preoccupando del suo corpo inanimato, ma mi sto dando da fare per la sua anima immortale, alla quale sarà restituita la sua carne incorruttibile ed integra nel giorno della risurrezione. Se io vi accordassi ciò che volete sarei giudicato come uno che vuol piacere agli uomini e, per la vostra soddisfazione presente, avrei disprezzato ciò che poteva essere utile in futuro (a questo defunto).

Il nostro Dio è fonte di ogni bontà e cerca l'opportunità di riversare su di noi i doni traboccanti della sua misericordia e di perdonarci i nostri peccati, non solo in questo mondo ma nel mondo a venire. Quando infatti dice nel Vangelo: "A chi parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo né in quello futuro" (Mt 12,32), ci fa capire senza dubbio che ci sono alcuni peccati che indubbiamente possono essere perdonati nella vita futura se si prega per loro. Noi siamo stati considerati degni dal potere di Cristo di amministrare (a chi ci è sottomesso) la medicina prescritta dalla sua divinità e se non pronunceremo sentenze appropriate per ognuno, cadremo in discredito come sprezzanti dei suoi ordini e ci verrà detto come dice il profeta: "Ecco, voi che disprezzate (il Signore), stupitevi, andate in rovina" (Ab 1,5 Vulg., At 13,41). Perciò vi chiedo di permettere che questo defunto venga umiliato a causa dei suoi peccati, se non altro per essere ritenuto degno di ottenere un certo riposo eterno nel giorno del giudizio. Seppellitelo dunque senza i salmi, come ho detto. Il nostro potente Dio è benigno, clemente e molto misericordioso ed è in grado di concedergli il riposo eterno grazie alle preghiere di noi miseri".

Quando ebbe finito di parlare, se ne andarono e fecero come aveva detto il venerabile padre, seppellendolo sulla montagna dove la sua tomba era stata preparata

 

Capitolo XL - Il sant'uomo rimase con i monaci per due giorni e insegnò loro in primo luogo come ognuno debba vivere nel timore di Dio, poi come debbano combattere contro il diavolo affinché possano allontanare i suoi attacchi con (la grazia di) Cristo.

In quel tempo gli fu comunicato che un fratello del monastero di Chinobosci era gravemente malato ed implorava la sua ultima benedizione di preghiera. Sentendo ciò, l'uomo di Dio seguì immediatamente coloro che gli avevano portato la notizia. Mentre camminava in fretta ed era circa a due o tre miglia dal monastero dove stava andando, sentì una soavissima voce che risuonava nell'aria; alzando gli occhi vide l'anima di quel fratello che veniva portata rapidamente nella vita beata ed eterna dagli Angeli del Signore che cantavano un elogio funebre. I compagni di Pacomio invece non udirono alcuna voce né si accorsero di nulla ma, mentre lo vedevano soltanto guardare verso Oriente gli dissero:

"Perché ti sei fermato, padre? Dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare in tempo".

Rispose Pacomio: "Ormai corriamo per niente; ciò che sto osservando da un po' di tempo è il modo in cui questo fratello è condotto alle gioie dell'eternità".

Gli chiesero di spiegare come aveva visto l'anima e lui raccontò loro una parte di quello che aveva ammirato, per quanto potessero capire. Alcuni di loro si recarono in fretta al monastero, chiesero a che ora il fratello si fosse addormentato e scoprirono che tutto ciò che avevano appreso dall'uomo santo era vero.

Ti ho parlato di questo per due motivi: in primo luogo, per dimostrare che questo beato vecchio aveva un'intelligenza straordinaria (delle cose di Dio) e possedeva il dono della profezia, essendo in grado di vedere le cose distanti dai nostri sensi con gli occhi dello spirito; in secondo luogo, affinché noi, imitando questi uomini, evitiamo con cura la compagnia dei malvagi. E penso di aver già detto finora abbastanza su queste cose.

 

Capitolo XLI - Quando il santo Pacomio coi suoi monaci giunse infine dal vescovo di Chenoboscia, fu accolto con il massimo rispetto.  Per il suo arrivo (il vescovo) celebrò una grande festività e gli mise a disposizione i luoghi in cui si sperava che sarebbero stati fondati i monasteri, come gli aveva chiesto nelle lettere qualche tempo prima, ed il venerabile uomo si accinse prontamente a costruirli. Nella fase di costruzione del muro di cinta per evitare che qualcuno potesse entrare facilmente, alcune persone detestabili, accecate dall'invidia del diavolo, arrivarono di notte e distrussero ciò che era stato costruito finora. Ma la punizione per i loro errori non ritardò a lungo. Infatti, mentre il vecchio spingeva i suoi discepoli a sopportare con pazienza tutto questo, quei malvagi si riunirono, come d'abitudine, per portare a termine le loro scelleratezze che avevano iniziato. Ma l'Angelo del Signore li distrusse subito col fuoco e li ridusse al nulla, come il fuoco annienta la cera.

I fratelli, quindi, finirono rapidamente l'intero edificio, dove il beato Pacomio installò come monaci degli uomini religiosi ai quali mise a capo Samuele, che era un uomo molto gioviale, dotato di un grande dono di moderazione. Una volta che questi monasteri furono costruiti nei pressi della città, il santo decise di rimanere lì per un po’ di tempo, finché i fratelli che aveva riunito non si fossero ben radicati con la grazia di Cristo.

 

Capitolo XLII - Durante questo periodo un filosofo di quella stessa città venne a visitarli, avendo sentito parlare della loro reputazione di servitori di Dio, volendo sapere chi fossero e quale fosse la loro professione. Vedendo alcuni dei monaci disse loro: "Chiamatemi il vostro padre, dato che desidero discutere con lui su cose importanti. Quando anche il santo uomo seppe che era un filosofo, mandò a lui Cornelio e Teodoro, dicendo loro di rispondere alle sue indagini con la massima prudenza possibile.

Usciti incontro a lui, il filosofo disse loro: "Abbiamo ascoltato molti racconti di come vi dedichiate allo studio della saggezza e che amate fortemente la solitudine, secondo ciò che insegna la vostra religione. Oltre a ciò voi siete noti per essere capace di dare risposte sagge a chiunque indaghi su qualcosa e quindi ho deciso di interrogarvi a proposito delle cose che studiate".

Teodoro gli disse: "Chiedi ciò che vuoi".

Rispose il filosofo: "Tu vuoi discutere con me per soddisfare le mie domande?"

Teodoro gli rispose: "Dimmi cosa hai in mente."

Allora il filosofo disse: "Chi è morto senza essere nato? Chi è nato ma non è mai morto? Chi è morto ma non ha sofferto la corruzione?"

E Teodoro disse: "Non c'è nulla di molto difficile nelle tue domande, o filosofo, a cui si può facilmente rispondere. Colui che morì senza essere nato fu Adamo, il primo uomo. Colui che nacque ma non morì mai fu Enoc, che piacque a Dio e fu elevato al cielo (Gen 5,24). Colei che morì ma non soffrì la corruzione fu la moglie di Lot che fu trasformata in una statua di sale, e rimane fino ad oggi nella stessa forma come esempio per tutti coloro che non credono (Gen 19,26). E il mio consiglio per te, o filosofo, è che tu rinunci alle tue inette proposizioni ed alle domande vuote e che ti converta senza indugio al vero Dio che onoriamo e che tu riceva la remissione dei tuoi peccati per guadagnare la salvezza eterna".

Stupito dalla risposta il filosofo andò via senza fare altre domande, ma con l'ammirazione dell'acutezza dell'uomo e dalla così rapida ed abile risposta acquisita.

 

Capitolo XLIII - Pacomio trascorse poi molti altri giorni in questo monastero di nuova costruzione. In seguito partì ed andò in un altro monastero sotto il suo controllo. Mentre tutti i fratelli si affrettavano ad uscire per incontrarlo con somma riverenza, un bambino della stessa congregazione, che correva in mezzo a loro cominciò a gridare dicendo:

"Veramente, padre, dall'ultima volta che sei stato qui, nessuno ci ha cucinato verdure o legumi".

Gli rispose pacatamente Pacomio: "Non preoccuparti, figlio mio, ora te ne cucinerò io"

Andò nel monastero e dopo le preghiere andò in cucina dove trovò il fratello responsabile della cucina che stava facendo degli "psiathos" (cioè delle stuoie di giunco), che il popolo chiama "matta".

Pacomio gli disse: "Dimmi, fratello, quanto tempo è passato da quando hai cucinato verdure o legumi per i fratelli?"

Gli rispose: "Quasi due mesi".

E il santo Pacomio disse: "Perché hai agito così contro la regola e privando i fratelli di questo beneficio?"

Rispose, facendo le sue umili scuse: "Io provavo ogni giorno, venerabile padre, di portare a termine il mio dovere, ma qualunque cosa io cucinassi non veniva mangiata dai fratelli perché erano tutti a digiuno (dal momento che solo i fanciulli mangiano qualcosa di cotto), quindi per non sprecare questo cibo preparato con così tanto lavoro e spese ho smesso di cucinarlo. E per non essere ozioso ho scelto di tessere le stuoie con i fratelli, sapendo che solo uno dei miei assistenti è sufficiente per preparare quel poco cibo che i fratelli vogliono per i loro pasti, cioè le olive e le erbette".

Udendo ciò Pacomio disse: "E quante le stuoie che dici di aver fatto?"

Rispose: "Cinquanta."

E Pacomio: "Portale qui fuori tutte per farmele vedere"

E quando furono disposte di fronte a lui, ordinò immediatamente che fossero gettate nel fuoco!

Poi disse (ai fratelli incaricati della cucina): "Poiché avete disprezzato la regola che vi è stata data di occuparvi dei fratelli, allora io condanno senza distinzione le vostre fatiche ad essere consumate dal fuoco, perché sappiate quanto sia pernicioso infrangere le regole stabilite dai padri e che sono state predisposte per la salvezza delle anime. Forse che non sapete quale gloriosa cosa sia sempre il digiuno in questa vita presente? Il Signore ricompensa grandemente chiunque, per quanto è in grado, digiuna in considerazione dell'amore di Dio. Ma quando non ha scelta in materia ma è obbligato per necessità, la sua forzata astinenza è inutile e può aspettarsi invano una ricompensa. E quando c'è una varietà di piatti messi di fronte a loro, se i fratelli ne usufruiscono con parsimonia per Dio, allora dimostrano che tutta la loro speranza è in Dio. Se non vedono il cibo, se non hanno mai avuto alcuna possibilità di vederlo, come possono aspettarsi una ricompensa da Dio per la loro astinenza? Col pretesto di una piccola preoccupazione per il costo, non bisogna tralasciare questa grande opportunità che hanno i fratelli".

 

Capitolo XLIV – Mentre stava parlando loro, correggendo a sufficienza i loro errori, il portinaio venne da lui in tutta fretta, dicendo che alcune importanti persone e degli eminenti anacoreti erano arrivati e desideravano vederlo. Comandò subito che li facessero entrare e, dopo averli salutati con la dovuta riverenza ed aver recitato una preghiera, li condusse nelle celle dei fratelli e mostrò loro tutte le altre parti del monastero. Poi chiesero al vecchio se potevano discutere privatamente con lui di alcune questioni. Allora li portò nella sua cella e si sedette con loro. Mentre loro discutevano su certi argomenti astrusi ed arcani, Pacomio cominciò a sentire un odore terribile. Egli li sentiva parlare con discorsi raffinati e sembrava che fossero esperti nella sante Scritture, ma a causa di quel terribile odore non poteva né pensare, né dire nulla. Dopo che ebbero così a lungo discusso sugli scritti divini, si avvicinò l'ora nona dedicata alla refezione ed essi si alzarono e dissero che dovevano andare via. Il sant'uomo li invitò con forza a fermarsi a mangiare, ma non vollero affatto accettare, dicendo che dovevano tornare in fretta alla loro dimora prima del tramonto del sole. Lo salutarono e partirono senza indugio.

Il santo Pacomio, volendo meglio conoscere la causa dell'odore, si prostrò in preghiera pregando il Signore di rivelargli che tipo di persone fossero. Gli fu allora reso noto che era l'empietà delle opinioni che avevano espresso e di cui erano pervasi ad esalare un tale fetore dai loro cuori. Senza indugio li seguì, li raggiunse e disse loro.

"Vorrei solo chiedervi una cosa".

Essi risposero: "Chiedi".

(Pacomio) disse: "Non avete mai letto i Commentari di Origene?"

Negando ciò dissero: "Niente affatto".

Disse loro: "Davanti a Dio vi dico che chiunque legga Origene e sia d'accordo con le sue opinioni depravate sarà mandato nelle parti più profonde dell'Inferno, dove la sua eredità sarà fatta di vermi e di tenebre esteriori, dove le anime dei malvagi subiranno una punizione eterna. Ecco! Io ho avuto cura di rendervi noto ciò che mi è stato rivelato da Dio. Perciò io sono scagionato; vedetevela voi (Mt 27, 24: Vulg.) se avete respinto ciò che è giusto. Se voi mi volete credere e piacere a Dio in tutte le cose, gettate tutti i libri di Origene nel fiume per timore che voi possiate essere annegati con loro".

Detto ciò egli li lasciò e tornò a riprendere la sua abituale vita di virtù, dove trovò i fratelli in preghiera coi quali si unì a cantare con ardore gli inni ed i cantici spirituali.

 

Capitolo XLV - Mentre i monaci andavano a pranzo, il venerabile vecchio si recò nella propria cella dove era solito pregare il Signore. Chiudendo la porta si mise a pregare intensamente, mentre pensava alla visione che aveva appena visto. Pregò il Signore di rivelargli quale sarebbe stata la situazione futura dei suoi monaci e cosa sarebbe accaduto alla congregazione ormai così grande dopo la sua morte. (Pregò) dall'ora nona fino al momento in cui il fratello incaricato delle preghiere notturne chiamò per invitare ai soliti uffici, proseguendo così nell'assiduità delle proprie suppliche.

Mentre perseverava nella preghiera, improvvisamente verso mezzanotte ebbe una visione in risposta alle sue preghiere, che lo illuminò molto sulle condizioni di coloro che dovevano venire dopo di lui. Man mano che i suoi monasteri crescevano sempre più intensamente, vide che molti avrebbero vissuto devotamente e castamente, ma apprese anche che un gran numero di (monaci) avrebbero vissuto negligentemente fino a perdere completamente la loro possibilità di salvezza. Di conseguenza vide, così lui stesso raccontò, una folla di monaci che stavano in una valle abbastanza profonda e buia, con alcuni di loro che cercavano di uscirne ma non ci riuscivano. Infatti, non si distinguevano l'un l'altro e così andavano a sbattere tra di loro, completamente incapaci di trovare la via d'uscita da quel luogo buio e profondo. Altri ancora, dopo vani tentativi, furono sopraffatti dalla stanchezza e scesero agli inferi. Altri, giacendo per terra, piangevano con voci pietose e lacrimevoli. Ma c'erano alcuni che si arrampicavano con smisurata fatica e, mentre salivano, compariva improvvisamente una luce, immersi nella quale ringraziavano Dio di essere riusciti a scappare.

Così Pacomio venne a sapere cosa sarebbe successo negli "ultimi tempi"; si addolorò fortemente per le menti accecate di alcuni che dovevano venire dopo di lui, del loro cuore che andava errando e della mancanza delle buone opere. Si lamentava, soprattutto, dei prepositi che per la loro negligenza, per la loro indolenza e per la loro poca confidenza in Dio sarebbero diventati causa di divisione tra persone che dovevano essere unite, pensando solo a piacere ad una stolta moltitudine ed esibendo l'abito monastico senza produrre nessuna buona opera. Per la prima volta i peggiori avrebbero detenuto il comando, ignorando anche solo le parole di come avrebbe dovuto essere una vita di conversione, e necessariamente sarebbero sorti i conflitti e le invidie e avrebbero conteso litigando con ambizione su chi dovesse essere il superiore; i più virtuosi saranno rigettati e saranno eletti i malvagi; ciascuno vorrà essere elevato al di sopra degli altri, non per la rettitudine di vita, ma semplicemente per l'età e l'anzianità. Allora i buoni uomini non avranno più il coraggio di parlare per il bene della comunità, ma saranno costretti a tacere, per timore di subire grandi persecuzioni a causa della loro onestà (oppure: col pretesto del decoro). Ma che bisogno c'è di entrare nei dettagli di ciò che potrà accadere, quando tutto ciò che è soggetto alle leggi divine viene sovvertito dalla attrattive umane? Allora Pacomio gridò piangendo al Signore:

"Dio Onnipotente, se questo è ciò che sta per accadere, perché mi hai permesso di fondare questi cenobi? Infatti, se in futuro coloro che presiedono ai fratelli diventeranno corrotti, come saranno quelli che dovranno vivere sotto il loro dominio? "E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!" (Mt 15,14). Guai a me! Perché ho lavorato inutilmente ed invano! Signore, ricordati dello zelo con cui i tuoi doni mi hanno permesso di lavorare; ricordati dei tuoi servi che ti hanno servito con tutto il cuore; ricordati della tua alleanza che hai promesso che sarà conservata fino alla fine del mondo per coloro che ti adorano (Mt 15,20). Tu sai, o Signore, che dal tempo in cui io presi l'abito monastico mi sono umiliato enormemente ai tuoi occhi, né mi sono mai saziato di pane ed acqua o di qualsiasi creatura che tu hai fatto".

E mentre parlava, una voce venne dal cielo dicendo:

"Non vantarti, Pacomio, sei solo un essere umano bisognoso di misericordia, poiché tutto ciò che ho creato continua ad esistere grazie alla mia misericordia".

Pacomio si gettò immediatamente a terra, chiedendo il perdono al Signore e dicendo:

"Dio onnipotente, "venga a me la tua misericordia e io avrò vita" (Sal 119 (118),77). Non togliermi la tua misericordia, perché la tua misericordia e la verità mi hanno sempre sostenuto. Io so infatti, o Signore, che tutte le cose vacillano e vanno in rovina senza la protezione del tuo aiuto".

Dette queste parole vide sopra di lui degli Angeli di luce ed un giovane era in mezzo a loro che, brillando di un'indescrivibile bellezza e brillantezza, emanava raggi di splendore come il sole, avendo sulla sua testa una corona di spine.

Allora gli Angeli sollevarono da terra Pacomio e gli dissero: "Poiché hai chiesto al Signore la misericordia, ecco che è giunta la tua misericordia, il Dio di gloria Gesù Cristo Figlio unigenito di Dio Padre che è stato inviato in questo mondo ed è stato crocifisso per la salvezza del genere umano, portando sulla testa una corona di spine".

Pacomio disse: "Per favore dimmi, o Signore, sono stato io che ti ho crocifisso?"

Gli disse amabilmente il Signore: "Non sei stato tu a crocifiggermi, ma i tuoi antenati. Ma nonostante ciò sii di buon animo e consola il tuo cuore, perché i tuoi posteri resisteranno per sempre e non falliranno fino alla fine del mondo. Coloro che verranno dopo di te saranno liberati dalle tenebre profonde nella misura in cui vivranno nell'astinenza e si prenderanno cura della loro salvezza. Solo quelli che si fondano sulla tua presenza, seguendo l'esempio delle tue virtù, brillano di una grande luce di grazia. Coloro che verranno dopo di te e che dimoreranno qualche tempo nelle tenebre di questo secolo, usciranno da queste spesse tenebre con l'esatta osservanza della giustizia e con un ardente amore della vita eterna e beata, nella misura in cui avranno avuto la prudenza di sapere ciò che si deve cercare o evitare e, con spontanea volontà, avranno rinunciato ai cattivi esempi che si vedono nel mondo. In verità io ti dico che a loro sarà concessa la stessa salvezza ed il riposo eterno di coloro che sono con te ora e che eccellono in virtù e santità".

Dopo aver parlato così il Signore salì al cielo. L'atmosfera si illuminò così tanto che nessun linguaggio umano era in grado di esprimere quello splendore di luci.

 

Capitolo XLVI – Il santo Pacomio, colmo di ammirazione per ciò che gli era stato mostrato, andò all'ufficio notturno con tutti i fratelli. E quando il sacro ufficio fu completato con solennità, tutti i monaci, secondo la loro consuetudine, si radunarono attorno al vecchio per ascoltare la parola di Dio. (Pacomio) aprì la sua bocca ed insegnava loro dicendo:

"Figlioli miei, con tutte le forze ed il potere di cui siete capaci, lottate coraggiosamente per la vostra salvezza e combattete valorosamente contro la forza armata del nemico, prima che arrivi il tempo in cui noi stessi piangeremo lamentandoci miseramente, se rimarremo inerti e pigri. Non sprechiamo i nostri giorni che il Signore ci ha elargito, ma sviluppiamo le nostre virtù con tutto lo zelo. Perché io vi dico che se voi conosceste le cose buone preparate per i santi in cielo ed i tormenti rimasti per quelli che hanno deviato dalla via della virtù, dopo aver conosciuto la verità e non averla abbracciata degnamente, con tutta la vostra forza fuggireste da quella punizione eterna e vi affrettereste ad ottenere quella splendida eredità che è stata promessa ai servi di Dio. Proprio nessuno, se non chi è malvagio e dissipato, evita e disprezza (tali benedizioni), perché non sa assolutamente cosa potrebbe perdere. È necessario che si ravvedano subito e che scaccino i loro desideri mondani, affinché piangano ininterrottamente per le loro offese passate ed ottengano la misericordia di Dio, in modo che possano rivolgersi a cose migliori e così dirigano i loro percorsi al fine di poter partire felici da questa vita e giungere con grande gioia al Regno celeste.

Quando abbandona il suo tabernacolo terreno, l'anima si espande nella conoscenza della propria esistenza interiore e, congiungendosi ai cori degli Angeli celesti, si affretta a presentarsi al Padre delle luci. Perché l'uomo si esalta per la vanagloria? Perché una creatura di polvere si esalta? Perché si insuperbisce essendo terra e cenere? Piuttosto piangiamo mentre abbiamo tempo, così che quando la nostra fine a lungo ritardata si abbatterà su ognuno di noi, non dovremo chiedere il tempo per fare penitenza, quando ormai non meriteremo più di riceverla. È infatti in questa vita che ci viene permesso di piangere per i nostri peccati, mentre impariamo dal santo profeta David: "Chi negli inferi canta le lodi del Signore?" (Sal 6,5)? E' enormemente infelice quell'anima che, piangendo con fiumi di lacrime, avendo rinunciato una volta al mondo si impegna di nuovo nelle azioni del mondo e, dopo essere stata liberata dalle preoccupazioni mondane, ancora una volta ritorna al servizio di una così dura schiavitù. Quindi, carissimi fratelli, non permettiamo che la vita eterna e beata ci venga tolta da questo mondo fugace e che passerà ben presto.

Io temo veramente, tremando fortemente nell'intimo, che i nostri genitori secondo la carne - i quali vivono nel mondo e si preoccupano degli affari della vita presente - pensino che abbiamo rinunciato ai mali del mondo e che fin da ora abbiamo già acquisito (una garanzia di accesso) alla vita eterna e ci condannino col loro giudizio dicendoci: "Perché vi siete inoltrati nei vostri sentieri" (Sap 5,7), afflitti da tante miserie?  La vostra grande tristezza aumenta la nostra afflizione ed il vostro fulgore accresce le nostre sofferenze. I nostri rami sono diventati sterili e non producono più i frutti che i fiori promettevano. Io temo anche fortemente che non ci rivoltino contro quella profezia (di Geremia): "I nostri cari sono caduti in disgrazia, sono diventati abominevoli e la corona è stata strappata dalle loro teste. Le città situate a Sud sono chiuse e non c'è nessuno che le apra. (Ger 13,18) L'empio sarà sterminato affinché non veda la gloria di Dio" (Is 26,10, secondo i LXX). Pensiamo a queste cose, fratelli miei, e combattiamo con tutte le nostre forze per non essere sconfitti dal nemico. Poiché, come sempre, insiste per distruggerci, noi dobbiamo vegliare affinché non ci faccia perire coi suoi inganni, Dio non voglia".

"Soprattutto, teniamo l'ultimo giorno davanti ai nostri occhi e tremiamo ogni istante (pensando) alle punizioni del dolore eterno. In questo modo l'anima cresce nella conoscenza di sé e, mortificando il proprio corpo con digiuni e veglie, essa persevera nel dolore e nell'afflizione (per i suoi peccati) finché, infiammata dal fuoco dello Spirito Santo, sarà ritenuta degna del dono della contemplazione divina e sarà pienamente saziata dalle parole divine di conforto (dopo che si sarà) liberata dalla corruzione terrena. Colui che medita sempre su queste cose ottiene la purezza di spirito ed acquisisce l'umiltà di cuore, rifiuta la vanagloria e si sforza di rinunciare alla saggezza del mondo.

"Occorre che l'anima spirituale, carissimi fratelli, impieghi la sua saggezza contro la pesante materia della sua carne; agisca con lei con grande prudenza, in modo che concordi (nell'aspirare) a cose migliori. E quando di notte andrà a dormire, dica a tutte le membra del corpo: "Finché siamo insieme, obbeditemi poiché io vi consiglio solo cose giuste e venite con me a servire il Signore con entusiasmo". Dica alle sue mani: "Arriverà il momento in cui le vostre vanterie cesseranno, quando non sarete più un meschino amministratore di collera, quando i vostri palmi, non potendo rapinare, andranno a riposo ". (La tua anima) dica ai suoi piedi: " Arriverà il momento in cui non avrete più la forza di correre a capofitto nell'iniquità, quando non potrete più camminare nei sentieri della depravazione". Che parli allo stesso modo anche a tutte le sue membra e dica loro: "Prima che la morte ci separi l'un l'altro e che si realizzi la punizione che ci ha colpiti a causa del peccato del primo uomo, combattiamo fermamente, perseveriamo nei nostri propositi, lottiamo coraggiosamente, serviamo il Signore senza indolenza e pigrizia affinché, quando verrà di nuovo, ponga fine alle nostre fatiche terrene e ci conduca al regno dell'immortalità. Occhi, versate lacrime; carne, mostra la tua nobiltà con l'obbedienza e lavora con me nelle preghiere con cui mi confesso a Dio per timore che, dando tregua al vigore e dormendo, ci procuri il tormento eterno. Sii sempre vigile in tutto ciò che fai, perché se tu agirai con sobrietà ne riceverai un'abbondante ricompensa di beni".  "Ma se sarai negligente, un'infinità di miserabili tormenti si abbatteranno su di te e poi sentirai l'anima in pianto che griderà al corpo: "Guai a me che sono legata a te ed a causa tua sono sottoposta alla punizione di una condanna eterna".

Ora, se nel nostro spirito ripassiamo queste cose con assiduità, diventeremo veramente il tempio del Signore e lo Spirito Santo dimorerà in noi, così che nessuna astuzia di Satana sarà in grado di sorprenderci. Mediante meditazioni di questo tipo, il timore del Signore ci insegnerà e ci renderà prudenti più delle dottrine di diecimila pedagoghi e studiosi; e lo stesso Spirito Santo infonderà in noi tutto ciò che non siamo in grado di cogliere con la percezione umana. "Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente" come dice il beato Apostolo, "ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili" in nostro favore (Rm 8,26).

"Ci sono molte altre cose che potrei dirvi ma, per non obbligarvi ad affaticarvi troppo, porrò fine al mio sermone. Fratelli, possa il Dio della pace e della grazia darvi forza e stabilirvi nel suo timore. Amen "

Detto ciò subito si alzò, li raccomandò a Dio e se ne andò.

 

Capitolo XLVII - Mentre tornava al monastero di Tabennisi con Teodoro e Cornelio ed un certo numero di altri fratelli, improvvisamente rimase completamente immobile per un po’ nel corso del viaggio, come se volesse consultare qualcuno su di un affare segreto. Si rese conto nello spirito che uno degli ordini che aveva dato al monastero (da dove erano partiti) veniva trascurato. Egli aveva infatti decretato che i fratelli che lavoravano nel panificio non indulgessero a chiacchiere vuote quando preparavano le oblazioni [cioè il pane per l'eucaristia], ma che dovevano limitare la conversazione ad argomenti edificanti. Chiamò allora Teodoro che era a capo di quel monastero e gli disse:

"Vai in segreto ed informati con cura di ciò che i fratelli hanno detto ieri sera mentre preparavano le oblazioni ed assicurati di riferirmi qualunque cosa tu apprendi".

(Teodoro) eseguì l'ordine, fece indagini diligenti e riferì al santo Pacomio ciò che aveva scoperto. Egli disse: "Forse che i fratelli pensano che (le regole) che ho dato loro da osservare siano tradizioni umane? Non si rendono conto che persino la negligenza di un ordine di poca importanza può farli cadere in grandi pericoli? Gli Israeliti non restarono concordemente in silenzio per sette giorni davanti alla città di Gerico, finché al tempo stabilito tutti loro lanciarono un grande grido e si impadronirono della città (Cfr. Gs 6,10)? Forse che il comandamento di Dio, per quanto trasmesso da una voce umana, fu trascurato con negligenza? I monaci d'ora in poi osservino i nostri ordini, affinché questo peccato di negligenza sia loro perdonato, così come noi stessi osserviamo rigorosamente gli ordini che prescriviamo per gli altri".

Entrato nel monastero, dopo le preghiere, visitò i fratelli che stavano facendo le stuoie di giunco. [Cfr. Cap. XLIII]. Si sedette con loro ed anche lui cominciò a lavorare. Ora, un fanciullo che era stato nominato suo aiutante per la settimana passò di lì, vide il beato Pacomio che lavorava e gli disse: "Non lo stai facendo bene, padre, Abba Teodoro tesse in un altro modo".

Il santo si alzò subito e disse al fanciullo: "Fammi vedere come dovrei tessere".

E quando (il fanciullo) glielo insegnò, (Pacomio) si sedette di nuovo al suo lavoro con un animo tranquillo, mostrando con ciò di aver contenuto lo spirito di orgoglio. Perché, se avesse giudicato anche solo minimamente secondo la carne, non avrebbe prestato alcuna attenzione alle istruzioni di un fanciullo, ma piuttosto lo avrebbe rimproverato per aver osato parlare così al di là di ciò che permetteva la sua età.

 

Capitolo XLVIII -  Qualche tempo dopo, mentre si era separato da tutti e viveva in solitudine, il diavolo gli apparve in una falsa veste e stando davanti a lui disse:

"Saluti, Pacomio. Io sono Cristo e vengo da te come ad un fedele amico mio".

Ma Pacomio, con la rivelazione dello Spirito Santo, respingendo la visione del nemico, pensava tra sé e si diceva:

"La venuta di Cristo è pacifica, e la sua visione libera da ogni paura ed è piena di gioia; infatti subito allontana i pensieri umani e lascia il posto ai desideri celesti, ma in questo momento sono turbato ed agitato da un tumulto di pensieri".

Poi si alzò, si fece il segno della croce ed allungò le mani come per afferrarlo. Soffiando contro di lui disse:

"Diavolo, allontanati da me perché tu sei maledetto e con le tue visioni e le tue arti insidiose, non hai posto tra i servitori di Dio".

(Il diavolo) fu trasformato in polvere e, riempiendo la cella di un odore molto disgustoso e corrompendo tutto l'ambiente, gridò ad alta voce:

"Poco fa avrei potuto guadagnarti e ridurti sotto il mio potere, ma la forza di Cristo è suprema e perciò io sono sempre beffato da te. Io non cesserò mai di attaccarti, per quanto sarà in mio potere; infatti, io devo svolgere il mio compito senza sosta".

Così Pacomio fu rafforzato dallo Spirito Santo e ripose la sua fiducia nel Signore, ringraziando per i grandi doni e le benedizioni che si riversavano su di lui.

 

Capitolo XLIX - Passeggiando una notte in questo monastero con Teodoro, all'improvviso si accorse di un grande fantasma in lontananza, di un'apparenza molto seducente. Era infatti vestito da donna, molto più bello di qualsiasi bellezza umana, tanto da non riuscire a descrivere la sua forma ed il suo aspetto. Mentre Teodoro lo guardava, divenne estremamente agitato ed il suo volto cambiò colore. Il venerabile vecchio vide che Teodoro era moltissimo spaventato e gli disse:

"Metti la tua fiducia nel Signore, Teodoro, e non aver paura".

Detto ciò stette in preghiera, supplicando il Signore che la presenza della sua divina maestà potesse mettere in fuga questo splendido fantasma. Non appena cominciarono a pregare insieme, questa donna cominciò ad avvicinarsi, preceduta da una grande moltitudine di demoni. Mentre Pacomio terminava le sue preghiere, ella arrivò e disse loro:

"Perché vi tormentate invano quando non potete farmi nulla di male? Infatti, il Signore mi ha dato il potere di mettere alla prova chiunque voglio".

Pacomio la interrogò dicendo: "Chi sei? Da dove vieni, e chi stai cercando di tentare?"

Essa disse: "Io sono la potenza del diavolo ed un'orda di demoni mi è del tutto assoggettata. Io sono colei che fa precipitare sulla terra i santi luminari [13] e li avvolgo nelle tenebre di una voluttà mortale. Sono io che ho ingannato Giuda e l'ho privato della dignità di essere un apostolo. Perciò, o Pacomio, ho chiesto al Signore di poterti dichiarare guerra senza sosta, perché non posso più sopportare i rimproveri dei demoni per il fatto che tu ti sei dimostrato più potente di tutti i miei stratagemmi ed assalti. Non c'è nessuno come te che mi abbia reso impotente. Infatti il tuo insegnamento mi dà in balia ai giovani, ai vecchi e persino ai fanciulli e fa sì che quasi mi calpestino. E tu hai radunato contro di me un così grande esercito di monaci, circondandolo dal muro indistruttibile del timore di Dio, che i miei ministri non hanno alcun potere di sedurre qualcuno di voi con i loro molteplici inganni. Questo è ciò che ci sta accadendo a causa della parola di Dio, che si è fatta uomo, che vi ha dato il potere di calpestare la nostra potenza".

E Pacomio disse: "Cosa poi? Sono l'unico che sei venuto a tentare, come hai detto, o ci sono altri?"

Gli disse: "Tu e quelli che ti sono simili".

Di nuovo il sant'uomo la interrogò: "Anche Teodoro?"

Ella rispose: "Ho cercato anche Teodoro e mi è stato dato il potere per mettervi entrambi alla prova, ma io non riesco ad avvicinarmi a voi".

Avendola interrogata sul perché non potesse fare ciò ella rispose: "Se combattessi contro di voi vi procurerei una non piccola vantaggiosa opportunità, soprattutto a te, Pacomio, perché hai raggiunto tali altezze celesti che sei stato ritenuto degno di vedere la gloria del Signore con i tuoi occhi corporei. Ma tu pensi che abiterai sempre con i tuoi monaci che ora proteggi con le tue preghiere e corrobori con le tue esortazioni? Verrà un tempo dopo la tua morte quando mi scatenerò selvaggiamente tra di loro quanto vorrò e farò con loro qualunque cosa mi piacerà. Perché tu ora fai in modo che io sia calpestato dalla grande congregazione di monaci".

Ed il sant'uomo disse: "Miserabile, non ti rendi conto che forse ci saranno persone migliori dopo di noi e che, servendo Cristo con una sincera volontà, istruiranno con la purezza della loro dottrina ed edificheranno con la santità del loro esempio coloro che si rifugiano nella disciplina del Signore".

E quella disse: "Io so che tu stai semplicemente mentendo, (parlando) all'opposto alla tua ragione".

Allora Pacomio disse: "No, sei tu che sei il principe delle bugie, perché non sei per niente in grado di predire il futuro. Solo Dio conosce il futuro ed è un privilegio della sua maestà e del suo potere avere una conoscenza anticipata di tutte le cose".

Rispose lei: "Per quanto riguarda la preconoscenza, come dici, ammetto che non ne so molto, ma per mezzo della predizione conosco molte cose".

Ed il santo Pacomio chiese: "Cosa intendi per predizione?"

Disse ella: "Io deduco il futuro da quello che è successo prima.

Ed il sant'uomo le disse: "Come puoi farlo? Dimmi!"

E lei disse: "Tutte le cose fin dall'inizio tendono a prosperare nel tempo fino al termine stabilito, finché alla fine il loro slancio si indebolisce. E così io predico che questa tua vocazione divina è stata rafforzata nei suoi inizi dal consiglio celeste ed è cresciuta grazie a segni e prodigi ed a tutti i tipi di virtù. Ma quando diventerà un po’ più vecchia, crescerà meno rapidamente, si stancherà col passare del tempo, comincerà a fallire per pigrizia e negligenza e, in questa situazione, potrò in qualche modo prevalere. Ma per ora il mio compito è di far cadere chiunque io possa, e non cesserò di mettere alla prova grandi uomini".

Pacomio le disse: "Se, come dici tu, non cesserai di mettere alla prova grandi uomini, se affermi che il tuo compito principale è la perdizione delle anime e che con la tua malizia superi tutti i demoni, dimmi, perché in questo momento non puoi prevalere contro i servitori di Dio?".

E quella disse: "Te l'ho già detto prima: a causa della meravigliosa incarnazione di Cristo sulla terra noi dobbiamo continuare con poteri molto limitati, così che coloro che credono nel suo nome ci deridono come fossimo dei passeri. Anche se ci siamo indeboliti, noi non siamo ancora così inattivi da non impegnarci senza sosta nell'ingannare chiunque possiamo. Perché non ci fermiamo mai di combattere il vostro genere, insinuando i pensieri cattivi nelle menti di coloro che si sono schierati contro di noi. E quando sentiamo che stanno dando qualche assenso alle nostre lusinghe, allora ispiriamo pensieri ancora più disgustosi, ed accendiamo (nei loro cuori) i fuochi di varie eccitazioni voluttuose; e così, combattendo energicamente, possiamo penetrare le loro difese e sottometterli completamente al nostro potere.

D'altra parte, se vediamo che respingono ciò che suggeriamo loro e non ci prestano attenzione, e se essi costruiscono seriamente e vigilmente le loro difese attraverso la loro fede in Cristo, ci disperdiamo nell'aria come un fumo, come scacciati e messi in fuga dal loro cuore. Non ci è permesso di combattere con tutte le nostre forze con ogni uomo, perché non tutti sono in grado di resistere ai nostri attacchi. Se ci fosse permesso di schierare tutte le nostre forze indiscriminatamente contro tutti, saremmo in grado di ingannare molti che ora sono protetti dalla tua operosità. Ma cosa possiamo fare se essi sono aiutati dalle tue preghiere e rafforzati dalla forza e dalla potenza del Crocifisso?".

Allora disse alla donna il santo Pacomio con un grande gemito: "Quanto è infaticabile la vostra malizia che non cesserà mai di esercitare la sua crudeltà contro il genere umano, finché la virtù divina, che è il Figlio di Dio, tornerà di nuovo dal cielo e vi consumerà e distruggerà per sempre!"

Detto ciò, maledisse l'orda dei demoni nel nome di Cristo. Dopo di che furono dispersi e portati a nulla.

Il mattino dopo Pacomio convocò tutti i fratelli che erano superiori sia per la santità della loro vita che per l'anzianità ed espose loro tutto ciò che aveva visto e udito dagli spiriti maligni. Mandò anche avvertimenti per lettera a quelli che erano altrove per rafforzarli nella disciplina e nel timore del Signore, istruendoli saggiamente affinché non si arrendessero assolutamente in nulla ai fantasmi demoniaci e non avessero paura delle insidie che tendono loro con multiformi artifici. Tutti (i fratelli), vedendo e sentendo le meraviglie che faceva con l'assistenza della grazia di Dio, corroborati ed affermati nella fede, sopportavano con grande ardore il fardello della temperanza.

 

Capitolo L - Nel frattempo uno dei fratelli, che imitava con zelo la pazienza mostrata dal vecchio, fu morso ai piedi da uno scorpione durante la preghiera. Il veleno penetrò così tanto che il dolore gli arrivò fino al cuore e fu quasi sul punto di esalare l'ultimo respiro. Ma, sebbene soffrisse di uno straordinario dolore, tuttavia non si spostò dal suo posto fino a quando non ebbe finito la preghiera: dopo di che Pacomio immediatamente pregò Cristo per lui e lo restituì al suo stato precedente di salute.

 

Capitolo LI - Anche Teodoro soffriva terribilmente per i dolori causati da una grave malattia alla testa. Chiese a Pacomio di pregare affinché potesse ottenere un certo sollievo.

Gli rispose Pacomio: "Credi, figlio, che qualsiasi dolore o sofferenza o qualsiasi altra cosa del genere possa accadere a qualcuno senza che Dio lo permetta? Perciò, sopporta il tuo dolore umilmente e pazientemente, e Dio ti darà sollievo quando vorrà. E se si degnerà di metterti alla prova per un lungo periodo di tempo, sii grato come lo fu il perfettissimo e pazientissimo Giobbe che benediceva il Signore pur soffrendo molte prove e tormenti strazianti. E, come lui, anche tu riceverai come ricompensa ai tuoi dolori una maggiore consolazione da Cristo. L'astinenza e la preghiera perseverante sono cose buone, ma un malato ottiene un beneficio più grande quando si comporta con sopportazione e pazienza. Poiché parlare di uomini eccellenti ci porta dei vantaggi, ritengo necessario che a beneficio di molti si racconti qui quale fu la pazienza di un altro uomo, tale da trascendere ogni lode umana".

 

Capitolo LII

Un monaco di nome Zaccheo, dopo aver passato un lungo periodo di tempo nell'astinenza, fu colto dall'itterizia e ricevette una cella completamente separata dai fratelli, accontentandosi durante il resto della sua vita soltanto di pane e di sale. Era sempre impegnato a tessere stuoie di giunco e per amore del Signore sopportava così tanta sofferenza che le sue mani spesso, nell'avvolgere sottili fili, venivano ferite ed effluivano gocce di sangue; questo stesso fatto ci fa conoscere la grande pazienza di quest'uomo. Nonostante questa grande infermità corporea non fu mai assente alla riunione dei fratelli, ma vi andava con sollecitudine per adempiere a tutte le orazioni diurne, a tal punto che non dormiva mai durante il giorno. Ogni notte, prima di andare a dormire, era sua abitudine meditare su qualcosa delle sacre Scritture; dopo aver fatto il segno della croce su tutte le parti del corpo rendeva subito grazie al Signore e solo allora si riposava un po'. Poi, circa verso mezzanotte, si alzava e rimaneva attivo fino al tempo delle preghiere mattutine.

Un giorno un fratello vide quelle mani coperte di sangue, danneggiate così gravemente dall'eccesso e dal vigore del suo lavoro, e gli disse:

"Perché, o padre, ti tormenti così con questo durissimo lavoro, essendo fortemente oppresso dalla tua infermità? Forse perché hai paura di offendere Dio e di essere accusato di ozio se lavorerai meno assiduamente? Dio sa che tu stai soffrendo e che una persona afflitta da tanti mali è incapace di dedicarsi ad un lavoro, soprattutto perché non c'è nessuna necessità che ti obbliga. Perché se noi diamo generosamente, prima a Dio, poi ai pellegrini ed ai poveri, quanto più dovremmo servirti con la massima devozione, tu che sei un così grande padre".

(Zaccheo) gli rispose: "Impossibile per me non lavorare!"

Ed il fratello disse: "Se ti piace così, almeno metti dell'olio sulle tue mani, affinché non si deteriorino mentre lavorano a causa dell'uscita di sangue".

Accettò il suo consiglio e fece ciò che era stato esortato di fare, ma aggravò le sue mani ferite così tanto da non riuscire a sopportarne il dolore. Il beato Pacomio passò di lì, lo vide e, venuto a sapere la causa (del suo dolore), gli disse:

"Pensavi davvero, fratello, che l'olio avrebbe potuto giovarti? Chi ti ha costretto a lavorare così vigorosamente al punto che, col pretesto del lavoro, hai riposto la tua fiducia in questo olio visibile piuttosto che in Dio? O forse è impossibile a Dio guarirti? Oppure non conosce le malattie di ogni persona ed ha bisogno dei nostri avvertimenti? O ci disprezza, lui che è misericordioso per natura? (Dio) prende in considerazione ciò che è vantaggioso alle nostre anime e permette che noi soffriamo per il momento con tristezza, per riversare su di noi le ricompense eterne dovute alla tolleranza. Affidiamo quindi a lui tutte le nostre attenzioni e preoccupazioni; quando lo vorrà e quando lo giudicherà (opportuno) nella sua misericordia porrà fine ai nostri dolori".

Gli rispose (Zaccheo): "Perdonami, venerabile padre, e prega per me il Signore che nella sua bontà si degni di perdonarmi questa colpa".

Molte persone assicurano che questo vecchio durante un intero anno pianse (per i suoi peccati), prendendo un po' di cibo solo dopo due giorni di digiuno. Il santo Pacomio lo proponeva ai monaci come esempio di buone opere e di eccelsa virtù. Inoltre, gli mandava tutti coloro che erano afflitti, perché non c'era nessuno che avesse una parola di conforto come lui. Combatté coraggiosamente in una santa vecchiaia fino alla fine, finché non passò al regno celeste per ricevere la consolazione eterna per tutti i suoi dolori.

 

Capitolo LIII - Pacomio certamente non nascose assolutamente mai i talenti a lui affidati (Cfr. Mt 25,18), ma li usò a beneficio di tutti e mandò (Zaccheo) e molti altri come lui, che erano diventati perfetti nella loro vita, alla presenza di Cristo prima di lui. Egli celebrò con lieto spirito un giorno di festa ringraziando Dio per i tanti frutti che gli aveva concesso e che sono stati il soggetto di questo nostro lungo resoconto. Passata la benedetta festa di Pasqua, dopo che molti dei suoi fratelli erano andati dal Signore prima di lui, alla fine si ammalò anche il santo Pacomio e fu assistito da Teodoro, che abbiamo spesso menzionato. Sebbene tutto il suo corpo fosse debole e debilitato, la sua faccia era splendente ed allegra, così che a tutti coloro che lo vedevano dava prova della santità della sua anima e della purezza della sua coscienza. Due giorni prima che morisse di una santa morte, riunì tutti i fratelli e disse loro:

"Carissimi, io sto per entrare senza timore nella via dei padri, perché sento che il Signore mi chiama senza indugio. Ma voi ricordate tutti gli insegnamenti che frequentemente avete sentito da me e, vigilanti nella preghiera, siate sobri in tutto ciò che farete. Non abbiate nulla a che fare con le sette di Melezio, Ario, Origene o di qualsiasi altro che si ponga contro i precetti di Cristo. Frequentate coloro che temono il Signore e che possono aiutarvi grazie alla loro santa vita e possono offrire alle vostre anime un conforto spirituale. "Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita" (2 Tm 4,6). Perciò, mentre sono ancora qui, scegliete un fratello tra di voi che, dopo Dio, abbia autorità su tutti e si prenda cura delle vostre anime. Per quanto valga il mio giudizio, io reputo Petronio come adatto a questo compito, ma spetta a voi scegliere ciò che vi è vantaggioso".

Essi accettarono il consiglio del loro padre come figli obbedienti. Petronio era infatti un uomo di grande fede, umile nel portamento, prudente nel suo modo di pensare, di buone abitudini e perfetto nel discernimento. Il santo Pacomio pregò il Signore per lui, perché aveva saputo che era malato nel monastero di Chenoboscia. Ma Pacomio, benché (Petronio) fosse assente, affidò tutta la fraternità alle sue cure e gli comunicò di venire immediatamente da lui. Si armò del segno della Croce e, guardando con un volto gioioso l'Angelo della Luce che veniva da lui, rese la sua santa anima (a Dio) nel quattordicesimo giorno del mese di Pashons, secondo gli Egiziani, che è il settimo giorno prima delle idi di maggio secondo i Romani. [9 maggio]

I suoi discepoli si presero cura del suo corpo venerabile in modo adeguato secondo le usanze, vegliarono su di esso per tutta la notte con canti di salmi ed inni ed il giorno dopo lo seppellirono nella montagna, nel luogo che era stato stabilito [Cfr. cap. XXXIX]. I fratelli che erano stati mandati a prendere il santo Petronio lo portarono (al monastero) ancora affetto dalla sua malattia. Costui governò tutta la fraternità solo per pochi giorni e lì morì in pace, lasciando dietro di sé (come successore) un uomo giusto e gradito a Dio, di nome Orsiesi.

 

Capitolo LIV

Abbiamo descritto solo alcuni dei numerosi meriti ed abbiamo esposto solo un piccolo numero delle grandi imprese (di questi eminenti personaggi), e non per rendere loro alcun onore. Infatti, essi non hanno bisogno di elogi, perché è sufficiente per loro godere della lode eterna e della gloria senza fine che sono stati loro concessi alla presenza di Cristo e di tutti i suoi santi Angeli e che riceveranno ancor più in abbondanza alla resurrezione dei loro corpi. Essi brilleranno come il sole nel regno di Dio (Mt 13,43), che ha promesso di glorificare coloro che lo glorificano. Cerchiamo di seguire le loro orme con tutte le nostre forze e, consapevoli dello splendore delle loro vite, cerchiamo di imitarli con l'aiuto di Cristo, aiutati sempre dalle preghiere dei beati padri, patriarchi, profeti, apostoli, martiri e tutti i santi, che danno sempre gloria e lode al nostro onnipotente e misericordioso Dio, alla Trinità beata e coeterna, consustanziale ed indivisibile, Padre, Figlio e Spirito Santo, a cui sia data ogni lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Note del traduttore:


[1] Per una biografia completa di Pacomio si veda la pagina: "Il monachesimo cenobitico – Pacomio"

[2] Pacomio morì il 14 del mese di pašons (= 9 maggio) ed è a questa data che si fa menzione di lui nei sinassari copti ed etiopici. I martirologi occidentali, non conoscendo il calendario copto, confusero il 14 pašons con il 14 maggio ed è infatti a quest'ultima data che Pacomio è celebrato nei martirologi di Usuardo e di Baronio, L'errore è stato tuttavia corretto nell'edizione del 1922 del Martirologio Romano in cui la memoria di Pacomio è riportata al 9 maggio. I sinassari bízantini lo celebrano in generale al 7 maggio (Sinassario Costantinopolitano), ma anche al 6, al 14 e al 15 dello stesso mese. (Fonte: "S. Pacomio. Abate di Tabennesi",di Armand Veilleux, in Bibliotheca Sanctorum, Vol. X, Rome 1968, col. 10 20).

[3] Dionigi il Piccolo è stato un monaco cristiano scita, che visse a Roma tra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Volle essere chiamato "il Piccolo" in segno di umiltà verso San Dionigi l'Areopagita e San Dionigi di Alessandria. È famoso per avere calcolato la data di nascita di Gesù, collocandola nell'anno 753 dalla fondazione di Roma, e per avere introdotto l'uso di contare gli anni a partire da tale data (anno Domini). Oggi, tuttavia, la maggioranza degli studiosi ritiene che la data di Nascita di Gesù vada collocata, in base all'interpretazione dei vangeli, tra il 7 e il 4 a.C., quindi alcuni anni prima della data calcolata da Dionigi.

A partire dal 500 circa Dionigi visse a Roma, dove divenne un dotto membro della Curia e tradusse dal greco in latino 401 canoni ecclesiastici, compresi i Canoni apostolici; i decreti dei concili di Nicea, Costantinopoli, Calcedonia e Sardica; e una raccolta delle decretali dei papi da Siricio a Anastasio II. La sua raccolta, conosciuta come Collezione Dionisiana è indubbiamente, assieme ai Canoni degli Apostoli, la più importante del suo tempo. Uomo assai dotto, soprattutto nella Sacra Scrittura, nella matematica e nel greco, fu autore di un trattato di matematica elementare e tradusse dal greco al latino le vite di San Pacomio e di altri santi e il trattato "De hominis opificio, Sulla creazione dell'uomo" di Gregorio di Nissa. (Fonte: Wikipedia)

[4] Heribert Rosweyde (1569 - 1629), (accademico e gesuita olandese, celebre per la sua raccolta di documenti sui santi) nella sua Vitae Patrum supppone che questa fosse la figlia di un patrizio e console romano, Simmaco, di nome Galla. Essa fu data in sposa ad un giovane patrizio, che morì dopo appena un anno dalle nozze. La giovane vedova, secondo Gregorio Magno, si ritirò vivendo una vita da reclusa in un monastero nell'area dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano. Morì nel 550 e viene celebrata nel Martirologio Romano il 5 ottobre: "A Roma, santa Galla, che, figlia del console Simmaco, alla morte del marito attese per molti anni presso la chiesa di San Pietro alla preghiera, alle elemosine, ai digiuni e ad altre opere sante; il suo beato transito è stato narrato da papa san Gregorio Magno". (Fonte: Wikipedia)

Si noti che Salvatore Pricoco, nel libro "Storia del cristianesimo: L’antichità" - Editori Laterza 2008, sostiene che Dionigi abbia dedicato l'opera a Proba, sorella di Galla.

[5] Martirizzato nel 311. Celebrato nel Martirologio romano il 26 novembre.

[6] Questa parola, archimandrita, è stata utilizzata nella Chiesa orientale dal 4 ° secolo per il capo di un monastero, ed è quindi l'equivalente di un "abate". In seguito fu usata per designare un governante in diversi monasteri. E' ancora utilizzata nella Chiesa d'Oriente di oggi.

[7] Altri manoscritti hanno Serapione, vescovo di Tentira. Tentira oppure Dendera oppure in copto Nikentori o Nitentori.

[8] Questa storia dell'incontro di Pacomio con sua sorella viene riferita negli stessi termini riguardo a Teodoro nel libro III, capitolo 34 dei Verba Seniorum dello Pseudo Rufino.

[9] Il 6 gennaio, a quel tempo la festa del battesimo di nostro Signore, veniva a volte associata alla Natività. Oggi, la festa dell'Epifania. 

[10] Il tabernacolo di Mosé è la tenda-santuario, chiamata la "Dimora" nella Bibbia C.E.I., costruita da Mosè come luogo di culto durante l'esodo dall'Egitto. (si veda ad esempio Es 26; 36; 40). Essa era costituita da un cortile esterno (il tabernacolo esteriore), dove c'era l'altare degli olocausti e dalla Tenda di Convegno. In questa c'era il Santo, contenente la tavola di presentazione dei pani (uno per ogni tribù D'Israele), il candelabro a sette lampade e l'altare dei profumi, ed il Santo dei Santi.

[11] Il Santo dei Santi costituiva l'area più sacra del tabernacolo, occupava un terzo della lunghezza del santuario ed era separato per mezzo di una tenda, il parochet, dal locale principale detto "il Santo". Il Santo dei Santi era il luogo dove si manifestava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, ma soltanto tramite la sua voce o la sua gloria, ed in esso era custodita l'Arca dell'Alleanza con le tavole della Legge. 

[12] (Esodo 32.26-28, Levitico 21.11, Deuteronomio 33. 8-9 ).

[13] I "sacri luminari" sono Lucifero e gli angeli ribelli. Si veda per esempio Isaia (14, 12-13) dove il profeta apostrofa così il re di Babilonia: «Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino (lucifer), figlio dell'aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli?  Eppure tu pensavi nel tuo cuore: "Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, .... mi farò uguale all'Altissimo" .

I padri della Chiesa interpretano il passo in senso figurato e riferiscono la perifrasi lucifer all’angelo ribelle che, tentato da Satana, rifiutò di obbedire al proprio creatore, fu scacciato dal Paradiso e precipitato negli abissi degli Inferi. Per esempio Agostino, Omelia 3,7: "Lucifero era un angelo e diventò diavolo; e la Scrittura disse di lui: Lucifero, astro del mattino, è caduto (Is 14, 12). E' stato chiamato Lucifero perché, illuminato, risplendeva. E' diventato tenebroso perché non rimase nella verità (cf. Gv 8, 44)".


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5 aprile 2019        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net