Regola di S. Benedetto

Prologo:  " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.
Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte"...

"Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?". Difatti il Signore misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva".

 Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere: " ...- anelare con tutta l'anima alla vita eterna, - prospettarsi sempre la possibilità della morte. ..."

Capitolo VII - L'umiltà - Dobbiamo quindi guardarci dalle passioni malsane, perché la morte è annidata sulla soglia del piacere.

Capitolo XXV - Le colpe più gravi - Il monaco colpevole di mancanze più gravi .... Attenda da solo al lavoro che gli sarà assegnato e rimanga nel lutto della penitenza, consapevole della terribile sentenza dell'apostolo che dice: "Costui è stato consegnato alla morte della carne, perché la sua anima sia salva nel giorno del Signore".


La libertà di Gesù

DALLA PAURA DELLA MORTE

Ludwig Monti

Estratto dal libro "Gesù, uomo libero" - Ed. Qiqajon 2020

 

Si legge nella Lettera agli Ebrei:

 

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per paura della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita (Eb 2,14-15).

 

Tra le tante verità contenute in queste parole, ce n’è una che riguarda direttamente il nostro tema: per liberare gli uomini dalla paura della morte, Gesù ha vissuto in prima persona questa forma estrema, decisiva di libertà [1]. Cerchiamo dunque di analizzare brevemente come Gesù ha manifestato la sua libertà dalla paura della morte.

Le testimonianze scritte sulla fine della vita terrena di Gesù concordano nel dichiarare che egli è stato condannato e messo a morte mediante crocifissione, a Gerusalemme, la vigilia del sabato di Pasqua, il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. È noto che per la Scrittura questa è la morte del maledetto da Dio (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), appeso tra cielo e terra perché rifiutato da Dio e dagli uomini; per gli autori pagani, inoltre, la morte di croce è “il supplizio proprio degli schiavi” [2], “il supplizio più crudele e orribile” [3]. Questa fine fallimentare è subito apparsa uno scandalo - “lo scandalo della croce” (cf. 1 Cor 1,23) -, un ostacolo per la fede in Gesù, in particolare quando si cominciò a confessarlo Messia di Israele e perciò Figlio di Dio. Eppure per l’autentica fede cristiana è proprio il crocifisso colui che “ha raccontato Dio” (cf. Gv 1,18: exeghésato); anche sulla croce, anzi soprattutto sulla croce, Gesù “ha reso testimonianza alla verità” (cf. Gv 18,37), trasfigurando uno strumento di esecuzione capitale nel luogo della massima gloria. Ma com’è stato possibile che un uomo appeso a una croce venisse adorato dai cristiani come Salvatore e Signore, suscitando ovviamente il disprezzo e lo scherno di autori giudaici e pagani?

Per rispondere a questa domanda è in primo luogo necessario guardarsi dalla tentazione di leggere Gesù a partire dalla croce; al contrario, si tratta di leggere anche la croce a partire da colui che vi è stato issato senza opporre resistenza: Gesù [4]. Chiarito questo optimum imprescindibile, ci si può interrogare sul perché Gesù sia stato ucciso e su come abbia affrontato la prospettiva della sua imminente morte violenta [5]. Qual è stata la causa, nel duplice senso di causa storica e di principio interiore profondo, che ha animato l’agire di Gesù? I vangeli si preoccupano di dirci chiaramente che Gesù è andato verso la morte non per caso né per necessità, ossia a motivo di un destino incombente su di lui. No, Gesù non è stato arrestato casualmente, egli stesso aveva intravisto con lucidità la propria fine: la fine toccata a tutti i profeti, la fine vissuta dal suo maestro Giovanni Battista solo pochi anni prima, la fine che era l’esito dell’opposizione nei suoi confronti da parte del potere religioso. Non si dimentichi in proposito il suo lamento su Gerusalemme, città che “uccide i profeti e lapida quelli che le sono inviati” (cf. Mt 23,37; Lc 13,34). Ma il suo non era neanche un destino ineluttabile: di fronte al cerchio che gli si stringeva intorno, Gesù restava libero di fuggire e tornare in Galilea, oppure di terminare nel tempio di Gerusalemme la sua avventura di annuncio itinerante del Regno.

Né caso, né necessità: Gesù è andato verso la morte nella libertà e per amore, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (eis télos: Gv 13,1) [6]. È quanto ricordano anche le parole liturgiche collocate al cuore della tradizione divenuta il memoriale della passione e morte di Gesù:

 

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione (Qui cum passioni voluntarie traderetur), prese il pane e rese grazie [7] ...

 

Per attuare il tuo disegno di redenzione si consegnò volontariamente alla morte (in mortem tradidit semetipsum), e risorgendo distrusse la morte e rinnovò la vita ... Egli, venuta l’ora d’essere glorificato da te, Padre santo, avendo amato (dilexisset) i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (in finem dilexit), e mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie [8] ...

 

I vangeli sottolineano la sovrana libertà con cui Gesù, nelle ore che precedono la passione, depone la propria vita (cf. Gv 10,18) e accoglie l’immersione che lo attende e il calice da bere (cf. Mc 10,38); egli agisce cioè in piena continuità con quanto aveva fatto e detto lungo tutta la sua esistenza, seguitando ad amare e a spendere la propria vita, fino a consegnarla in modo totale, per la giustizia di Dio e il servizio ai fratelli e alle sorelle.

Per mostrare concretamente ai discepoli tutto questo, Gesù chiede loro di preparare un ultimo pasto, un seder pasquale secondo i sinottici (cf. Mc 14,12-31 e par.), un pasto testamentario secondo il quarto vangelo (cf. Gv 13,1-17,26). Ed è proprio in occasione di questa cena predisposta da Gesù stesso che egli annuncia la sua consegna da parte di uno dei dodici. La rivelazione della morte imminente non è accompagnata da alcun tentativo di fuga o ribellione da parte di Gesù. Anzi, l’annuncio del tradimento di Giuda accompagna (cf. Mc 14,18-21 e par.) l’atto significativo compiuto da Gesù durante questa cena: un’azione sul pane e sul calice, spiegata mediante parole tese a illuminare e a dare senso a quel gesto. Ciò che diverrà realtà nelle ore seguenti è anticipato nel mimo profetico: quella morte sarà l’atto estremo di una vita consegnata e spezzata come il pane, sarà sangue versato come il vino, quale conclusione di una vita contraddistinta dall’amore per Dio e per gli umani, fino all’estremo.

Resta vero che Gesù ha ripetutamente annunciato che la sua passione “era necessaria” (Mc 8,31 e par.; Lc 13,33; 17,25; 24,7). Lo era però di una necessità precisa, innanzitutto umana, sulla quale avevano già meditato i sapienti di Israele (cf. Sap 1,16-2,20): in un mondo ingiusto, il giusto può solo essere osteggiato, perseguitato e, possibilmente, ucciso. La storia conferma implacabilmente questa necessità: chi ha sete di giustizia, la vive e la predica, incontra ostilità e rifiuto, ieri come oggi. Gesù avrebbe potuto tacere o passare dalla parte degli ingiusti; continuando invece a essere liberamente fedele alla volontà di Dio, continuando a fare il bene, poteva solo preparare il suo rigetto, da parte del potere romano, che vedeva in lui una minaccia alle pretese totalitarie dell’imperatore, e da parte del potere religioso giudaico, che non poteva sopportare il volto di Dio narrato da Gesù.

Così la necessità umana diventa anche necessità divina, non nel senso che Dio, suo Padre, lo voglia in croce (come purtroppo per secoli ha ripetuto una certa spiritualità cristiana “deviata”, finendo per creare folle di atei!), ma nel senso che la libera obbedienza alla volontà di Dio da parte di Gesù, volontà che chiede di vivere l’amore fino alla fine, esige una vita di giustizia e di amore anche a costo della morte violenta:

 

La necessità della condanna di Gesù è dunque dentro la libera scelta di vita che egli ha fatto, quella appunto di dire, costi quello che costi, la verità di Dio. Una scelta di vita, questa, che porta con sé necessariamente il rischio della condanna [9].

 

Sappiamo che il Padre ha risposto all’amore vissuto liberamente da Gesù richiamandolo dai morti alla vita senza fine, ma questo è un discorso che aprirebbe altri sentieri di riflessione. Qui mi limito a segnalare una suggestiva affermazione contenuta nel salmo 87 (88), la supplica più tenebrosa dell’intero Salterio: secondo la versione della Vulgata l’orante, pur immerso nella condizione di massima derelizione, osa presentare se stesso come inter mortuos liber, “libero tra i morti” (v. 6) [10]. I padri, con intelligenza spirituale, hanno applicato queste parole al soggiorno di Gesù tra i morti e alla sua resurrezione [11]: essi mostrano in tal modo di aver compreso che, paradossalmente, anche tra i morti Gesù è rimasto libero.

Non solo, dunque, come a ragione si afferma, il suo amore è stato più forte della morte (cf. Ct 8,6), ma anche la sua libertà lo è stata. Per questo Pietro ha potuto proclamare nel giorno di Pentecoste: “Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (At 2,24). Anche tra i morti Gesù è rimasto libero, perché neppure la morte ha potuto imprigionare la sua libertà. Insegnamento capitale, alla luce del quale ci è dato di guardare con occhi nuovi il temibile passaggio della morte, temibile soprattutto perché ci consegna all’ignoto. “Che cos’è la morte? O è la fine, o è un passaggio”, scriveva Seneca [12]. È pensabile una terza possibilità? Come sperimentarla qui e ora? Detto altrimenti: potremo anche noi essere definiti, come i cristiani delle origini, “coloro che non hanno paura della morte”, così da vivere, oggi, altrimenti?

 


[1] Su questo punto sono particolarmente debitore nei confronti di E. Bianchi, “Gesù di fronte alla sua morte: dovrà soffrire ed essere ucciso”, in “Chi credete che io sia?". Gesù nel suo e nel nostro tempo, a cura di F. Dal Bo, Ferrara 2007, pp. 47-58.

[2] Tacito, Storie IV, 11,3.

[3] Cicerone, Contro Vene 11,5,165.

[4] Si vedano al riguardo le intelligenti osservazioni di Giuseppe Colombo: “Nell’immaginario ‘cristiano’ la croce sembra prevalere sul crocifisso, dando libero sfogo alle tendenze ambigue insite nel subconscio dell’uomo ... [Ma] non è la croce a fare grande Gesù Cristo; è Gesù Cristo che riscatta persino la croce, la quale è propriamente da comprendere, non retoricamente da esaltare” (G. Colombo, Sulla evangelizzazione, Milano 1997, p. 64).

[5] Tra l’ampia bibliografia sul tema segnalo, in italiano: M. Gourgues, Gesù davanti alla sua passione e alla sua morte, Torino 1981; H. Schiumami, Gesù di fronte alla propria morte. Riflessioni esegetiche e prospettiva, Brescia 1983; Aa.Vv., Gesù e la sua morte, Brescia 1984; C. Molari, “Gesù di fronte alla sua morte”, in Sarà cosi lasciare la vita?, a cura di L. Crozzoli Aite, Milano 2001, pp. 194-207

[6] “Ciò che è strano, unico, è il fatto che, proprio nel momento in cui il vortice che è stata la vita umana [di Gesù] ricade nel caos, si afferma trionfalmente un altro vortice: quello della libertà dell’amore gratuito” (J.-P. Bagot, Jesus un homme... etpuis?, p. 84).

[7] “Preghiera eucaristica II”, in Messale romano, Città del Vaticano 19837, p. 394

[8] “Preghiera eucaristica IV”, ibid., pp. 413-4^

[9] B. Maggioni, Era veramente uomo, p. 146 (sull’argomento si vedano, più in generale, le pp. 145-150).

[10] Cf. L. Monti, I Salmi: preghiera e vita. Commento al Salterio, Magnano 2018, pp. 980-984.

[11] Cf., per esempio, Cassiodoro, Commento ai Salmi 87 (88),6: ‘“Libero tra i morti’, perché ha infranto le porte della morte. La sua morte fu libera e volontaria”.

[12] Seneca, Epistole a Lucilio VII,65,24. Egli a sua volta si appoggia su Platone, Apologia di Socrate 40C.

 


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28 maggio 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net