Regola di S. Benedetto

I - Le varie categorie di monaci: La prima è quella dei cenobiti... La seconda è quella degli anacoreti o eremiti,.....La terza categoria di monaci, veramente detestabile è formata dai sarabaiti: molli come piombo, perché non sono stati temprati come l'oro nel crogiolo dell'esperienza di una regola, costoro conservano ancora le abitudini mondane, mentendo a Dio con la loro tonsura.

IV - Gli strumenti delle buone opere: Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; poi il prossimo come se stesso.... Rendersi estraneo alla mentalità del mondo; non anteporre nulla all'amore di Cristo.

LXVI - I portinai del monastero
Il monastero, poi, dev'essere possibilmente organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l'occorrente, ossia l'acqua, il mulino, l'orto e i vari laboratori, per togliere ai monaci ogni necessità di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime.

LXVII - I monaci mandati in viaggio
Quelli, poi, che rientrano, nel giorno stesso del loro ritorno si prostrino in coro al termine di tutte le Ore canoniche, implorando dalla comunità una preghiera per riparare le mancanze eventualmente commesse durante il viaggio, guardando o ascoltando qualcosa di male o perdendosi in chiacchiere. E nessuno si permetta di riferire ad altri quello che ha visto o udito fuori del monastero, perché questo sarebbe veramente rovinoso.

 


 

La relazione con il mondo nella Regola di San Benedetto

Fr. Michel-Marie O.S.B.

Tradotto dalla rivista " Présence d'En Calcat ", H-S n ° 2, 2006

Abbaye Saint Benoît d'En Calcat - (Dourgne - Francia).

 

 E' difficile esaminare una regola monastica riguardo al suo rapporto col mondo senza fare sorgere nell'inconscio collettivo che è dentro di noi dei modelli ben noti: quello della fuga dal mondo (la tradizionale fuga mundi), quello del deserto, dell'ideale eremitico o dell'autarchia di un gruppo umano che risiede lontano da altri uomini. Nel linguaggio quotidiano, la parola chiostro non designa un monastero? Tale fissazione sulla clausura, fino al punto di identificarla con la vita monastica, mentre nella Regola la parola compare solo due volte [1] (contro le 53 per la parola monastero), mostra con quale profondità queste figure tipo sono radicate in noi.

 La Regola di San Benedetto non è esente da menzioni che sono in linea con questa tradizione e che confermano questi schemi. Facciamo alcuni esempi:

- prima di tutto, lo sguardo positivo che Benedetto pone sugli eremiti che si recano nel deserto per condurre il singolare combattimento (RB 1, 5).

- la sua condanna dei sarabaiti che "serbano ancora fede al mondo" (RB 1, 7).

- la sua presentazione, come strumento delle buone opere, del fatto di "farsi estraneo ai costumi del mondo" (RB 4, 20).

- il suo ideale autarchico - forse un po' desiderato dal momento che lo integra con un "se è possibile" - ma in ogni caso motivato da una paura del mondo: "Il monastero, poi, se è possibile, dev'essere organizzato in modo che tutte le cose necessarie, cioè l'acqua, il molino, l'orto e le officine delle diverse arti si trovino dentro l'ambito del monastero, affinché i monaci non abbiano alcuna necessità di andar vagando fuori: ciò che non giova assolutamente alle anime loro" (RB 66, 6-7).

- le sue ripetute raccomandazioni ai fratelli che si trovano fuori dal monastero affinché non dimentichino la preghiera e non si prendano la libertà di accettare un invito a pranzo (RB 50 e 51); o ancora, la sua preoccupazione per coloro che sono in viaggio e devono, sembra in modo sistematico, chiedere le preghiere dei fratelli il giorno del loro ritorno "a causa delle mancanze in cui siano potuti incorrere nel viaggio" (RB 67, 3-4). Per quanto riguarda il racconto di ciò che si è visto e udito all'esterno, è da vietare "perché sarebbe un'ingente rovina" (RB 67, 5). Ciò indica la poca stima di Benedetto per ciò che accade nel secolo.

Questi pochi esempi sono sufficienti per chiarire il punto di vista. Dobbiamo allora concludere che Benedetto ha una visione essenzialmente negativa del mondo e che concepisce il monastero come una cittadella che deve proteggere il monaco dai suoi assalti? Vedremo che in realtà il problema è più sottile.

 

Il rifiuto del manicheismo

 La visione semplicistica che pone il monastero da una parte ed il mondo dall'altra, l'asse del bene contro l'asse del male, questa visione manichea è radicalmente incompatibile con il messaggio del Vangelo. Tuttavia occupa un posto importante nel nostro immaginario. Tutti possono constatare che il male è presente nel mondo. Dividere il mondo in bene ed in male è sempre stato il modo più semplice per spiegare il male. È facile capire che questa tentazione raggiunge anche il monaco e forse ancor più il legislatore di una regola monastica. Che sogno poter creare un'isola di "puri", isolata dal mondo, dove finalmente il male sarebbe bandito!

Ma Benedetto è troppo attaccato alla persona di Cristo per ignorare che l'universalità e la totalità della salvezza apportata da Cristo sono costitutive del messaggio evangelico. Proprio lui che termina la sua Regola col desiderio che Cristo "ci conduca tutti alla vita eterna" (RB 72,12), non può immaginare che sia necessario rigettare il mondo. Ma, d'altra parte, Benedetto conosce troppo bene la natura umana per sapere che il monaco non può fare qualsiasi cosa nella sua relazione con il mondo. Se Benedetto manifesta una così grande cautela su questo argomento (i passaggi menzionati prima lo mostrano bene), è perché sa che c'è tensione, non tra il mondo ed il monastero, ma tra lo spirito del mondo ed il Vangelo.

Il mondo non deve essere rigettato. Il mondo non è "malvagio". Ma è da evangelizzare. Anche il monaco deve essere evangelizzato perché ha in sé molte connivenze con il mondo. Ciò che costituisce il cuore di questo rapporto difficile e teso tra il monaco ed il mondo è infine la contestazione del mondo da parte del monaco e le tentazioni del mondo sul monaco. Bisogna, dunque, imparare a vivere insieme. Questo è il tessuto della Regola quando affronta questi problemi.

 

Il monaco, un uomo come tutti

Ciò che colpisce chiunque scopra la Regola di san Benedetto per la prima volta è la stupefacente semplicità dei temi che affronta: il cibo, l'abbigliamento, il lavoro, l'orario, gli utensili, il modo di prendere i pasti, di dormire, di viaggiare. Il lettore inesperto scopre che i monaci sono persone come tutti!

Chi penserebbe oggi di mettere tanti capitoli su argomenti così pragmatici in una regola di vita? Basta seguire le regole scritte del ventesimo secolo per rendersi conto che non c'è niente di simile. La ragione è forse semplicemente che la tradizione monastica ha così permeato la vita religiosa (e l'Occidente cristiano in generale) che molte delle forme concrete di questa vita del giorno d'oggi, che sembrano ovvie, provengono da un'eredità molto lontana.

Ad esempio, chi immaginerebbe oggi una comunità religiosa che non abbia il suo oratorio tranquillo e silenzioso? E' ovvio che sia così, si pensa, dimenticando che un capitolo speciale della Regola ha saldamente radicato questa tradizione: "L'oratorio sia ciò che dice il suo nome; e in esso non si faccia né si riponga niente di estraneo" (RB 52, 1). Su di un argomento così semplice come la necessità di un locale per riunirsi, due cose sono chiaramente affermate:

1 - una forte verità cristiana, vale a dire: quando una comunità di fratelli si riunisce per la preghiera, è un atto colmo di significato indispensabile per la Chiesa.

2 - una rottura con certe tendenze molto umane: l'oratorio non è una stanza polivalente, né un comodo posto dove riporre delle cose. Forse bisogna che qualcuno ce lo dica, che una regola lo fissi per iscritto, in modo che diventi, alcuni secoli dopo, un'ovvia evidenza.

Questo esempio illustra perfettamente ciò che volevamo mostrare: il monaco è un uomo come tutti. È inscritto nel tempo, nello spazio, nella geografia, in vincoli naturali come tutti i suoi fratelli umani. Come loro, egli deve combattere per lavorare al meglio questo impasto umano. La Regola lo guida in questo lavoro partendo dai dati fondamentali della vita umana, ma orientandoli secondo le chiamate di Cristo e del Vangelo, e ciò è spesso visto in opposizione con lo spirito del mondo.

 

Vita monastica: una sfida allo spirito del mondo

Ponendo le esigenze evangeliche nel cuore delle cose più ordinarie e più universalmente condivise della vita umana, Benedetto fa della vita monastica un luogo di contrasto, se non addirittura di scontro, tra il Vangelo e il mondo. Il monastero conferisce quindi, grazie a questo contrasto, una leggibilità molto particolare al radicalismo evangelico. La virtù dei monaci è secondaria. I loro combattimenti, le loro cadute e persino i loro fallimenti possono testimoniare il Vangelo, a volte anche più dei loro successi.

Tra questi segni, dobbiamo prima menzionare il più significativo di essi: la scelta del celibato per il Regno. Questo è indubbiamente il segno più fondamentale e più antico che è servito a prefigurare che un altro mondo era già presente sulla terra degli uomini. Ma la Regola non ne parla! perché questa tradizione è molto precedente ed è una di quelle cose acquisite che sono ovvie al monaco del sesto secolo. Limitiamoci ad alcune peculiarità più benedettine:

 

I vecchi ed i fanciulli (RB 37)

Ecco un dato particolarmente umano: i vecchi ed i fanciulli. I fanciulli sono scomparsi dalla maggior parte dei nostri monasteri sin dalla chiusura delle scuole monastiche, ma rimane la presenza nei monasteri di esseri più fragili degli altri. Questo capitolo molto breve chiede semplicemente che questa debolezza sia presa in considerazione.

Il modo in cui Benedetto sostiene il suo discorso è un'illustrazione perfetta del combattimento evangelico: "Benché la stessa natura umana sia portata a compassione verso queste due età, cioè dei vecchi e dei fanciulli, pure è bene che intervenga per loro anche l'autorità della Regola" (RB 37, 1). Questa frase contiene tutto: né ingenuo ottimismo, né sospettosa diffidenza. La natura umana è considerata buona, ma l'autorità della Regola deve ricordarle il meglio di sé.

Non è difficile sentire quasi un'eco di questo linguaggio in quello di Giovanni Paolo II nella sua difesa della vita nel suo inizio e nella sua fine, partendo dalla legge naturale. Tuttavia, sappiamo quanto la sua voce sia stata percepita come una contestazione delle abitudini del mondo su questo argomento.

 

Il buon zelo che i monaci devono avere (RB 72)

Questo capitolo è uno dei più difficili da spiegare a coloro che non conducono la vita monastica. Come definire il "buon zelo"? È un fervore, una specie di impulso del cuore così come della volontà nella pratica concreta dell'amore dei fratelli. Ma lo può spiegare solo un profondo radicamento nella fede in Cristo che ci rende tutti fratelli oltre le difficoltà presenti. "Come vi è un maligno zelo di amarezza che allontana da Dio e conduce all'inferno, così vi è uno zelo buono, che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. Ed è dunque in questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano cioè l'un l'altro nel rendersi onore; sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca " (RB 72, 1-6).

Benedetto, alla fine della sua vita, comprende che non è possibile racchiudere nello scritto di una regola, per quanto perfetta possa essere, "tutte le norme per la perfezione [2] " (RB 73, titolo). Il Regno può solo realizzarsi in un gruppo umano, per quanto altruista possa essere, solo se i suoi membri accettano di andare oltre la regola, al di là della semplice giustizia umana. Ci si può credere giusti e creare l'inferno attorno a sé. Molte ideologie l'hanno illustrato nella storia.

Invocando un al di là della giustizia e della regola, Benedetto indica come uscire dal mondo, come uscire dalle logiche mortifere del mondo. Lui apre il cielo. Non è più una questione di opposizione tra il monastero ed il mondo, il buon zelo è qualcosa che cresce a dismisura, che ci porta altrove.

Questa volta, è il discorso di Benedetto XVI che vi troviamo in filigrana. Al centro della sua prima enciclica, Dio è amore, egli sviluppa a lungo questo tema del rapporto tra la politica e la carità. Denunciando le ideologie che pensavano che la giustizia potesse dispensarci dalla carità, egli insiste: "L'amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo" (§ 28, b). Al di là delle competenze professionali essenziali, "gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell'attenzione del cuore" (§ 31).

Nessuna regola può imporre l'amore. Eppure l'amore è indispensabile per vivere insieme sulla Terra. Benedetto chiama i monaci a metterlo in pratica, il Santo Padre invita il mondo a non dimenticarlo; ambedue formulano lo stesso atto profetico che è necessariamente sempre un po' una contestazione del mondo.

Il mondo, infatti, non dispone di questo tipo di mezzi. Non è il ruolo del politico quello di invitare le persone ad amarsi. Il mondo è anch'esso tormentato dalla preoccupazione per il bene. Ed è una fortuna che sia così. Ma l'unico modo che ha per promuoverlo è la legge.

Ad esempio, negli ultimi anni, a seguito della costruzione dell'Europa, abbiamo assistito ad un costante aumento delle normative di ogni genere che entrano nelle nostre vite private. Sia in materia di sicurezza antincendio, di accessibilità per portatori di handicap, di protezione contro i microbi, i virus, le intossicazioni, le cadute ed altre disgrazie possibili, sembra che lo Stato cerchi di prevedere tutto, di prevenire tutto. L'idea è buona, ma i mezzi sono adatti? Possiamo sostituire la fiducia con le normative?

E' là dove il "buon zelo" può diventare l'ossigeno di cui rischia di mancare seriamente una società generosa, ma che potrebbe ben presto morire soffocata sotto il peso delle proprie "messe in conformità", per usare il vocabolario amministrativo attuale; un mondo in cui, finalmente, tutto ciò che non fosse proibito sarebbe obbligatorio. Questo migliore dei mondi non potrà reggere, questo è sicuro. Dobbiamo riappropriarci della fiducia reciproca che nulla potrà mai sostituire.

Un piccolo evento comunitario potrebbe illustrarlo. Ci si poneva la domanda se installare un montacarichi nell'ala della foresteria, ben comodo per far salire i grandi pacchi di biancheria da letto che erano diventati troppo pesanti per i nostri anziani fratelli ospiti. Era ovvio che dovesse essere installato.

Abbiamo infine optato per una soluzione decisamente "non conforme": i pacchi di biancheria da letto saranno lasciati ai piedi dello scalone ed a tutti coloro che sono in grado di portarli su viene chiesto di farlo quando passano. Certo, ciò può "funzionare" solo se il buon zelo anima gli spiriti, i cuori e le gambe. Sappiamo che un tale metodo può andare incontro a delle difficoltà o addirittura a dei fallimenti. Anche in comunità ci sono alcuni esempi; il lavaggio delle stoviglie, le pulizie non sono fatte senza alcuni richiami del Padre Abate. Ma il risultato può essere molto gratificante. L'economia dei mezzi attuati, l'assenza di costosi controlli e di procedure insignificanti possono essere economicamente molto redditizi, anche se questo non è il primo obiettivo ricercato. La cosa più importante è creare un clima di fiducia reciproca in cui la vita scorre e dove si respira. Questa reciproca obbedienza, perla della Regola di San Benedetto, abolisce tutte le gerarchie e dà un assaggio del Regno.

Tuttavia non sogniamo. Siamo ancora lontani. È nella speranza che lo pregustiamo ed al prezzo di una rinuncia permanente a ciò che la tradizione monastica chiama la volontà propria, cioè le tentazioni di sbandamento del proprio io che si crede il centro del mondo. Anche tra i monaci si dice che questa volontà propria scompare veramente solo un quarto d'ora dopo la morte. Segno che il mondo è presente in tutti noi. Ma l'esistenza della comunità, a prescindere dalle sue difficoltà, è il segno che il mondo non ha ancora avuto l'ultima parola e che l'amore è stato finora abbastanza potente da sfidare il mondo.

 

Note del traduttore.


[1] Le citazioni della Regola sono tratte da "S. Benedetto - la Regola", a cura di A. Lentini O.S.B, Pubblicazioni Cassinesi 1994.

 La parola claustra compare due volte nella Regola, cap. 4,78 e 67,7. Con questo termine si intende tutto ciò che è compreso e racchiuso nel recinto del monastero, che forma come una barriera di separazione dal mondo.

Inoltre compare anche la parola clusura (o clausura) al cap. 6,8, in questo contesto: "Le parole oziose le condanniamo in tutti i luoghi con eterna esclusione (clusura)", letteralmente con una "serratura" che non permette nella bocca del monaco né l'uscita né l'entrata di tali espressioni.

[2] Letteralmente "Le norme di giustizia", dove iustitia è intesa nel senso biblico di santità, perfezione.

 


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21 luglio 2019                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net