La saggezza del deserto
Detti dei Padri del deserto scelti e presentati
da Thomas Merton
Titolo originale “The Wisdom of the Desert”
Traduzione di Caterina Licciardi
Tea edizioni 2003
Thomas Merton nacque a Prades, nei Pirenei francesi, nel 1915. Figlio di un
pittore neozelandese e di una quacchera americana, studiò in Francia, in
Inghilterra e negli Stati Uniti, dove si laureò in lettere alla Columbia
University. Da un entusiasmo giovanile per le idee comuniste, nel 1938 passò
alla religione cattolica. Durante il periodo della conversione, e sotto
l'influenza della poesia di T.S. Eliot e della filosofia di J. Maritain, iniziò
a scrivere versi, pubblicando nel 1944 la prima (Thirty Poems) di una decina di
raccolte che continuò periodicamente a pubblicare per tutto l'arco della sua
vita. Nel 1941 entrò nel monastero trappista di Gethsemani, nel Kentucky,
assumendo il nome di Father M. Louis. Le esperienze che lo condussero a questo
passo sono narrate ne La montagna dalle sette balze, che, edito nel 1948,
riscosse immediatamente un grande successo. Morì improvvisamente nel corso di un
incontro tra monaci cristiani e orientali a Bangkok, nel 1968. Tra le altre sue
opere, dedicate prevalentemente alla revisione in chiave moderna dei grandi temi
della tradizione monastica medievale, si ricordano: Le acque di Siloe (1949),
Semi di contemplazione (1949), Il segno di Giona (1952), Nessun uomo è un'isola
(1953), Mistici e maestri Zen (1967).
NOTA DELL'AUTORE
Questa antologia di detti dai Verba
Seniorum non va intesa come un'opera di valore scientifico. Al contrario, è
un'edizione libera e informale di storie scelte qua e là tra le varie versioni
originali latine, senz'ordine e senza l'individuazione delle fonti specifiche.
Il libro si prefigge come unico scopo quello di stimolare ed edificare il
lettore. In altre parole, essendo un monaco del ventesimo secolo, sento di
potermi avvalere con una certa libertà dei privilegi di cui godevano i monaci
antichi; perciò ho costruito una raccolta tutta mia, senza criteri, intenzioni o
propositi specifici, al solo scopo di conservare queste storie e goderne con gli
amici. Così è nato il libro.
Quando la prima versione era già ultimata, la affidai all'amico Victor Hammer,
che ne approntò una bellissima edizione in tiratura limitata stampata a mano. In
seguito decisi di ampliare un poco la sezione antologica e di riscrivere
l'introduzione, in modo che la casa editrice New Directions potesse pubblicarne
un maggior numero di copie. Questo è tutto. Spero che il libro conservi ancora
la sua spontaneità, la sua originalità, il suo tono personale e non
convenzionale. Lungi dal togliere qualcosa alla saggezza contenuta in questi
detti, questa assenza di convenzionalità sarà garanzia del loro spirito
autentico e li renderà vivi e freschi in tutta la loro concretezza e
immediatezza. Mi auguro che coloro che avvertono l'esigenza di accostarsi a
queste sentenze memorabili siano indotti, dopo aver assaporato l'acqua pura, a
ripercorrere il ruscello fino alla sorgente.
Nota alla traduzione italiana
La fonte della scelta di Merton è l'imponente raccolta dei
Verba Seniorum, costituente i libri
III-VIII delle Vitae Patrum
(pubblicate nella Patrologia Latina, a cura di J.P. Migne, vol. LXXIII, Parigi,
1849, coll. 739-1066, che riproduce l'edizione seicentesca del Rosweyde); di
essi possediamo versioni dovute a una pluralità di autori, spesso anche ignoti.
Merton attinge in particolare al libro III e al libro V delle
Vitae Patrum. Il carattere personale
e necessariamente selettivo dell'antologia induce talvolta l'autore anche a
lievi omissioni e alterazioni della successione originaria. Al testo si sono
aggiunte le indicazioni dei passi delle Scritture a cui i personaggi talvolta
alludono (nel caso di episodi riportati in tutti i Vangeli, si è citato quello
di Luca). La versione inglese è stata confrontata con l'originale latino; le
rare divergenze tra la traduzione italiana e quella di Merton sono dovute
all'esigenza di privilegiare la perspicuità della fonte latina.
INTRODUZIONE di Thomas Merton
LA SAGGEZZA DEL DESERTO
Nel quarto secolo dopo Cristo i deserti dell'Egitto, della Palestina,
dell'Arabia e della Persia erano popolati da un genere di uomini che si è
lasciato alle spalle una strana reputazione. Erano i primi eremiti cristiani,
che abbandonavano le città del mondo pagano per vivere in solitudine. Perché lo
facevano? Le ragioni erano molte e varie, ma possono essere sintetizzate in una
parola: la ricerca della salvezza. E cos'era la salvezza? Certo non
un'aspirazione da perseguire nella più esteriore conformità agli usi e ai
dettami di un gruppo sociale. A quei tempi la gente era diventata profondamente
consapevole del carattere strettamente individuale della "salvezza". La società
- cioè la società pagana, chiusa entro gli orizzonti e le prospettive della vita
"in questo mondo" - era considerata da loro come un naufragio da cui ogni
individuo doveva cercare scampo per sopravvivere. Non occorre qui soffermarsi a
discutere la validità di un simile punto di vista: ciò che conta è che si
trattava di una realtà di fatto. Quegli uomini erano convinti che lasciarsi
andare alla deriva, accettando passivamente i dogmi e i valori della società ad
essi nota, fosse un vero e proprio disastro. Il fatto che l'Imperatore ora fosse
cristiano e che il "mondo" fosse giunto a riconoscere la croce come segno del
potere temporale non faceva che confermarli nella loro decisione.
Quel che oggi può sembrarci più strano è che questa paradossale fuga dal mondo
raggiunse le sue massime dimensioni (direi quasi il parossismo) quando il
"mondo" diventò ufficialmente cristiano. Sembra che queste persone pensassero,
come pochissimi pensatori moderni, ad esempio Berdyaev, che non poteva realmente
esistere qualcosa di simile a uno "stato cristiano". Sembra che essi dubitassero
che la Cristianità e la politica potessero mai fondersi a un grado tale da
produrre una società completamente cristiana. In altre parole, per essi la sola
società cristiana che fosse dotata di spiritualità e distaccata dal mondo era il
Corpo Mistico di Cristo. Si trattava senza dubbio di punti di vista estremistici
ed è quasi scandaloso richiamarli alla mente in un'età come la nostra, in cui la
Cristianità è accusata da ogni parte di predicare il negativismo e il ritiro dal
mondo, di non avere un sistema efficace per affrontare i problemi del tempo. Ma
cerchiamo di non essere troppo superficiali. I Padri del deserto, di fatto,
affrontarono i "problemi della loro epoca" nel senso che essi erano tra i pochi
uomini in anticipo sui tempi, e aprirono la strada allo sviluppo di un uomo e di
una società nuovi. Essi rappresentano il momento che i moderni filosofi del
pensiero sociale (Jaspers, Mumford) chiamano della comparsa dell'"uomo assiale",
il precursore del personalista moderno. Il diciottesimo e il diciannovesimo
secolo con il loro individualismo pragmatico degradarono e deteriorarono
l'eredità psicologica dell'uomo assiale e ciò che essa doveva ai Padri del
deserto e agli altri contemplativi e prepararono il terreno per il grande
regresso alla mentalità massificata che vige attualmente.
La fuga di questi uomini nel deserto non aveva un carattere puramente negativo
né era puramente individualistica. Essi non erano ribelli contro la società; in
verità erano in un certo senso "anarchici" e non si farà male a considerarli in
questa luce: uomini determinati a non lasciarsi passivamente condurre a
governare da uno stato in decadenza e convinti che si potesse vivere senza
dipendere come schiavi dai valori convenzionalmente accettati. Tuttavia non
intendevano porsi al di sopra della società, né la respingevano con fiero
disprezzo, come se fossero superiori agli altri. Al contrario, una delle ragioni
per cui fuggivano dal consorzio umano era che in esso gli uomini erano divisi
tra quelli che avevano successo e imponevano agli altri la loro volontà e quelli
destinati a cedere e a subire le imposizioni altrui. I Padri del deserto
rifiutavano di essere dominati dagli uomini, ma non aspiravano a dominare sugli
altri a loro volta. Né evadevano dalla società umana: il fatto stesso che
abbiano pronunciato queste parole di ammonizione reciproca è prova del fatto che
erano socievoli in misura straordinaria. Ricercavano una società in cui tutti
fossero veramente uguali, in cui l'unica autorità al di sotto di Dio fosse
l'autorità carismatica della saggezza, dell'esperienza e dell'amore. Ovviamente
riconoscevano l'autorità benevola dei loro vescovi, ispirata a principi
gerarchici: ma i vescovi erano molto lontani e parlarono poco di ciò che
accadeva nel deserto fino al grande conflitto destato dalle teorie di Origene
alla fine del quarto secolo.
Ciò che i Padri ricercavano più di ogni altra cosa era la loro vera identità in
Cristo. Per far questo dovettero rifiutare completamente l'identità falsa e
formale costruita sotto la spinta delle convenzioni sociali nel "mondo".
Cercavano la strada per arrivare a Dio, una strada che non era segnata su una
carta geografica ed era scelta liberamente, non ereditata da altri che l'avevano
disegnata in precedenza. Ricercavano un Dio che essi solo potevano trovare, non
un Dio donato da qualcun altro in forma prestabilita e stereotipata. Non che
essi rifiutassero alcuna delle formule dogmatiche della fede cristiana: le
accettavano e vi aderivano nella forma più semplice ed elementare. Ma erano
riluttanti (almeno all'inizio, ai tempi in cui si affermò la loro primitiva
saggezza) a farsi coinvolgere nelle polemiche teologiche. La loro evasione verso
gli aridi orizzonti del deserto significava anche il rifiuto di accontentarsi di
argomentazioni, concetti e verbosità tecniche.
Stiamo parlando esclusivamente di eremiti. C'erano anche cenobiti nel deserto -
cenobiti a centinaia e migliaia -, che vivevano la "vita comunitaria" in
monasteri enormi, come quello fondato a Tabenna da san Pacomio. Tra questi
uomini regnava un ordine sociale e una disciplina quasi militare. Tuttavia il
loro spirito era ancora decisamente animato dal senso della persona e della
libertà, perché anche i cenobiti sapevano che la Regola era soltanto una
struttura esteriore, una specie d'impalcatura con cui dovevano costruire la
struttura spirituale della loro vita con Dio. Ma gli eremiti erano più liberi da
ogni punto di vista. Non c'era nulla a cui dovessero "conformarsi", tranne la
segreta, nascosta, imperscrutabile volontà di Dio, che poteva essere
notevolmente diversa da una cella all'altra. E’ molto significativo che il primo
di questi Verba (il numero III) sia
quello in cui l'autorità di sant'Antonio e chiamata in causa per enunciare il
principio basilare della vita nel deserto: Dio e l'autorità e, a prescindere
dalle manifestazioni della sua volontà, ci sono pochi o nessun principio:
"Dunque, qualsiasi cosa vedi che la tua anima desidera in accordo con Dio,
falla, e manterrai puro il tuo cuore".
Ovviamente, in un deserto privo di sentieri, un cammino simile era percorribile
solo da un uomo accorto e in grado di cogliere le tracce del percorso. L'eremita
doveva essere un uomo maturo nella fede, umile e distaccato da se a un livello
addirittura terribile. I cataclismi spirituali che talvolta colsero alcuni dei
presuntuosi visionari del deserto sono i segni tangibili, simili a ossa
biancheggianti nella sabbia, dei pericoli della vita solitaria. Un padre del
deserto non poteva permettersi di essere illuminista, non poteva rischiare di
attaccarsi al proprio io o di provare la pericolosa estasi della propria volontà
personale, non poteva mantenere la benché minima identificazione con il proprio
io superficiale, transitorio, auto-costruito. Doveva perdersi nella realtà
interna, nascosta di un io che era trascendente, misterioso, noto solo per metà,
e perduto in Cristo. Doveva morire ai valori dell'esistenza transitoria come
Cristo era morto a essi sulla Croce, e come lui risorgere dai morti alla luce di
una saggezza completamente nuova. Di qui la vita di sacrificio, che cominciava
dalla netta frattura che divideva il monaco dal mondo, dalla vita condotta nel
segno del "pentimento", che gli insegnava a compiangere la demenza
dell'attaccamento a valori inesistenti: una vita di solitudine e di fatica, di
povertà e di digiuno, di carità e di preghiera, che metteva il vecchio io
superficiale nella condizione di purificarsi e consentiva la graduale comparsa
del vero io segreto in cui il credente e Cristo erano "un solo Spirito".
Alla fine, il risultato immediato di tutti questi sforzi era la "purezza di
cuore" - una chiara e libera visione del reale stato delle cose, la comprensione
istintiva che la propria realtà interna era ancorata a Dio, o piuttosto perduta
in Lui per il tramite di Cristo. Il frutto di tutto questo era la
quies: la pace. Non pace del corpo e
neanche contemplazione da parte dello spirito esaltato di un punto luminoso o
della luce suprema. I Padri del deserto per la maggior parte non cadevano in
preda all'estasi. Quelli che lo fecero realmente hanno lasciato alle proprie
spalle storie strane e devianti per creare confusione sul vero nocciolo del
problema. La "pace" che questi uomini cercavano era semplicemente l'equilibrio e
la stabilità di un essere che non deve più guardare a se stesso, perché è
trasportato dalla perfezione della libertà. E dove è trasportato? Dovunque
l'Amore in sé, o lo Spirito Divino, ritiene di poter andare. La pace, quindi,
era una sorta di semplice assenza di luogo e di pensieri, lontana da ogni
preoccupazione per un io falso o limitato. Raggiunta la pace nel possesso di un
sublime "Nulla", lo spirito aderiva segretamente al "Tutto" - senza cercare di
conoscere l'oggetto del possesso.
Certo i Padri non erano ancora abbastanza interessati alla natura di questa pace
per parlarne in termini simili, tranne in rarissimi casi, come quello di
sant'Antonio, quando notava che "la preghiera del monaco non è perfetta finché
egli non dimentica se stesso e il fatto che sta pregando". E questo veniva detto
casualmente, di sfuggita. D'altra parte i Padri evitavano tutto ciò che poteva
essere elevato, esoterico, teoretico o di difficile comprensione: rifiutavano di
parlare di tali argomenti. Per lo stesso motivo non volevano parlare di altre
questioni, anche a proposito delle verità della fede cristiana, cosa che spiega
la laconicità di questi detti. Dunque da numerosi punti di vista, i Padri del
deserto hanno molto in comune con i seguaci dello Yoga in India o con i monaci
del Buddismo Zen della Cina e del Giappone. Se dovessimo cercare un fenomeno
simile al loro nell'America del ventesimo secolo, dovremmo dare un'occhiata a
luoghi insoliti, fuori mano. Fenomeni simili sono purtroppo estremamente rari ed
è ovvio che non fioriscono sui marciapiedi della Quarantaduesima Strada e di
Broadway. Si può forse trovare qualche personaggio simile tra gli Indiani Pueblo
o i Navaho, ma si tratterebbe di un caso del tutto diverso. La semplicità e la
saggezza primitiva di costoro sono radicate in una società primitiva. Nei Padri
del deserto si trovano tutte le caratteristiche di una netta rottura con un
contesto sociale convenzionale e accettato, operata per cercare scampo in un
vuoto apparentemente irrazionale.
Anche se da me ci si potrebbe attendere l'affermazione che uomini come questi si
trovano in alcuni dei nostri monasteri degli ordini contemplativi, non sarò così
audace da sostenerlo. In questo caso abbiamo a che fare spesso con uomini che
abbandonano la società "mondana" per adattarsi a un altro tipo di società;
quello della comunità religiosa in cui entrano, e abbandonano i valori, i
concetti e le tradizioni dell'una per quelli dell'altra. E poiché ora abbiamo
secoli di monachesimo alle spalle, questo colloca tutta la questione in una luce
diversa. Le "norme" sociali di una comunità monastica tendono anche a essere
convenzionali, e vivere conformemente a esse non implica un salto nel vuoto, ma
soltanto un mutamento radicale di abitudini e di modelli. Le parole e gli esempi
dei Padri del deserto sono divenuti a tal punto parte della tradizione monastica
che il tempo li ha trasformati in stereotipi ai nostri occhi, e non siamo più in
grado di notare la loro incredibile originalità Li abbiamo, per così dire,
seppelliti nella nostra routine, e così ci siamo garantiti contro ogni forma di
emozione spirituale derivante dalla loro mancanza di convenzionalità Tuttavia
spero, nel selezionare e nel pubblicare queste "parole", di averle potute
presentare in una nuova luce e di aver reso evidente ancora una volta la loro
freschezza.
I Padri del deserto furono pionieri, senza altri esempi da seguire che quello di
alcuni profeti, come san Giovanni Battista, Elia, Eliseo, e gli Apostoli, che
pure servirono loro come modelli. Per il resto, scelsero la vita degli angeli e
i sentieri che percorsero furono quelli difficili degli spiriti invisibili. Le
loro celle erano la fornace di Babilonia in cui, tra le fiamme, essi ritrovavano
se stessi con Cristo. Non sollecitavano il consenso dei loro contemporanei né
cercavano di provocarne il dissenso, perché le opinioni altrui avevano smesso,
per loro, di avere importanza. Non avevano costituito una dottrina sulla
libertà, ma erano di fatto diventati liberi pagando il prezzo della libertà.
In ogni caso questi Padri distillavano per se stessi una saggezza decisamente
pratica e senza pretese, al tempo stesso primitiva e senza età: essa ci dà la
possibilità di riaprire fonti inquinate o interamente ostruite dall'accumulo del
ciarpame mentale proprio della nostra barbarie tecnologica. L'epoca nostra ha un
disperato bisogno di questo tipo di semplicità, ha bisogno di recuperare un po'
dell'esperienza riflessa in queste righe: la parola da mettere in rilievo è
esperienza. Le poche e brevi frasi raccolte in questo volume da un punto di
vista meramente informativo hanno un valore scarso o nullo. Sarebbe inutile
sorvolare su queste pagine e prendere atto con leggerezza del fatto che i Padri
dissero questo e quello. Che vantaggio ci verrà a sapere soltanto che queste
cose un tempo furono dette? Ciò che conta è che furono vissute, che derivano da
un'esperienza esistenziale più profonda, che rappresentano una scoperta
dell'uomo, al termine di un viaggio interiore e spirituale che è di gran lunga
più cruciale e infinitamente più importante di un viaggio sulla Luna.
Quale vantaggio può venirci dal salire sulla Luna se non siamo in grado di
attraversare l'abisso che ci separa da noi stessi? E’ questo il più importante
di tutti i viaggi di scoperta, e senza di esso tutto il resto è non solo
inutile, ma disastroso. A prova di ciò sta il fatto che i grandi viaggiatori e
colonizzatori del Rinascimento furono, per la maggior parte, uomini capaci di
fare ciò che facevano proprio perché erano alienati da se stessi. Nel
sottomettere mondi primitivi essi non facevano che imporre a essi, con la forza
dei cannoni, la loro confusione e la loro alienazione. Superbe eccezioni come
fra Bartolomeo della Casa, san Francesco Saverio, o padre Matteo Ricci,
confermano solo la regola.
Questi detti dei Padri del deserto sono tratti da una raccolta classica, i
Verba Seniorum, nella
Patrologia Latina del Migne (volume
73). I Verba si distinguono dalla
restante produzione letteraria dei Padri del deserto per la loro totale mancanza
di artificio letterario, per la loro assoluta e onesta semplicità. Le
Vite dei Padri sono molto più
magniloquenti, drammatiche, stilizzate, sono ricche di eventi prodigiosi e di
miracoli, recano la viva impronta delle personalità letterarie a cui le
dobbiamo. Ma i Verba sono cronache
semplici, senza pretese, che passano di bocca in bocca nella tradizione copta
prima di essere affidati alla scrittura in siriaco, greco e latino.
Sempre semplici e concreti, facendo continuo riferimento all'esperienza
dell'uomo plasmato dalla solitudine, questi proverbi e questi racconti erano
intesi come risposte semplici a domande semplici. Chi andava nel deserto alla
ricerca della "salvezza" chiedeva agli anziani una "parola" che lo potesse
aiutare - un verbum salutis, una
"parola di salvezza". Le risposte non intendevano essere ricette generali,
universali; piuttosto erano in origine chiavi concrete e precise per determinate
porte, attraverso le quali dovevano passare, in un dato tempo, determinati
individui. Soltanto più tardi, dopo essere state molto ripetute e molto citate,
giunsero a essere considerate moneta corrente. Tenere a mente il loro carattere
pratico e, si potrebbe dire, esistenziale, ci aiuterà a comprendere meglio
questi detti. Ma da quando san Benedetto nella sua Regola prescrisse che le
"parole dei Padri" fossero lette spesso ad alta voce prima della Compieta, esse
furono patrimonio della tradizione monastica.
I Padri erano umili e silenziosi, e non avevano molto da dire; rispondevano alle
domande in poche parole, in modo puntuale. Piuttosto che fornire un principio
astratto, preferivano raccontare una storia concreta. La loro concisione è
rassicurante ed è ricca di contenuto. Sono più illuminanti e appaganti questi
detti laconici che i lunghi trattati ascetici pieni di dettagli relativi
all'ascesa da un "grado" all'altro della vita spirituale. Queste parole dei
Padri non sono mai teoretiche nel senso moderno della parola, non sono mai
astratte; trattano di cose concrete e delle mansioni quotidiane del monaco del
quarto secolo. Ma ciò che viene detto serve anche a un pensatore del ventesimo
secolo. Le realtà fondamentali della vita interiore sono: fede, umiltà, carità,
mansuetudine, prudenza, negazione di sé. Ma la qualità più rilevante delle
"parole di salvezza" è il loro senso comune.
Questo è importante. I Padri del deserto più tardi acquisirono la fama di
fanatici per le storie raccontate da ammiratori indiscreti a proposito dei loro
comportamenti ascetici. Di fatto erano ascetici, ma quando leggiamo le loro
parole e consideriamo le loro idee sulla vita, scopriamo che erano tutt'altro
che fanatici. Erano persone umili, tranquille, sensibili, che avevano raggiunto
una profonda conoscenza della natura umana e una comprensione tale delle cose
divine da rendersi conto che di Dio sapevano ben poco. Per questo non erano
molto disposti a fare lunghi discorsi sull'essenza di Dio o anche a declamare
sul significato mistico delle Scritture. Se parlano poco di Dio è perché sanno
che, quando si è stati vicinissimi alla Sua dimora, il silenzio vale più di
molte parole. Il fatto che l'Egitto in quel tempo fosse in subbuglio per le
controversie religiose e intellettuali era la ragione migliore per tenere la
bocca chiusa. Era l'epoca dei Neoplatonici, degli Gnostici, degli Stoici e dei
Pitagorici. Era l'epoca dei vari gruppi di Cristiani ortodossi ed eretici. Era
l'epoca degli Ariani, a cui i monaci del deserto resistevano con veemenza. Era
l'epoca dei discepoli di Origene (di cui alcuni monaci erano fedeli seguaci). In
tutto questo frastuono, il deserto non aveva altro da offrire che un silenzio
discreto e distaccato.
I grandi centri monastici del quarto secolo si trovavano in Egitto, Arabia e
Palestina. Molte di queste storie riguardano eremiti di Nitria e Sceta,
nell'Egitto settentrionale, vicino alle coste del Mediterraneo e a ovest del
Nilo. C'erano anche colonie di monaci sul delta del Nilo. La Tebaide, vicino
all'antica Tebe, nel retroterra lungo il Nilo, era un altro centro di attività
soprattutto dei cenobiti. La Palestina aveva anticamente attratto monaci da
tutte le parti del mondo cristiano: il più famoso di loro fu san Gerolamo, che
visse e tradusse le Scritture in una spelonca a Betlemme. Inoltre c'era
un'importante colonia di monaci nei pressi del Monte Sinai in Arabia, i
fondatori di quel monastero di santa Caterina venuto recentemente alla ribalta
con la "scoperta" delle opere d'arte bizantine che vi sono conservate.
Che tipo di vita conducevano i Padri? Una parola di spiegazione ci può aiutare a
comprendere meglio i loro detti. I Padri del deserto sono generalmente
menzionati con le espressioni "Abate" (abbas)
o "Anziano" (senex). Un Abate non
era, come ora, il superiore di una comunità religiosa designato canonicamente,
ma un monaco o un eremita provato da anni di vita nel deserto e che si era
dimostrato servo di Dio. Con costoro, o accanto a loro, vivevano i "Fratelli" e
i "Novizi" che ancora stavano imparando a condurre quella vita. I novizi avevano
ancora bisogno della continua supervisione di un anziano e vivevano con lui per
essere ammaestrati dalla sua parola e dal suo esempio. I fratelli vivevano per
conto proprio, ma occasionalmente si rivolgevano per consigli all'anziano più
vicino.
Quasi tutti i personaggi rappresentati in questi detti e in questi racconti sono
"in cammino" verso la purezza di cuore ma non sono ancora arrivati. I Padri del
deserto, ispirati da Clemente, da Origene e dalla tradizione neo-platonica,
talvolta erano sicuri di potersi ergere al di sopra di tutte le passioni e di
diventare inaccessibili alla collera, alla lussuria, all'orgoglio e a tutto il
resto. Ma in questi detti ben poco incoraggia la convinzione che la perfezione
cristiana fosse questione di apatheia
(impassibilità). L'elogio dei monaci che erano "al di sopra di tutte le
passioni" in verità sembra provenire dai viaggiatori di passaggio nel deserto
che tornavano in patria a scrivere libri su ciò che avevano visto, piuttosto che
da coloro che avevano trascorso nel deserto tutta la loro vita. Questi ultimi
erano molto più inclini ad accettare le comuni realtà della vita e ad
accontentarsi del proprio mediocre destino di uomini impegnati per tutta la vita
a vincere se stessi. La saggezza dei
Verba si manifesta nella storia del monaco Giovanni, che si vantava di
essere "al di sopra di tutte le tentazioni": un anziano gli consigliò di pregare
che Dio lo sottoponesse a qualche dura prova, se voleva che la sua vita
continuasse a valere qualcosa.
Talvolta, tutti gli eremiti e i novizi si incontravano per la
synaxis liturgica (Messa e preghiera
in comune): in seguito potevano mangiare insieme e tenere una specie di capitolo
incontrandosi per discutere problemi comuni. Poi ritornavano alla loro
solitudine, in cui passavano il tempo lavorando e pregando.
Traevano il proprio sostentamento dal lavoro manuale, solitamente intrecciando
cesti e stuoie con foglie di palma o canne e vendendoli nelle città vicine.
Talvolta nei Verba si tratta di
questioni relative al lavoro o al commercio che gli era connesso. Carità e
ospitalità erano oggetto di primaria importanza e avevano la precedenza sul
digiuno e sulle pratiche ascetiche individuali. I numerosissimi racconti che
testimoniano questa cordialità calorosa sarebbero sufficienti a far giustizia
delle accuse mosse a questi uomini di odiare la loro specie. Anzi, c'era più
amore vero, comprensione e cordialità nel deserto che nelle città, dove, allora
come ora, ogni uomo pensava a sé.
Questo è particolarmente importante perché la vera essenza del messaggio
cristiano è la carità, l'unità in Cristo. I mistici cristiani di ogni tempo
cercano e trovano non solo l'unificazione del proprio essere, non solo l'unione
con Dio, ma l'unione reciproca nello Spirito di Dio. Creare un'unione con Dio
che implicasse una completa separazione, nello spirito come nel corpo, da tutto
il resto della specie umana sarebbe stato per un santo cristiano non solo
assurdo, ma tutto l'opposto della santità L'isolamento in se stessi e
l'incapacità di staccarsi da se stessi per volgersi agli altri avrebbero
significato l'incapacità di ogni forma di auto-trascendenza. Esser così
prigionieri del proprio io è, di fatto, una condizione infernale: è una verità
che Sartre, pur professandosi ateo, ha espresso nel modo più disarmante nel suo
dramma La porta chiusa.
Lungo tutti i Verba Seniorum si
insiste ripetutamente sulla priorità dell'amore rispetto a ogni altro aspetto
della vita spirituale al di sopra della conoscenza, della gnosi, dell'ascetismo,
della contemplazione, della solitudine, della preghiera. L'amore è di fatto la
vita spirituale, e senza di esso tutti gli altri esercizi spirituali, per quanto
elevati, sono svuotati di contenuto e diventano pure illusioni: più elevati essi
sono, più pericolosa è l'illusione che ne deriva.
L'amore, senza dubbio, ha un significato molto più forte del mero sentimento,
molto più forte dei favori e delle elemosine fatte in modo meccanico. L'amore
significa identificazione interiore e spirituale con un fratello, in modo che
egli non sia considerato come un "oggetto" a cui si "fa del bene". Il fatto è
che il beneficio recato ad altri come se fossero oggetti è di valore spirituale
scarso o nullo. Il nostro amore verso il prossimo lo rende uguale a noi stessi e
fa sì che lo si ami con immensa umiltà, discrezione, riservatezza e rispetto,
senza permettersi di entrare nel tempio della sua soggettività. Da una simile
forma di amore ogni brutalità autoritaria, ogni sorta di sfruttamento, di
dominio e di compiacenza devono necessariamente essere assenti. I santi del
deserto erano ostili a ogni espediente, sottile o grossolano, con cui gli
"Spirituali" riuscivano a esercitare una sorta di tirannia su quelli che
giudicavano inferiori a sé, gratificando così il proprio io. Avevano rinunciato
a tutto ciò che sapeva di punizione e di vendetta, per quanto dissimulato
potesse essere.
La carità dei Padri del deserto non si presenta a noi in forma di effusioni poco
persuasive. L'estrema difficoltà e la grande importanza del compito di amare gli
altri è ovunque riconosciuta e non è mai minimizzata. E’ difficile amare
veramente gli altri se amare deve essere inteso nel senso pieno del termine.
L'amore richiede una completa trasformazione interiore, perché senza di questa
non è possibile arrivare a identificarsi con un nostro fratello. Dobbiamo
diventare, in un certo senso, la persona che amiamo. E ciò implica una specie di
morte del nostro essere, del nostro io. Per quanto ci sforziamo, opponiamo
resistenza a questa morte: reagiamo con rabbia, con le recriminazioni, con le
pretese, con gli ultimatum; cerchiamo qualsiasi pretesto adatto per litigare e
per abbandonare questo compito difficile. Ma nei
Verba Seniorum leggiamo che l'Abate
Ammone passò quarant'anni a pregare per vincere la collera o piuttosto, ciò che
è più significativo, per esserne liberato. Leggiamo che l'Abate Serapione
vendette il suo ultimo libro, una copia dei Vangeli, e diede il denaro ai poveri
vendendo in tal modo "Proprio le parole che gli dicevano di vendere tutto e dare
ai poveri". Un altro Abate rimproverava severamente alcuni monaci che avevano
fatto imprigionare un gruppo di ladroni e in seguito ai suoi rimproveri gli
eremiti, pieni di vergogna, irruppero nel carcere per liberare i prigionieri.
Ripetutamente leggiamo di abati che rifiutano di associarsi al biasimo generale
nei confronti di questo o quel delinquente, come l'Abate Mosé, quel grande e
nobilissimo negro che durante un'austera assemblea camminava con un canestro di
sabbia, lasciando che la sabbia si spandesse attraverso i molti buchi, e che
disse: "I miei peccati scorrono a profusione come questa sabbia e ancora vengo a
giudicare i peccati di un altro". Se si protestava così c'era evidentemente
qualcosa contro cui protestare. Alla fine del quinto secolo Sceta e Nitria erano
diventate rudimentali città monastiche, con leggi e pene. Tre sferze erano
appese a un albero di palma fuori dalla chiesa di Sceta: una per punire i monaci
colpevoli, una per i ladri e una per i vagabondi. Ma c'erano molti monaci come
l'Abate Mosé che non erano d'accordo, e costoro erano i santi, che
rappresentavano il primitivo "anarchico" ideale del deserto. Forse il caso più
memorabile di tutti fu quello di due vecchi confratelli che avevano vissuto
insieme per anni senza mai un litigio: decisero di "mettersi a discutere, come
il resto degli uomini", ma semplicemente non ci riuscirono.
La preghiera era il vero e proprio cuore della vita del deserto e consisteva
nella salmodia (preghiera cantata - recitazione dei Salmi e di altre parti delle
Scritture che ognuno doveva conoscere a memoria) e nella contemplazione. Ciò che
oggi chiameremmo preghiera contemplativa si riferisce alla
quies, ovvero alla "pace". Questo
vocabolo illuminante è rimasto nella tradizione monastica greca nella forma
hesychia, cioè "dolce riposo". La
quies è una condizione di silenzio
assorto, ritmato dalla ripetizione a voce sommessa di una frase isolata della
Scrittura - la più famosa è la preghiera del pubblicano: "Signore Gesù Cristo,
Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!" In forma concisa questa preghiera
diventava "Signore, pietà!" (Kyrie
eleison), ripetuta intimamente centinaia di volte al giorno finché diventava
spontanea e istintiva come respirare.
Quando ad Arsenio viene ingiunto di fuggire dal cenobio, di stare in silenzio e
di riposare (fuge, tace, quiesce),
questo è un invito alla "preghiera contemplativa".
Quies è un termine più semplice e
meno pretenzioso, ed è quello che meno si presta ad essere frainteso. Si adatta
alla semplicità dei Padri del deserto molto meglio di "contemplazione" e offre
meno occasioni per il narcisismo o la megalomania spirituale. Nel deserto non si
rischiava certo di cadere nel quietismo. I monaci erano tenuti occupati, e se la
quies era il compimento di tutto ciò
che cercavano, la corporalis quies
("pace del corpo") era uno dei loro più grandi nemici. Ho tradotto
corporalis quies con "una vita
tranquilla" in modo da non dare l'impressione che nel deserto fosse lecito
affannarsi. Non lo era. Il monaco doveva stare tranquillo il più possibile in un
solo luogo. Alcuni Padri disapprovavano persino coloro che cercavano lavoro al
di fuori delle loro celle e lavoravano per gli agricoltori della valle del Nilo
durante la stagione estiva.
In conclusione, in queste pagine incontriamo parecchie personalità grandi e
semplici. Anche se i Verba sono
talvolta attribuiti soltanto a un senex
(anziano) non identificato, più spesso sono attribuiti per nome al santo che li
pronunciò. Incontriamo l'Abate Antonio, che non è altro che il grande
sant'Antonio. E’ il padre di tutti gli eremiti, e la sua biografia, opera di
sant'Atanasio, fece ardere di vocazioni monastiche tutto il mondo romano. Ma la
prossimità di questa figura al suo pensiero originale ci ricorda che egli non è
l'Antonio di Flaubert - né troviamo qui una personalità simile a quella del
Pafnuzio di Anatole France. Antonio certamente raggiungeva l'apatheia
dopo battaglie lunghe e piuttosto spettacolari con i demoni. Ma alla fine
concludeva che neanche il diavolo era pura malvagità, dal momento che Dio non
può creare il male e tutte le sue opere sono buone. Può sorprendere sapere che
sant'Antonio, fra tutti, pensasse che il diavolo aveva qualcosa di buono. E
questo non era semplice sentimentalismo. Questo episodio mostra che in Antonio
non c'era più posto per la paranoia. Possiamo fare un'utile riflessione sul
fatto che il moderno uomo-massa è tornato a proiettare con fanatica visceralità
tutto il male che ha in sé sul "nemico" (chiunque esso sia). I solitari del
deserto erano molto più saggi.
Inoltre in questi Verba incontriamo
altri personaggi come sant'Arsenio, l'austero e silenzioso straniero che andò
nel deserto dalla lontanissima corte degli Imperatori di Costantinopoli e che
non voleva lasciarsi vedere in faccia da nessuno. Incontriamo il nobile Poemen,
l'impetuoso Giovanni il Nano, che aspirava a "diventare un angelo".
Non meno affascinante è la figura dell'Abate Pastor, che appare forse più spesso
di tutti. I suoi detti si distinguono per la loro umiltà pratica, per la loro
consapevolezza della fragilità umana e per il loro solido senso comune. Pastor,
sappiamo, era egli stesso molto umano, e si dice di lui che quando i suoi
fratelli sembrarono diventare freddi con lui e preferirono la conversazione con
un altro eremita, egli diventò così geloso che dovette andare da uno degli
anziani a farsene rimproverare.
Questi monaci insistevano nel rimanere umani e "normali". Questo può sembrare
paradossale, ma è molto importante. Se riflettiamo per un istante, ci
accorgeremo che fuggire nel deserto per porsi al di fuori della norma significa
soltanto portarsi il mondo dentro come implicito modello di riferimento. Il
risultato non sarebbe altro che la contemplazione di sé, e il confronto di se
stessi con i modelli negativi del mondo che si è abbandonato. Alcuni monaci del
deserto, effettivamente, facevano questo: e il solo risultato del loro conflitto
interiore fu la pazzia. Gli uomini semplici che vissero la loro vita fino a una
bella età tra rocce e sabbie fecero così solo perché erano venuti nel deserto
per essere se stessi, come erano normalmente e per dimenticare un mondo che li
allontanava da se stessi. Non ci può essere nessun'altra ragione valida per
ricercare la solitudine e per lasciare il mondo. Così lasciare il mondo è, di
fatto, aiutarlo a salvarsi salvando se stessi. Questo è il punto di arrivo, ed è
importante.
Gli eremiti copti che lasciavano il mondo come per salvarsi da un naufragio non
intendevano semplicemente salvarsi. Sapevano di essere nell'impossibilità di
fare del bene ad altri finché si aggiravano fra i relitti. Ma una volta che
avevano messo piede sulla terraferma, le cose cambiavano. Allora non avevano
solo il potere ma anche l'obbligo di trarre in salvo il mondo intero dietro a
sé.
Questa è la loro paradossale lezione per il nostro tempo. Sarebbe forse troppo
dire che il mondo ha bisogno di un altro movimento come quello che portò questi
uomini nei deserti dell'Egitto e della Palestina. La nostra è certamente
un'epoca di solitari e di eremiti. Ma accontentarsi di imitare la semplicità,
l'austerità e la preghiera di queste anime primitive non è una risposta completa
e soddisfacente. Noi dobbiamo andare oltre e superare tutti coloro che, da
allora, sono andati oltre i limiti che si erano posti. Noi dobbiamo liberarci, a
modo nostro, dai lacci di un mondo che sta naufragando. Ma il nostro mondo è
diverso dal loro. I nostri lacci sono più stretti. Il rischio che corriamo è
molto più preoccupante. Il tempo che abbiamo a disposizione, forse è molto più
breve di quanto pensiamo. Non possiamo fare esattamente ciò che fecero loro. Ma
dobbiamo essere decisi e ostinati nella nostra determinazione di spezzare tutte
le catene spirituali, e respingere il predominio delle imposizioni esterne per
trovare il nostro vero io, per scoprire e far crescere la nostra inalienabile
libertà spirituale e usarla per costruire sulla terra il regno di Dio. Qui non è
il caso di discutere che cosa possa comportare la nostra grande e misteriosa
vocazione. Non lo sappiamo ancora. Mi basti dire che abbiamo bisogno di imparare
da questi uomini del quarto secolo come ignorare il pregiudizio, sfidare le
costrizioni esterne e lanciarsi senza paura nell'ignoto
ALCUNI DETTI DEI PADRI DEL DESERTO
I
L'Abate Pambo interrogò l'Abate Antonio dicendo: Che dovrei fare? Il vecchio gli
rispose: Non fidarti della tua rettitudine, non pentirti di un'azione già
compiuta, e controlla la tua lingua e il tuo ventre.
II
L'Abate Giuseppe di Tebe disse: Vi sono tre categorie di uomini degne di essere
onorate al cospetto di Dio. La prima è quando un uomo debole è colto dalle
tentazioni e le affronta rendendo grazie a Dio. La seconda è quando uno compie
con purezza tutte le sue azioni di fronte a Dio e non fa nulla per compiacere
gli uomini. La terza poi è quando uno rispetta e vive secondo i precetti di un
padre spirituale, e rinuncia a tutti i propri desideri.
III
Un confratello interrogò un anziano dicendo: Quale cosa è così buona da essere
compiuta e tale che io viva in essa? Il vecchio disse: Solo Dio conosce ciò che
è buono. Tuttavia ho sentito dire che uno interrogò fra i Padri il grande Abate
Nistero, che era amico dell'Abate Antonio, e gli disse: Quale azione è così
buona che io possa compierla? Ed egli rispose: Le azioni sono tutte uguali. La
scrittura dice: Abramo fu ospitale, e Dio era con lui [Gn., 18]. Elia amava la
quies, e Dio era con lui. Davide era
umile, e Dio era con lui. Dunque ciò che vedi che la tua anima desidera in
conformità a Dio, fallo, e abbi cura del tuo cuore.
[nota: Si è preferito non tradurre la parola
quies (= pace, riposo) per non
privarla, con una resa necessariamente univoca, della ricchezza di sfumature che
essa possiede nel gergo patristico e che Merton illustra nell'introduzione. Fine
nota.]
IV
Disse ancora l'Abate Pastori: Povertà, tribolazione e saggezza: queste sono le
pratiche della vita eremitica. Infatti è scritto: se si considerano questi tre
uomini: Noè, Giobbe e: Daniele, Noè rappresenta coloro che non possiedono nulla,
Giobbe quelli che sono nella tribolazione, Daniele coloro che sanno distinguere
il bene dal male.
Se un uomo fa queste tre cose, Dio abita in lui [Ez., 14, 141.
V
L'Abate Pastor disse: Se un monaco odia due cose, può esser libero da questo
mondo. Il confratello allora disse: Quali sono? E il vecchio rispose: L'assenza
di tormento corporale e la vanagloria.
VI
Dell'Abate Pambo raccontavano che proprio quando stava per morire disse ai santi
che gli stavano accanto: Da quando sono giunto in questo luogo di eremitaggio,
ho costruito la mia cella e vi ho abitato, non ricordo di aver mangiato pane se
non quello derivante dal lavoro delle mie mani, né di aver pronunciato parole di
cui mi sia pentito fino a questo momento. E vado dal Signore come se non avessi
neppure iniziato a servire Dio.
VII
Un confratello chiese a un anziano: Come viene all'uomo il timor di Dio? E
l'anziano rispose: Se un uomo vive in umiltà e in povertà e non giudica gli
altri, in questo modo si manifesta in lui il timor di Dio.
VIII
Un giorno alcuni confratelli uscirono dal monastero per visitare gli eremiti che
vivevano nel deserto. Giunsero da uno che li ricevette con gioia; vedendo che
erano stanchi, li invitò a mangiare prima dell'ora stabilita e mise davanti a
loro tutto il cibo che aveva a disposizione. Ma quella notte, quando tutti
avrebbero dovuto dormire, l'eremita udì i cenobiti parlare tra loro e dire:
Questi eremiti mangiano più di noi del monastero. Ora, all'alba gli ospiti
partirono per visitare un altro eremita. E quando stavano per partire, il loro
ospite disse: Salutatelo per me, e dategli questo messaggio: Sta' attento a non
bagnare le verdure. Quando raggiunsero l'altro eremo consegnarono questo
messaggio. E il secondo eremita comprese il significato delle parole. Così fece
sedere i visitatori e fece loro intrecciare canestri e sedutosi con loro lavorò
senza sosta. E alla sera, quando venne l'ora di accendere la lampada, aggiunse
una dose supplementare di salmi al numero abituale. Dopodiché disse loro:
Solitamente qui non mangiamo tutti i giorni, ma poiché voi siete venuti
ugualmente, è giusto oggi fare un po' di cena per cambiare. Quindi diede loro
pane secco e sale e aggiunse: Ecco un banchetto speciale per voi. Oltre a ciò
servì un po' di salsa di aceto, sale e olio e la diede loro; dopo cena si
alzarono ancora e ripresero a recitare i salmi, e continuarono a pregare quasi
fino all'alba; a questo punto l'eremita disse: Bene, non possiamo finire tutte
le nostre preghiere abituali, poiché siete stanchi a causa del vostro viaggio.
Sarà meglio che vi riposiate un po'. E così quando giunse la prima ora del
giorno, tutti volevano partire, ma egli non voleva lasciarli andare. Continuava
a dire: State un po' con me. Non posso lasciarvi andare così presto; la carità
richiede che vi trattenga per due o tre giorni. Ma essi, udendo ciò, aspettarono
che si facesse buio e poi con il favore della notte partirono.
IX
Un anziano disse: La vita del monaco consiste in questo: lavoro, obbedienza,
meditazione, ed è tale che egli non deve giudicare, né recare oltraggio, né
lamentarsi. Infatti è scritto: Voi che amate il Signore, odiate il male [Sal.,
97, 10]. La vita del monaco consiste in questo: non frequentare gli ingiusti,
non guardare il male con i propri occhi, non essere curioso, non considerare e
non prestare ascolto ai fatti degli altri, non rubare, ma dare più del dovuto;
non avere cuore superbo né pensieri malvagi; non riempire il ventre, ma fare
tutto con criterio. Ecco, essere monaco consiste in tutto questo.
X
Un anziano disse: Elimina la fiducia in te stesso, controlla la tua lingua e il
tuo ventre, e astieniti dal vino. E se uno parla con te di qualsiasi argomento,
non litigare con lui. Ma se dice bene, dagli il tuo assenso. Se invece dice
male, digli: Tu sai quel che dici. Non litigare con lui a proposito di ciò che
ha detto, e allora la tua anima sarà in pace.
XI
L'Abate Antonio disse: Come i pesci, se restano per lungo tempo a secco,
muoiono, così anche i monaci, se restano a lungo fuori della cella o si
trattengono con la gente profana, vengono distolti dalla meditazione che si sono
prefissi. Bisogna dunque che come il pesce si getta in mare così anche noi
corriamo in cella, per evitare, attardandoci fuori casualmente, di dimenticarci
di badare alla nostra anima.
XII
L'Abate Arsenio, quando abitava ancora alla corte imperiale, pregò il Signore
dicendo: Signore, guidami alla salvezza. Ed ecco che gli giunse una voce che
diceva: Arsenio, allontanati dagli uomini, e ti salverai. Sempre lui, avviandosi
alla vita monastica, pregò di nuovo pronunciando le stesse parole. E udì una
voce che diceva: Arsenio fuggi, sta' in silenzio e ricerca la
quies, giacché da questo deriva
l'assenza di peccato.
XIII
Un confratello andò dall'Abate Mosé a Sceta, chiedendogli un colloquio. Il
vecchio gli rispose: Va', siedi nella tua cella e la tua cella ti insegnerà
tutto.
XIV
Un anziano vide uno che rideva e gli disse: Siamo destinati a render conto di
tutta la nostra vita davanti al Signore del cielo e della terra; e tu ridi?
XV
Dicevano dell'Abate Agatone che si mise per tre anni una pietra in bocca, finché
non imparò a tacere.
XVI
Un confratello interrogò l'Abate Isidoro, il più anziano di Sceta, dicendo:
Perché i demoni ti temono così tanto? Il vecchio gli disse: Da quando sono
diventato monaco, cerco di non lasciare che la collera salga fino alle mie
labbra.
XVII
L'Abate Anastasio aveva un libro scritto su pergamena finissima, che valeva
diciotto soldi, e in esso aveva sia il Vecchio che il Nuovo Testamento in
versione integrale. Una volta un fratello venne a trovarlo e vedendo il libro se
ne andò con esso. Cos il giorno in cui l'Abate Anastasio andò per leggere il
proprio libro e trovò che non c'era più, capì che il fratello l'aveva preso. Ma
non gli mandò dietro nessuno, per chiederne notizia, per timore che il fratello
potesse aggiungere una bugia al furto. Poi il fratello scese nella città più
vicina per vendere il libro. E il prezzo che chiese fu di sedici soldi. Il
compratore disse: Dammi il libro, affinché possa scoprire se vale tanto. Con
ciò, il compratore portò il libro da vedere a sant'Anastasio e disse: Padre, dà
un'occhiata a questo libro, per favore, e dimmi se pensi che dovrei comprarlo
per sedici soldi. Vale dunque così tanto? L'Abate Anastasio disse: Si, è un bel
libro, vale tutto quel prezzo. Così il compratore ritornò dal fratello e disse:
Ecco il tuo denaro. Ho mostrato il libro all'Abate Anastasio che ha detto che è
bello e che vale almeno sedici soldi. Ma il fratello disse: E’ tutto ciò che ha
detto? Ha fatto altre osservazioni? No, disse il compratore, non ha detto altro.
Beh! disse il fratello, ho cambiato idea, e dopo tutto non voglio vendere questo
libro. Allora andò di corsa dall'Abate Anastasio e lo supplicò in lacrime di
riprendersi il libro. Ma l'Abate non volle accettarlo, dicendo: Va' in pace,
fratello, te ne faccio dono. Ma il fratello disse: Se non lo riprenderai, non
avrò mai più pace. Dopo quell'episodio il fratello abitò con l'Abate Anastasio
per il resto della sua vita.
XVIII
Disse ancora l'Abate Macario: Se volendo rimproverare qualcuno sei indotto alla
collera, soddisfi una tua passione; non perdere te stesso per salvare un altro.
XIX
Disse ancora l'Abate Iperichio: è bene mangiare carne e bere vino piuttosto che
divorare le carni dei propri fratelli denigrandoli.
XX
Un'altra volta a Sceta fu portata una brocca di vino nuovo perché ne fosse dato
ai confratelli un calice per ciascuno. Un confratello entrando vide che gli
altri ricevevano il vino e fuggì nella cripta, che crollò. Avendo sentito
rumore, gli altri accorsero e trovarono il confratello che giaceva a terra mezzo
morto; e presero a rimproverarlo, dicendo: Ti sta bene, perché hai peccato di
superbia. Ma l'Abate, consolandolo, disse: Perdonate il mio figliolo: ha fatto
bene. E, in nome di Dio, questa cripta non sarà ricostruita finché vivo io,
affinché il mondo sappia che a Sceta è crollata una cripta per un calice di
vino.
XXI
Un monaco, lungo un sentiero, si imbatté nelle ancelle di Dio. Dopo averle viste
cambiò strada. E la Badessa gli disse: Se tu fossi stato un monaco perfetto, non
ci avresti osservate a tal punto da riconoscere che eravamo donne.
XXII
Un confratello rinunciò al mondo e diede ai poveri ciò che possedeva, ma
mantenne poche cose in suo possesso. Si recò poi dall'Abate Antonio. Il vecchio,
quando l'ebbe saputo gli disse: Se vuoi diventare monaco, vai al villaggio,
compra della carne, mettila sul tuo corpo nudo e così torna qui. Una volta che
il fratello ebbe fatto ciò, i cani e gli uccelli lacerarono il suo corpo. Giunto
dal vecchio questi gli chiese se aveva fatto ciò che gli aveva ordinato. E
mentre quello gli mostrava il proprio corpo straziato, sant'Antonio disse:
Coloro che rinunciano al mondo e vogliono tenere del denaro vengono assaliti e
sbranati dai diavoli proprio in questo modo.
XXIII
L'Abate Teodoro di Fermo aveva tre bei libri. Recatosi dall'Abate Macario gli
disse: Ho tre libri e traggo giovamento dalla loro lettura. Ma anche i fratelli
li chiedono per leggerli, e anch'essi ne traggono giovamento. Dimmi dunque: che
debbo fare? E il vecchio rispondendo disse: Certamente le tue sono buone azioni,
ma meglio di tutto è non possedere nulla. Dopo aver inteso queste parole egli se
ne andò, vendette i libri menzionati sopra e diede ai poveri il denaro
ricavatone.
XXIV
L'Abate Ammone disse di aver passato quattordici anni a Sceta pregando Dio
giorno e notte di dargli la forza di vincere la collera.
XXV
L'Abate Pastor disse che la virtù del monaco si manifesta nella tentazione.
XXVI
Un anziano diceva: Per questo non facciamo progressi, perché non conosciamo i
nostri limiti e non abbiamo pazienza nel compiere l'opera che abbiamo
intrapreso, ma vogliamo entrare in possesso della virtù senza alcuno sforzo.
XXVII
Un anziano disse: Come un albero non può dare frutto se è trapiantato parecchie
volte, così neppure un monaco che cambia spesso la sua sede può dare frutto.
XXVIII
Un anziano disse: La cella di un monaco è la famosa fornace di Babilonia, [Dn 3,
19-27] dove tre fanciulli trovarono il figlio di Dio, ma è anche la colonna
della nube dalla quale Dio parlò a Mosè [Es 14, 19].
XXIX
Un giorno un fratello andò dall'Abate Teodoro di Fermo e passò tre giorni a
chiedergli di ascoltare la sua parola. Ma quello non gli rispose ed egli se ne
andò triste. Allora un suo discepolo disse all'Abate: Padre, perché non hai
parlato? Ecco che se n'è andato via triste. E il vecchio disse: Credimi, non gli
ho parlato perché è un mercante e vuole vantarsi delle parole altrui.
XXX
Un altro fratello interrogò lo stesso vecchio, l'Abate Teodoro, e iniziò a
parlare e a fare domande su cosa dovesse ancora fare. Il vecchio gli disse: Non
hai ancora trovato una nave, né hai collocato su di essa i tuoi bagagli, né hai
intrapreso la navigazione, e sei già giunto nella città dove avevi stabilito di
giungere? Solo dopo esserti occupato di ciò di cui parli, soltanto allora
parlane.
XXXI
Un giorno un giudice della provincia sentì parlare dell'Abate Mosè e si recò a
Sceta per vederlo; quando annunciarono al vecchio il suo arrivo, egli si levò
per fuggire in una palude; quel giudice con i suoi lo incontrò e gli chiese:
Dicci, o vecchio, dov'è la cella dell'Abate Mosè? Ed egli rispose loro: Perché
volete cercarlo? E’ stolto ed eretico. Il giudice, quando giunse alla chiesa,
disse ai chierici: Sentendo parlare dell'Abate Mosè, sono venuto a vederlo; ed
ecco che mi venne incontro un vecchio diretto in Egitto al quale domandai dov'è
la cella dell'Abate Mosè; ed egli ci disse: Perché lo cercate? E’ stolto ed
eretico. Ma i chierici ascoltandolo si rattristarono e dissero: Com'è il vecchio
che vi ha parlato in questi termini di quel santo? Ed essi risposero: Porta un
abito vecchissimo, è alto e scuro. E i chierici dissero: E’ proprio l'Abate Mosè
poiché non voleva che lo vedeste, per questo vi ha parlato cos di sé. Il giudice
se ne andò rafforzato nella fede.
XXXII
L'Abate Poemen disse: Se Nabuzardan, il più eccellente fra i cuochi, non fosse
venuto a Gerusalemme, il tempio del Signore non sarebbe bruciato [2 Re 25,
8-21]. Se non si fosse insinuata nell'anima la voracità, i sensi dell'uomo non
sarebbero stati infiammati dalle tentazioni del demonio.
XXXIII
Un fratello forestiero andò dall'Abate Silvano, sul monte Sinai, e vedendo che i
confratelli lavoravano, disse loro: Perché vi occupate di un cibo che perisce?
Maria infatti ha scelto la parte buona [Lc 10, 38-42]. Allora il vecchio disse
al suo discepolo Zaccaria: Dagli un libro da leggere e prima di tutto mettilo in
una piccola cella. Ma all'ora nona quel fratello guardava nella strada se per
caso il vecchio lo mandasse a chiamare per mangiare. E dopo che fu trascorsa
l'ora nona andò dal vecchio dicendogli: Forse oggi i confratelli non hanno
pranzato, padre? Quando il vecchio rispose di sì quello disse: Perché non mi hai
fatto chiamare? Allora l'Abate Silvano gli rispose: Tu sei un uomo
spirituale e non hai bisogno di questo cibo; noi invece, in quanto fatti
di carne e ossa, abbiamo bisogno di mangiare e perciò lavoriamo, mentre tu hai
scelto la parte buona. Infatti tu leggi tutto il
giorno e non vuoi ricevere il cibo materiale.
Dopo aver udito queste parole, quello iniziò a pentirsi e a dire:
Perdonami, padre.
Allora Silvano gli rispose: Dunque Marta è necessaria a Maria, infatti grazie a
Marta anche Maria viene lodata.
XXXIV
Uno dei monaci, Serapione, che possedeva soltanto un Vangelo, lo vendette e
diede il ricavato agli affamati, lasciando una parola degna di essere ricordata:
Ho venduto - disse - proprio quel libro che continuamente mi diceva: Vendi ciò
che possiedi e dallo ai poveri.
XXXV
Uno dei confratelli, essendo stato offeso da un altro, andò dall'Abate Sisois e,
raccontandogli l'offesa subita, aggiunse: Voglio vendicarmi, o padre.
Il vecchio iniziò a chiedergli di lasciare a Dio la vendetta. Ma quello disse:
Non desisterò se prima non sarò stato vendicato adeguatamente. Il vecchio gli
rispose: Poiché hai deciso questo una volta per tutte nel tuo animo, preghiamo
ancora; e alzandosi in piedi iniziò a pregare: Dio, ormai non ci serve più che
tu ti occupi di noi, perché, come dice questo fratello, vogliamo e possiamo
vendicarci da soli. Avendo udito ciò, quel fratello, gettatosi ai piedi del
vecchio, chiese perdono, promettendo che non avrebbe mai litigato con colui
contro il quale era in collera.
XXXVI
Un fratello interrogò l'Abate Sisois dicendo: Se i ladroni o i selvaggi mi
attaccheranno con l'intenzione di uccidermi e io potrò avere la meglio, mi
ordini di ucciderli? Egli rispose: Non farlo assolutamente, ma demanda tutto a
Dio. Infatti confida che ogni avversità che ti toccherà ti giunge per i tuoi
peccati, giacché devi attribuire tutto alla giustizia distributiva di Dio.
XXXVII
Sul monte detto Atzlibeo c'era un grande eremita, che fu assalito dai ladri. Ma
poiché egli aveva gridato, altri confratelli, accorsi dai luoghi vicini, li
acchiapparono. Quando furono condotti in città, il giudice li mandò in prigione.
Allora quei confratelli iniziarono ad affliggersi perché proprio grazie a loro i
ladroni erano stati consegnati al giudice. Andando dall'Abate Poemen, gli
riferirono il fatto. Egli scrisse all'eremita dicendo: Se ricordi da dove ha
avuto origine il primo tradimento capirai anche la ragione del secondo. Infatti
se non fossi stato tradito dai tuoi pensieri, non avresti mai perpetrato il
secondo tradimento consegnando quegli uomini ai giudici. L'eremita, colpito da
quelle parole, si levò di colpo e andò in città, e facendo scarcerare
pubblicamente i ladri li liberò dalla tortura.
XXXVIII
Il discepolo di un filosofo aveva peccato e poiché voleva essere perdonato, il
filosofo gli disse: Non ti perdono se per tre anni non porterai i pesi degli
altri. Quando ritornò dopo tre anni dopo aver scontato la sua colpa, il filosofo
gli disse: Non ti perdono ancora, se per altri tre anni non pagherai coloro che
ti oltraggiano e ti insultano. Una volta che il giovane ebbe adempiuto anche a
questo, e gli furono rimesse le sue colpe, il maestro gli disse: Ora vieni ed
entra in Atene, per impararvi la sapienza. Là c'era un vecchio saggio, che
sedeva presso la porta e insultava tutti quelli che entravano per metterli alla
prova. Ma quando fece la stessa cosa con il giovane che entrava in quel momento,
questi si mise a ridere fragorosamente. Allora il vecchio gli disse: Che fai? Io
ti insulto e tu ridi? Il giovane gli rispose: Non vuoi che rida, dopo che per
tre anni ho pagato la gente per subire quel che oggi subisco da te
gratuitamente? Allora il vecchio gli disse: Entra dunque in città, poiché ne sei
degno. L'Abate Giovanni era solito raccontare questa storia e vi aggiungeva di
suo: Questa è la porta di Dio, attraverso la quale, fra molte tribolazioni e
oltraggi, i nostri Padri sono entrati lietamente nella Sua città
XXXIX
Un giorno nella Valle delle Celle si celebrava una festa e i confratelli
mangiavano in comunità. Là c'era un confratello che disse a quello che serviva
in tavola: Non mangio cibo cucinato ma solo sale [nota]. Quello che serviva
chiamò un altro confratello in presenza di tutta la comunità dicendo: Quel
confratello non mangia cibo cucinato; portagli del sale. Ma uno degli anziani si
alzò e gli disse: Sarebbe stato meglio che tu mangiassi carni da solo nella tua
cella, piuttosto che queste parole fossero udite in presenza di così tanti
confratelli.
[nota: Il sale era usato per condire il pane secco.]
XL
Un confratello aveva peccato e il presbitero gli ordinò di uscire
dall'assemblea. Allora Bessarione si alzò e uscì con lui dicendo: Anch'io sono
un peccatore.
XLI
Un giorno a Sceta si scoprì che un confratello aveva peccato; gli anziani si
riunirono e mandarono a chiamare l'Abate Mosè, dicendogli di venire; ma quello
non volle andare. Allora il presbitero lo mandò a chiamare dicendo: Vieni,
poiché la comunità dei confratelli ti attende. E quello, levatosi, andò.
Tuttavia portando con sé una cesta vecchissima, la riempì di sabbia e se la
trascinò dietro. Quelli gli andarono incontro dicendo: Che significa, o Padre? E
il vecchio rispose loro: I miei peccati scorrono a profusione alle mie spalle e
io oggi sono venuto a giudicare i peccati altrui? Allora essi, sentendolo, non
dissero nulla al confratello, e anzi lo perdonarono.
XLII
Un fratello interrogò l'Abate Pastor dicendo: Che fare, giacché la mia anima è
stretta dall'angoscia quando siedo in preghiera? Il vecchio gli rispose: Non
disprezzare e non condannare nessuno, non biasimare nessuno: Dio ti darà la pace
e la tua meditazione non sarà turbata.
XLIII
Un anziano disse: Non giudicare un fornicatore se sei casto, poiché come lui
trasgredirai la legge. Infatti colui che disse: Non fornicare, disse anche: Non
giudicare.
XLIV
Uno dei Padri raccontò che un vecchio stava nella sua cella lavorando con
impegno, e indossava una stuoia di giunco. Poiché si era recato dall'Abate
Ammone, l'Abate Ammone gli vide indossare la stuoia di giunco e gli disse:
Questo non ti serve a nulla. Il vecchio gli disse: Tre pensieri mi tormentano:
uno che mi spinge ad allontanarmi da qualche parte in solitudine; l'altro, che
mi induce a cercare una terra straniera dove nessuno mi conosca; il terzo, che
mi spinge a rinchiudermi nella mia cella, per non vedere nessuno, e a mangiare
dopo due giorni. L'Abate Ammone gli disse: Non ti serve fare nessuna di queste
tre cose; piuttosto stai nella tua cella, mangia poco ogni giorno, e tieni
sempre in mente le parole di quel pubblicano che si leggono nel Vangelo [Lc 18,
13]: [nota] così potrai salvarti.
[nota: La formula " Signore, abbi pietà di me peccatore! " è la base della "
preghiera di Gesù ", ripetuta più volte e recitata da tutti nell'ambito del
monachesimo orientale.]
XLV
Si raccontava che l'Abate Giovanni il Nano una volta disse a un suo confratello
più anziano: Vorrei essere tranquillo come gli angeli, che non fanno nulla e
servono Dio senza sosta; e, spogliandosi delle vesti, se ne andò in solitudine.
Trascorsa una settimana, tornò dal confratello, e, mentre batteva alla porta,
quello prima di aprire gli rispose dicendo: Chi è? E quello disse: Sono
Giovanni. A sua volta il confratello gli ribatté dicendo: Giovanni è diventato
un angelo e non è più fra gli uomini. Ma quello continuava a battere alla porta
dicendo: Sono io. L'altro non gli aprì ma lo lasciò battere. Poi aprendo gli
disse: Se sei uomo, hai bisogno di darti da fare ancora per vivere; se invece
sei un angelo perché chiedi di entrare in una cella? Quello pentendosi disse:
Perdonami, o fratello, perché ho peccato.
XLVI
L'Abate Pastor disse: Se una cassa piena di abiti viene abbandonata per lungo
tempo, gli abiti contenuti in essa marciscono; così sono anche i pensieri nel
nostro cuore. Se non li metteremo in atto concretamente, nel tempo si
deformeranno e marciranno.
XLVII
Un'altra volta disse: Se ci sono tre monaci che vivono insieme, dei quali uno
sappia meditare bene, l'altro sia debole di salute e renda grazie per questo, e
il terzo li serva entrambi di buona volontà, questi tre sono simili, come se
adempissero a un'unica mansione.
XLVIII
Disse ancora: Malvagità non caccia affatto malvagità; se uno ti ha fatto del
male, tu fagli del bene, per distruggere la sua malvagità con le tue opere
buone.
XLIX
Disse ancora: Chi si lamenta, non è un monaco; chi fa il male in cambio del
male, non è un monaco; chi cede all'ira, non è un monaco.
L
Un confratello andò dall'Abate Pastor e gli disse: Mi vengono molti pensieri e
sono in pericolo per causa loro. Il vecchio lo mandò all'aria aperta e gli
disse: Dilata il tuo petto e trattieni l'aria al suo interno. Quello rispose:
Non posso farlo. Allora il vecchio gli disse: Se non puoi far questo, non puoi
neppure impedire ai pensieri di entrarvi, ma è tuo dovere resistere a essi.
LI
Un'altra volta l'Abate Pastor raccontò che l'Abate Ammone aveva detto: C'è un
uomo che per tutta la vita porta con sé una scure, ma non riesce ad abbattere un
albero; ce n'è un altro che è abituato a tagliare alberi e con pochi colpi
abbatte l'albero. La scure è il discernimento.
LII
Un fratello interrogò l'Abate Pastor dicendo: Alla mia anima nuoce il fatto che
io viva con il mio padre spirituale. Che mi ordini dunque, di restare ancora da
lui? L'Abate Pastor sapeva che l'anima di quel fratello subiva danno a causa del
suo padre spirituale e si stupiva che quello gli chiedesse se doveva restare.
Gli disse: Se vuoi, resta. Quello se ne andò e rimase da lui. Ma andò un'altra
volta dicendo all'Abate Pastor: Ho un peso nell'anima. E l'Abate Pastor non gli
disse: Allontanati da lui. Venne una terza volta e disse: Credimi, non starò più
con lui. Il vecchio gli disse: Ecco, ora sei salvo, va' e non stare più con lui.
Infatti l'Abate Pastor disse a quel fratello: Chi vede la sua anima danneggiata,
non ha bisogno di fare domande. Quando si tratta di pensieri nascosti, è giusto
porre domande, in modo che gli anziani possano esaminarli; ma in caso di peccati
manifesti, non bisogna porre domande, bensì stroncarli immediatamente.
LIII
L'Abate Palladio disse: Bisogna che l'anima, volgendosi nella direzione della
volontà di Cristo, o impari coscienziosamente ciò che non sa o insegni
apertamente ciò che ha appreso. Ma se, pur avendone la possibilità, rifiuta
entrambe le cose, è affetta da follia. Infatti l'inizio dell'allontanamento da
Dio è l'avversione per la dottrina e il disinteresse per ciò di cui sempre ha
fame l'anima che ama Dio.
LIV
Un anziano disse: Se uno è rimasto in un luogo e non ha prodotto frutti, è
proprio il luogo a respingerlo, perché non è stato reso fertile.
LV
A un vecchio fu chiesto: Cosa significa ciò che si legge, la "via stretta e
angusta" [Lc 13, 24]? Il vecchio rispose dicendogli: La "via stretta e angusta"
è questa: che l'uomo faccia violenza ai suoi pensieri e stronchi i suoi desideri
a causa di Dio. Questo è anche quanto è scritto dagli apostoli: Ecco, abbiamo
abbandonato tutto e ti abbiamo seguito [Lc 18, 28].
LVI
Un anziano disse: Siamo condannati non perché in noi si insinuano pensieri
cattivi, ma perché facciamo cattivo uso dei nostri pensieri. Infatti per colpa
dei nostri pensieri ci accade di naufragare, ma al contrario a causa loro
possiamo anche ricevere un premio.
LVII
Diceva un anziano: C'è un uomo che, pur mangiando molto, ha ancora fame; c'è
anche un altro uomo che mangia poco ed è sazio. Ebbene, riceve maggior
ricompensa quello che mangia molto e ha ancora fame, di quello che mangia poco
ed è sazio.
LVIII
Gli altri confratelli lodavano unanimemente un fratello in presenza dell'Abate
Antonio; ma quando il vecchio lo ebbe messo alla prova, scoprì che non tollerava
le offese. E il vecchio gli disse: Tu sei simile a un edificio, che, pur avendo
una bella porta d'ingresso, tuttavia viene espugnato dai ladri per la porta di
servizio.
LIX
Un fratello chiese all'Abate Poemen: Che dovrei fare, o padre, giacché sono
turbato dalla tristezza? Il vecchio gli disse: Non stimare nessuno una nullità,
non condannare nessuno, non sottrarre nulla a nessuno, e Dio ti darà la pace.
LX
Uno dei fratelli chiese ad un anziano: Padre, gli uomini santi sanno sempre
quando la potenza di Dio è in loro? E l'anziano replicò: No, non si sa sempre.
Infatti una volta un grandissimo eremita aveva un discepolo che commise uno
sbaglio e gli disse: Muori! All'istante il discepolo cadde morto. E l'eremita,
sopraffatto dal terrore, pregò il Signore dicendo: Signore Gesù Cristo, ti prego
di riportare in vita il mio discepolo e d'ora in poi starò attento a come parlo.
Allora immediatamente il discepolo fu riportato in vita.
LXI
Uno degli anziani era solito dire: All'inizio, quando ci trovavamo, eravamo
soliti parlare di qualcosa di buono per le nostre anime. Continuando così siamo
saliti fino al cielo. Ma adesso quando ci troviamo passiamo il tempo a criticare
tutto e ci trasciniamo l'un l'altro nell'abisso.
LXII
Alcuni anziani dissero: Se vedrai un giovane salire al cielo di sua volontà,
afferralo per un piede, e scaraventalo a terra, poiché ciò non gli serve.
LXIII
L'Abate Bessarione morendo diceva: Un monaco dev'essere tutt'occhi, come il
Cherubino e il Serafino.
LXIV
L'Abate Pastor disse ancora: Allontanati da ogni uomo che quando discorre
polemizza continuamente.
LXV
Un anziano disse: Applicati al silenzio, non concepire vani pensieri, e sii
intento nella tua preghiera sia quando riposi sia quando ti alzi nel timor di
Dio. Facendo questo, non avrai timore degli assalti dei malvagi.
LXVI
Uno degli anziani disse: Quando gli occhi di un animale sono coperti, allora
gira intorno alla macina; se invece ha gli occhi scoperti, non gira intorno al
perimetro della macina; così anche il diavolo, se sopraggiunge a coprire gli
occhi dell'uomo, lo umilia in ogni sorta di peccato. Ma se gli occhi dell'uomo
non sono chiusi, egli può sfuggire più facilmente al demonio.
LXVII
Dei fratelli, venuti a comprare del lino dalla Tebaide, dissero a un altro: In
quell'occasione vedremo il beato Arsenio. Giunti alla sua spelonca, il suo
discepolo Daniele glieli annunciò. Ed egli gli disse: Va', o figliolo, e,
ricevutili, rendi loro onore, ma lascia che io contempli il cielo e congedali,
giacché non vedranno il mio volto.
LXVIII
I santi Padri si radunavano e parlavano di ciò che sarebbe accaduto all'ultima
generazione e uno di loro specialmente, chiamato Squirione, disse: Noi adesso
seguiamo i comandamenti di Dio. Poi i Padri gli chiesero: Che cosa sarà di
quelli che verranno dopo di noi? Egli replicò: Forse una metà di loro si atterrà
ai comandamenti di Dio e cercherà il Dio eterno. E i Padri chiesero: E quelli
che verranno dopo di questi, che cosa faranno? Egli rispose con queste parole:
Gli uomini di quella generazione non metteranno in pratica i comandamenti di Dio
e dimenticheranno i suoi precetti. Allora il male traboccherà e la carità di
molti si raffredderà e saranno sottoposti ad una terribile prova; quelli che
risulteranno meritevoli in questa prova, saranno migliori di noi e migliori dei
nostri Padri. Saranno più felici e di virtù più provata e perfetta.
LXIX
Raccontavano dell'Abate Arsenio che la sua cella distava trentadue miglia dal
centro abitato e che egli non ne usciva, ma altri gli facevano le commissioni.
Ma quando la località di Sceta fu designata per ospitare un eremo, se ne andò
piangendo e dicendo: la gente del mondo ha fatto perire Roma e i monaci Sceta.
LXX
Un giorno Abramo, discepolo dell'Abate Sisois, gli disse: Padre, ormai sei
vecchio, andiamo un po' più vicini al mondo abitato. L'Abate Sisois gli rispose:
Andiamo dove non c'è una donna. Il discepolo ribatté: E dov'è un luogo senza
donne, se non nel deserto? Il vecchio disse: Allora portami nel deserto.
LXXI
Raccontavano di un vecchio che moriva a Sceta: i confratelli circondarono il suo
letto, lo vestirono e iniziarono a piangere; ma quello aprì gli occhi e si mise
a ridere, e rise ancora una seconda volta e una terza. I fratelli vedendolo gli
chiesero: Dicci, o padre, perché mentre noi piangiamo tu ridi? Ed egli rispose
loro: La prima volta ho riso perché voi temete la morte, la seconda perché non
siete pronti a morire; la terza perché dalla fatica approdo al riposo, e voi
piangete. Dopo aver detto questo, immediatamente chiuse gli occhi per morire.
LXXII
L'Abate Lot andò dall'Abate Giuseppe e gli disse: Padre, secondo le mie capacità
mi attengo a una piccola regola, e a un piccolo digiuno, pratico la preghiera,
la meditazione e la pace interiore, e secondo le mie capacita mi sforzo di
rendere puri i miei pensieri; dunque che altro debbo fare? Allora il vecchio
alzandosi tese le mani al cielo e le sue dita diventarono come dieci lampade di
fuoco, ed egli gli disse: Se vuoi, diventa tutto un fuoco.
LXXIII
Dicevano dell'Abate Sisois che se non abbassava le mani quando era in preghiera,
la sua mente era trascinata ad altezze superiori. Dunque, se capitava che un
confratello pregasse con lui, si affrettava ad abbassarle, affinché la sua mente
non fosse in preda al rapimento e non vi indugiasse.
LXXIV
Uno dei Padri diceva: Come è impossibile che un uomo veda il proprio volto
nell'acqua torbida, così anche l'anima, se non è stata purificata da pensieri
estranei, non può pregare Dio assorta nella contemplazione.
LXXV
Un fratello andò da un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o
padre, perché ti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose
dicendogli: La mia regola è di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in
pace.
LXXVI
Un fratello disse all'Abate Pastor: Se darò a un mio fratello un po' di pane o
qualcos'altro, i demoni macchieranno quel gesto, perché sembri che è stato
compiuto per piacere agli uomini. E il vecchio gli disse: Anche se una simile
azione fosse compiuta per piacere agli uomini, tuttavia è nostro dovere offrire
ai fratelli ciò di cui hanno bisogno. E gli raccontò questa storia. Due uomini
facevano i contadini e vivevano in un villaggio. Uno di loro, seminando raccolse
frutti scarsi e di cattiva qualità, l'altro, trascurando la semina, non raccolse
assolutamente nulla. Qualora venisse la carestia, chi dei due può trovare
scampo? Il confratello rispose: Colui che fece il raccolto, per quanto scarso e
brutto. Il vecchio gli disse: Così anche noi gettiamo pochi semi, anche se
impuri, per non morire in tempo di carestia.
LXXVII
L'Abate Iperichio disse: Dovere del monaco è l'obbedienza: chi la possiede, sarà
esaudito nelle sue richieste e starà fiducioso davanti al Crocifisso; infatti
proprio così il Signore è arrivato alla croce, essendosi reso obbediente fino
alla morte [Fil 2, 8 ].
LXXVIII
Un giorno degli anziani andarono dall'Abate Antonio, e con loro c'era anche
l'Abate Giuseppe L'Abate Antonio, volendo metterli alla prova, iniziò un
discorso sulle Sacre Scritture. E cominciò a chiedere ai più giovani cosa
significasse questa o quella frase. E ognuno cercava di rispondere nel miglior
modo possibile. Ma quello continuava a dire loro: Non avete ancora trovato. Dopo
essersi rivolto a loro disse all'Abate Giuseppe: Tu cosa dici che significa
questa frase? Quello rispose: Non lo so. E l'Abate Antonio disse: In verità solo
l'Abate Giuseppe ha trovato la strada, perché non sa rispondere.
LXXIX
L'Abate Giovanni di Tebe disse: Prima di tutto il monaco deve avere umiltà:
infatti è questo il primo comandamento del Salvatore, che dice: Beati i poveri
di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli [Mt 5, 3].
LXXX
Un giorno l'Abate Macario, passando di ritorno dalla palude nella sua cella,
recava con sé dei rami di palma, ed ecco per la strada gli venne incontro il
diavolo con una falce per la mietitura. Lo avrebbe voluto colpire con quella
falce, ma non ci riuscì e gli disse: O Macario, da te subisco grande violenza,
perché non posso avere la meglio su di te. Infatti qualsiasi cosa tu faccia, la
faccio anch'io: digiuni e anch'io non mangio affatto, vegli e anch'io non dormo
affatto. C'è una sola cosa in cui mi sei superiore; l'Abate Macario chiese:
Quale? Il diavolo rispose: La tua umiltà, a causa della quale non riesco ad
avere la meglio su di te.
LXXXI
All'Abate Pastor fu chiesto da un confratello: Come devo comportarmi nel luogo
dove abito? Il vecchio rispose: Sii prudente come uno straniero, e, dovunque tu
sia, non pretendere che le tue parole si impongano quando sei presente, e starai
in pace.
LXXXIl
L'Abate Pastor disse: Sempre e senza sosta l'uomo deve respirare l'umiltà e il
timor di Dio, come l'aria che inspira ed espira con le narici.
LXXXIII
L'Abate Alonio disse: L'umiltà è la terra nella quale Dio ci ha incaricati di
compiere il sacrificio.
LXXXIV
A un anziano fu chiesto cosa fosse l'umiltà. Quello rispose: Se perdonerai a un
fratello che ha peccato contro di te prima che egli ti manifesti il suo
pentimento.
LXXXV
Un fratello chiese a uno degli anziani Cos'è l'umiltà? Il vecchio gli rispose:
Far bene a coloro che ti fanno del male. Il fratello allora disse: Se un uomo
non riesce ad arrivare a tanto, che deve fare; il vecchio rispose: Fugga
scegliendo il silenzio.
LXXXVI
A un fratello apparve il diavolo trasformato in angelo della luce e gli disse:
Sono l'arcangelo Gabriele e sono stato inviato presso di te. Allora egli
rispose: Vedi un po' se per caso non sei stato mandato presso qualcun altro;
infatti non merito che mi si mandi un angelo. Da quel momento il diavolo
scomparve.
LXXXVII
Di un altro anziano raccontarono che continuò a digiunare per settanta settimane
mangiando una volta alla settimana. Interroga Dio a proposito di un passo delle
Scritture e Dio continuava a non svelargliene il significato. Allora egli si
disse: Ecco, ho fatto tanta fatica e non m'è servito a nulla andrò a chiederlo a
un confratello. Dopo che uscì e chiuse la porta per andarsene, gli fu inviato un
angelo del Signore, che gli disse: Le tue settanta settimane di digiuno non ti
hanno avvicinato a Dio, ma ora che ti sei umiliato al punto da andare dal tuo
confratello ti sono stato inviato a spiegarti il senso del passo; e svelandogli
il senso di ciò che chiedeva, si allontanò da lui.
LXXXVIII
L'Abate Pastor disse: Qualsiasi fatica ti toccherà, la supererai con il
silenzio.
LXXXIX
Sindetica, memorabile per la sua santità, disse: Fatica è sia la grande lotta
degli empi che si convertono a Dio, sia l'indicibile gioia che la segue. Infatti
coloro che vogliono accendere un fuoco vengono dapprima aggrediti dal fumo e
versano lacrime per il fastidio che ne hanno, e così ottengono ciò che vogliono.
Infatti sta scritto: il nostro Dio è fuoco che consuma; dunque è necessario che
anche noi accendiamo in noi stessi il fuoco divino con lacrime e fatica.
XC
Nella parte più meridionale dell'Egitto c'era un eremita famosissimo, perché
viveva in un luogo deserto come unico membro della comunità. Ed ecco che, per
opera di Satana, una donna di malaffare, sentendo parlare di lui, prese a dire
ai giovani: Cosa mi darete se faccio desistere dai suoi propositi questo vostro
eremita? Quelli stabilirono di darle una somma di denaro. Uscita di sera, come
se si fosse persa, giunse alla cella dell'eremita; e poiché picchiava alla porta
della cella, egli uscì; al vederla fu turbato e disse: Come sei arrivata fin
qui? Ella con tono supplicante disse: Sono arrivata qui perché mi sono persa.
Egli, mosso a pietà nel profondo, la fece entrare per il piccolo ingresso della
cella ed entrò egli stesso nella parte più interna, chiudendo la porta. Ma ecco
che la disgraziata si mise a gridare, dicendo: Padre, qui le bestie feroci mi
divoreranno. Egli fu nuovamente turbato e temendo il giudizio di Dio diceva: Da
dove mi viene questo turbamento? Aprendo la porta, la fece entrare. Allora il
diavolo cominciò a stimolare come con delle frecce il cuore di lui nei confronti
di lei. Ma egli, resosi conto che erano i pungoli del diavolo, si diceva: Le vie
del nemico sono tenebra [Sal 35, 6] mentre il figlio di Dio è luce. Dunque
alzandosi accese la lucerna. E poiché ardeva di desiderio, diceva: Chi fa
questo, va nel tormento [Gal 5, 10]. Metti dunque alla prova te stesso,
verificando se puoi sopportare il fuoco eterno. E metteva un dito sulla lucerna.
Ma una volta che il dito aveva preso fuoco e bruciava, egli non se ne accorgeva,
perché troppo forte era il fuoco del desiderio carnale. Facendo così fino al
mattino, si bruciò tutte le dita. Quella disgraziata, avendo visto ciò che egli
faceva, fu quasi pietrificata dalla paura. Al mattino i giovani recandosi dal
monaco dicevano: E’ venuta una donna ieri sera tardi? Ma quello rispose: Sì,
ecco dove dorme. Entrando la trovarono morta. E dissero: Padre, è morta. Allora
egli, scostando il mantello che indossava, mostrò loro le mani dicendo: Ecco ciò
che mi ha fatto questa figlia del demonio, ha distrutto tutte le mie dita.
Narrando loro l'accaduto disse: Sta scritto: non ricambiare il male con il male
[1 Tes 5, 15; 1 Pt 3, 9]. E pregando, la risuscitò. Ed ella, convertitasi,
trascorse nella castità il resto della sua vita.
XCI
L'Abate Pastor raccontò che l'Abate Giovanni il Nano aveva pregato il Signore e
il Signore lo aveva liberato da tutte le sue passioni; fu così che egli divenne
impassibile. In questa condizione andò da uno degli anziani e disse: Al tuo
cospetto vedi un uomo che è completamente in pace e non ha più tentazioni.
L'anziano disse: Va' e prega il Signore di suscitare in te qualche battaglia che
ti sproni, perché l'anima matura solo attraverso le battaglie.
E quando le tentazioni ripresero egli non pregò di essere liberato dai
conflitti, ma disse solo. Signore, dammi la forza di superarli.
XCII
Una volta l'Abate Macario era in viaggio da Sceta verso un luogo chiamato
Terenuzin, e andò a passare la notte in una piramide dove i corpi dei pagani
erano stati deposti anni prima. Trascinò fuori una delle mummie e se la mise
sotto il capo come cuscino. I diavoli, vedendo la sua spavalderia, accorsero
infuriati e decisero di spaventarlo. E cominciarono a chiamare dagli altri
corpi, come se chiamassero una donna: Signora, vieni con noi alle terme. Un
altro demone, come se fosse il fantasma della donna, gridò dal corpo che
l'anziano stava usando come cuscino: Questo intruso mi tiene sotto la sua testa
e non posso venire con voi. Ma l'anziano, lungi dall'essere spaventato, cominciò
a picchiare il cadavere, dicendo: Alzati, e vai a nuotare se sei capace. Udendo
questo i demoni gridarono: Hai vinto! e fuggirono alla rinfusa.
XCIII
Si racconta che quando l'Abate Milido viveva in Persia con due discepoli, i
figli dell'Imperatore parteciparono a una grande caccia stendendo reti per un
raggio di quaranta miglia, decisi ad uccidere qualunque cosa vi capitasse
dentro. Ed ecco che l'anziano fu trovato nelle reti con i suoi due discepoli.
Quando lo videro tutto scarmigliato (orribile spettacolo!), gli chiesero
meravigliati se fosse un uomo o una specie di spirito. Egli rispose: Sono un
uomo, e peccatore, e sono venuto qui per piangere sui miei peccati e per adorare
il figlio del Dio vivente. A queste parole essi risposero: Dio non esiste; non
c'è altro Dio al di fuori del sole, dell'acqua e del fuoco. Adorali, e fa' loro
sacrifici. Egli disse: No, non lo farò; queste sono solo creature e voi vi
sbagliate. Dovreste riconoscere il vero Dio che ha fatto queste cose e ogni
altra cosa ancora. Essi dissero schernendolo: Un criminale condannato e
crocifisso è ciò che tu chiami Dio! L'anziano rispose: Colui che fu crocifisso
ha distrutto la morte ed è Lui che io chiamo il vero Dio. Allora lo presero e lo
appesero con una targa e gli lanciarono frecce da diverse parti; mentre facevano
questo l'anziano disse loro: Domani, proprio a quest'ora, vostra madre perderà i
suoi figli. Essi risero di lui e il giorno dopo ripartirono per continuare la
caccia. Accadde che un cervo maschio incappasse nelle loro reti e che essi lo
rincorressero a cavallo, e, avvicinandosi al cervo da lati opposti, scoccassero
le loro frecce e si colpissero l'un l'altro al cuore. Così morirono, secondo le
parole dell'anziano.
XCIV
Un giorno alcuni ladri andarono al monastero da un anziano e gli dissero: Siamo
venuti a prendere tutto ciò che sta nella tua cella. Ed egli rispose: Prendete
ciò che vi pare, o figlioli. Allora presero tutto quel che trovarono nella cella
e se ne andarono. Tuttavia dimenticarono un piccolo altare, che era nascosto
nella cella. Il vecchio, prendendolo, rincorse i ladri gridando e dicendo:
Figlioli, prendete ciò che avete dimenticato. Ed essi, ammirando la tolleranza
del vecchio, riportarono tutto nella sua cella e si pentirono, dicendosi l'un
l'altro: Costui è veramente un uomo di Dio.
XCV
Un anziano aveva un discepolo di provata virtù, ma un giorno, essendo di cattivo
umore, lo cacciò fuori. Il discepolo aspettava seduto fuori. Aprendogli la porta
il vecchio lo trovò e gli chiese perdono, dicendo: Sei tu il padre mio poiché la
tua umiltà e la tua pazienza hanno vinto la meschinità del mio cuore. Entra:
d'ora innanzi tu sei l'anziano e il padre, io invece il giovane e il discepolo
perché con il tuo comportamento ti sei mostrato superiore alla mia vecchiaia.
XCVI
Un fratello chiese ad un anziano: Ci sono due fratelli, dei quali uno medita
nella sua cella, protraendo il digiuno per sei giorni e imponendosi molte
sofferenze, l'altro si dedica agli ammalati. Quale dei due compie l'azione più
gradita a Dio? Il vecchio rispose: Anche se quel fratello che digiuna per sei
giorni si appendesse per il naso, non potrebbe essere all'altezza di quello che
si dedica agli infermi.
XCVII
L'Abate Agatone ammoniva spesso il suo discepolo dicendo: Non acquistare niente
per te stesso che tu possa esitare a dare a un tuo fratello qualora te lo
chieda, perché così saresti considerato trasgressore del comandamento di Dio. Se
qualcuno te lo chiede, daglielo, e se qualcuno lo vuole in prestito, non girarti
dall'altra parte.
XCVIII
Un fratello interroga un anziano, dicendo: Se un fratello mi deve un po' di
denaro, pensi che dovrei chiedergli di restituirmelo? L'anziano gli disse:
Chiediglielo solo una volta, e con umiltà. Il fratello disse: Supponi che glielo
chieda una volta e che non mi restituisca niente. Cosa dovrei fare? Allora
l'anziano disse: Non chiederglielo più. Il fratello disse ancora: Ma cosa posso
fare? Non riesco a liberarmi dalla mia ansia, se non vado a chiederglielo.
L'anziano gli disse: Dimentica le tue ansie. L'importante è non rattristare il
tuo fratello, giacché sei un monaco.
XCIX
Quando la gente andava a comprare dall'Abate Agatone ciò che egli aveva
fabbricato con il lavoro delle sue mani l'abate vendeva tranquillamente. Il
prezzo di un setaccio era cento soldi e un cesto ne costava duecentocinquanta.
Quando venivano a comprare, egli diceva loro il prezzo e prendeva tutto ciò che
gli davano, in silenzio, senza neppure contare le monete, perché diceva: A che
mi serve discutere con loro e magari indurli al peccato di giurare il falso per
poi magari, se avessi del denaro in più, darlo ai fratelli? Dio non vuole da me
elemosine di questo genere e non gli piace che io, per fare le mie offerte,
induca qualcuno al peccato. Allora uno dei confratelli gli disse: E come avrai
mai una scorta di pane per la tua cella? Ed egli rispose: Che bisogno ho io,
nella mia cella, del pane degli uomini?
C
C'era un anziano che, se qualcuno diceva cose malvage su di lui, andava di
persona a offrirgli doni, quando costui abitava vicino. Se invece abitava a una
certa distanza, gli mandava doni tramite un altro.
CI
L'Abate Antonio impartiva all'Abate Ammone questo insegnamento: Devi fare sempre
più progressi nel timore di Dio. E portandolo fuori dalla cella gli mostrò un
sasso dicendo: Va' a insultare quel sasso e battilo senza sosta. Quando l'Abate
Ammone ebbe fatto ciò che gli era stato comandato, sant'Antonio gli chiese se il
sasso avesse risposto. Ammone rispose di no. Allora l'Abate Antonio disse: Anche
tu devi arrivare a non offenderti più di niente.
CII
L'Abate Pastor disse: Proprio come il fumo fa uscire le api dall'alveare in modo
che il miele venga loro sottratto, così una vita comoda priva l'anima dell'uomo
del timor di Dio e cancella tutte le sue opere buone.
CIII
Un filosofo chiese a sant'Antonio: Padre, come puoi essere così felice quando
sei privato della consolazione dei libri? Antonio rispose: Il mio libro, o
filosofo, è la natura, e ogni volta che voglio leggere le parole di Dio, il
libro è davanti a me.
CIV
Una volta un giudice della provincia venne a trovare l'Abate Simone; l'anziano
prese la cintura che indossava e salì su una palma da datteri come se fosse un
raccoglitore di datteri. Ma quello, avvicinandosi, gli chiese: Dov'è l'eremita
che abita in questa parte del deserto? Egli rispose: Non ci sono eremiti qui
intorno. Così quello se ne andò. In un'altra occasione un altro giudice venne a
trovarlo e i suoi compagni, correndogli avanti, dissero: Padre, preparati. Un
giudice che ha sentito parlare di te è per strada e viene a chiederti una
benedizione. L'anziano disse: Puoi star certo che mi preparerò. E indossando
tutti i suoi indumenti prese pane e formaggio in mano, si sedette all'ingresso
della cella e cominciò a mangiare. Il giudice e i suoi assistenti arrivarono, lo
videro mangiare, gli si rivolsero con disprezzo e chiesero: E’ questo l'eremita
di cui abbiamo sentito tanto parlare? Si volsero immediatamente e ritornarono da
dove erano venuti.
CV
L'Abate Giuseppe chiese all'Abate Pastor: Dimmi come posso diventare monaco.
L'anziano rispose: Se vuoi riposare in pace in questa vita e anche nell'altra,
ogni volta che hai un conflitto con un altro di': Chi sono io? e non giudicare
nessuno.
CVI
Un giorno l'Abate Antonio conversava con dei confratelli e un uomo che stava
cacciando nel bosco si avvicinò a loro. Vide che l'Abate Antonio e i confratelli
erano allegri e li disapprovò. L'Abate Antonio disse: Metti una freccia nel tuo
arco e scoccala. Ed egli lo fece. Allora l'anziano disse: Adesso lanciane
un'altra, poi un'altra, poi ancora un'altra. Il cacciatore disse: Se piego il
mio arco tutte le volte, si romperà. L'Abate Antonio rispose: Così è anche del
lavoro di Dio. Se ci sforziamo oltre misura i fratelli presto verranno meno. E’
giusto perciò, di tanto in tanto, allentare i loro sforzi.
CVII
Uno dei santi Padri disse ai monaci che gli chiedevano conto della rinuncia:
Figli miei, dovremmo odiare ogni riposo in questa vita e odiare anche i piaceri
del corpo e le gioie del ventre. Non cerchiamo onore dagli uomini: così nostro
Signore Gesù Cristo ci darà onori in cielo, riposo nella vita eterna e gioia
grande con i Suoi angeli.
CVIII
L'Abate Zenone raccontava che una volta, quando era in cammino verso la
Palestina, si era seduto sotto un albero, essendo stanco del viaggio. Era
proprio vicino a un campo di cocomeri. In cuor suo pensò di alzarsi e di
mangiare un cocomero per recuperare energie. Infatti - egli disse - non sarebbe
stato gran cosa prenderne uno. Ma, rivolto a se stesso, disse: Quando i ladri
vengono condannati subiscono la tortura. Così anch'io dovrei mettermi alla prova
e vedere se sono in grado di sopportare i tormenti che sopportano i ladri. E
alzatosi immediatamente restò in piedi sotto il calore del sole per cinque
giorni e bruciò il suo corpo. Allora disse nella sua mente: Non potrei
sopportare le torture, perciò non devo rubare, ma lavorare con le mie mani come
è consuetudine e vivere del frutto della mia fatica, come dice la Sacra
Scrittura: Se mangerai del lavoro delle tue mani sarai benedetto e il bene sarà
con te [Gn 26, 3-12]. Questo, in verità, è ciò che cantiamo ogni giorno al
cospetto di Dio.
CIX
Gli anziani e tutti i monaci che abitavano nel deserto di Sceta si riunirono in
assemblea e decisero che padre Isacco fosse ordinato presbitero per servire la
Chiesa in quel luogo solitario, in cui, in determinati giorni e ore, i monaci
del deserto si riunivano per il culto. Ma l'Abate Isacco, udendo la decisione
che era stata presa, fuggì in Egitto e si nascose in un campo tra i cespugli,
poiché si riteneva indegno dell'onore del sacerdozio. Molti monaci si misero in
cammino dietro lui per prenderlo. Quando alla sera si fermarono in quello stesso
campo a riposare, stanchi del viaggio (nel frattempo era sopraggiunta la notte),
lasciarono libero l'asino che portava i bagagli e lo mandarono a pascolare.
L'asino, mentre mangiava, giunse nel luogo dove l'Abate Isacco si era nascosto.
Sul far del giorno i monaci, cercando l'asino, arrivarono dove il vecchio si era
nascosto. Sorpresi di come Dio li avesse favoriti, lo presero e stavano per
legarlo e portarlo via prigioniero. Ma il venerabile anziano non lo permise,
dicendo: Ora non posso più oppormi a voi, dal momento che forse la volontà di
Dio è che io, per quanto indegno, riceva gli ordini del sacerdozio.
CX
C'erano due confratelli che vivevano insieme in una cella; la loro umiltà e
pazienza fu lodata da molti Padri. Un sant'uomo, sentendone parlare, volle
metterli alla prova e vedere se possedevano la vera e perfetta umiltà Così andò
a trovarli. Essi lo ricevettero con gioia e tutti insieme recitarono le loro
preghiere e i loro salmi, come d'abitudine. Poi il visitatore uscì dalla cella e
vide il piccolo orto dove coltivavano le verdure. Afferrando il suo bastone vi
si avventò sopra con tutta la sua forza e cominciò a distruggere ogni pianta che
spuntava, cosicché presto non ne rimase nulla. Vedendolo, i due confratelli non
pronunciarono una parola. Non mostrarono nemmeno facce tristi o corrucciate.
Ritornando alla cella finirono le loro preghiere per i vespri e gli resero onore
dicendo: Signore, se vuoi possiamo raccogliere un cavolo che è rimasto e
cucinarlo per mangiarlo, perché adesso è ora di cena. Allora l'anziano si
inchinò davanti a loro dicendo: Rendo grazie al mio Dio, poiché vedo che il Suo
santo Spirito riposa in voi.
CXI
Uno dei confratelli chiese a un anziano: Sarebbe giusto se io tenessi due monete
per me, nel caso mi ammalassi? L'anziano, leggendo nei suoi pensieri che egli
voleva tenerle, disse: Tienile. Il fratello, ritornando alla sua cella, cominciò
a lottare con i suoi pensieri, dicendo: Mi chiedo se il padre mi ha dato la sua
benedizione oppure no. Alzandosi, tornò dal padre e gli rivolse queste parole:
In nome di Dio, dimmi la verità, perché sono tutto ansioso per queste due
monete. L'anziano gli disse: Dal momento che ho visto i tuoi pensieri e il tuo
desiderio di tenere quelle monete, ti ho detto di tenerle. Ma non è bene tenere
più di quello che ci serve per il corpo. Ora queste due monete sono la tua
speranza. Ma se le perdessi, Dio non si prenderebbe forse cura di te? Lasciate
ogni preoccupazione a Dio, allora, perché egli si prenderà cura di voi .
CXII
C'erano due anziani che abitavano insieme in una cella e non avevano mai avuto
motivi di litigio l'uno con l'altro. Perciò uno disse all'altro: Orsù,
litighiamo almeno una volta, come gli altri. L'altro disse: Non so come iniziare
a litigare. Il primo disse: Prenderò questo mattone e lo metterò qui in mezzo a
noi. Poi dirò: E’ mio. Dopo di ciò tu dirai: E’ mio. E’ questo ciò che porta
alla lite e alla contesa. Perciò misero il mattone in mezzo. Uno disse: E’ mio.
L'altro rispose al primo: Io credo che sia mio. Il primo disse ancora: Non è
tuo, è mio.
Così l'altro rispose: Beh, allora, se è tuo, prenditelo! Così essi, dopo tutto,
evitarono di litigare.
CXIII
L'Abate Marco una volta disse all'Abate Arsenio: E’ bene o non è bene avere
nella tua cella qualcosa che ti dia piacere? Per esempio una volta venni a
sapere che un confratello aveva un piccolo fiore selvatico nella sua cella e lo
strappò alla radice. L'Abate Arsenio disse: Bene, è giusto. Ma ogni uomo
dovrebbe agire secondo il proprio percorso spirituale. E se uno non riuscisse a
stare senza quel fiore, dovrebbe ripiantarlo.
CXIV
Una volta chiesero all'Abate Agatone: Che cos'è meglio: praticare l'ascetismo
del corpo o vigilare sullo spirito? L'anziano disse: L'uomo è come un albero. Le
opere del corpo sono come le foglie dell'albero, ma la capacità di vigilare
sullo spirito è come i frutti. Dunque, poiché è scritto che ogni albero che non
porta buon frutto deve essere tagliato e gettato nel fuoco, dobbiamo aver cura
di produrre questo frutto, che è la disciplina dello spirito. Ma abbiamo anche
bisogno delle foglie per coprirci e adornarci: e ciò significa opere buone,
fatte con l'aiuto del corpo. L'Abate Agatone fu saggio nella comprensione e
instancabile nel lavoro e pronto a tutto, si applicò con energia al lavoro
manuale e fu parco nel cibo e nel vestiario.
CXV
Lo stesso Abate Agatone aveva detto: Un uomo irascibile, anche se dovesse
risuscitare i morti, non piacerebbe a Dio per la sua iracondia.
CXVI
C'era un anziano che aveva osservato stretto digiuno per cinquant'anni e diceva:
Ho gettato alle fiamme la lussuria, l'avarizia e la gloria. L'Abate Abramo,
sentendogli dire ciò, gli si rivolse con queste parole: Davvero hai fatto ciò
che dici? Egli replicò: L'ho fatto. Allora l'Abate Abramo disse: Supponi di
andare nella tua cella e di trovare una donna distesa sulla tua stuoia. Puoi
pensare che non sia una donna? Egli rispose: No, ma lotto con i miei pensieri in
modo da non toccarla. L'Abate Abramo disse: Allora tu non hai ucciso la
fornicazione: la passione è viva, ma è come costretta. Supponi dunque di
trovarti in cammino per una strada tra sassi e cocci rotti e di vedere dell'oro:
Puoi pensare a esso come agli altri sassi? E quello rispose: No, ma resisto ai
miei pensieri in modo da non raccoglierlo; Allora l'Abate Abramo disse: Vedi, la
passione è viva ma è come costretta. E riprese: Supponi di sentir parlare di due
fratelli dei quali uno ti ama e dice bene di te e l'altro dice ogni male di te.
Vengono da te: li ricevi entrambi nello stesso modo? Ed egli rispose: No, ma
sono tormentato dentro e cerco di essere giusto e buono con quello che mi odia
come lo sono con l'altro. L'Abate Abramo disse: Le passioni sono vive, allora,
ma nei santi sono solo, in una certa misura, controllate.
CXVII
All'inizio della sua conversione l'Abate Evagrio andò da un anziano e disse:
Padre, dimmi una parola che possa salvarmi. L'anziano disse: Se vuoi essere
salvato, ogni volta che vai a trovare qualcuno, non parlare, finché non è lui a
chiederti qualcosa. Evagrio fu profondamente colpito da queste parole, fece
penitenza davanti all'anziano e gli diede soddisfazione dicendo: Credimi, ho
letto molti libri, ma non ho mai trovato da nessuna parte tanta dottrina. Partì
e fece molti passi avanti.
CXVIII
Un giorno degli anziani vennero a Sceta e l'Abate Giovanni il Nano si trovava
con loro. Mentre stavano pranzando, uno dei presbiteri, un anziano venerando, si
alzò per dare a ciascuno una piccola coppa d'acqua da bere e nessuno l'accettò
da lui tranne Giovanni il Nano. Gli altri ne furono stupiti e successivamente
gli chiesero: Com'è che tu, l'ultimo di tutti, hai osato accettare i servizi di
quell'uomo venerando? Egli replicò: Ebbene, quando mi alzo per dar da bere agli
altri, sono felice che tutti ne prendano; perciò in quest'occasione ho preso da
bere, perché il presbitero potesse essere gratificato e non intristirsi perché
nessuno accettava da lui la coppa. A questo punto tutti ammirarono la sua
capacita di scegliere ciò che era giusto.
CXIX
Un giorno due fratelli stavano seduti con l'Abate Poemen e uno lodava l'altro
dicendo: E’ un bravo fratello: odia il male. L'anziano disse: Che significa:
odia il male? Il fratello non seppe che cosa rispondere e allora disse: Dimmi
tu, padre, che cosa vuol dire odiare il male. Il padre disse: Odia il male colui
che odia i suoi peccati, considera ogni fratello come un santo e come un santo
lo ama.
CXX
L'Abate Giovanni aveva l'abitudine di dire: Abbiamo deposto un fardello leggero,
che consiste nel rimproverare noi stessi, e abbiamo scelto invece di portare un
fardello pesante, che consiste nel giustificare noi stessi e condannare gli
altri.
CXXI
Uno degli anziani aveva finito di fabbricare i suoi canestri e aveva già messo i
manici quando udì il suo vicino dire: Che fare? Il mercato sta per cominciare e
non ho niente con cui fare i manici per i miei canestri. Immediatamente
l'anziano tolse i suoi manici e li diede al fratello con queste parole: Ecco,
questi non mi servono; prendili e mettili sui tuoi canestri. Nella sua grande
carità egli vide che il lavoro del fratello era finito mentre il suo era rimasto
incompleto.
CXXII
Uno degli anziani disse: Proprio come l'ape, dovunque vada, fa il miele, così il
monaco, dovunque vada, se va a fare la volontà di Dio produce sempre la dolcezza
delle opere buone.
CXXIII
L'Abate Giovanni disse: Il monaco dev'essere simile a un uomo, che, seduto sotto
un albero, guarda in alto e si accorge di ogni sorta di serpenti e di animali
feroci che lo assalgono. Dal momento che non può lottare contro tutti, sale
sull'albero e si sottrae alla loro vista. Il monaco tutte le volte dovrebbe fare
lo stesso. Quando il nemico suscita cattivi pensieri, egli dovrebbe fuggire
pregando il Signore, e così si salverà.
CXXIV
L'Abate Mosè disse: Un uomo che vive lontano dagli altri è come l'uva matura. E
un uomo che vive insieme agli altri è uva acerba.
CXXV
Un nobile di alto lignaggio che nessuno conosceva venne a Sceta, portando con sé
dell'oro e chiese al presbitero di quel luogo di consegnarlo ai fratelli. Il
presbitero disse: I fratelli non hanno bisogno di nulla di simile. Il nobile
insistette e non si diede per vinto. Così mise il cesto pieno d'oro all'ingresso
della chiesa e disse al presbitero: Chi ne ha bisogno, può servirsene. Ma
nessuno toccò quell'oro e alcuni nemmeno lo guardarono. Allora l'anziano disse
al nobile: Il Signore ha accettato la tua offerta. Ora vai e dalla ai poveri [Lc
18, 22].
CXXVI
L'Abate Mathois disse: E’ meglio un lavoro facile che richiede molto tempo per
finirlo che un lavoro difficile che è presto fatto.
CXXVII
I Padri erano soliti dire: Se una tentazione sorge nel luogo dove abiti nel
deserto, non lasciare quel luogo nel momento della tentazione, poiché, se lo
lasci, dovunque tu vada troverai sempre la stessa tentazione che ti attende. Ma
sii paziente finché la tentazione non è passata, perché la tua fuga non sia di
scandalo agli altri che abitano nello stesso luogo e porti loro tribolazione.
CXXVIII
L'Abate Zenone, discepolo dell'Abate Silvano, disse: Non abitare in un posto
famoso, non diventare discepolo di un uomo famoso e non mettere fondamenta
quando ti costruisci la cella.
CXXIX
Sia che tu fugga il più lontano possibile dagli uomini sia che tu rida del mondo
e degli uomini che vi abitano, ritieniti uno stolto in molte cose.
CXXX
Teofilo, memorabile per la sua santità, vescovo di Alessandria, era in viaggio
per Sceta e i fratelli, radunatisi, dissero all'Abate Pambo: Di' una parola o
due al vescovo, affinché la sua anima in questo luogo possa essere moralmente
edificata. L'anziano rispose: Se per lui non è edificante il mio silenzio, non
c'è speranza che lo siano le mie parole.
CXXXI
Uno degli anziani disse: Un monaco non dovrebbe chiedere come agisce questo e
come vive quello. Domande simili ci allontanano dalla preghiera e ci portano a
sparlare e a spettegolare. Non c'è niente di meglio del silenzio.
CXXXII
Il beato Macario disse: Questa è la verità: se un monaco tiene nella stessa
considerazione il disprezzo e la lode, la povertà e la ricchezza, la fame e la
sazietà, non morirà mai.
CXXXIII
Due fratelli andarono da un anziano che abitava da solo a Sceta. Il primo disse:
Padre, ho imparato a memoria tutto l'Antico e il Nuovo Testamento. L'anziano gli
disse: Hai riempito l'aria di parole. L'altro disse: Ho copiato l'Antico e il
Nuovo Testamento e li ho nella mia cella. E a costui l'anziano replicò: Hai
riempito di pergamena la tua finestra, ma non conosci colui che disse: Il regno
di Dio non è nelle parole ma nella potenza? E ancora: non quelli che ascoltano
la legge saranno giustificati davanti a Dio, ma quelli che la mettono in
pratica. Perciò i fratelli gli chiesero quale fosse la via della salvezza ed
egli disse loro: L'inizio della salvezza è il timor di Dio e l'umiltà unita alla
pazienza.
CXXXIV
Dissero di un anziano venerando di Sceta che ogni volta che i fratelli
costruivano una cella usciva con gran gioia e metteva le fondamenta, e non
andava via finché la cella non era finita. Una volta, uscendo a costruire una
cella, si rattristò moltissimo. I fratelli dissero: Perché sei triste, padre?
Egli replicò: Figli miei, Sceta
sarà
distrutta, perché vi ho visto un fuoco ardente e i fratelli uscivano con rami di
palma per spegnerlo. Il fuoco fu riacceso e di nuovo i fratelli tagliarono rami
di palma e lo spensero. Ma la terza volta cominciò ad ardere e invase l'intera
Sceta, e non poté più essere spento. Ecco perché sono triste e desolato.
CXXXI
L'Abate Hor disse al suo discepolo: Bada di non portare mai in questa cella le
parole di un altro.
CXXXVI
L'Abate Mosè disse: Un uomo dovrebbe essere come un morto con il suo compagno,
perché morire a un amico è cessare di giudicarlo in qualsiasi cosa.
CXXXVII
Alcuni fratelli dissero all'Abate Antonio: Vorremmo che tu ci dicessi una parola
di salvezza. Allora l'anziano disse: Avete udito le Scritture; dovrebbero
bastarvi. Ma essi dissero: Vogliamo udire qualcosa anche da te, padre. L'anziano
rispose loro: Avete udito il Signore dire: se un uomo ti colpisce sulla guancia
sinistra, mostragli anche l'altra [Lc 6, 29]. Gli dissero: Questo non lo
possiamo fare. Disse loro: Se non potete porgere l'altra guancia almeno
sopportate pazientemente di essere percossi sulla prima. Ed essi risposero: Non
possiamo fare neppure questo. Egli disse: Se non potete fare neanche questo,
almeno non andate a percuotere gli altri più di quanto vorreste che essi vi
percuotessero. Essi dissero: Non possiamo fare neppure questo. Allora l'anziano
disse al suo discepolo: Va' a cucinare del cibo per questi fratelli, perché sono
molto deboli. Infine disse loro: se non potete fare neanche questo, come posso
aiutarvi? Tutto ciò che posso fare è pregare per voi.
CXXXVIII
Un anziano disse: Un uomo che sa guardare la morte in faccia, ogni volta
supererà
la sua codardia.
CXXXIX
Un soldato chiese a un anziano se Dio avrebbe perdonato un peccatore. Ed egli
gli disse: Dimmi, caro, se il tuo mantello è lacero lo getterai via? Il soldato
rispose dicendo: No, lo rammenderò e lo rimetterò addosso. L'anziano gli disse:
Se tu ti prendi cura del tuo mantello, vuoi che Dio non sia misericordioso con
te che sei la sua immagine?
CXL
Una volta l'Abate Silvano si allontanò per qualche tempo dalla sua cella e il
suo discepolo Zaccaria con altri fratelli spostò il recinto dell'orto e lo
ampliò. Quando l'anziano tornò e vide questo, prese la sua pelle di pecora e
partì. Ma essi si gettarono ai suoi piedi e lo pregarono di dir loro perché lo
faceva. L'anziano disse: Non tornerò in questa cella finché non rimetterete il
recinto dov'era prima. Essi lo fecero immediatamente ed egli tornò.
CXLI
Una volta due fratelli andarono da un anziano che aveva l'abitudine di non
mangiare tutti i giorni. Ma quando vide i fratelli, li invitò con gioia a
mangiare con lui, dicendo: Il digiuno ha la sua ricompensa, ma colui che mangia
per
carità
adempie a due comandamenti: mette da parte la propria
volontà
e sazia la fame dei suoi fratelli.
CXLII
A Sceta seguivano la regola di digiunare una settimana prima della Pasqua. Ma
accadde che in quella settimana alcuni fratelli giungessero dall'Abate Mosè,
provenendo dall'Egitto, ed egli cucinasse per loro delle verdure. Quando videro
il fumo uscire dalla sua cella, i chierici della chiesa di Sceta esclamarono:
Guardate, c'è Mosè che infrange la regola e cucina cibo nella sua cella. Quando
arriverà
qui, gli diremo qualcosa. Ma quando venne il sabato, i chierici videro il
venerando Abate Mosè e gli dissero: Abate Mosè, hai infranto il comandamento
degli uomini, ma hai seguito strettamente il comandamento di Dio.
CXLIII
Uno degli anziani disse: Prega attentamente e correggerai presto i tuoi
pensieri.
CXLIV
Un fratello chiese all'Abate Pambo: Perché i diavoli mi impediscono di fare il
bene ai miei fratelli? E l'anziano gli disse: Non parlare così. Dio è forse
bugiardo? Perché non ammetti onestamente che sei tu a non voler essere
misericordioso? Dio non disse forse tanto tempo fa: Ti ho dato potere sui
serpenti, sugli scorpioni e su tutte le forze del nemico? [Lc 10, 19] E allora,
perché non calpesti lo spirito del male?
CXLV
L'Abate Pastor disse: Non abitare in un posto dove ti accorgi che gli altri ti
invidiano, perché
là
non potrai crescere.
CXLVI
L'Abate Pastor disse: Se un uomo ha fatto del male e non lo nega ma dice: Ho
fatto del male, non rimproverarlo, perché bloccherai lo slancio della sua anima.
E se gli dici: Non essere triste, fratello, ma guarda al futuro, lo induci a
cambiare la sua vita.
CXLVII
L'Abate Iperichio disse: Un monaco che non riesce a frenare la sua lingua quando
è in collera, non
potrà
neppure controllare la passione della lussuria.
CXLVIII
L'arcivescovo Teofilo, memorabile per la sua
santità,
in punto di morte disse: Abate Arsenio, tu sei un uomo felice, perché hai sempre
tenuto quest'ora davanti agli occhi.
CXLIX
Quando uno ebbe chiesto all'Abate Agatone di accettare un dono in denaro per
farne uso, il padre rifiutò dicendo: Non ne ho bisogno, dal momento che vivo del
lavoro delle mie mani. Ma quando l'altro riprese a offrire il dono dicendo:
Almeno prendilo per i bisognosi, Agatone rispose: Questo sarebbe un doppio
motivo di vergogna, poiché riceverei denaro senza averne bisogno, e dando via il
denaro di un altro peccherei di
vanità.
CL
Il beato Macario raccontò di sé questa storia, dicendo: Quand'ero giovane e
vivevo da solo nella mia cella, contro la mia
volontà
mi portarono a fare il chierico del villaggio e dal momento che non volevo
rimanere
là,
fuggii in un altro villaggio dove un laico pietoso mi aiutò a vendere il
prodotto del mio lavoro. Accadde che una giovane donna si mise nei guai e rimase
incinta. E, quando i genitori le chiesero chi era il responsabile, ella disse:
Quell'eremita ha commesso il crimine. Così i suoi genitori vennero a prendermi,
mi appesero dei
vasi
al
collo e mi condussero per le strade percuotendomi e insultandomi, dicendo:
Questo monaco ha violentato nostra figlia. E dopo che mi ebbero quasi ucciso a
furia di bastonate, uno degli anziani disse loro: Per quanto tempo avete
intenzione di percuotere questo monaco straniero? Ma poiché egli cercava di
prendersi cura di me che ero rosso di vergogna, questi presero a insultare anche
lui dicendo: Che ha fatto lui, l'uomo che stai cercando di difendere? Non
lasceremo andare a nessuna condizione finché non
avrà
provveduto alla ragazza e finché qualcuno non garantirà per lui nel caso che si
nasconda. Così quando feci cenno all'anziano di fare come gli dicevano, egli si
fece garante e mi portò via. Poi, ritornando nella mia cella, gli diedi tutti i
cesti che trovai da vendere, per procurare cibo a me e alla mia compagna. E
dissi a me stesso: Beh, Macario, adesso hai una moglie e devi lavorare più sodo
per essere in grado di mantenerla. Così lavorai giorno e notte per darle da
vivere. Ma quando per la poveretta venne l'ora di partorire, fu tormentata per
alcuni giorni dalle doglie del parto e non poté dare alla luce il suo bambino. E
quando le fu chiesto conto, disse: Ho attribuito il crimine a quell'eremita, ma
lui era innocente, poiché è stato il giovane della porta accanto a mettermi in
questo stato. Allora colui che mi aveva aiutato, udendo ciò, si rallegrò e venne
a raccontarmi tutto e a chiedermi di perdonarli tutti quanti. Udendo questo e
temendo che la gente venisse a importunarmi, me ne venni alla svelta in
quest'altro luogo. Fu questo il motivo per cui giunsi in questa parte del mondo.
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21settmbre 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net