Regola di S. Benedetto

Prologo: 17 "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila".

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere: 41 Riporre in Dio la propria speranza, 42 attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi, 43 ma essere consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità.

Capitolo VII - L'umiltà: 29 bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e, 30 pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".

Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario: 6 Soprattutto bisogna evitare che per qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della mormorazione, sia pure attraverso una parola o un gesto.


  

Cos’è il male?

Luigi Bettazzi

Estratto da “Ma liberaci dal male… Amen” – Guaraldi 2019

 

L’ultima invocazione del Padre nostro (“liberaci dal male”, che qualcuno legittimamente - secondo l’originale greco - traduce, personalizzandola, “liberaci dal Maligno”) ci propone il tema del “male”, che è uno dei problemi più inquietanti nella storia del pensiero umano.

Già non è facile definire il male, perché se lo si fa indicando il contrario - il male è il contrario del bene - subito emerge l’interrogativo sul contrario: ma cos’è il bene? E se definiamo il bene come la realizzazione di una cosa o di una persona, ne deriva che il male è la mancata realizzazione di una cosa o di una persona. E questo fa problema per chi non crede e pensa che tutto derivi da una evoluzione che è la legge di tutte le cose, cosicché tutto corrisponderebbe ad uno sviluppo sollecitato dalla natura delle cose stesse, ed il male dovrebbe allora risultare come una rottura dello sviluppo, che è sempre inevitabile perché nasce dalla natura stessa delle cose.

E tanto più fa problema per chi crede in un Dio creatore, il quale è buono e non può far che cose buone, e non potrebbe quindi ritrovarsi creatore del male. Non è un caso che quando il filosofo tedesco Gottfried Wilhem von Leibniz (1646 - 1716) nella sua opera del 1705 - “Saggi sulla teodicea e sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male” - volle riflettere su questo tema, ne trattò come “teodicea”, che vuol dire in greco “difesa di Dio”, ed è poi rimasto per secoli come titolo dei trattati filosofici su Dio.

Ma gli uni e gli altri sanno che tutte le realtà materiali, nel tempo (più o meno prolungato) si modificano e si logorano, mentre tutte le realtà viventi - da quelle vegetali a quelle animali - dopo la loro nascita e la loro crescita, spesso si riproducono, poi invecchiano e muoiono. E questo potrebbe considerarsi come una privazione, quindi come male per le singole realtà viventi, che passano ad una vita meno attiva e poi cessano di esistere, ma nell’insieme non è un male, è il bene della loro stessa specie, perché garantisce una presenza sempre nuova e pulsante della vita. Così anche eventi grandiosi come terremoti, eruzioni di vulcani, inondazioni, in fondo eseguono leggi di natura, e quindi possono essere considerati per sé non come cose cattive: guai se queste leggi non venissero mantenute, si creerebbe un mondo incerto, impossibile da prevedere e gestire!

Ed è così che, dal momento che ogni realtà esistente è limitata, può sembrare o divenire cavilloso parlare di “male metafisico”, cioè di una limitazione del bene nelle realtà che costituiscono l’universo, proprio perché per definizione non sono la totalità, l’assoluto. Si potrebbe parlare delle limitazioni su quello che ciascuna realtà potrebbe essere; anche se, inserita nella globalità del mondo più grande, ogni singola realtà realizza il “bene” del susseguirsi di regole fisiche che costituiscono il “bene” dell’insieme.

Già queste riflessioni introducono, nella valutazione della totalità del mondo, la presenza dell’essere umano: un mondo senza leggi naturali stabili sarebbe un mondo invivibile per l’essere umano, un mondo da considerare non buono, un mondo dove c’è il male. Anche se un essere umano che conoscesse tutte le leggi della natura, quelle interne a sé e quelle esterne, dovrebbe giungere a ritenere queste leggi, interne ed esterne, come cosa buona, quindi ad escludere il male. Questo potrebbe essere individuato come ostilità alla realtà umana solo quando questa non riuscisse a prevederlo, quindi a regolarsi di fronte ad esso. Ma...e se riuscisse a prevederlo, pur con la collaborazione, anche naturale nel tempo, di altri esseri umani, ma poi non volesse agire per assecondare o per contrastare lo sviluppo conosciuto? E qui allora emerge una qualità propria dell’essere umano che è quella di potersi comportare in modo vario, non prevedibile se non come supposizione, non comunque con la certezza che hanno invece le leggi naturali. Ed è quello che chiamiamo libertà: l’essere umano, al momento di compiere una scelta, si trova a poter compiere un’azione od un’altra, anche contrarie alla prima. Perché sceglie l’una o l’altra?

In realtà, nella storia del pensiero occidentale si è sempre partiti dalla libertà come contrapposta alla violenza, a qualunque violenza che obblighi a fare quello che non si vorrebbe. E la più immediata manifestazione di libertà è quella fisica, che obbligava certi esseri umani, come conseguenza di guerre perdute o di altri meccanismi sociali, ad essere schiavi nelle mani di altri esseri umani che potevano disporre di tutta la loro attività, in certi casi anche della loro vita. Se pensiamo alla storia dell’umanità troviamo chi - come Aristotele - dava per scontato che ci dovessero essere degli schiavi; ed anche San Paolo, pur esortando il cristiano Filemone (v. lettera) a riaccogliere lo schiavo Onesimo, fuggito presso di lui, lo rimanda ricordandogli che per il battesimo gli era divenuto fratello, anche se rimaneva pur sempre uno schiavo.

La presa di coscienza di un’umanità che matura (certo anche sollecitata dal Cristianesimo e dalle religioni, che ti confermano essere tutte le persone umane create da Dio, figlie di Dio), è giunta a proclamare, dall’Illuminismo alla Rivoluzione francese, il valore della libertà, divenuto l’ideale di un movimento sociale, il liberalismo, riferimento di tanta parte dell’umanità. Ma è vero che una libertà proclamata come ideale, nelle mani di chi è potente nella finanza e nella politica, può divenire strumento di accentuate disuguaglianze e di equivalenti oppressioni. [i]

Questa libertà, che nella tradizione del nostro pensiero veniva indicata come “libertà da”, cioè da condizionamenti che finiscono col determinare scelte che non sono vere scelte, implica però che la libertà sia la capacità di scegliere quanto sembra costituire il proprio bene, individuato come “libertà per”, cioè possibilità di determinare verso cosa si intende andare per realizzare un arricchimento della propria personalità. Ed è proprio questo l’ultimo valore della libertà, che ci fa creatore di noi stessi in quanto ci porta ad essere i responsabili di quello che stiamo diventando giorno dopo giorno, momento dopo momento, proprio secondo quanto noi stessi, e non altri, abbiamo voluto.

È vero che per il primo senso della “libertà da” si tende a ricercare nei meccanismi fisiologici e psicologici quanto può determinare gli atteggiamenti quotidiani dei singoli esseri umani, riducendo la valutazione della libertà alla mancata conoscenza di tutti i movimenti fisiologici e psicologici che nell’attualità determinerebbero i nostri comportamenti, ma credo non si possano negare, alla fine, le decisioni di una libertà che, di fronte a quello che sarebbe bene per lei e per la società, sceglie invece quanto può assecondare una ricerca parziale ma non il bene completo personale o collettivo. Credo non si possa arrivare a pensare che i condizionamenti siano tali da togliere la capacità di decisioni libere: altrimenti la giustizia umana dovrebbe ridursi alla ricerca di questi condizionamenti, giungendo al massimo a decidere non sulla colpevolezza e la condanna di un reo (che sarebbe stato determinato ad essere tale), quanto, al massimo, sull’isolamento di chi risultasse pericoloso per gli altri membri della società.

La libertà risulta invece, nell’opinione generale, come appunto “libertà per”, la facoltà cioè di scegliere se stessi nel bene o nel male, certo tenendo conto che si sceglie sempre quello che in quel momento uno ritiene il proprio bene, anche se il singolo, per motivi vari, può scegliere come bene quello che potrebbe (o dovrebbe) sapere che non essere il suo vero bene o il bene della società. S. Paolo, nella Lettera ai Romani (7,14-25) contrapponendo la legge spirituale alla persona concreta, che è “carnale” (cioè chiusa, tendente al peccato), nota che mentre “la legge è buona...in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”, perché “nelle mie membra vedo un’altra legge che combatte contro la legge della mia ragione, e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra”.

Il problema allora è quello di determinare quale sia il proprio vero bene (quello che S. Paolo chiama “legge della ragione”), dato che ci potrebbero essere beni parziali (per S. Paolo “legge delle mie membra”) che contrastano il bene globale da conseguire: un bene parziale può così occultare il bene globale. Tutto questo presuppone che esista per ciascuno un bene globale, a cui deve subordinare i beni parziali; e questo bene globale dovrà tener conto dell’aspetto sociale, cioè del rapporto con altri: perché il rapporto con gli altri deriva dalla natura, dato che si esiste in forza di due persone umane che han voluto farne nascere un’altra (ed anche le nascite in vitro utilizzano i prodotti di due esseri umani). Più ancora il rapporto con altri è costitutivo per la cultura, perché se si giunge a pensare, a parlare, a crescere in mezzo ad altri esseri umani è perché questi gli hanno trasmesso quanto gli umani che l’hanno preceduto hanno sperimentato e organizzato in strutture di aiuti e di collaborazione. Altrimenti, come in certi casi in cui si parla di infanti abbandonati e cresciuti tra le belve nelle selve, l’essere umano si trova totalmente assimilato alle bestie, è totalmente selvaggio.

Il male allora conseguirebbe la libera decisione degli esseri umani - singoli o collettivi - di rifiutare di compiere quanto avvertono essere il loro bene pieno, personale o collettivo. La società cerca di decifrare questo bene, traducendolo in norme e leggi, indicando quanto ritiene contrasti questo bene e condannando chi lo contrasta. Se peraltro si ammette la libertà, si mettono in gioco le necessità delle leggi della natura, si mette in gioco l’assolutezza della matematica, dove non ci sono pressapochismi o successioni non attese.

 


[i]  Un detto che mi veniva ripetuto in Belgio, negli incontri di Pax Christi internazionale, affermava che non è realizzare vera libertà mettere una libera volpe in un libero pollaio!

 


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24 dicembre 2025                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net