Regola di S. Benedetto

Prologo: 17 "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila".

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere: 41 Riporre in Dio la propria speranza, 42 attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi, 43 ma essere consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità.

Capitolo VII - L'umiltà: 29 bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e, 30 pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".

Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario: 6 Soprattutto bisogna evitare che per qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della mormorazione, sia pure attraverso una parola o un gesto.


  

Il male

Carlo Maria Martini

Estratto da “Il Discorso della montagna – Meditazioni” – Mondadori 2006

 

Come agisce il maligno?

 

Per rispondere mi servo di quattro verbi: il maligno seduce, rattrista, spaventa, occulta. Prima di fermarmi su ciascuno, per spiegarlo facendo fra l'altro riferimento alle Regole di sant'Ignazio, chiarisco che intendo «maligno» in senso vasto: non soltanto il demonio nella sua personalità misteriosa e sfuggente, ma pure ogni tentazione al male, interna ed esterna, ogni teoria o ideologia che vuole confondere, deprimere, far perdere la fede, la speranza e l'amore. Come agiscono tali realtà così diffuse nel mondo?

- Per tanto tempo il verbo «sedurre» è stato applicato a coloro che, secondo la definizione di sant'Ignazio, «vanno di peccato mortale in peccato mortale»; a questi il nemico propone «piaceri apparenti facendo loro immaginare piaceri e godimenti sensuali, perché meglio persistano e crescano nei loro vizi e peccati» (n. 314). Con l'avvento dei moderni mezzi di comunicazione, la seduzione è diventata assai più sottile. Ho sottolineato più volte l'attrazione che proviene dalla televisione o dal computer che in Internet offre fotografie e spettacoli pornografici. Qui l'approccio del maligno è ben congegnato: ormai sei maturo, è giusto che tu sappia cosa vedono i giovani, in modo da poterli aiutare a distinguere il bene dal male... È apparentemente buono il motivo, e però innesca un procedimento dal quale poi difficilmente si esce, o meglio si esce amareggiati, turbati, disgustati.

Anche oggi la seduzione è un'arma forte di satana.

 

- Comunque l'arma più usata con coloro che si dedicano al servizio di Dio, che vogliono essere discepoli del Signore, è soprattutto la seconda: il demonio rattrista, cerca in tutti i modi di creare uno stato d'animo grigio, oscuro, di malumore. Cito dal testo di sant'Ignazio: «È proprio del cattivo spirito rimordere, rattristare, creare impedimenti, turbando con false ragioni affinché non si vada avanti» (n. 315). Si smaschera così chiaramente l'azione di satana, che mormora: sta' attento, non sei capace, è troppo per te, piantala lì, sei illuso credendo di poter essere all'altezza di questo modo di vivere e di agire.

È una caratteristica del demonio descritta più volte da sant'Ignazio. Menziono un altro passaggio degli Esercizi spirituali, dove si descrive in maniera ampia il tentativo dello spirito del male, che inocula «oscurità dell'anima, il suo turbamento, l'inclinazione alle cose basse e terrene», o magari soltanto svagate, che ci fanno perdere il raccoglimento, «l'inquietudine dovuta a vari tipi di agitazioni e tentazioni, quando l'anima è sfiduciata, senza speranza, senza amore e si trova tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore» (n. 317).

È una tentazione fortissima e prende in special modo - l'ho già detto - coloro che cercano il Signore e camminano nella via dei suoi comandamenti e del Discorso della montagna; è una tentazione che molti santi hanno sperimentato.

Anche nelle Regole della seconda settimana, quella dedicata appunto a raggiungere una conoscenza profonda di Gesù e a porsi generosamente alla sua sequela, sant'Ignazio insiste: «E proprio del nemico combattere contro la letizia e la consolazione spirituale», quasi ne avesse invidia, «adducendo ragioni speciose, sofismi e continue falsità» (n. 329). Se dunque a noi sembra che ci siano delle ragioni per essere tristi, turbati, amareggiati, ricordiamoci che sono fabbricate sapientemente da colui che è nemico della nostra gioia.

È certamente una prova comune più di quanto si pensi e quando ci tocca non dobbiamo spaventarci più di tanto, piuttosto ripetere con Teresa di Gesù Bambino: «Che grazia quando al mattino non ci sentiamo un briciolo di coraggio, un briciolo di forza per praticare la virtù! Allora è il momento di mettere "la scure alla radice dell'albero". Invece di perdere il tempo a racimolare qualche povera pagliuzza, affondiamo le mani nei diamanti! Che abbondante raccolta alla fine della giornata!» (Lettera n. 39).

È uno stato spirituale preziosissimo davanti a Dio, se non ce ne lasciamo schiacciare e lo accettiamo valorizzandolo come occasione per unirci al Signore nelle sue prove.

- Il demonio spaventa. La tattica, in questo caso, è somigliante e insieme un po' diversa. La descrive bene sant'Ignazio là dove dice che quando l'esercitante comincia a temere e a perdersi d'animo nelle tentazioni «non c'è sulla faccia della terra bestia più feroce del nemico della natura umana che persegua con maggiore malizia il proprio dannato intento» (n. 325).

A tale riguardo l'esperienza insegna - ed è di capitale importanza saperlo - che il demonio non si presenta di solito spaventando direttamente; ci coglie invece nelle nostre debolezze fisiche e psichiche. Appena se ne accorge, il nemico le cavalca e le aggrava, inducendoci a credere che siamo perduti ed è inutile andare avanti. Nei momenti di stanchezza e di logoramento, è facile lasciarsi prendere da un argomentare, da un ragionare che sembra non avere più freni e tende a portarci di deduzione in deduzione in modo sempre più negativo e frustrante, addirittura disperante. Bisogna allora "sentire", col sentimento spirituale, che è il momento di tagliare, di bloccare un ragionamento col quale, partendo magari da verità di fede, giungiamo a dubbi contro la fede, la speranza e la carità, contro la Chiesa, contro gli altri... Occorre tenere a bada fin dall'inizio il processo di pensieri che nascono da normali situazioni di nervosismo, piccola depressione, amarezza, sconforto, smarrimento e vuoto mentale. Il nemico altrimenti ne approfitta, aggroviglia tutto dentro di noi, produce una polvere esplosiva e ci porta ad azioni che non avremmo mai pensato di poter compiere.

 

- Voglio infine richiamare, fra i tanti che si potrebbero enumerare, un ultimo modo di agire del demonio, che consiste nell'occultare.

Sant'Ignazio propone il caso di qualcuno che, nella tentazione, è pure tentato di cavarsela da solo, senza comunicare a nessuno ciò che gli accade, senza confrontarsi con un direttore spirituale, senza esprimersi e mettere sul tavolo il proprio problema, dicendo a se stesso: sei adulto, ce la farai da te, non c'è bisogno che altri ti insegnino a sbagliare! (cfr. n. 326).

È certamente un momento terribile ad esempio per chi si trova in crisi sacerdotale o matrimoniale, che sfocia quasi inevitabilmente in situazioni dolorose e irreversibili. Ho avuto modo, durante il mio servizio episcopale nella diocesi di Milano, di seguire non poche vicende di crisi sacerdotali e talora anche matrimoniali. Ho constatato che là dove c'era dialogo, colloquio, si poteva veramente lavorare, aiutare, confortare, dirigere e risolvere la crisi positivamente. Dove invece la persona si occultava, addirittura fuggiva, si appartava totalmente, non era possibile fare nulla, perché era in balìa di pensieri negativi che la portavano là dove forse non avrebbe pensato di andare e dove poi si è di fatto trovata, con profonda umiliazione.

 

Come contrastare il maligno?

In due modi possiamo opporre resistenza all'azione negativa del nemico.

- Anzitutto ascoltando lo Spirito la cui azione propria è il consolare; di lui Gesù dice, rivolgendosi ai discepoli cui «la tristezza ha riempito il cuore»: «È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore» (Gv; 16,7).

La consolazione - quella consolazione di cui parla stupendamente san Paolo in 2Cor 1,3-6 - è un momento portante della vita spirituale, e sant'Ignazio le dà largo spazio nelle sue Regole. Mi sembra utile rileggerle.

«Il buono spirito dà coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendo facili le cose e togliendo ogni impedimento, affinché si vada avanti nel bene operare.» (n. 315) Quante volte ci siamo trovati, in situazioni di nervosismo, di depressione, di amarezza, a vedere tutto confuso davanti a noi! E poi, quando la tentazione è superata, ogni cosa ci sembra semplice, rimettiamo ordine nella nostra vita, distinguiamo e scegliamo con facilità ciò che è importante e urgente, scartiamo ciò che è differibile e di poco conto, non ci sentiamo più incapaci di uscire da situazioni che ci sembravano opprimenti.

 

La consolazione - ci avvisa sant'Ignazio - ha un raggio assai vasto: «Chiamo consolazione spirituale il causarsi nell'anima di qualche movimento intimo con cui l'anima resti infiammata nell'amore del suo Creatore e Signore; come pure quando essa non riesce ad amare per se stessa nessuna cosa creata sulla faccia della terra, ma solamente in relazione al Creatore di tutto» - è già una consolazione molto alta, che forse non sempre sperimentiamo facilmente. «Così pure, quando la persona versa lacrime che la spingono all'amore del suo Signore, o a causa del dolore dei propri peccati, o per la Passione di Cristo Nostro Signore, o a causa di altre cose direttamente indirizzate al suo servizio e lode» - ricordiamo che sant'Ignazio aveva il dono delle lacrime. Il discorso si allarga: «Infine chiamo consolazione ogni aumento di speranza, di fede e di carità» - è significativo che prima venga la speranza, perché è su questo punto che soprattutto e anzitutto veniamo tentati - «e ogni tipo di intima letizia che sollecita e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, rasserenandola e pacificandola nel proprio Creatore e Signore» (n. 316).

Ricordiamoci che, se da un lato la consolazione va certamente ben distinta dal semplice buon umore e dall'ottimismo naturale, tuttavia in qualche modo si serve di questi elementi per entrare nel nostro cuore, e talora siamo colpevoli perché, stancandoci troppo, lavorando fuori misura, innervosendoci e non riposando a sufficienza, impediamo che sgorghi in noi quel minimo di buon umore sulla cui radice lo Spirito santo vuole innestarsi. Ovviamente può innestarsi in qualunque circostanza, anche sulla croce, perché non ha remore; ma non sta a noi creare ostacoli con i nostri sbagli psicologici o i nostri comportamenti scorretti.

 

È quindi importante anzitutto renderci conto che siamo consolati, e che avviene più spesso di quanto non crediamo.

 

- In ogni caso, la tentazione è sempre pericolosa e ardua da superare. È essenziale e decisivo perciò il secondo modo di opporsi al maligno, suggeritoci dalla parola chiave ripetuta insistentemente da sant'Ignazio: tener duro, resistere. È la upomonè greca, che si traduce con «pazienza», ma rimanda in realtà al resistere, al sopportare.

La regola al n. 318 degli Esercizi recita: «In tempo di desolazione non si facciano mai mutamenti, ma si resti saldi e costanti nei propositi e nelle decisioni che si avevano il giorno precedente a tale desolazione o nella decisione che si aveva nella precedente consolazione». Infatti, se prendiamo decisioni nei momenti neri, oscuri, di solito sono decisioni sbagliate.

E si deve resistere col conforto di sapere che, anche se non lo sentiamo, Dio ci è vicino e la sua grazia è con noi: «Chi si trova nella desolazione, consideri come il Signore lo lascia nella prova affidato alle sue forze naturali, perché resista alle molte agitazioni e tentazioni del nemico; infatti può fare ciò con l'aiuto divino che gli resta sempre, sebbene non lo senta chiaramente perché il Signore gli ha sottratto il suo grande fervore, l'intensità dell'amore e della grazia, pur lasciandogli la grazia sufficiente per la salvezza eterna» (n. 320). È il concetto di grazia sufficiente, cioè che veramente basta a sostenerci, pur se non la si sperimenta.

È chiaro che il poter dire a se stessi nei momenti duri: sono in grado di resistere, la grazia di Dio è con me e lo affermo contro ogni evidenza fidandomi di Lui, costituisce una forza grandissima.

 

Ripetiamo allora volentieri l'invocazione del Padre Nostro: «Padre, non permettere che cadiamo nella tentazione, ma strappaci dal maligno». Immersi come siamo nel mistero del male che ci circonda da ogni parte e sfugge alla nostra comprensione, vogliamo fissare lo sguardo alla croce di Gesù, contemplare a lungo, con amore e fiducia, il volto di quel Crocifisso dal quale ci viene la forza per superare le tentazioni e le prove.

Se abbiamo questa forza e manteniamo la certezza di poter resistere, il Signore ci introdurrà nella gioia del discepolo e vivremo, insieme alla vittoria sulle tentazioni o sul peccato, anche quella imitazione di Gesù che è la nostra gloria.

 


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20 dicembre 2025                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net