Regola di S. Benedetto

 

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere:  "
55 -Ascoltare volentieri la lettura della parola di Dio,..."

Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano:
1  -
L'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio. .....  
4 -
dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio.  
10 -
Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si applichino allo studio fino alle 9,... 
13 -
Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.  
14 -
Durante la Quaresima leggano dall'alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane. 
22 -
Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a eccezione di quelli destinati ai vari servizi."


 

GESÙ’ LIBRO E GESÙ’ LETTORE

Jean Leclercq O.S.B.

Estratto da «OSSA HUMILIATA» I

Frammenti di spiritualità monastica

edito dall'Abbazia San Benedetto di Seregno 1993

 

Molto si è detto e scritto sulla lettura. Tuttavia la questione fondamentale non è tanto cosa leggere o come leggere, ma piuttosto: perché leggere? e anche, chi leggere?

Perché dunque leggiamo? Semplicemente perché Gesù ha letto, e noi sentiamo la necessità di imitarlo e di leggere anche noi con Lui. Allora: chi leggere? Chi cercare nella nostra lettura? Senza dubbio Gesù stesso; poiché possiamo identificare il libro con Gesù. Quando leggiamo, la nostra prima intenzione è assumere lo spirito del Cristo; san Paolo vi allude nella lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (2, 5). Quando leggiamo, Gesù continua in noi la lettura di se stesso. La lettura cristiana del Libro sacro, e del resto ogni lettura cristiana, porta a una conoscenza cristiana proprio perché Gesù stesso ha fatto questa lettura. Quando noi cristiani leggiamo è Gesù che legge in noi.

A questo punto vogliamo considerare l’antichissimo tema del Cristo-Libro. La tradizione cristiana sostiene che il primo libro che valga la pena di essere letto è nostro Signore Gesù Cristo. La parola Bibbia significa «libro» e tutte le pagine di quel libro parlano di Lui e vogliono condurre a Lui. Senza necessariamente essere profetici nel senso stretto dato dall’apologetica moderna a questa parola, quei libri sono profetici nel senso largo secondo il quale tutta la storia del popolo di Dio prepara il Cristo e porta a Lui.

Nel salmo 40 la Volgata dice: «Non hai voluto né sacrificio né offerte, ma mi hai aperto l’orecchio. Non hai cercato olocausti né offerte per il peccato. Allora ho detto: Eccomi, io vengo. All’inizio del rotolo è scritto di me: Fare la tua volontà, Signore, è la mia gioia e la tua legge è nel mio cuore». Tutto il Libro che rivela il progetto di Dio nella storia della salvezza è intitolato «Gesù». Gesù stesso è il Libro. In Lui si legge ciò che Dio ha voluto fare da tutta l’eternità e ciò che, nel tempo, ha fatto in Gesù. Quando le braccia di Gesù furono stese sulla croce, il Libro fu aperto. Quando Gesù, dopo la Risurrezione, mandò il suo Spirito agli Apostoli «perché potessero comprendere le Scritture», il Libro fu interpretato. Da allora nel cuore degli uomini avvenne un incontro fra la parola salvifica di Dio e le profondità dello spirito umano in ascolto di questa parola, grazie allo Spirito stesso di Dio. Questa è l’origine dell’espressione tradizionale: «il libro della coscienza».

Infatti quel Libro che è Gesù Cristo non è un volume, un rotolo scritto una volta per sempre. Ognuno di noi, per sua esperienza personale, deve scoprire il significato di quel Libro. L’espressione «libro di esperienza» significa che tutti devono leggere in se stessi, nel proprio cuore (nel «libro del cuore») ciò che Dio vuol dire a loro, personalmente, mediante il Cristo, nello Spirito, in modo da condividere quel messaggio con altri e aiutarli a comprendere ciò che Dio vuole dire a loro. Apostolato, missione, consiglio, tutte le forme di attività pastorale consistono anzitutto nell’aiuto reciproco a leggere quell’unico Libro. Quel Libro, il Libro, rende più chiara la nostra comprensione di altri libri: il libro della natura, il libro della storia, il libro dei segni dei tempi, ecc.

È necessario che avvenga un incontro tra Cristo e la persona umana, fra quel Libro che è il Cristo e il cuore umano, nel quale è scritto il Cristo, non con l’inchiostro, ma dallo Spirito Santo, grazie ai libri della Bibbia scritti dai Profeti e dagli Apostoli. È di vitale importanza che questo incontro sia continuo, che avvolga ogni fase della storia umana e della storia di ogni uomo; è questo un dato costante della tradizione cristiana e di quella monastica in particolare.

Questa realtà fondamentale è una reminiscenza dell’espressione biblica «libro della vita» in riferimento a ogni tappa dello sviluppo dell’umanità e di ogni uomo fino alla fine dei tempi allorché, secondo il profeta Daniele e l’Apocalisse, sarà aperto il «libro dei viventi». Alla Messa dei funerali si usava dire nel Dies irae : «sarà recato un libro scritto» (liber scriptus proferetur). Questo libro allude al giudizio nel quale Dio e la persona umana verificheranno se il messaggio è stato trasmesso fedelmente ed esattamente copiato. In altre parole, se le opere compiute nella vita della persona sono state copie esatte dell’originale. Il Cristo, ora manifestato nella sua gloria, rimane il Libro con il quale saremo messi a confronto. Abbiamo fatto veramente quanto era in nostro potere per somigliargli? Alcune pitture antiche rappresentano il giudizio universale come un assembramento di persone che, al posto della testa, hanno un libro aperto nel quale Dio legge. Vi troverà l’immagine del Figlio suo?

Si possono dare altri esempi di come il Libro sia stato tenuto in onore nella tradizione cristiana. Anzitutto e, molto brevemente, nell’iconografia e poi nella letteratura. Lo scopo è duplice: in primo luogo è un invito a leggere qualche bel testo spirituale, rivolgendo l’attenzione alle raffigurazioni bibliche e tradizionali che si trovano anche nelle icone e in altri dipinti facenti parte del patrimonio cristiano. Sono notevoli per la loro bellezza artistica e anche per il loro profondo significato. In secondo luogo è opportuno mantenere un orientamento contemplativo nel nostro accostarci al mistero di Gesù.

In un’antichissima raffigurazione romana datata del III o IV secolo è rappresentato Gesù nel Getsemani con in mano qualche cosa che sembra un libro. È il momento in cui dice: «Non la mia, ma la Tua volontà», come se leggesse nel salmo 39 (40): «Sul rotolo di me è scritto... eccomi, vengo a fare la Tua volontà». In altre pitture si vede il Cristo con un libro aperto, o mentre, nella sinagoga, legge di se stesso: «Oggi si compie ciò che avete ascoltato» (Le 4, 16-21), o mentre dà un libro (il Libro) a più persone. Vi è anche un’antica immagine, molto comune, del Cristo con il Libro dai sette sigilli secondo l’Apocalisse al capitolo 5, in cui è descritta la liturgia dell’adorazione del Libro.

Dopo questo breve cenno sul Cristo come Libro nelle icone e nella pittura, si può passare ad esaminare alcuni documenti scritti della tradizione patristica e monastica. Anche questi illustrano il tema del Cristo come Libro e come Lettore di se stesso. Da ciò comprendiamo che quanto ci è dato di leggere è partecipazione alla lettura di se stesso e che tutto quanto leggiamo è fatto alla luce di quella sua lettura.

San Bernardo scrive: «Il Libro della Vita è Gesù, aperto a tutti gli uomini. Beato chi legge questo libro. Dovrebbe sempre tenerlo dinanzi agli occhi e nelle mani, intendo dire, naturalmente, che dovrebbe avere Gesù sempre nel suo cuore e presente nelle sue opere. Possa il Cristo divenire il modello del clero e di tutto il popolo...».

E prima di lui troviamo in sant’Ambrogio un riferimento al Cristo come calamus, o stilo, che imprime nel nostro cuore la volontà del Padre. Il Cristo è lo stilo e lo Spirito è lo scrivente. L’idea viene naturalmente dal fatto dell’Incarnazione: Dio che scrive se stesso in Gesù, il Verbo che scrive se stesso nell’umanità del Cristo. Ciò fu realizzato con il libero consenso del Verbo al fine di salvarci. Del pari Bruno di Segni, monaco e vescovo del secolo XI, nel suo commento al salmo 40 (7-9), mette in rilievo questo atto libero del Cristo: «Mi hai dato orecchi, gli orecchi del cuore. Perciò sono venuto. L’ho detto non con la voce, ma con il cuore: Vengo per fare la tua volontà». Tutta l’economia della salvezza, poi tutto lo sviluppo storico del piano della salvezza in Cristo è dunque un atto libero del Cristo in quanto Dio e in quanto uomo: «Secondo la decisione del Verbo, che personalmente mi è unito, il Verbo che è il Capo, per la mia umanità anch’io sono il Libro». Dunque il Cristo in quanto Verbo è il Libro che contiene tutti i tesori della Divinità. Ma anche in quanto uomo il Cristo è il Libro poiché, con la sua Incarnazione, il Verbo si rende leggibile in Lui. Il Cristo, quindi, è l’esemplare della nostra lettura e il modello nel quale, secondo l’autorità della Scrittura, è contenuto tutto. «Nel suo libro sono scritti tutti gli esseri umani. Perché il nostro comportamento sia corretto dobbiamo studiare l’esempio della sua vita. Tutti dovrebbero studiare quel libro per la loro istruzione».

Un altro modo di chiarire il mistero dell’Incarnazione di Dio nel Cristo, come Libro, è dato dai due testi che parlano del libro scritto da una parte e dall’altra. Vi è anzitutto il versetto di Ezechiele 2, 9 che parla di un rotolo scritto su entrambi i lati, e inoltre nell’Apocalisse 5, 2 si legge: «Vidi un rotolo; era scritto da ambedue le parti». Adam Scott, fra gli altri, ha commentato queste parole:                         «Il mediatore divino che dobbiamo leggere è un libro scritto da una parte e dall’altra, all’interno con la divinità, all’esterno con la sua umanità. Noi leggiamo l’interno quando nell’intimo del cuore vediamo, per così dire, con la purezza della contemplazione, la divinità del Cristo. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Leggiamo invece l’esterno quando, nel nostro comportamento visibile, seguiamo il più possibile la sua umanità, imitando le sue opere». Adam Scott, inoltre, riferisce a questi due aspetti del mistero del Cristo i versetti corrispondenti di san Giovanni, 1: «Leggiamo l’interno poiché in principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Leggiamo l’esterno poiché il Verbo si è fatto carne».

Leggiamo questo mistero nel modo tutto speciale quando si rivela a noi sulla croce. È l’argomento di un piccolo trattato inedito e sconosciuto che si trova in un monastero di Parigi: «Il Crocifisso è il Libro della Perfezione, cioè la regola perfetta dei religiosi, sempre aperto davanti a loro, e nel quale possono leggere il segreto di ogni perfezione... Il Cristo crocifisso è anche il Libro in cui tutti i cristiani possono studiare le sette arti liberali con le quali sono liberati dalle sette catene del demonio». E infine una citazione di Rabano Mauro sul Cristo-Libro nel giorno del giudizio: «Il Libro è il Cristo, poiché è il Libro della Vita, il Cristo infatti è la nostra vita e apparirà a tutti nel giorno del giudizio».

A modo di riassunto riferisco un breve cenno inedito trovato in un manoscritto di Stoccarda: «Il Cristo è un Libro e anche un Segno. Il Figlio di Dio è un Libro voluminoso, a colori. Libro prezioso, mai chiuso, le sue pagine non ingialliscono col tempo. Lo si legge meglio di notte che di giorno. È un libro di grande valore, di grande purezza; un libro per tutti i tempi, da leggere e da rileggere nel segreto del proprio cuore».

Offrendo tanti esempi del Cristo-Libro e riflettendo così a lungo su questo argomento, il mio unico scopo è stato di dare un fondamento dottrinale alla lectio divina considerata come un’attività di vita contemplativa e non soltanto una giustificazione di carattere morale e pratico. La lectio divina è una lettura su Dio che per noi è il Cristo: una lettura dunque sul Cristo. Perché leggere? Perché Gesù stesso ha letto. Fu Libro e Lettore e continua ad essere l’uno e l’altro in noi. E come leggere? Come ha letto Gesù.

Di Gesù-Lettore si possono considerare due aspetti: ciò che ha letto (in altre parole quali libri ha letto) e chi ha letto, nel senso in cui scopriva se stesso in ciò che leggeva. È vero, si è tanto scritto sul modo in cui Gesù leggeva le Scritture, ma non si deve dimenticare che Egli ha anche letto nel libro della natura, nel libro della storia e nel libro della vita umana. La sua maniera di esprimere il messaggio non deriva soltanto dalla Scrittura, ma dall’esperienza ordinaria della vita di ogni giorno per la gente concreta del suo tempo e del suo paese. Basta pensare alle parabole per capirlo. Leggeva dunque tutti questi libri: le Scritture, il cuore umano, l’esperienza, gli avvenimenti in relazione con la storia del suo tempo e del suo popolo. Ma li leggeva alla luce di quel che già aveva letto in se stesso. Per questo motivo sarà da considerare anzitutto che cosa leggeva di se stesso.

Si potrebbe cominciare da queste parole fondamentali del Vangelo di Giovanni : «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio». Il greco a questo punto dice: «davanti» al Padre. E anche nella prima lettera di Giovanni, 2: «era con il Padre (in questo modo) e si è reso visibile (leggibile) per noi». Il greco qui ha un duplice significato: essere rivolto verso - guardare verso; e questo in maniera dinamica: andare verso - essere attirato verso. Gesù, faccia a faccia con il Padre era completamente assorto in un dialogo con lui. Tale è il dinamismo della Trinità, l’attenzione totale del Verbo nello Spirito a tutta la vita intima di Dio. Gesù contemplava e adorava il Padre nello Spirito. Venne tra noi per continuare ciò che faceva da tutta l’eternità, ma anche per fare qualche cosa di più, come dice ancora Giovanni al capitolo 1,18: «Dio (il Padre) nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». La Volgata dà una interpretazione che significa: «lo ha raccontato» - ipse enarravit. Nell’originale greco la parola significa «dare la spiegazione, l’esegesi», come era data quella della Torah ai bambini, parola per parola. Il Verbo eterno di Dio è venuto, in Cristo, a darci l’esegesi di Dio. Qui il Cristo è considerato come esegeta, il primo esegeta che legge e spiega ciò che legge. Di che e di chi è esegeta? Del Padre e del Padre quale lo conosce Egli stesso mediante il libro della sua esperienza. Gesù legge nel suo cuore, nella sua coscienza prima di tutto; poi spiega quel che ha letto. Ecco il suo messaggio. Ci rende partecipi della sua rivelazione personale di Dio, la sua propria autorivelazione. Gesù non è un automa che spiega quanto avrebbe appreso in una esistenza precedente. No. Fu un essere umano che sperimentò in modo perfettamente umano e gradualmente ciò che significava per lui essere unito al Padre in questo modo. Gesù è vissuto umanamente, avendo Dio per Padre e ci dà, come a fanciullini, l’esegesi di Dio in quanto Padre e l’esegesi di se stesso in quanto Figlio, nello Spirito. Si potrebbe continuare all’infinito su questa misteriosa relazione; ora sarà sufficiente dire che Gesù, alla luce della sua personale coscienza, può darci l’interpretazione e la vera spiegazione di quanto era scritto su di Lui nel Libro sacro. Come in tutto ciò che riguarda Gesù, vi sono pareri discordi sulla consapevolezza che Egli aveva di se stesso e anche sulla consapevolezza che aveva del Padre mediante lo Spirito.

Tuttavia il fatto che abbia letto in se stesso non è mai stato messo in discussione.

Veniamo ora al secondo aspetto e vediamo Gesù come lettore delle Scritture. Anche a questo proposito vi sono state varie controversie. Gesù ha letto le Scritture? e, in caso affermativo, quali pagine ha letto? come ha capito ciò che leggeva? che uso ne ha fatto per il suo insegnamento? Sono questioni riservate agli specialisti della Scrittura e non tutti sono competenti a risolverle. La mia opinione è semplicemente questa: secondo il Vangelo giovanneo, Gesù aveva una esperienza di Dio e ha poi utilizzato le antiche Scritture, scritte prima di Lui, per dare una espressione alla sua esperienza di Dio; infine ha suscitato, in questo modo, i nuovi libri della Scrittura che lo riguardano.

Poiché la psicologia e la coscienza di Gesù erano umane, Egli non conosceva in anticipo ciò che gli uomini devono venire a sapere normalmente. Era dotato di tutti i doni dello Spirito e illuminato da essi, eppure tali doni non gli furono dati senza i normali mezzi umani, senza la sua esperienza vissuta e l’utilizzatone della Scrittura. Nella sua infanzia aveva conosciuto una parte delle Scritture alla sinagoga e questa conoscenza si protrasse fino all’età di trent’anni.

Vi sono antiche icone che rappresentano Gesù che «va a scuola». Alcuni esperti, per esempio Jousse e Aron, hanno persino ricostruito il metodo grazie al quale poté imparare a memoria le Scritture durante questo lungo periodo nel quale «cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» secondo le parole di san Luca al capitolo 2, 52. Sappiamo, poi, che Gesù lesse e spiegò Isaia nella sinagoga di Nazaret. Di qui abbiamo anche conoscenza della sua comprensione delle Scritture e come attraverso esse comprendesse se stesso e la sua missione. Infatti fece esperienza della sua missione e del suo messaggio grazie all’uso della Scrittura.

In tal modo Gesù è il nostro modello per la lettura del Libro sacro ed è il nostro aiuto per comprendere la sua persona. È — come abbiamo visto — l’esegeta, non solo della sua esperienza di essere con il Padre nello Spirito, ma anche dei testi antichi che avevano parlato di lui dopo la sua vita sulla terra e che hanno riferito ciò che Egli ha detto di se stesso. Giovanni lo cita dicendo: «Scrutate le Scritture... sono proprio esse che mi rendono testimonianza». L’interpretare la Scrittura era avere il dono della profezia e Gesù era il profeta per eccellenza.

Certi teologi della Bibbia, come per esempio F. Gils, sostengono che Gesù era venuto a sapere qualche cosa di se stesso leggendo la Scrittura. In questa ottica possiamo comprendere come nel momento delle sue profonde esperienze spirituali e dei carismi che riceveva (battesimo, tentazione, trasfigurazione, esultanza nello Spirito), poteva citare testi come Isaia 53 applicandoli a se stesso. I libri profetici gli avevano offerto una lettura profetica della sua missione; e dopo la risurrezione (secondo Luca 24, 44-45), Egli stesso utilizza le sue citazioni per istruire gli Apostoli: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture».

Altri teologi, come C. Larcher, preferiscono dire che Gesù non ha conosciuto dalle Scritture l’orientamento che la sua vita doveva avere, ma piuttosto ha trovato nelle Scritture l’espressione di quanto già conosceva per propria esperienza. Ha utilizzato il linguaggio della Scrittura per descrivere la sua vita interiore con Dio: non si limita, infatti, semplicemente a citarla. Fa ben più che ripetere le profezie; infonde una vita nuova applicandosele direttamente. Da questa nuova interpretazione deriva la meravigliosa bellezza letteraria del messaggio trasmesso dai Vangeli. Come ha assimilato Gesù, nella sua coscienza, la Scrittura nel suo complesso? Il Dio -fatto uomo è un mistero da adorare, ma noi possiamo pure domandarci in cuor nostro come il Verbo di Dio leggeva le parole di Dio che si riferivano a Lui. In ogni modo noi ammettiamo, con il P. Congar «che Egli comprendeva se stesso e rivelava se stesso perché aveva meditato questi testi e li viveva e perché in Lui si erano compiuti. Mentre il suo spirito era illuminato dalla conoscenza diretta che il Padre gli dava della propria volontà, Egli giungeva a comprendere più profondamente, con la meditazione, il significato dei testi che parlavano di Lui».

Come Lettore del Libro e Libro egli stesso, dopo la sua glorificazione dona questo carisma di lettura ai suoi discepoli, alla Chiesa e anche a noi. Da allora, grazie allo Spirito che è all’opera nella Chiesa, ogni lettura del Libro sacro è partecipazione a questo dono del Cristo. Siamo spinti a leggere la Scrittura perché Egli stesso lo ha fatto e perché in essa lo troviamo. Siamo portati a leggere la Scrittura in Lui e con la sua grazia. Gesù ha applicato a sé le parole di Mosè, dei Profeti e dei Salmi. In tal modo anche noi, se vogliamo davvero cercare di capire la vita di Gesù, la sua missione e il suo insegnamento e arrivare a una conoscenza profonda del suo Cuore, dobbiamo cercare di comprendere i profeti dell’Antico Testamento, i Vangeli e il Nuovo Testamento.

Secondo la tradizione monastica di cui troviamo un’eco nella Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II, la rivelazione data da Dio prima del Cristo, in Cristo, nello Spirito, continua a crescere, come lo faceva prima del Cristo e nel Cristo stesso: «Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio». Ho accennato alla tradizione monastica perché il lessico adoperato in questo testo e anche le idee si ritrovano nell’Origene latino, in Cassiano, in Gregorio Magno, in san Bernardo e negli altri autori monastici come li cita Henri de Lubac nella sua Esegesi medievale. E ne dobbiamo concludere che la lettura cristiana delle Scritture non è per prima cosa un esercizio intellettuale che si valga dell’uso corretto di un metodo scientifico. Essa è essenzialmente una esperienza del Cristo, nello Spirito, in presenza del Padre, proprio come il Cristo stesso gli è unito, faccia a faccia, orientato verso di Lui, penetrante in Lui e da Lui penetrato.

In questa esperienza vi è certamente posto per il metodo, la scienza, l’uso di strumenti di lavoro e di studio, la conoscenza della filologia, dell’archeologia e della storia. Ma queste sole non saranno mai una lectio divina, una lettura cristiana, una lettura nello Spirito, una lettura del Cristo e nel Cristo, con il Cristo e per il Cristo. Anzitutto ci vuole l’esperienza dell’amore. La lettura spirituale è un atto di amore, un’attività svolta nell’amore. L’esperienza del Cristo è stata essenzialmente la coscienza di essere amato dal Padre e di rispondere a quell’amore con il suo. È uno scambio di amore. Anche la nostra lettura è uno scambio di amore e noi comprendiamo adesso perché è rappresentata come un dialogo. Con la Scrittura, con il Libro Gesù Cristo e tutti i commenti di questo Libro, Dio ci parla e noi gli rispondiamo. La lettura è questo dialogo d’amore, questo dialogo nell’amore.

Un giorno san Bernardo ha scritto: «Oggi leggiamo nel libro dell’esperienza». Questa esperienza d’incontro tra noi e il Cristo è essenziale per noi a motivo dell’esperienza che il Cristo aveva del suo incontro con il Padre nello Spirito. Attraverso la nostra personale esperienza, saremo anche noi capaci di leggere il Cristo-Libro e, in Lui, Dio Padre. In un altro passo Bernardo dice: «Leggete nel vostro cuore. Diventate consapevoli del vostro desiderio di Dio, il cui amore non cessa di incontrare le vostre necessità, di rispondere alla vostra attesa... Poiché il cuore di Cristo è il cuore del Padre».

 

(«Monastica», 28, 1987, n. 2, pp. 29-39).

 


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1 ottobre 2023                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net