Regola di S. Benedetto
Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere:
"
55 -Ascoltare volentieri
la lettura della parola di Dio,..."
Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano:
"
1 - L'ozio è nemico dell'anima, perciò i
monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure
prestabilite, allo studio della parola di Dio. .....
4 - dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino
allo studio della parola di Dio.
10 -
Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima,
si applichino allo studio fino alle 9,...
13 - Dopo il pranzo si dedichino alla lettura
personale o allo studio dei salmi.
14 -
Durante la Quaresima leggano dall'alba fino alle 9
inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le
4 pomeridiane.
22 -
Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a
eccezione di quelli destinati ai vari servizi."
Prima dì iniziare il nostro
excursus
storico sulla
lectio divina
- per rintracciare la radici antiche di questo modo dì accostarsi alla Bibbia e
a partire da esse fondare le ragioni di un cammino di fede orientato dalla
Parola di Dio - è opportuno considerare preliminarmente che l'espressione
lectio divina
significa "lettura divina" o, più liberamente, “lettura spirituale". Essa indica
immediatamente che non si tratta semplicemente di una lettura intellettiva o
lettura-studio né di una lettura amena. Questo dipende dal fatto che l’oggetto
di questa lettura in realtà è un
soggetto
che parla. È la Parola di Dio rivolta ad ogni uomo e storicizzata nelle
Scritture. Da ciò discende che la lettura della Parola dì Dio, di fatto, è un
vero e proprio
ascolto,
in conformità al "primo comandamento" di Dt 6,4: "Ascolta, Israele”, In questo
senso la Parola di Dio è intimamente connessa all'azione dello Spirito, come si
vedrà meglio più avanti. Chi fa
lectio divina
da un lato ha fede
nell'ispirazione
divina della Bibbia, dall’altro comprende che, piuttosto che nascere da una mera
esigenza di cronaca storica, la Bibbia trae origine dall'interpretazione di un
evento storico nel quale il popolo d'Israele ha ravvisato chiaramente
l'intervento liberatore di Dio: l'uscita di Israele dalla schiavitù d'Egitto
(Esodo). Non è quindi l'esigenza di una riflessione su Dio a determinare la
sinergia tra lo Spirito e l'autore sacro, bensì l’esigenza memoriale di mettere
in forma l'esperienza umana che un popolo, Israele, ha attribuito all'azione
salvifica di Dio, In altri termini, è estranea all'impostazione ebraica una
considerazione dì Dio come problema metafisico-ontologico, che presume dì
definire l'essenza di Dio. Il movimento sotteso alla messa in forma
dell'esperienza è di tutt'altro genere: "se Dio ci ha liberati, allora Dio
è...”: l'identità dì Dio è connessa al suo agire. È l'intervento di Dio nella
storia che genera la riflessione sul modo di essere e di esistere di Dio,
riflessione che a sua volta ridiventa principio ermeneutico di tutti gli altri
eventi storici.
La consapevolezza di questi principi compositivi, attuati dallo scrittore sacro,
sui quali si tornerà successivamente a proposito della questione ermeneutica, ha
disciplinato nel corso dei secoli, e disciplina ancor oggi, l’atteggiamento del
lettore di fronte alle Sacre Scritture.
1.1. Le origini
Sarebbe impresa ardua e sicuramente senza grossi risultati quella mirata ad
individuare nella storia un momento preciso in cui datare l’inizio della pratica
della
lectio divina. La
lectio non è altro che un metodo (per molti "il” metodo) piuttosto
articolato per leggere e comprendere le Sacre Scritture ricevendo i doni che Dio
elargisce all’uomo attraverso la sua Parola. È chiaro che ogni modalità di
approccio alla Parola di Dio, per quanto ben collaudata nella sua articolazione
di tempi e forme, risente dell'inevitabile influsso di tante di quelle variabili
che diviene estremamente difficile determinarne con precisione il momento ed il
luogo della sua nascita, evoluzione ed eventualmente fine. Infatti, quando si
parla della relazione tra Dio e l’uomo non è possibile prescindere, se ci si
pone in atteggiamento di umiltà spirituale, da quell'alone di insondabilità e di
mistero che caratterizza ogni realtà che abbia come sua precipua peculiarità
quella dell'evoluzione e del cambiamento. E così, la relazione Dio-uomo,
ricercata e mediata attraverso la Parola di Dio presente nelle Sacre Scritture,
è realtà in continua evoluzione, che nasce, cresce e si trasforma da sempre e
per sempre.
Si può allora affermare che la
lectio divina riconosce le sue origini non tanto in un tempo e in
un luogo preciso, quanto piuttosto nel momento in cui l'uomo prende coscienza
della presenza di Dio quale realtà, seppur insondabile e misteriosa, che lo
interpella e lo chiama scuotendolo e provocandolo nella sua interiorità. In tal
senso possiamo dire che la
lectio divina nasce in ambiente giudaico già ai tempi dell’antica
alleanza e che conosce vari periodi di crescita nei secoli grazie al
cristianesimo che la eredita dal popolo israelitico e la diffonde ampiamente per
farla giungere fino ai giorni nostri. È soprattutto per merito dei Padri della
Chiesa d’Oriente e d’Occidente dei primi secoli e quindi dei padri medievali, ed
in special modo delle realtà monastiche, che la
lectio divina prende forma e si sviluppa secondo la struttura che
le è propria; essa primeggerà quale metodo di interpretazione della Parola di
Dio fino al 1300, formando le più belle e fiorite spiritualità del cristianesimo
di tutti i tempi. Ma successivamente, a partire cioè dal basso medioevo e fino
alla metà del XX secolo, la
lectio divina conoscerà un lungo periodo di mortificazione poiché
ad essa verranno preferite altre modalità e forme prevalenti quali quelle della
quaestio e della
disputatio tipiche dei canonici regolari e dei domenicani, della
devotio e della
meditatio Loyoliana, degli uffici della preghiera liturgica e
dell’Opus Dei. Ciononostante, sicuramente per merito delle realtà ecclesiali
della Riforma e delle realtà monastiche in cui la
lectio divina verrà utilizzata praticamente senza interruzione
anche nei tempi più difficili, essa ritroverà il suo splendore ed il suo primato
quale metodo di approccio alle Scritture grazie al Concilio Vaticano II del
1963-1965 che ne sottolineerà la necessità di una pratica assidua e fervente per
la formazione del credente e dell'identità stessa della Chiesa
[1].
È evidente, dunque, come la
lectio divina, intesa come Parola pregata, rappresenti quella
forma privilegiata di accostamento attento ed orante alla Scrittura, così come
lo Spirito Santo sembra volerci suggerire, viste le straordinarie capacità di
sopravvivenza dimostrate, gli effetti esemplari sulla formazione e sulla
crescita del cristianesimo nei tempi e la vitalità di cui il metodo gode ancora
oggi.
Già nell’Antico Testamento
[2] è possibile rinvenire, senza grosse
forzature, quello che potremmo definire il prototipo della
lectio divina. Nel libro di Neemia (capp. 8-9-10) è narrato un
episodio fondamentale per la vita del popolo giudaico. In un momento
delicatissimo della sua storia (la fine dell'esilio in Babilonia, il rientro a
Gerusalemme, la ricostruzione del tempio e delle mura, la promulgazione di
riforme sociali, il ritorno alla Legge di Dio) comincia a nascere nella comunità
ebraica una nuova coscienza di popolo in obbedienza alla Legge di Dio. La
ratifica ed il culmine di questo sentire avviene in quel giorno straordinario in
cui il sacerdote Esdra, davanti a tutto il popolo radunato “come un solo uomo”
(Ne 8,1), legge la Parola di Dio (così come questi l’aveva data ad Israele per
mezzo di Mosè) “dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno” (Ne 8,3). Vista
l’impostazione liturgica data a questa lettura e considerati gli effetti di
ricaduta sul popolo ebreo possiamo considerare questa come la prima
lectio della storia. Infatti, ritroviamo tutti i passaggi di una
vera
lectio, dalla lettura all'azione, secondo un processo di graduale
interiorizzazione della Parola di Dio. Viene così recuperata la coscienza e
l’unità del popolo ebraico in obbedienza alla Legge di Dio ritrovata attraverso
la memoria, la riconquista della fede, il pianto di compunzione, la gioia, la
festa, la preghiera penitenziale, la carità e l’impegno concreto assunto dalla
comunità. La Parola di Dio letta, meditata, pregata, contemplata ed incarnata
comunitariamente aveva determinato la vera rinascita del popolo eletto.
Nell'epoca del cristianesimo antico,
come d’altronde anche per i tempi successivi fino ad oggi, certamente
l'approccio alla Scrittura risente di tutte quelle intuizioni neo testamentarie
circa il senso ed il valore della Parola di Dio. È soprattutto dai testi
evangelici (Giovanni in particolare) e dall'epistolario paolino e petrino che si
può ricavare un insegnamento autorevole per accostarsi con sapienza alla
Scrittura. Per fare solo qualche esempio, la lettera agli Ebrei (Eb 1,1) inizia
con l'affermazione che il modo in cui Dio ha parlato all'uomo nella storia è
vario e mutevole in rapporto ai tempi, alle culture, ai linguaggi, ai luoghi;
ciò è per dire che il fedele che vuol conoscere Dio deve cercarlo nella Sua
Parola così come essa è contenuta nelle Scritture antiche e nei Vangeli (che ci
parlano, questi ultimi, del Figlio quale forma ultima del linguaggio di Dio),
interpretandola anche alla luce della sua vita e della sua storia. Ma questo
lavoro di ricerca necessita dell’aiuto dello Spirito Santo il quale spiega
all'uomo ciò che nelle Scritture parla del Padre e del Figlio (cfr. Gv
16,12-15). Secondo Paolo, la Scrittura ci può dire soltanto ciò che è necessario
alla nostra sovraconoscenza (l'epignosis
paolina), dandoci quella sapienza che conduce alla salvezza (2 Tm 3,14-17).
Infatti, la lettura spirituale delle Scritture serve a farci incontrare con il
Salvatore, Gesù Cristo, e ad aver fede in Lui (Gv 20,30-31). Dunque, secondo
queste ed altre numerose intuizioni bibliche, è evidente che la
lectio divina, condotta nello Spirito, riconosce Dio quale sua
origine e suo obiettivo: è l'incontro con Dio lo scopo di una vera
lectio; incontro che diventa possibile quando la Parola divina,
nascosta nelle parole umane, diventa viva ed efficace (Eb 4,12) attraverso la
ricerca perseverante di essa, nella fede, da parte dell'uomo.
Gesù,
quale vero uomo
[3], ha dovuto imparare ad accostarsi
alle Scritture e per questo ha usato le vie umane. La sua "lectio”,
così come ci viene dato di capire da vari brani evangelici, procede attraverso
vari percorsi d'interpretazione: la
lettura concordativa, per cui l'interpretazione di un termine o di
un concetto di un brano viene fatta collegandosi ad un altro brano (Mc
12,28-34); la
lettura avverativa (tipica dei profeti), per cui viene affermato
l’avverarsi della parola ascoltata (Lc 4,16-21); la
lettura rivelativa (espressione del livello ermeneutico prediletto
da Gesù), per cui da una situazione reale ed attuale descritta si risale, nella
Scrittura, alla ricerca del fondamento teologico che ne sta alla base (Mt
19,3-13); la
lettura prefigurativa, per cui un evento biblico viene
interpretato come "figura’’ di un altro evento pure esso biblico (Mt 12,39-41).
Il livello ermeneutico dell'ebraismo
rabbinico dei primi tempi procede attraverso tre metodi principali: l’halakhà,
lettura etica tesa a fornire al credente un orientamento comportamentale
adeguato (da qui la nascita del Talmud, che riporta insegnamenti dei maestri
d'Israele dal tempo di Gesù fino al V secolo); il
pesher (commento), tipico della comunità di Qumran, per cui un
brano viene spiegato da un altro brano indicandone l'avveramento; l’aggadà
(narrazione), per cui, attraverso un lavoro di scavo del testo e di collegamento
con altri brani, si cerca di trovare il senso teologico del brano in questione
(da qui la nascita del Midrash - lett. ricerca, scavo - con cui si vuole
cogliere la motivazione teologica che sta dietro a un determinato comportamento
di Dio e dell’uomo). È soprattutto quest'ultimo il metodo che ha incontrato
maggior favore presso i cristiani.
Sempre la sapienza rabbinica, relativamente al lavoro di discernimento delle
Scritture, ha costruito una graziosa parabola attorno al termine
Pardes (paradiso) per cui la conoscenza di Dio e della verità è
possibile soltanto attraverso il superamento delle quattro fasi che vengono
indicate dalle quattro consonanti della parola PaRDeS. Questi quattro livelli
sono rappresentati dal
Peshat, il primo livello, quello del dato obiettivo, del senso
storico-letterale del brano, dal
Remez, il secondo livello, quello del collegamento, del rimando,
per cui si allena la memoria e cresce la conoscenza della Scrittura, dal
Derashà, il terzo livello, quello della ricerca e dell'affidamento
in vista di un orientamento etico per la propria vita, e dal
Sod, l'ultimo livello, quello del mistero, della beatifica
contemplazione di Dio, in cui il silenzio prende il posto della parola.
Quest'ultimo livello, giudicato pericoloso per l’equilibrio psichico e
spirituale da parte degli stessi rabbini, definito da Bernardo come il tempo
delle “visite del Verbo”, consisterebbe in una tale profondità ed intimità di
relazione con Dio che diventa praticamente impossibile definirlo e renderlo
comprensibile con parole umane.
1.2.
L’epoca antica: Origene e i Padri del
deserto
Origene
di Alessandria (ca. 185- ca. 253), padre della Chiesa, "uomo della Parola”, ha
il merito di avere tracciato le basi e dato i fondamenti per la struttura della
lectio divina nella forma con cui noi oggi la conosciamo e la
pratichiamo. Per Origene, colui che si accosta alla lettura delle Scritture deve
essere
uomo di desideri, non di contestazioni, su quella via di
conversione che lo porta a scrutare le Scritture in una dimensione di ascolto
umile e di obbedienza fedele, di semplicità autentica e di perseveranza
incondizionata, di piena disponibilità (Deo
vacare) nei confronti di Dio. Attraverso gli
Hexapla, prima edizione dell’Antico Testamento redatta secondo un
criterio sinottico sviluppato mettendo a confronto le versioni bibliche presenti
all'epoca, Origene intende dimostrare quella che è stata una delle sue più
importanti intuizioni sul modo di approcciare i testi sacri, e cioè che la
lettura delle Scritture deve essere onnicomprensiva di tutti i libri biblici e
ciò in virtù della polivalenza della Sacra Scrittura; soltanto in questo modo è
possibile la realizzazione di quell’evento di trasfigurazione che permette il
passaggio dalla lettera allo spirito, dal
fango della parola umana alla
saliva di Cristo
[4].
Una celebre affermazione di Origene:
Scriptum sui ipsius interpres tende inoltre ad affermare che
l'interpretazione di una parte della Scrittura è possibile solo mediante la
ricerca ed il confronto con altre parti della Scrittura stessa; ciò al fine di
raggiungere quella visione unitaria della pluralità dei libri biblici che sola
permette di trovare e conoscere la Parola di Dio nascosta tra le parole
dell’uomo. In tal senso, Origene attinge a piene mani dall'impostazione
ermeneutica di Paolo che rappresenta per lui il modello del lettore in quanto
lettore spirituale; pur avendo chiaro in sé il concetto che la Scrittura è
suscettibile di una lettura svolta a vari livelli, tutti legittimi e
vivificanti, Origene ritiene che la lettura spirituale, cioè quella esercitata
in piena obbedienza e disponibilità all’ascolto della voce dello Spirito Santo
di Dio, sia l'unica che permette di trovare il senso più nascosto e più vicino
alla verità di Dio, alleggerendo così il fardello delle preoccupazioni e delle
angosce del lettore e illuminando, sebbene sempre e solo in parte, la naturale
oscurità della Scrittura. Scopo ultimo di questo tipo di lettura è quello di
rendere il credente partecipe di quegli stessi misteri che i testi sacri
nascondono e rivelano al contempo
[5].
E evidente, da questa sintesi, come Origene rappresenti un grande padre della
Chiesa e del metodo della
lectio divina e pertanto vale la pena leggere le parole con cui un
altro padre, Gregorio il Taumaturgo, suo allievo, ne ricorda la statura di uomo
di Dio:
Egli aveva ricevuto il dono grandissimo da Dio e il privilegio eccezionale dal
cielo di essere presso i mortali l’interprete della Parola del Creatore, di
intendere i precetti del Signore quasi fosse Dio medesimo a parlargli, e di
spiegarli agli uomini adeguandosi alla loro possibilità di percepire
(Gregorio il Taumaturgo,
Discorso a Origene, 181).
La lettura e l’ascolto delle Scritture ha molta importanza anche per i
Padri del deserto (IV-V secolo) tra
i quali comunque molto acceso è il dibattito relativo al valore della
comunicazione orale rispetto a quella scritta; sono infatti i tempi in cui
compaiono i primi libri, e molti padri, poiché consideravano la Parola una
realtà divina estremamente vitale ed in continuo divenire, ritenevano che la
fissazione di essa in un testo scritto si opponesse alle caratteristiche ed alle
esigenze della Parola stessa. In ogni caso, come risalta dai "Detti”, la Parola
assume un ruolo di centralità nel deserto ed i padri ne colgono il valore
soprattutto in relazione ai risvolti pratici sulla loro vita riguardo alla
salvezza ed al raggiungimento di quell’equilibrio interiore al cospetto di Dio
che poi è l'obiettivo principale della loro scelta vocazionale. I padri più
anziani solevano infatti rispondere ai più giovani citando passi scritturistici
o tramite aneddoti di vita vissuta in cui risuonava forte l’eco della Parola di
Dio ascoltata e messa in pratica. Padre Antonio, ad un fratello che gli
domandava cosa fare per ottenere il favore di Dio, disse:
Dovunque tu vada, tieni sempre Dio davanti ai tuoi occhi e qualunque cosa tu
faccia, appoggiati sempre sulla testimonianza delle Sante Scritture
(Atanasio,
Apoftegmi 3).
Nel deserto, la Scrittura viene letta pubblicamente, nelle
synaxeis settimanali, e personalmente, in cella; essa viene letta,
recitata, ascoltata, meditata, ruminata allo scopo di interiorizzare la Parola,
forgiare e fortificare la memoria, unificare il cuore nella semplicità e
nell’umiltà dell’abbandono in Dio.
Il richiamo alla perseveranza è infatti fondamentale per la vita nel deserto:
solo la meditazione e la ruminazione continua, anche attraverso la ripetizione
di semplici invocazioni o di frasi bibliche, potevano proteggere il monaco dalle
tentazioni e dall'empietà.
In sostanza, la lettura e l'ascolto della Parola di Dio da parte dei padri del
deserto viene praticata con la grande preoccupazione di conservarne intatte la
vitalità e la forza innovatrice; c'è in essi una zelante e pronta sollecitudine
a incarnare la Parola di Dio nella propria vita per evitare che essa venga
imprigionata e mortificata dalle parole umane.
1.3. Verso il Medioevo
Per Giovanni Crisostomo (+407), la
Scrittura rappresenta fondamentalmente lo strumento privilegiato ma imperfetto
che l'uomo possiede per ascoltare la voce di Dio; in essa è contenuta la Parola
di Dio quale frutto della
synkatabasis intesa come disponibilità benevola di Dio che
sottopone la perfezione e la grandezza del suo messaggio e della sua Parola
all'imperfezione ed alla caducità della parola umana pur di comunicare all'uomo
il suo piano salvifico
[6]. La comprensione della Parola e del
mistero di Dio è possibile soltanto attraverso quel percorso ermeneutico in cui
ci si fa guidare dalla luce della fede, nell'umiltà del completo abbandono alla
voce dello Spirito Santo. Il Crisostomo ritiene, infatti, che la fede sia la
facoltà superiore con cui ci si può accostare alla Scrittura per trovare in essa
la Parola di Dio, relegando il ragionamento e l'approccio intellettuale su un
piano molto inferiore (ciò in opposizione al razionalismo pagano dilagante in
quei tempi). A tal proposito, egli afferma:
Il proprio della fede sta nel lasciare tutta la logica della terra per
aggrapparsi a quel che sta al di sopra della natura, nel respingere la debolezza
dei ragionamenti per accogliere in noi tutto in virtù della potenza di Dio
(Giovanni Crisostomo,
Comm. In Epist. ad Rom. 17,2).
È questo l’unico modo che l'uomo possiede per giungere, attraverso le Scritture,
ad un dialogo autentico con Dio nella dimensione della contemplazione.
Girolamo di Stridone
(+ 419-420), che fu monaco a Betlemme, è ritenuto un padre e maestro del metodo
della
lectio divina; egli affermava che "cristiani si diventa, non si
nasce”
(Girolamo,
Ep. 107,1) e pertanto, per essere autentici cristiani, bisogna, in
primo luogo, accostarsi sapientemente alle Scritture. È per questa sua
convinzione che egli definisce, quasi in forma di protocollo ben codificato, la
struttura completa della
lectio secondo un'articolazione complessa che, attraverso il
succedersi di più momenti, porta ad una comprensione autentica della Parola di
Dio.
La
lectio, la fase della lettura, è considerata il "cibo dell'anima
cristiana”
(Girolamo,
Ep. 5,2). È la fase in cui si prende coscienza dell’esistenza del
messaggio di Dio ancora da scoprire. La
lectio dà la forza per conoscere Cristo; al contrario,
"l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”
(Girolamo,
In Esaiam. Prol.).
La
meditatio assidua permette la penetrazione del mistero di Dio;
questa fase viene paragonata da Girolamo a quella della consumazione del pane
dell’eucaristia.
La
contemplatio, frutto del raccoglimento silenzioso determinato
dalle fasi precedenti, pone il credente in intima relazione con Dio, in una
dimensione di meraviglia e di preghiera; è quella fase che esprime una
conoscenza d'amore in cui Dio primeggia al centro del cuore e della vita del
fedele.
La
ruminatio, fase centrale della
lectio divina, assiduamente praticata e raccomandata da Girolamo,
ha lo scopo di far assimilare ed interiorizzare a tal punto la Parola di Dio da
trasformare il cuore dell'uomo. Grande maestra di
ruminatio è, secondo Girolamo, Maria che "conservava tutte queste
parole confrontandole nel suo cuore” (Lc 2,19).
L'oratio
costituisce la fase della lode perenne a Dio, alla sua verità perfetta e al suo
mistero d’amore così come essi vengono intesi dall'intelligenza di fede del
credente. Per Girolamo, infatti, è attraverso l’intelligenza che l’uomo diventa
capace di confrontarsi con la verità di Dio in una dimensione di lode. In tal
senso riprende e fa suo l’insegnamento paolino:
Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo
spirito, ma canterò anche con l'intelligenza (1 Cor 14,15).
L’operatio
costituisce, per Girolamo, il traguardo quasi obbligato del percorso della
lectio divina: il credente, trasfigurato nel suo cuore e nella sua
esistenza dalla frequentazione assidua della Parola di Dio letta, meditata,
contemplata, ruminata e pregata, diventa uomo dell’amore divino attraverso cui
la Parola stessa di Dio prende vita per dare i suoi frutti. È la fase in cui si
diventa uomini e donne biblici, salmodie viventi così come esortava Girolamo
stesso:
Salmeggiate con tutte le vostre membra. Salmeggi la mano nell’elemosina,
salmeggi il piede andando all’opera buona
(Girolamo,
De Ps. 97,4).
Infine, per Girolamo assume grande importanza, al fine di rinnovare gli slanci
spirituali del fedele, la
peregrinatio, cioè la visita, per quanto possibile, dei luoghi
della Terra Santa, testimoni dell’Incarnazione del Verbo. Questa fase, comunque,
deve essere seguita continuamente nel senso che ogni cristiano non deve mai
lasciare la propria segreta terra di
peregrinatio costituita dalle Sacre Scritture
[7].
Cassiano
(360-435) ha il grande merito di essere stato il depositario della grande
tradizione monastica dei padri orientali e di averla comunicata all’occidente.
Le sue riflessioni sulla
lectio hanno come destinatari prediletti i monaci, al fine di un
continuo miglioramento della vita monastica. Egli rivolge la sua attenzione
soprattutto alla
meditazione della Scrittura, che deve essere continua e svolta con
grande assiduità, assumendo uno spirito ascetico per la purificazione del cuore
e per accostarsi alla Parola di Dio con umiltà, desiderio e capacità di
discernimento. Questa
ruminatio della Scrittura conduce al raggiungimento dello scopo
principale della
lectio: lasciarsi trasformare dalla Parola al punto da restare con
lo sguardo costantemente rivolto a Dio in una
contemplazione beatifica ed ininterrotta.
1.4. Il Medioevo
Per Benedetto
(ca.480-ca.555),
la
lectio divina costituisce una priorità assoluta, una pratica da
promuovere e custodire; è quanto si evince dalla sua stessa Regola in cui, a più
riprese, Benedetto afferma l'importanza e la necessità imprescindibile della
lettura e della meditazione della Scrittura e dell'insegnamento dei padri. La
lectio, secondo Benedetto, deve essere
cursiva allo scopo di evitare ogni soggettivismo ed ogni
"adattamento” della Parola di Dio al volere dell'uomo. Nei monasteri benedettini
verrà sempre praticata con grande cura sia nella forma comunitaria che in quella
personale. Benedetto cura molto anche gli aspetti pratici e formali della
lectio, preoccupandosi della scelta dei momenti quotidiani e della
custodia dei singoli monaci per proteggerli dal demone dell’acedia.
Egli individua, quali obiettivi principali della
lectio divina, la conoscenza di Dio e della sua volontà attraverso
la relazione intima con Gesù Cristo, l’edificazione della Chiesa (soprattutto
attraverso la
lectio comunitaria), la contemplazione di Dio (soprattutto
attraverso la
lectio personale) con
cuore dilatato
(Benedetto,
RB, Prol. 49). Inoltre, la
lectio tempra il fedele fortificandolo contro ogni forma di ozio,
nemico dell’anima. Ciò che più preme a Benedetto è che il monaco, attraverso la
lettura assidua e attenta della Scrittura e attraverso l'ascolto meditato della
Parola di Dio, giunga ad incarnarla nella sua vita ed a metterla in pratica per
il bene del suo cammino di conversione; per questo raccomanda di osservare la
taciturnitas nel senso di semplicità, discrezione ed attenzione
nell'uso della Scrittura, ricerca del silenzio inteso non come rottura del
dialogo e della comunicazione bensì nel senso dell'orientamento verso
l’essenziale di Dio, per poter ascoltare il Suo amore, custodire la
memoria Dei e scongiurare così il pericolo della mormorazione.
Solo in questa dimensione di ascolto si può apprezzare la risposta di Dio
all'uomo che lo cerca: la presenza costante del Signore che viene ogni giorno
nel cuore dell'uomo che interiorizza perennemente e sempre più profondamente la
Parola di Dio.
Gregorio Magno
(ca. 540-604), monaco e pontefice, ci ha trasmesso i fondamenti della
lectio biblica considerata nella sua dimensione comunitaria.
L'aspetto ecclesiale della
lectio è il punto su cui Gregorio Magno insisterà maggiormente:
infatti, come dice B. Calati, per Gregorio la comunità nasce dalla Parola e
cresce in rapporto all’obbedienza alla Parola ed è in tal senso che egli afferma
che la comunità ecclesiale è la norma dell'intelligenza della Parola e della sua
vitalità
[8]. Dunque, la comunità ecclesiale, che si
riconosce come corpo
unico in Cristo, ritrova, per mezzo dell’ascolto della Parola di
Dio, la sua identità e la sua unità. Ma per un giusto discernimento delle
Scritture è necessaria quella umiltà di fede che permette di farsi guidare dallo
Spirito Santo di Dio, lo stesso Spirito che ha già suscitato i profeti antichi e
che ora tocca ed ispira l'animo dei nuovi eletti:
Spiritus tangit! dice Gregorio, intendendo quell'azione dello
Spirito per cui, attraverso una lettura spirituale, si forgia l’uomo spirituale
e la Parola incarnata prende vita. In questo dinamismo, in cui lo Spirito Santo
agisce liberamente, anche la Parola è libera, nel senso che essa cresce ed
evolve insieme a colui che la legge e la ascolta:
divina eloquia cum legente crescunt. Allora, la pratica della
lectio divina diventa un atto essenziale che deve avere carattere
di quotidianità per la stessa maturazione spirituale del credente; secondo
Gregorio la
lectio va praticata assiduamente ed instancabilmente: solo così si
attua quel meccanismo di simbiosi tra la Parola ed il suo lettore per cui la
Scrittura resta viva e cresce continuamente al pari del credente che si rinnova
nello Spirito e cresce nella sua dimensione cristiana di uomo della carità nella
Chiesa di Cristo.
Scriptura crescit cum legente:
in questa dimensione di reciprocità e di vitalità matura il frutto più prelibato
della
lectio divina
che consiste in quello stato di contemplazione di Dio e del suo progetto di
salvezza che corrisponde al raggiungimento da parte del credente di quella
maturità di fede che gli deriva dalla piena conoscenza esperienziale della
Scrittura.
Per
Isidoro
(ca. 560-636), vescovo
di Siviglia,
la
lectio divina
rappresenta fondamentalmente un dialogo amoroso ed amichevole tra Dio che parla
e l'uomo che, attraverso la lettura attenta delle Scritture, ascolta. Nelle
Sentenze
questo concetto viene espresso chiaramente in una formula che esalta il binomio
lettura-preghiera:
Quando preghiamo, parliamo con Dio, quando leggiamo, Dio parla con noi (Isidoro,
Sent.
3,8,2),
Con questa affermazione, Isidoro, oltre a dimostrare la sua grande attenzione e
la sua grande fedeltà alla tradizione dei padri (Cipriano, Ambrogio, Agostino),
esprime una verità di base della
lecito:
il legame intimo e necessario tra lettura e preghiera in cui, dalla Parola
parlata da Dio attraverso la lettura dell'uomo, scaturisce la preghiera quale
risposta e parola dell'uomo a Dio, Questo colloquio spirituale rappresenta,
secondo Isidoro, il cuore della
lectio.
Tale dialogo fortifica l'uomo e lo introduce sempre di più alla sapienza di Dio
rappresentando il modo migliore che l’uomo possiede per conoscere Dio e
accrescere la sua fede. Il vescovo sivigliano parla della
lectio
come di
cibo
prelibato per il nutrimento spirituale dell'anima, di
maestra
che istruisce il cuore illuminandolo, di
rimedio
medicinale necessario per la correzione dei peccati e la compunzione
[9].
La
lectio
presuppone ed esige, inoltre, la disponibilità dell'uomo ad un cammino ascetico
in cui è richiesto lavoro continuo, perseveranza e dedizione; per Isidoro, la
lettura meditata delle Scritture deve essere assidua,
sine intermissione (Sent.
3,19,5),
quotidie
(Sent. 3,11,6). Nella sua azione pastorale, egli insisterà sempre su questo
concetto di perseveranza, indicandolo come valore imprescindibile al fine di
penetrare le Scritture per lasciarci trasformare da esse; praticando il metodo
della
lectio
con assiduità, infatti, si allena la memoria e si interiorizza il testo che,
attraverso questa incessante opera di ricerca, viene compreso in profondità
prendendo vita. Inoltre, per portare
i
frutti sperati, la lettura deve essere breve e silenziosa, soprattutto nella
lectio
personale. Nella
lectio
comunitaria, invece, diventa
soprattutto importante la
collatio,
intesa quale
colloquio
edificante per la crescita spirituale dei fedeli: "è meglio conversare che
leggere"
(Isidoro,
Sent.
3,14,1);
attraverso una
collatio
sincera, autentica e semplice, guidata dall’abate, è più facile l’apprendimento
delle Scritture e la conoscenza della volontà di Dio poiché nel confronto
fraterno viene stimolato maggiormente l'ascolto, la compunzione e la preghiera.
Per Isidoro, sempre profondo ed attento conoscitore della tradizione patristica,
nessun momento della
lectio divina
è superfluo. Egli raccomanda fortemente la
meditatio,
parlando addirittura di
meditationibus,
intendendo in tal modo quell'azione riflessiva reiterata, consistente in
quell'esercizio di continua memorizzazione e frantumazione della Parola letta,
di "mormorio interiore puramente spirituale”
[10] volto alla degustazione
ed all’apprendimento profondo della Parola, Secondo Isidoro
con la lettura apprendiamo le cose che ignoriamo. Con le meditazioni conserviamo
quelle che abbiamo appreso
(Isidoro,
Sent.
3,0,3).
Quest'opera dì interiorizzazione ha luogo quando "la voce del lettore
si attenua e
la lingua
si
muove
in silenzio"
(Isidoro,
Sent.
3,14,9).
Attraverso la
lectio
e la
meditatio
si giunge all’oratio
che, come abbiamo visto, rappresenta per
il
Sivigliano quel momento fondamentale in cui, nel dialogo con Dio, è l'uomo che
parla; la lettura che diventa preghiera aiuta l'uomo a vivere secondo la volontà
di Dio introducendolo verso la via della
contemplatio,
fase in cui l'uomo, inebriato e trasfigurato dalla Parola letta, meditata e
pregata, abbandonata ormai ogni preoccupazione terrena, vive in intima unione
spirituale con Dio.
Gli effetti di una
lectio
siffatta sono, per Isidoro, l'istruzione illuminata del credente circa il volere
di Dio e la purificazione del suo cuore attraverso quell’azione della Parola che
disorienta il cuore, provocando quel pianto spirituale di compunzione tanto
raccomandato dal vescovo Sivigliano. Da ciò è facile dedurre che gli scopi della
lectio divina
di Isidoro sono rappresentati da una sempre migliore intelligenza delle
Scritture (volta alla crescita spirituale personale ed all'orientamento progressivo
della propria vita verso Dio e la sua misericordia) e dalla testimonianza viva,
resa anche e soprattutto attraverso una vita retta e conforme alla volontà di
Dio.
Secondo Ugo di San Vittore (ca.
1095-1141), la
lectio divina rappresenta, in generale, ma specialmente per il
monaco, la forma di lettura più alta; egli raccomanda una
lectio meditata e continua, in un'atmosfera di quiete (otium)
e di abbandono in Dio. La
lectio deve essere fatta con tutto se stesso, con la
partecipazione reale di tutto il corpo e di tutti i sensi: in tal modo, ciò che
viene letto e meditato finisce per incarnarsi nella vita stessa del lettore. La
lectio
[11] diventa così stile di vita per il monaco
che deve affrontare questa lettura continua con lo spirito del
vacare (liberarsi). Dunque, lettura e meditazione sono i cardini
della
lectio divina per Ugo:
L’inizio del sapere
(principium doctrinae) si trova dunque nella lettura, ma il suo
compimento perfetto si realizza nella meditazione
(Ugo di San Vittore,
Didascalicon 3,10).
Guglielmo di Saint-Thierry
(+ 1148) considera la Scrittura come mezzo (usa proprio il termine di
“imbarcazione”) donato da Dio all’uomo perché questi possa giungere a Dio.
Togli il velo ai miei occhi, Signore, e osserverò queste meraviglie della tua
legge, della legge del tuo amore
(Guglielmo di Saint-Thierry,
Meditativae orationes 12,15).
Immerso in questa dimensione di preghiera, Guglielmo, con cuore attento alla
voce dello Spirito ed obbediente alla volontà di Dio, scruta le Scritture al
fine di trovare la Parola che è nascosta nelle parole umane; tutto ciò, egli lo
sa bene, lo porterà a conoscere il vero volto di Dio, Gesù Cristo, e ad avere in
sé gli stessi sentimenti di Gesù. Il percorso di discernimento delle Scritture
si snoda attraverso tre itinerari: il primo ed il secondo risentono
dell'influenza di Origene e consistono in un progredire della lettura che, da
letterale, diventa etico-morale ed infine spirituale per cui il credente passa
dallo stato di uomo animale a quello di uomo spirituale; il terzo itinerario si
snoda attraverso i tre momenti della
lectio, della
meditatio e
dell’oratio per condurre il fedele a conoscere e nutrirsi
dell'amore di Dio. Dunque, come dice Cecilia Falchini, si compie in tal modo
quel circolo ermeneutico per cui la
lectio, partita da Dio tramite la lettura nello Spirito, meditata,
pregata ed incarnata dal credente, ritorna a Dio per mezzo del Figlio che
rivela, nella Scrittura stessa, il volto del Padre
[12].
Il fondatore dell'ordine monastico dei cistercensi,
Bernardo di Clairvaux (1091-1153),
autore del Commentario sul Cantico dei Cantici, individua alcune regole
fondamentali per poter condurre una vera
lectio divina e giungere così alla comprensione autentica della
Scrittura. Egli
[13] considera fondamentali le seguenti
indicazioni:
• non trascurare alcun
dettaglio della lettera;
• non esitare a moltiplicare i
sensi spirituali;
• illuminare la Bibbia con la
Bibbia.
Per Bernardo, la lettura della Bibbia deve essere praticata con assiduità,
pazienza, precisione, in maniera minuziosa, non tralasciando neppure uno iota
(cfr. Mt 5,18); la
meditatio e la
ruminatio, la lettura continua e ripetuta dei brani biblici
arricchiscono il testo rinnovandolo. Infatti, solo in tal modo si può
raggiungere quella unità della Scrittura che permette al lettore di conoscere il
vero volto di Cristo. La Scrittura (Cfr.
ib., 258-260) è soggetta alla possibilità di sempre nuove
interpretazioni ed il senso di ogni sua parte può essere esteso e diversificato
all'infinito. In questa fatica incessante, il fedele procede gradualmente lungo
un itinerario di unificazione che lo porta a superare, di volta in volta, vari
livelli di comprensione: Bernardo identifica questi livelli come triadi (una
famosa è quella "ragione, volontà, memoria"). Ma egli, consapevole del rischio
cui poteva essere sottoposta la Scrittura in tal modo, il rischio cioè di una
lettura troppo libera e soggettiva, incessantemente ricorda, riprendendo
peraltro un concetto di Origene, che la Bibbia trova la sua chiave di
interpretazione in se stessa, che solo Cristo può interpretare Cristo. In
sostanza, ogni nuova interpretazione e comprensione della Scrittura non è altro
che il frutto delle interpretazioni e dei sensi già dati in passato:
l'integrazione di tutte le interpretazioni date nel tempo porta alla conoscenza
di Cristo, dunque all’unità.
Il metodo individuato da Bernardo si prefigge lo scopo principale di alimentare
ed arricchire sempre più quella
memoria Dei di cui lui stesso era ricco; per lui, quest'opera di
memorizzazione, attraverso la lettura continua e meditata, è fondamentale allo
scopo di raggiungere il fine della
lectio stessa: rendere viva e sempre attuale la Scrittura e al
contempo rinnovare il lettore che vede la propria vita assumere nuove
prospettive alla luce della Parola incarnata ed in obbedienza alla volontà di
Dio. Tutta la vita di Bernardo è stata impregnata della Scrittura e ciò grazie
al lungo ed incessante lavoro di memorizzazione biblica a cui egli si era
sottoposto. Ma questo lavoro di memorizzazione (condotto attraverso
l'osservazione attenta e completa, la divisione ed il raggruppamento in parti,
la ricerca dei giusti collegamenti) è possibile solo se sostenuto da due
presupposti necessari: il desiderio di conoscere Dio e l'umiltà dell'obbedienza
alla Parola, in una dimensione di preghiera e di compunzione; dunque, lo sforzo
mnemonico può essere praticato soltanto da colui che ama e comprende la
Scrittura. È questo per Bernardo il senso della
lectio divina, perché vivendo da uomini biblici, avendo acquisito
la memoria cristiana, ogni realtà ed ogni momento della nostra vita può essere
vissuto alla luce del piano salvifico di Dio: allora, in ogni dimensione della
nostra vita incontreremo il volto splendente di Cristo e gusteremo l'amore di
Dio.
Per Aelredo di Rievaulx
(1110-1167), la
lectio è parte integrante della sua vita: infatti, poiché Dio ha
scelto questo mezzo per parlarci, è attraverso la lettura approfondita e
reiterata delle Scritture (ma Aelredo considera e raccomanda anche la lettura
dei padri quali Agostino, Gregorio, Ambrogio e altri) che si può conoscere il
Padre facendo esperienza del suo amore misericordioso attraverso l'incontro col
Figlio. Aelredo sa bene che questo lavoro è molto faticoso ed è per questo che
raccomanda ai suoi monaci di essere sereni e perseveranti nella lettura, sapendo
vigilare contro il demone dell'acedia
e restando obbedienti al Signore. Nel suo ultimo sermone egli definisce la
Scrittura come
un insieme di diverse affermazioni (sententiae)
e precetti
vari che, accordandosi in ragione della fede che è una, emettono
un dolcissima melodia nel cuore dei fedeli, così come nelle loro orecchie
(Aelredo di Rievaulx.
De
oneribus
31).
Nei suoi sermoni, Isacco della Stella
(ca.
1100-1169) afferma:
“Tria sunt lectio, meditatio et oratio"
(Isacco della Stella,
Serm.
14,7 e
15,12), identificando queste tre attività della
lectio come parte integrante della vita monastica; a queste egli
aggiunge, rifacendosi alla regola di Benedetto, come momento della
actio, quello del lavoro. Una
lectio siffatta raggiungerà prima o poi il suo scopo, quello della
conoscenza di Dio e del raggiungimento della relazione con Lui tramite Gesù
Cristo. In tal senso, la
lectio divina rappresenta una pratica fondamentale per l'esercizio
ascetico della vigilanza e della lotta contro la tentazione: infatti, essa
purifica il cuore del monaco rendendolo "trasparente come uno specchio o come
acqua limpidissima"
(Serm. 25,15). Ma la grande intuizione di Isacco
[14] consiste soprattutto nella
considerazione del fatto che l'approccio alla comprensione delle Scritture deve
essere condotto attraverso l’uso delle facoltà naturali dell’uomo, la ragione,
la memoria, l'intelligenza in una dimensione di libertà e di profondo
discernimento spirituale. Comunque, Isacco raccomanda sempre l’adesione al testo
biblico in semplicità e fedeltà, riconoscendo al contempo la pluralità dei sensi
della Scrittura la quale è sempre suscettibile di nuove e autentiche
interpretazioni. Dunque, attraverso l'uso combinato dell’intelligenza e del
cuore nella comprensione delle Sacre Scritture, è possibile collaborare alla
costruzione di quel regno di carità e d'amore che corrisponde esattamente a
quella che è la volontà di Dio espressa nella Sua Parola.
La
lectio divina ha sicuramente orientato e unificato la vita di
Guigo II Certosino (+ 1188), nono
priore della Comunità della Grande Certosa, il quale ha sapientemente inteso il
senso dell’itinerario di conversione del credente quale cammino di conoscenza
del Verbo incarnato e rivelato tramite le Sacre Scritture. Per definire i passi
di questo percorso, Guigo usa il paragone della scala (la famosa
Scala Claustralium), i cui gradini, se percorsi saldamente e con
forza, portano all’incontro col Cristo-Verbo. Questi quattro gradini non sono
altro che i quattro momenti fondamentali della
lectio divina: lectio, meditatio, oratio, contemplatio. E così la
lectio diventa un percorso, di apparente ascesa ma in effetti di
umile e costruttiva discesa, che porta il credente all'incontro col Signore.
Il primo gradino è la
lectio, la base della scala, intesa come lettura vera e propria,
in cui si cerca ciò che è scritto e lo si comprende nel suo senso letterale e
storico secondo un percorso esegetico teso a cercare tra le molteplici parole
umane l’unica Parola di Dio. È il primo livello, il più superficiale, il più
"esteriore", ma che è necessario affrontare per passare ai livelli successivi.
Dalla
lectio si passa alla
meditatio intesa come attività di ricerca della verità nascosta
attraverso l'uso della ragione; la
meditatio fa masticare e ruminare ciò che si è assunto con la
lectio. È quella fase di crescita che tende a far emergere il
non-detto a partire dal
detto del testo biblico
[15]: inizia la discesa verso il basso,
all’interno del mistero divino, secondo un cammino di approfondimento e di
interiorizzazione della Parola letta.
A questo punto il credente è già proiettato verso il gradino dell’oratio,
momento di elevazione e di desiderio, di fervore e di dolore, in cui il lettore
sperimenta l'amarezza e la tristezza della propria incompiutezza ed imperfezione
di fronte alla verità perfetta di Dio intravista, trovata, conosciuta, ma non
ancora vissuta; è la fase dell'invocazione umile dell'anima che riconosce ormai
il Signore come unico protagonista della sua vita. L’oratio
così intesa consiste dunque in un cammino di abbassamento e di spoliazione di
sé, nella fede e nell'obbedienza, in cui si realizza il vero dialogo con Dio,
fatto di ascolto e di richiesta, teso specialmente ad ottenere quella purezza di
cuore che Dio desidera e che Egli solo può donare. Questo dialogo, trovato nella
preghiera, predispone già il credente alla
contemplatio, momento finale e atteso della
lectio. È la fase dell’abbandono totale in Dio, in una dimensione
di apertura ed accoglienza dei doni dello Spirito che offre al credente la
possibilità di entrare in intima comunione con Dio: è il gradino della
conoscenza d'amore, livello estremo e beato cui tende ogni cammino di fede e di
conversione percorso attraverso la ricerca e la comprensione della Parola di
Dio.
Guigo parla anche di uno stadio successivo, quello della
sequela, che rappresenta, in effetti, la necessità di custodire
nella propria vita quella profondità del rapporto con Dio a cui si è giunti
tramite i quattro gradini della
lectio.
Dunque, la
lectio è intesa da Guigo come cammino di "consumazione spirituale
del corpo di Cristo” che, realizzato nella fede, si completa nell'amore ed in
cui la lettura e l'ascolto della Parola si trasformano gradualmente in preghiera
di invocazione e adorazione, in quella dimensione di "serena insoddisfazione”
del fedele che vive nel desiderio e nell’attesa dei tempi escatologici la cui
dolcezza ha già pregustato attraverso i frutti del discernimento della Parola di
Dio. Infatti, Guigo così conclude: “Così velo tolga velo e colui che ascolta
dica: Vieni!”
(Guigo II
Certosino,
Sc. Cl. 15).
Il modo di far
lectio di Francesco
D’Assisi (1182-1226) si discosta notevolmente da quello del monachesimo
medievale. Francesco, nella sua regola, non prescrive alcuna forma per la
lectio divina. Eppure, come ben sappiamo, Francesco conosce
estremamente bene ed in profondità la Scrittura al punto che la sua stessa vita
è un tentativo di incarnare fedelmente la Scrittura ed in particolare
l'Evangelo. Egli è un entusiasta della lettura biblica ed il suo approccio alle
Scritture è immediato e letterale, fatto totalmente di ascolto e di obbedienza.
La sua regola è la Scrittura evangelica stessa e la sua preoccupazione è
rivolta, più che all'interpretazione, all'applicazione semplice e fedele di ogni
parola di Cristo allo scopo di annunciarla a tutti. Questo modo di accostarsi
alla Scrittura, del resto, era il più adatto all'ideale francescano di una vita
apostolica di servizio e di predicazione della buona novella evangelica.
1.5. Oggi
Il metodo della
lectio divina, ben definito, esaltato e largamente praticato in
epoca medievale, conoscerà nei secoli successivi un periodo di oscurità in cui
verrà declassato (e relegato praticamente alle sole realtà monastiche) a favore
di altre pratiche, di sapore più intellettuale o devozionale, introspettivo e
psicologico, che di fatto determineranno una vera e propria eclissi della
lectio divina e, di conseguenza, della lettura meditata della
Parola di Dio.
Dopo questo periodo di vero e proprio esilio della Parola, sarà il
Concilio Vaticano II (1963-1965),
con la
Dei Verbum, a riproporre il metodo della
lectio divina quale forma privilegiata di interpretazione della
Scrittura. La Chiesa, in sostanza, riscopre la necessità di rimettere la
Scrittura in una posizione di centralità nella sua stessa vita, individuando
nella
lectio divina l’unico modo per effettuare, ad ogni livello, una
lettura della Scrittura secondo lo Spirito Santo. Nella
D.V. 25, la
lectio (articolata secondo i suoi momenti peculiari di lettura,
meditazione e preghiera) viene raccomandata a tutti allo scopo di mantenere un
contatto continuo con la Scrittura. Alla Scrittura viene riconosciuto il ruolo
fondamentale di integrare i vari ambiti della vita della Chiesa - liturgico,
pastorale, teologico, vita cristiana - unificandoli in Cristo, Verbo di Dio
incarnato. La Chiesa ricorda che “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di
Cristo'' e pertanto raccomanda la frequentazione assidua, quotidiana, meditata e
orante delle Scritture ad ogni fedele nella sua vita (D.V.
25). Questa riscoperta della
lectio divina quale strumento per la
comprensione, l'interiorizzazione e la attualizzazione della Parola di Dio
attraverso la Scrittura, frutto di una nuova e più matura presa di coscienza da
parte della Chiesa della sua identità peculiare di corpo di Cristo, si prefigge
lo scopo di riscoprire e riconoscere il volto di Cristo per entrare in intima
comunione con Dio e lasciarsi trasformare dal Suo amore.
Oggi, la lectio divina entra nelle nostre case e con essa anche la Parola di Dio, suscettibile, sempre e ad ogni livello, di essere nuovamente interpretata e riscoperta alla luce delle grandi meditazioni dei padri e in vista della crescita spirituale del cristiano e di un’evangelizzazione sempre attuale, in obbedienza a quella persona trinitaria, lo Spirito Santo, che da sempre e per sempre suscita nel cuore dell'uomo la sua identità di figlio di Dio e la sua appartenenza, nella Chiesa, al Cristo Risorto, ispirando la sua vita in una dimensione orante e contemplativa di Dio e della Sua grazia.
NOTE
[1] cfr. E.
Bianchi, Pregare la
Parola, Gribaudi, Torino 1990, 37-38.
[2] Per quanto riguarda la
trattazione di questa parte storica si fa riferimento a E.
Bianchi et
Alii,
La
lectio divina nella vita religiosa, Qiqajon, Magnano 1994.
Si tratta di un libro prezioso, cui si debbono le riflessioni e le
citazioni patristiche della presente parte, che non ha altra pretesa se
non quella di esserne un'umile sintesi, meditata personalmente.
[3]
Cfr. E.
Bianchi. Dalla
Scrittura alla Parola, in E.
Bianchi et Alii. La lectio divina nella vita religiosa,
361-366.
[4] Cfr. F.
Cocchini, Origene,
in E. Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa, 33 34.
[5]
Cfr. F.
Cocchini,
Origene, in
E. Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa,
47.
[6]
Cfr. J.-M.
Leroux. Giovanni
Crisostomo, in E. Bianchi et
Alii, La lectio divina nella vita religiosa, 102.
[7] Cfr.
L. Mirri, Girolamo,
in E. Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa, 124.
[8] Cfr.
B. Calati, Gregorio
Magno, in E. Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa, 168.
[9]
Cfr. B.
Recaredo
Garcìa, Isidoro, in E.
Bianchi et Alii, La
lecito divina nella vita religiosa,
190-191
[10]
J.
Leclercq,
Cultura umanistica,
19-20, cit. in
E.
Bianchi et Alii, La lecito
divina nella vita religiosa
200-201.
[11]
Cfr. I.
Illich, Ugo di S. Vittore,
in E.
Bianchi et Alii, La
lectio divina nella vita religiosa.
229.
[12]
Cfr. C.
Falchini,
Guglielmo di Saint-Thierry,
in E.
Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa,
242.
[13]
Cfr. D.
Poirel,
Bernardo di Clairvaux,
in E.
Bianchi et Alii,
La lectio divina nella vita religiosa,
263.
[14]
Cfr. G.
Dotti, Isacco della
Stella, in E. Bianchi et
Alii, La lectio divina nella vita religiosa, 299-300.
[15]
Cfr. C.
Falchisi, Guigo
Certosino, in E. Bianchi et
Alii, La lectio divina nella vita religiosa, 312.
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