Regola di S. Benedetto
Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere:
"
55 -Ascoltare volentieri
la lettura della parola di Dio,..."
Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano:
"
1 - L'ozio è nemico dell'anima, perciò i
monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure
prestabilite, allo studio della parola di Dio. .....
4 - dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino
allo studio della parola di Dio.
10 -
Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima,
si applichino allo studio fino alle 9,...
13 - Dopo il pranzo si dedichino alla lettura
personale o allo studio dei salmi.
14 -
Durante la Quaresima leggano dall'alba fino alle 9
inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le
4 pomeridiane.
22 -
Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a
eccezione di quelli destinati ai vari servizi."
SAN BENEDETTO E LA «LECTIO DIVINA»
(Omelia tenuta in Duomo il 26 aprile 1980 in occasione del XV centenario della
nascita di san Benedetto)
estratto da "IL
VESCOVO E IL MONACO" di
CARLO MARIA MARTINI; Cardinale Arcivescovo di Milano
edito dall'Abbazia San Benedetto di Seregno
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore, carissimi figli e figlie di san
Benedetto, qui radunati per questa solenne celebrazione.
Commemoriamo insieme il XV anniversario della nascita di san Benedetto,
grande padre del monachesimo occidentale, patrono dell’Europa. Vorremmo saperlo
fare con le parole, con la conoscenza profonda dello spirito monastico
benedettino e con il calore religioso che ha contraddistinto in questa Chiesa
per tanti anni il magistero del card. Ildefonso Schuster. Durante tutta la sua
vita egli ha studiato questo carisma, lo ha proclamato e lo ha vissuto; la sua
memoria ancora rimane tra noi come di un rappresentante vivo per molto tempo in
questa Chiesa di questo spirito, di questa grande tradizione monastica e
religiosa.
Ciò che vorrei fare io questa sera è molto più semplice: è un discorso
cordiale, diretto soprattutto a quei carissimi figli e figlie di san Benedetto
radunati qui per celebrare insieme questa festa dì famiglia.
E’ forse la prima volta nella storia di questo luogo che si trovano radunate
qui insieme anche le religiose claustrali. Considerando questo evento come
eccezionale nella loro vita, esse sono venute qui, quest’oggi, a costruire il
loro monastero; il loro chiostro è oggi questa basilica, è oggi la nostra
preghiera e tutti noi siamo fatti partecipi della loro vita monastica
contemplativa. Vi sono dunque molte cose oggi che ci toccano profondamente il
cuore, che suscitano la nostra commozione e la nostra riconoscenza.
In primo luogo la riconoscenza per tutto il bene che la Chiesa, e in
particolare la Chiesa in Lombardia, la Chiesa in questa diocesi, in questa città
ha ricevuto lungo i secoli dalla tradizione benedettina. E qui dovrebbero
parlare i santi, tutti coloro che sono stati formati alla vita spirituale
attingendo a questa tradizione; ma potrebbero parlare anche i letterati, gli
storici, gli artisti, gli economisti, coloro i quali potrebbero comunicare i
benefici di civiltà, di arte, di letteratura, di costume, di approfondimento
della vita religiosa e civile, di opere di assistenza, di carità, di servizio
che sono state promosse dalle abbazie benedettine in tutta l’Italia, in Europa,
in particolare in questa regione, nel corso dei secoli.
Vorrei però semplicemente limitarmi a qualche ricordo personale e ad una
riflessione interiore sul significato di questa presenza benedettina nella
Chiesa. Ricordo e riflessione che potremmo collegare alle parole della prima
lettura che abbiamo ascoltato degli Atti degli Apostoli, dove leggiamo che Paolo
e Barnaba, intrattenendosi coi cristiani di Antiochia, li esortavano «a
perseverare nella grazia di Dio”.
Ecco dunque la parola che io vorrei rivolgere a tutti i religiosi e le
religiose qui presenti, facendo mia questa esortazione “a perseverare nella
grazia di Dio” nella loro vocazione. E’ una parola che può servire anche per
tutti gli altri fedeli qui presenti, per cercare di cogliere qualcosa dello
spirito di questa vocazione, per lasciarsene illuminare nella vita e nella
preghiera.
Vorrei partire da qualche ricordo personale. Ricordo i frequenti
pellegrinaggi che, quando mi trovavo a Roma, facevo a Subiaco, fermandomi a
pregare per un certo spazio di tempo sotto quella grande roccia che sembra
protesa sul luogo di preghiera e quasi pronta a cadere, ma che invece rimane là,
ferma, per la mano di san Benedetto che dice: “Non toccare i miei figli!”.
In questa zona rupestre, un tempo abbandonata nell’alta valle dell’Aniene,
mi sono recato più volte; ho pregato presso lo Speco, sono sceso lungo i gradini
di pietra, fino al luogo dove si
dice che san Benedetto incontrasse i pastori, fino al roveto, cercando di
palpare sulle pietre, luogo dopo luogo, i momenti della permanenza e della
preghiera del giovane san Benedetto.
Ricordo ancora i soggiorni a S. Scolastica; cercavo di partecipare alla
preghiera monastica della comunità tenendo sempre dentro di me una domanda: che
cosa spingeva Benedetto a venire qui, a isolarsi nella preghiera. Che cosa
diceva a Dio durante questa preghiera, come passava le notti. Che cosa lo faceva
restare qui, lontano da tutto. E più ancora: che cosa spingeva questo giovane
maturatosi nella preghiera a raccogliere altri con sé a pregare insieme, che
cosa facevano, che significato aveva la loro esperienza per la Chiesa di quel
momento?
E andavo percorrendo l’alta valle dell’Aniene cercando i segni degli oratori
smarriti intorno alle valli di questa montagna di san Benedetto. Erano i
numerosi luoghi di preghiera dove i piccoli gruppi di giovani venuti da Roma per
sfuggire all’atmosfera ormai irrespirabile della città, fra tutta quella vanità
e dissipazione che vigeva in Roma, si ritiravano con lui per ritrovare la
sorgente del loro cristianesimo, per fare un’esperienza autentica di vita.
Riflettendo sui valori ricercati e vissuti da san Benedetto, si comprende il
significato per la società di quel tempo dell’esperienza monastica poi
divenuta sempre più chiara, sempre più precisa nell’ambito e nella
estensione della Regola. Riflettendo oggi sulla preghiera e sui tanti valori che
la Regola contiene ancora per il mondo contemporaneo, vorrei fermarmi
semplicemente su uno di essi che ha un profondo significato per la Chiesa e che,
se assimilato e vissuto da noi, ci porterebbe a ripetere quell’esperienza
sorgiva, affascinante del Vangelo cosi come l’hanno fatta Benedetto e i suoi
primi compagni.
Voglio parlarvi di quel valore che si chiama la «lectio divina», che
tradurremmo malamente in italiano la “lettura divina”. Vogliamo quest’oggi
intrattenerci un po’ meglio per capire che cosa significhi questa preziosa
eredità che la tradizione benedettina ha saputo valorizzare, approfondire e
tramandare viva alle nostre generazioni. Si tratta, come dice la parola, di una
lettura, di una “lectio”; la parola “lettura” però non rende in italiano la
realtà di cui si tratta.
Quando noi parliamo di lettura pensiamo a una scorsa superficiale di una
pagina scritta, a qualche cosa che si guarda così, distrattamente, e non rimane.
Invece questa lettura monastica è una lettura fatta di ascolto, di ruminazione,
di ripetizione riflessa della Parola. La parola viene non soltanto letta
superficialmente con l’occhio, ma viene ricevuta nel cuore, viene ascoltata con
le orecchie, viene custodita, viene ripetuta, meditata;
è una parola che scende lentamente nel cuore e lo riempie. Voi potete già
qui immaginare quale tesoro di pace, di riflessione, di calma, produce questo
esercizio. E’ tutto il contrario di quell’affanno, di quella rapidità di
lettura, di ascolto e di dialogo, di corsa quotidiana che rende le nostre città
così affannose e la nostra vita sempre così stanca. Esso introduce nella nostra
realtà quotidiana un ritmo di vita più semplice, tranquillo, attraverso momenti
privilegiati di lettura ritmata, meditata, assaporata lentamente, che diventa
quindi già uno stile di calma, di dignità, uno stile di accostarsi alle cose non
attraverso la fretta di chi vuole divorare, consumare tutto, ma attraverso la
calma di chi aspetta di ricevere un dono.
Ma questa “lectio”, questa lettura meditata e riflessa, fatta di ritmi di
ascolto, è lectio «divina», ha cioè per oggetto le parole stesse di Dio: la
Scrittura. Noi vediamo applicata qui dall’antichissima tradizione monastica
quello che poi la Chiesa del Concilio Vaticano II nel c. 6° della “Dei Verbum”
inculca ripetutamente per tutti i cristiani come qualcosa da riscoprire, da
ritrovare, da rimettere nel seno di tutte le comunità: cioè la lettura
continuata, prolungata di tutta la sacra Scrittura, che ci mette di fronte ogni
giorno, ogni settimana, con ritmi ben determinati, tutto il piano divino di
salvezza.
E’ lettura divina, lettura della sacra Scrittura che
comprende le parole divine, lettura che ci apre il piano divino di
salvezza, lettura che ci permette in qualche maniera di toccare Dio, di sentire
Gesù Cristo che ci parla, di mettere in pratica quella ricerca di Dio, “ricerca
vera” di Dio che è l’anima della vita benedettina ed è l’anima della ricerca di
ogni uomo: ricercare Dio, cercare di conoscerlo, di toccarlo, di vederlo. Ora,
la lettura attenta, prolungata, devota della sacra Scrittura ci permette di
vedere Dio, di toccare Dio, di toccare il suo piano di salvezza e di immergere
la nostra vita nel ritmo di questo piano di salvezza. E non basta.
Lettura “divina» non soltanto perché ci mette di fronte alle parole di Dio e
al piano di Dio, ma perché ci permette di leggere con il libro della Scrittura
anche il libro stesso della nostra vita come opera di Dio. La Bibbia è lo
specchio della nostra vita: in essa ci si dice chi siamo, da dove veniamo, dove
andiamo, che significato hanno gli eventi della giornata, che significato hanno
le sofferenze che attraversiamo, che significato ha tutto ciò che si agita oggi
nell’uomo.
La Bibbia ci rivela di tutte queste cose l’aspetto divino, il mistero di
grazia di Dio. Ed ecco che attraverso questo esercizio della “lectio divina»,
della lettura continuata e prolungata della Scrittura, noi arriviamo a quel
punto meraviglioso dell’esistenza descritto da papa Giovanni Paolo II
nella sua enciclica “Redemptor hominis”: ci troviamo di fronte a un
grande stupore perché vediamo quanto grande sia l’uomo per il quale Dio ha fatto
tanto.
La “lectio divina”, la lettura della Bibbia organica, attenta, intelligente,
ci permette di scoprire nella nostra vita il mistero di Dio: ed è per questo che
la vita monastica, in particolare la vita contemplativa, in genere la vita
benedettina e tutte le tradizioni che ne derivano e hanno il ritmo di questa
lettura della Bibbia, costituiscono un modello di vita ideale, un modello di
vita umano, sano, capace di congiungere preghiera e lavoro, capace di capire le
cose di Dio e le cose dell’uomo, capace di scendere nei misteri dello Spirito e
di espandersi nelle creazioni dell’arte, capace di leggere i codici e capace di
coltivare la terra, capace di guardare in alto verso Dio e di ritornare verso i
fratelli con carità, semplicità, amore, a sostegno e a servizio dei malati,
degli infermi, di tutti coloro che hanno bisogno di essere accolti. Raccogliamo
dunque, fra gli altri frutti di questa celebrazione, l’esortazione “a
perseverare nella grazia di Dio” che è questa “lectio divina” che ci è data
nelle mani.
Mi augurerei davvero che tutti i monasteri, tutti i centri di vita
benedettina della diocesi diventassero altrettanti centri dai quali si diffonde
la capacità, il metodo, l’uso della “lettura» della
Bibbia, attenta e prolungata, fatta dai singoli, dalle famiglie, dai
gruppi, in particolare poi dalle parrocchie nella liturgia. In questo noi
veramente riscopriremmo il grande tesoro che san Benedetto ha trovato in mezzo
alla solitudine dei monti, e che poi lo ha riportato in mezzo alla gente
facendolo operatore di civiltà.
Chiediamo che anche in noi si operi questa santa sintesi tra civiltà e vita
interiore, tra pace con Dio e pace che diffondiamo tra gli uomini, attraverso la
valorizzazione di questo dono immenso della sacra Scrittura che ci è dato nelle
mani e che la tradizione benedettina ci insegna a leggere e a scrutare.
(“Rivista diocesana milanese”, 71, 1980, pp. 611-615)
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21 giugno 2014