Regola di S. Benedetto

III - La consultazione della comunità: 1 Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l'abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l'affare in oggetto. ... 3 Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore.

IV - Gli strumenti delle buone opere: 70 rispettare gli anziani, 71 amare i giovani,

LXIII - L'ordine della comunità: 1 Nella comunità ognuno conservi il posto che gli spetta secondo la data del suo ingresso o l'esemplarità della sua condotta o la volontà dell'abate…5 E in nessuna occasione l'età costituisca un criterio distintivo o pregiudizievole per stabilire i posti, 6 perché Samuele e Daniele, quando erano ancora fanciulli, giudicarono gli anziani... 9 Per quanto riguarda i ragazzi, invece, si osservi in tutto e per tutto la relativa disciplina. 10 I più giovani, dunque, trattino con riguardo i più anziani, che a loro volta li ricambino con amore. 11 Anche quando si chiamano tra loro, nessuno si permetta di rivolgersi all'altro con il solo nome, 12 ma gli anziani diano ai giovani l'appellativo di "fratello" e i giovani usino per gli anziani quello di "reverendo padre", come espressione del loro rispetto filiale.

LXXI - L'obbedienza fraterna:1 La virtù dell'obbedienza non dev'essere solo esercitata da tutti nei confronti dell'abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra loro, 2 nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell'obbedienza che andranno a Dio. …4 per il resto i più giovani obbediscano ai confratelli più anziani con la massima carità e premura.


 

«BAMBINO, PERCHÉ CI HAI TRATTATO COSÌ?» (Lc 2,41-52)

di Timothy Radcliffe O.P. e Łukasz Popko O.P.

Estratto da “Domande di Dio, domande a Dio - In dialogo con la Bibbia

Libreria Editrice Vaticana 2023

 

(Vangelo di Luca 2,41-52)

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pascha [1]. Quando ebbe dodici anni, vi salirono secondo l’usanza della festa. Dopo aver completato i giorni, al loro ritorno, il bambino Gesù rimase a Gerusalemme, ma i suoi genitori non lo sapevano. Pensando che fosse nella carovana, fecero un giorno di strada e lo cercarono tra i loro parenti e conoscenti e, non trovandolo, tornarono a Gerusalemme a cercarlo.

E successe che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, che li ascoltava e li interrogava. Tutti quelli che lo ascoltavano si stupivano della sua intelligenza e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero colpiti e sua madre gli disse:

«Bambino, perché ci hai fatto questo? Guarda, tuo padre e io, angosciati ti abbiamo cercato!».

Ed egli disse loro:

«Perché mi cercavate? Non sapevate che era necessario che io fossi nelle [cose] del Padre mio?».

Ed essi non compresero la cosa che disse loro.

Egli scese con loro e tornò a Nazaret, e fu loro obbediente. E sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù avanzava in sapienza, età e grazia presso Dio e gli uomini.

 

Timothy: Alcune delle nostre conversazioni più difficili avvengono nel momento i cui noi o altri attraversiamo una fase di transizione nella vita, come il bambino dolce e tenero che diventa un adolescente imbronciato a cui non va bene nulla, il teenager che avanza con cautela dall’adolescenza verso la giovane età adulta, il single che segue con prudenza il cammino che lo porta a diventare coniuge o genitore, la persona sposata che affronta la solitudine dopo la morte del proprio partner.

È difficile trovare le parole giuste quando il senso della propria identità cambia e non si è più sicuri di chi si è. Si può oscillare tra l’identità precedente e quella nuova, come la voce di un ragazzo sulla soglia della pubertà, che a volte è stridula e a volte profonda! I genitori possono incontrare difficoltà nel parlare con lui, come successe a Giuseppe e Maria con Gesù,

Nella maggior parte delle società tradizionali, i rituali di iniziazione facilitano la transizione verso una nuova identità e un nuovo ruolo nella società. Anche nella mia giovinezza, le tappe della crescita erano segnate dal cambiamento nel modo di vestirsi, dai pranzi a cui si partecipava o dagli eventi sociali a cui si era invitati. Mia sorella ha fatto in tempo a rientrare nell’ultima generazione di debuttanti che facevano il loro «ingresso in società» presentandosi alla Regina! Chissà quali sono state le tappe della tua crescita in Polonia.

Ma oggi, nell’Europa occidentale, queste transizioni non sono più segnate da cerimonie formali. Piuttosto, scrive Neil MacGregor, «i giovani si iniziano l’un l’altro in un mondo adulto tutto loro, con gioiosi battesimi di birra, musica e ballo»[2]. Spesso i bambini si trovano spinti nell’età adulta senza alcuna preparazione, scoprendo il sesso prima di essere pronti.

E molti adulti restano infantili. Non c’è quindi da stupirsi che spesso le persone facciano fatica a parlare tra loro! Parole incerte e silenzi imbarazzanti affliggono anche la Sacra Famiglia in questa scena!

 

Łukasz: Hai dimenticato i più recenti tentativi di iniziazione via internet! Impariamo a cucinare guardando le ricette su YouTube, quindi non c’è da stupirsi se nello stesso modo si cerca di imparare a essere un uomo, una donna, uno studente e così via. Tuttavia, riprodurre i gesti non basta. Abbiamo bisogno di un contatto vivo con guide, maestri, qualcuno in grado di dire se si sta brandendo la spada in modo corretto, o anche se il piatto ha il sapore che dovrebbe avere.

Se pensiamo alla scena del tempio di Gerusalemme come a una sorta di rito di passaggio, colpisce la mancanza di guide umane. Gesù ha trovato la strada verso la casa del Padre senza guide ed è lui che insegna ai maestri!

È lui che li stupisce con le sue risposte. Vedo questa scena non come una tappa dello sviluppo di Gesù, ma come un segno che il suo cammino è diverso da quello di qualsiasi altro bambino.

Quando ero in prima superiore, il nostro insegnante si rivolgeva a noi chiamandoci «signore e signori» e noi quindicenni ne eravamo colpiti come qualcosa di significativo. Hai bisogno di un adulto che ti dica che sei un adulto. A parte questo, non ricordo alcuna iniziazione formale. Se dovessi indicare un momento significativo del mio percorso di «crescita», potrebbe essere la mia decisione di entrare nel noviziato domenicano quando avevo 19 anni. Ricordo l’atmosfera pesante di quel pranzo domenicale, subito dopo aver informato i miei genitori della mia scelta. Insieme al cibo, la mia famiglia masticava i propri pensieri. Quando mia madre finalmente fece pressione su mio padre perché esprimesse la sua opinione, lui disse semplicemente: «Ha la sua età. Sa cosa sta facendo». Tutto qui. Breve come al solito, ma in quel momento non avevo bisogno di altro. Non mi rincuorò dicendo che tutto sarebbe andato bene o promettendo l’impossibile: «Saremo sempre con te». Non credo nemmeno che avesse capito la mia scelta, perché c’è sempre qualcosa di misterioso nelle scelte divine e umane. Ammise semplicemente che la scelta era seria e mi concesse la libertà di correre il rischio, di pagare il prezzo.

La fiducia del padre è qualcosa che un figlio desidera ardentemente. I compagni, anche gli amici più anziani, non possono sostituirla. Ogni persona che incontriamo ha un dono specifico e insostituibile per noi. Forse anche il silenzio di Giuseppe può essere interpretato come un dono di fiducia nei confronti di Gesù. Mi chiedo se quei tre giorni che egli trascorse senza i suoi genitori siano stati un’esperienza di transizione per lui, o se piuttosto non abbiano forzato la trasformazione dei suoi genitori.

La frase su Gesù che cresce «in sapienza ed età» appare solo nella conclusione di questo brano. È stato un punto importante nella discussione teologica sulla natura umana di Gesù. Mentre tutte le persone crescono, Dio non può farlo perché è già perfetto. Noi rimproveriamo ai bambini di essere impazienti, ma anche per tanti adulti è una sfida importante. L’ingenua aspettativa di una perfezione immediata è davvero infantile. Anche il Dio incarnato nella persona di Gesù ha imparato a camminare, a usare il bagno, a esprimere emozioni e così via. Perché non concediamo a noi stessi il diritto e il tempo di crescere? Ciò significa anche concedersi tempo per imparare, tempo per l’immaturità, per la regressione, per gli errori ripetuti. Tutto questo fa parte del nostro percorso umano e del nostro processo di apprendimento. Credo che, nel passaggio da una fase all’altra della vita, le persone siano più paralizzate da un inesorabile perfezionismo che dalla pigrizia o dalla cattiveria.

Tu descrivi l’adolescenza come un periodo di cambiamento di identità; io preferisco vederla più come un’identità in rapida espansione o un ampliamento degli orizzonti. Grazie a Dio, anche negli adulti questo potenziale di crescita rimane, e di tanto in tanto il nostro bambino interiore può ancora mostrare il suo volto fiducioso e spensierato. E mi piace vederlo. C’è bisogno di tanta energia per cambiare! La saggezza dell’infanzia ci permette di imparare, di ammettere con facilità che non sappiamo, di osare renderci ridicoli mentre apprendiamo una nuova lingua, di riconoscere e avvicinarci all’ignoto.

 

Timothy: Forse il viaggio del dodicenne Gesù a Gerusalemme per la Pasqua potrebbe essere stato, formalmente o in pratica, una vera e propria transizione. La Pasqua, dopo tutto, è il grande momento di transizione per Israele, dalla schiavitù alla libertà. Per Israele è un momento di crescita, in quanto entra in un rapporto maturo con Dio sul monte e riceve i dieci comandamenti su come vivere in amicizia con Dio e gli uni con gli altri.

Nella tradizione più tarda del Talmud, pare che i 13 anni fossero l’età della virilità, ma anche prima, all’età di 12 anni, le persone erano considerate abbastanza mature per prendere i voti. La difficile e dolorosa conversazione tra Gesù e i suoi genitori — «Bambino, perché ci hai fatto questo?» — deve riecheggiare nel cuore di tanti genitori che si struggono per capire come il loro figlio, un tempo docile, sia diventato così poco trasparente nei loro confronti. E come potrebbero Maria e Giuseppe parlare a questo giovane, che sembra lentamente risvegliarsi nella sua identità di «santo generato [che] sarà chiamato “Figlio di Dio”» (Lc 1,35)? È interessante notare che si descrive Gesù come un ragazzo che fa domande. Insegna e apprende! È un momento di esplorazione. Avevano idea del mistero che si celava nel profondo del suo essere? E chi pensava di essere?

 

Łukasz: Nella Bibbia ho trovato che il piccolo Manasse aveva 12 anni quando sali sul trono di Giuda (2Re 21,1). Filone di Alessandria pensava che verso l’età di 14 anni un uomo è pienamente cresciuto perché è in grado di generare un essere simile [3]. In ogni caso, i genitori di Gesù erano convinti che a 12 anni fosse troppo presto perché il loro figlio potesse girare liberamente per Gerusalemme.

Il fatto che abbiano iniziato a cercarlo solo dopo un giorno potrebbe far pensare che non se ne curassero. Ma può anche dimostrare quanto Gesù fosse affidabile e quanto i suoi genitori si fidassero di lui. Oggi i genitori hanno più mezzi che mai per controllare i propri figli; potenzialmente, li tengono sempre sotto la sorveglianza elettronica dei loro telefoni cellulari. D’altra parte, posso immaginare i pensieri dei genitori che cercano il loro bambino per due giorni a Gerusalemme, invasa dai pellegrini. Ci saranno certamente stati più trafficanti di esseri umani allora rispetto a oggi! Era forse rimasto schiacciato dalla folla? Magari era malato? Forse era caduto e si era rotto una gamba? Dov’era, solo e affamato? Tanti scenari orribili s’impadroniscono della mente dei genitori che cercano il loro bambino. Tanti pensieri ripercorrono le ipotesi, le accuse e i rimorsi: «L’ultima volta l’ho visto lì... Se l’avessi saputo! Avrei potuto... Avrei dovuto... Perché non l’ho fatto...». Insonni sono le notti di chi ha perso il suo tesoro più prezioso. Di tanto in tanto sentiamo ancora parlare di casi simili. A volte queste terribili domande, speranze e disperazioni rimangono per sempre senza risposta perché il bambino non viene ritrovato, nemmeno il suo corpo...

Vediamo la Sacra Famiglia in un momento di crisi. È ben altro rispetto all’immagine pacifica solitamente ritratta nelle icone della Sacra Famiglia. San Luca ci trasmette l’immagine di una famiglia lacerata. I genitori restano nell’ignoranza e in un dolore profondo. Il bambino si lascia trovare, ma indica anche qualcosa di più grande della famiglia stessa. Forse questa di Simone Martini è quindi la migliore immagine della Sacra Famiglia (Figura 11), la cui identità si rivela mentre cercano Gesù, non quando sono sereni e in pace.

 

Timothy: Ci sembra strano che Maria e Giuseppe abbiano viaggiato un giorno intero senza controllare se il figlio fosse con loro! La filosofa Elizabeth Anscombe è famosa per aver consegnato per errore uno dei suoi figli al deposito bagagli, portando con sé il bagaglio in carrozza, invece di fare il contrario. Ma si sa come sono i filosofi! Quando eravamo piccoli, i miei genitori non sarebbero rimasti due minuti senza controllare dove fossimo. Forse questo suggerisce una concezione radicalmente diversa della «famiglia». Suppongo che l’immagine che abbiamo della Sacra Famiglia come una famiglia nucleare a tre risalga agli inizi dei tempi moderni. Maria e Giuseppe forse avevano una concezione molto più ampia della famiglia, una grande folla che viaggiava insieme.

Tuttavia è chiaro che questa perdita di Gesù è dolorosa e profondamente angosciante. Come ha potuto fare questo a loro? I tre giorni di assenza prefigurano la più radicale perdita di Gesù per tre giorni nel sepolcro. Non stanno solo perdendo il ragazzo. Stanno perdendo l’immagine di chi lui è. Diventa incomprensibile per loro. Non è come pensavano. Avvicinarsi a Dio comporta una perdita. È lo stesso con le immagini che abbiamo del Figlio di Dio. Perdiamo l’immagine del grande uomo con la barba bianca. Entrando nell’ordine e studiando teologia, ho dovuto abbandonare l’immagine di Dio come un essere davvero potente — anche senza barba! — che controlla ogni cosa. Più ci si avvicina al mistero del divino, meno lo si conosce, in un certo senso.

Mi piace usare il paragone di quando vedi una persona che sta dall’altra parte della stanza. Vedi la figura nella sua interezza. Avvicinandoti, vedi solo il suo volto. Quando lo baci, scompare. Non perché sia lontano, ma perché è tanto vicino. Anche noi dobbiamo perdere le immagini che abbiamo delle persone che amiamo, perché anche loro sono fatte a immagine e somiglianza di Dio e condividono il suo mistero. Ma questa perdita è sempre dolorosa, come lo è stata per Maria e Giuseppe.

 

Łukasz: Le immagini fungono da mediatori. Da un lato, sono necessarie perché è così che funziona la nostra mente. A partire da dati accessibili, componiamo nella nostra testa immagini, teorie e ricostruzioni del mondo, delle altre persone e anche di noi stessi. Abbiamo bisogno di aggiornarle costantemente, modificando, sostituendo o aggiungendo nuove immagini all’insieme preesistente. E soprattutto non si deve sottostare alla follia di sostituire la realtà con una delle sue immagini! In ambito religioso, questa è l’essenza dell’idolatria e il modo migliore per uccidere le relazioni vive.

Non riusciremo mai a comprendere completamente Dio con le nostre immagini, idee, parole e teologie. Le uniche cose che attraversano i cieli e le nubi dell’ignoto sono l’amore, la fede e la speranza. Ecco perché c’è lo spazio necessario per le sorprese e le scoperte. Questo non significa che il nostro Dio sia un essere amorfo, mutevole e contraddittorio, né che abbia una personalità borderline. Al contrario. Egli si presenta come la roccia e come l’essere più stabile dell’intero universo. Il mutare della nostra percezione e le numerose immagini di Dio sono la conseguenza della ricchezza della sua persona.

L’assenza fisica di Gesù può corrispondere, come suggerisci tu, all’immagine di Gesù bambino che Maria e Giuseppe hanno perso per sempre. Penso soprattutto a quanto possa essere stato difficile per il taciturno Giuseppe. È presente alla scena ma, come al solito, tace. Sapevano che Gesù non era un bambino come gli altri, sempre che esista un bambino «come gli altri»! Maria ha ricevuto la sua rivelazione personale, ma anche Giuseppe ha avuto parte nei piani divini. Aveva visto gli angeli e i pastori. Era il protettore del bambino e non sorprende che anche lui lo cercasse con grande sofferenza. Ora, nel tempio, questo bambino Gesù parla davanti a Giuseppe di «suo Padre», cioè di un altro padre! Sarà stato ben difficile da mandare giù. Potrebbe essere una sorta di promemoria indiretto: «Tu non sei il mio vero padre!»? Eppure, per il resto, Luca non esita a chiamare Giuseppe il padre del bambino (ad esempio, Lc 2,33). Tutta Nazareth penserà lo stesso (Lc 4,22). Eppure qui, come se sia stato fatto a proposito, a Giuseppe viene ricordato che l’identità più profonda di Gesù va oltre, al di là dell’essere figlio di Giuseppe, al di là anche di ciò che i suoi parenti avrebbero potuto pensare di lui. Trovo meravigliosamente discreto che Luca non menzioni alcuna reazione di Giuseppe a queste dure parole. Le accoglie.

Questo dialogo con Gesù è unico. Accenna al suo misterioso rapporto con il Padre nel tempio, il rapporto più fondamentale di ogni altra cosa. Noi non siamo figli di Dio come lo era Gesù e i nostri padri sono di solito i nostri padri biologici, eppure, a un certo punto della vita, dovremmo vivere un’esperienza e una scoperta analoghe. Siamo qualcosa di più dei figli dei nostri genitori, più delle aspettative della società e di tutto ciò che ne consegue: la nostra classe sociale, la nazionalità, la razza, il retaggio familiare, il debito nazionale e così via. Siamo infatti potenzialmente qualcosa di più che semplici figli di uomini e donne.

 

Timothy: La perdita di Gesù da parte di Maria e Giuseppe evoca un simile processo di perdita della persona amata che avviene nelle nostre relazioni, soprattutto quando attraversiamo quei momenti di transizione da una fase all’altra della vita. È più dolorosamente evidente a volte quando il bambino adorabile diventa un adolescente imbronciato! Dov’è quel figlio o figlia che amavo tanto? Una volta era così affettuoso con me, ma ora sembra che io lo metta in imbarazzo. Per riavvicinarsi a una persona bisogna lasciar perdere l’immagine che ne avevamo in passato.

Cecil Day-Lewis ha scritto una bella poesia su come amare suo figlio significasse lasciarlo andare:

 

Ho avuto distacchi peggiori, ma nessuno che ancora

mi attanagli tanto la mente. Forse mi dice in malo modo

quello che solo Dio potrebbe perfettamente mostrare:

come l’essere se stessi inizi con un allontanamento,

e la prova dell’amore sia lasciar andare [4].

 

Łukasz: Ciò che si «lascia andare» non è la persona che si ama. Il vero amore è vero, per sempre. Anche il tradimento e il rifiuto della persona amata non lo annullano automaticamente. Spetta a colui che ama prendere questa decisione. Gesù, fedele fino alla croce a coloro che lo hanno rifiutato, dimostra splendidamente questo punto. Piuttosto, lasciamo andare il controllo sulle persone che amiamo. L’amore non presume né deve servire a controllare nessuno. Altrimenti, questa dell’amore sarebbe una caricatura, un’imitazione diabolica, un feto non ancora sviluppato e inquietante.

Anni dopo, Maria e Giuseppe lasceranno andare Gesù al Giordano, nel deserto e poi a Gerusalemme. Il loro bambino si troverà di fronte a un mondo sia amico che ostile. Alla fine, questo mondo lo ucciderà. È anche il prezzo da pagare per lasciare andare un figlio, un amico, una sorella o un fratello. In fondo, però, ciò che lasciamo andare è l’illusione del controllo. Perché è un’illusione che io sia sempre lì ad aiutarti e a proteggerti. Semplicemente non è possibile, non è vero. Questo lasciar andare è una grande liberazione per tutti. Ti amo, ma non posso proteggerti da ogni pericolo. Soprattutto, non posso proteggerti dall’amore, dall’esserne ferito, dall’essere vulnerabile. Come potrei? Nemmeno il Padre celeste ha protetto suo Figlio da questa gravissima «minaccia».

 

Timothy: Ora entriamo nel vivo della tensione tra il giovane Gesù e Maria e Giuseppe. Risponde al loro rimprovero con il suo: «Perché mi cercavate? Non sapevate che era necessario che io fossi nelle [cose] del Padre mio?». Spesso viene tradotto come «Non sapevate che sarei stato nella casa del mio Padre celeste?», il tempio. È lì che avreste dovuto cercarmi! Potrebbe significare questo, anche se la parola «casa» non compare nel testo.

Ma tutto il racconto riguarda l’obbedienza che conformerà la vita di Gesù, vero figlio di sua madre, «schiavo del Signore». Non ho idea di come quel giovane Gesù avrebbe descritto la propria identità in quel momento. Ma sicuramente deve esserci stato in lui un crescente discernimento che al centro della sua vita c’era l’obbedienza al Padre celeste. È verosimile che ciò sarebbe accaduto durante l’adolescenza. Peter Tyler, un teologo inglese, ha sostenuto che spesso è durante l’adolescenza o addirittura a vent’anni che i giovani intravedono per la prima volta la trascendenza, la consapevolezza di una relazione con il Dio trascendente. Quindi è assolutamente corretto che l’adolescente Gesù, veramente umano e veramente divino, sia entrato in una comprensione più profonda di se stesso come chiamato a fare la volontà di suo Padre proprio a quell’età. E così, naturalmente, si reca dai maestri della legge, gli specialisti nel discernimento della volontà di Dio, per esplorare che cosa questo significhi. All’inizio tutto sembra amichevole; non vediamo alcun segno delle tensioni che sorgeranno in seguito.

Tutti noi abbiamo bisogno di trovare insegnanti che ci aiutino a dare un senso a ciò che siamo come esseri umani la cui libertà è l’obbedienza a Dio. Quando ero poco più che adolescente, ho avuto una simile esperienza di essere toccato da un momento di estasi. Ho trovato dei maestri nella mia famiglia e nei benedettini, la cui umanità ha mostrato che l’obbedienza al Padre non è una disciplina brutale, ma una liberazione. Fare le cose del Padre probabilmente ci porterà tutti, prima o poi, in conflitto con gli altri. Martin Luther King descriveva i suoi compagni attivisti contro il razzismo come figli che si occupavano degli affari del Padre, mentre i loro avversari li vedevano come ribelli da reprimere.

 

Łukasz: Perché preoccuparsi degli affari di Dio? Perché preoccuparsi degli affari di chiunque, al di là dei propri? Il farsi gli affari propri è solo un atteggiamento caricaturale creato da una società individualista. Per definizione, una società non può essere composta da persone che si occupano solo dei propri affari. All’inizio del suo essere consapevole, l’unica visione del mondo che il bambino conosce è quella dei genitori. In seguito scopre che esistono altri punti di vista. Il giovane deve conoscerli, valutarli, forse anche metterli alla prova, ricalibrarli e poi fare le proprie scelte. Anche quando si ritorna al punto di vista dei genitori, sarà per convinzione propria e non solo per la loro autorità.

È anche il momento in cui un bambino verifica con occhio intransigente se i valori dichiarati dai genitori sono reali. Se i genitori non hanno una fede viva, cioè una fede che influenza le loro scelte di vita, vengono condannati senza pietà come bigotti superficiali. E questo giudizio da parte del bambino è parzialmente corretto. Dico «parzialmente» perché lo stesso figlio di solito ignora la storia spirituale dei genitori. Anche loro hanno avuto momenti di contemplazione, miracoli, visite e prove. D’altra parte, i bambini hanno il dono di porre domande semplici che ci riportano al cuore. Non è un caso che la descrizione della Sapienza personalizzata nel Libro dei Proverbi faccia pensare a una bambina. Se ricordo bene, nella Regola di san Benedetto si dice che l’abate deve sempre consultare e prendere sul serio anche l’opinione dei più giovani [5].

Parlando di Gesù e di suo Padre, hai usato la parola «obbedienza». Non compare in questo passo biblico, ma la tua intuizione è corretta. Questo sostantivo può suonare oggi molto poco attraente perché sembra contraddire la libertà e può essere applicato sia ai cani che agli uomini. Qui si coglie giustamente il potenziale di umiliazione o il pericolo di perdere la propria anima. Non bisogna minimizzare il pericolo potenziale dell’obbedienza.

Il problema è che, essendo noi esseri sociali, l’obbedienza è in qualche misura inevitabile. Immaginarsi come un individuo libero da qualsiasi vincolo e persino da regole arbitrarie è, ovviamente, un’illusione. Si può disobbedire alle regole della grammatica, ma il risultato di questa «libertà» sarebbe un discorso incomprensibile e una comunicazione interrotta. Ciò che possiamo e dobbiamo fare è scegliere con saggezza la nostra obbedienza, la nostra fedeltà. Non sono sicuro che gli anglofoni siano ancora in grado di riconoscere che la parola obedience («obbedienza») deriva dal latino audire, «ascoltare». La stessa intuizione compare in ebraico e in greco, e anche in polacco. L’obbedienza presuppone, quindi, un certo sforzo intellettuale, la comprensione, l’accordo e, idealmente, il riconoscimento che il compito che devo svolgere è anche mio.

 

Timothy: Hai ragione, Łukasz, nel notare che non c’è un riferimento esplicito all’obbedienza di Gesù al Padre, ma c’è, credo, nel contrasto implicito con la sua obbedienza, letteralmente la sua «sottomissione», ai suoi genitori. Tornerà a casa e troverà una nuova integrazione dell’obbedienza a Maria e Giuseppe nell’obbedienza al Padre. C’è uno schema di armonia infantile, poi di dissonanza e infine una nuova armonia, più adulta, delle diverse obbedienze che danno forma alla sua vita.

Suppongo che ognuno di noi speri di trovare una nuova armonia tra l’obbedienza a un’identità più profonda, persino a Dio, e ciò che si deve alla famiglia che ci ha dato la vita. Quando sono diventato domenicano, ho vissuto un momento di dissonanza con la mia famiglia. La mia nuova concezione della fede e della politica era in contrasto con le opinioni conservatrici dei miei genitori, e ci è voluto molto tempo per trovare quella nuova armonia adulta in cui l’appartenenza a Dio e l’appartenenza alla mia famiglia si fondevano. Ma sono sempre stato lento a imparare!

Alcune famiglie di nostri fratelli non riescono proprio a capire perché i loro figli abbiano scelto di diventare domenicani o addirittura cattolici. Qualcuno deve convivere con un rimprovero costante: perché ci tratti così? Perché non ci dai nipoti? Dopo tutto quello che abbiamo speso per la tua educazione, perché stai buttando via tutto? Io sono stato fortunato perché la mia famiglia non mi ha mai rimproverato, anche se pare che per un po’ si siano domandati perché mai avessi queste strane opinioni! Ma, a tempo debito, la pace è arrivata.

 

Łukasz: Si dice che Maria «conservava tutte queste cose nel suo cuore», e significa che le custodiva nella sua mente. Una frase molto simile compare nella storia del patriarca Giuseppe. Quando da bambino condivise con la famiglia i suoi strani sogni, i fratelli si indignarono e si ingelosirono, ma suo padre, Giacobbe, «conservò la cosa» (Gen 37,11). Sembra che anche per Maria Gesù e le sue azioni siano rimasti insondabili. Ella accettò appunto quel mistero come un mistero: cioè, non qualcosa a cui si può rispondere o che si può spiegare facilmente come si spiegherebbe un indovinello o un semplice segreto. Un mistero va sperimentato e vissuto. Aggiungerei anche che non c’è fine a questa scoperta. Rendersi conto che ci si sta prendendo cura di un bambino donato da Dio — ed è davvero così per ogni bambino! — invita a contemplare questo dono con lo sguardo acuto dell’astronomo attento che scruta il cielo.

 


[1] Luca scrive pascha in aramaico; in ebraico sarebbe stato pesach.

[2] N. MacGregor, Vivere con gli dèi. Genti e credente, Adelphi, Milano 2019, p. 133.

[3] Filone di Alessandria, Legum allegoriae 1.10.

[4] C. Day-Lewis, WalkingAway, in Complete Poems, Sinclair Stevenson, London 1992.

[5] Regola di san Renedetto, cap. 3,3: «Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore».

 


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4 dicembre 2023                a cura di em> Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net