Regola di S. Benedetto
Prologo della Regola
Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?". Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila". Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!".
Capitolo II - L'Abate
Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo: perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l'incremento del numero dei buoni.
Capitolo V - L'obbedienza
Ma questa obbedienza sarà accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il comando ricevuto verrà eseguito senza esitazione, lentezza o tiepidezza e tantomeno con mormorazioni o proteste, perché l'obbedienza che si presta agli uomini è resa a Dio, come ha detto lui stesso: "Chi ascolta voi, ascolta me". I monaci dunque devono obbedire con slancio e generosità, perché "Dio ama chi dona con gioia".
Capitolo VII - L'umilità
E per dimostrare come il servo fedele deve sostenere per il Signore tutte le possibili contrarietà, esclama per bocca di quelli che patiscono: "Ogni giorno per te siamo messi a morte, siamo trattati come pecore da macello". Ma con la sicurezza che nasce dalla speranza della divina retribuzione, costoro soggiungono lietamente: "E di tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a colui che ci ha amato".
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci
Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
VIVERE LA GIOIA EVANGELICA
Libro di Luigi D'Ayala Valva
Qiqajon Edizioni, collana Scintille 2021
La gioia si può comunicare, e perciò nessuno insegna meglio la gioia di chi è
egli stesso gioioso. Chi insegna la gioia non deve far altro che essere egli
stesso gioioso, ovvero essere la gioia.
Søren Kierkegaard
Il ritorno della gioia in ambito ecclesiale
L’appello alla gioia evangelica
[1],
insieme alla misericordia, alla fraternità e al discernimento, è chiaramente uno
dei temi maggiori del magistero di papa Francesco, un vero e proprio leitmotiv,
come molti hanno notato. Fin dal primo documento programmatico
Evangelii gaudium, il linguaggio della gioia riecheggia
puntualmente nei suoi testi magisteriali, nelle sue omelie e nei discorsi
pronunciati nelle più diverse occasioni.
La gioia del vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si
incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo
sempre nasce e rinasce la gioia
[2].
[La gioia] è il respiro, il modo di esprimersi del cristiano ... Il cristiano è
un uomo, una donna di gioia, un uomo, una donna di consolazione: sa vivere in
consolazione, la consolazione della memoria di essere rigenerato e la
consolazione della speranza che ci aspetta
[3].
Citando e commentando i testi evangelici, Francesco non si stanca di mostrare
che la gioia è un tratto essenziale e imprescindibile della vita cristiana e un
segno di adesione al vangelo del Risorto. Senza gioia infatti non si può né
vivere né comunicare ad altri il vangelo,
l’euanghélion,
ovvero il “felice annuncio”, secondo il significato della parola greca; anzi,
come è stato giustamente affermato, “quando un discorso che si pretende
cristiano non contiene abbastanza facilmente evidenziato, abbastanza chiaramente
in rilievo, l’elemento della gioia, dal punto di vista cristiano è un discorso
che si squalifica perché non è ‘evangelo’”
[4].
In tutto ciò si tratta quindi per Francesco di “decostruire un’immagine di
cristianesimo doloristico, segnato da logiche sacrificali e sospettoso davanti
al desiderio e alle cose buone e belle” e di riscoprire la “parola evangelica
come annuncio del Dio che vuole persone felici e come messaggio verso il pieno
compimento umano”
[5].
Sebbene affermazioni come queste non siano certo nuove in se stesse, e sebbene
la riflessione stessa sulla gioia cristiana abbia degli importanti precedenti
anche nel magistero papale - pensiamo alla bellissima esortazione apostolica di
Paolo VI,
Gaudete in Domino, per l’anno santo 1975, ancora freschissima nel
suo messaggio come nel suo linguaggio, nonostante i quasi cinquant’anni
passati
[6] -,
tuttavia una tale enfasi sulla gioia da parte di un papa e una così sistematica
riconfigurazione del nostro modo di comprendere, vivere e annunciare il vangelo
a partire dalla centralità riconosciuta alla gioia, strettamente connessa a
quella riconosciuta alla misericordia, è nuova e non manca di sorprendere,
quantomeno in ambito cattolico. Per il cattolicesimo è decisamente un cambio di
paradigma rispetto all’enfasi posta nel passato su altri elementi, come la
dottrina o la morale, un cambio che potrebbe segnare un reale passo in avanti
anche in prospettiva ecumenica, se solo il resto dell’episcopato, la teologia e
l’insieme del corpo ecclesiale saranno in grado di seguire in modo durevole
questa indicazione di rotta.
È infatti abbastanza evidente, ma conviene
esplicitarlo, che ridare un primato alla gioia nella presentazione del
cristianesimo e del vangelo significa ridare nuovamente il primato a quello che
la tradizione riformata, sulla scorta di Paolo, ama definire il “vangelo della
grazia” (cf. At 20,24)
[7],
cioè il dono di Dio nel suo carattere di totale e indeducibile gratuità,
indipendente da ogni opera, volontà o sforzo umano. In questo senso è importante
ricordare, con Walter Kasper, che
l’umiltà di lasciarsi fare dei doni non è l’umiliazione dell’uomo, ma il
riconoscimento ... della vera dignità che noi abbiamo da Dio e davanti a Dio ...
Su questa concezione, secondo cui la felicità definitiva e permanente e la gioia
piena dell’uomo è possibile non sulla base del nostro proprio merito ma
unicamente per grazia,
sola gratia, concordano a partire da punti di partenza diversi
Tommaso d’Aquino e Martin Lutero ... Il
sola gratia è il messaggio fondamentale della Bibbia, non come
umiliazione dell’uomo ma come liberazione per grazia della sua libertà e la sua
felicità piena e di conseguenza come messaggio di gioia. Esso è il segno
premonitore che sta, come protovangelo che illumina in anticipo tutta la storia,
sull’intera storia dell’umanità
[8].
Anche il cristianesimo postconciliare, nonostante l’evidente cambiamento di
stile avvenuto con il concilio Vaticano II, che ha permesso di superare un certo
dolorismo ascetico che caratterizzava indubbiamente la prassi e la spiritualità
cattolica del passato, non è ancora riuscito, di fatto, a svincolare
l’esperienza credente da un’impostazione spesso ancora fondamentalmente
“pelagiana”, in forma più o meno velata, un’impostazione cioè secondo la quale
ciò che conta per vivere e manifestare la fede cristiana sarebbero innanzitutto
le nostre “opere”
[9]. È
cambiato certo il tipo di opere su cui il credente è invitato a impegnarsi, ma
l’enfasi dominante nel concreto del discorso e del vissuto ecclesiale, a livello
delle diocesi, delle parrocchie, delle comunità religiose o dei movimenti, è
rimasta pur sempre - mi sembra - sulle esigenze evangeliche, sul fare cose
evangeliche, più che anzitutto su ciò che fonda tutto questo, ovvero il vangelo
stesso come notizia buona di Dio, come gioia donata che viene da Dio e non da
noi; anche se con questo evidentemente non intendo affermare che le due cose
possano essere separate e che la gioia evangelica possa essere annunciata
e accolta a prescindere dalle esigenze concrete che
essa implica.
Riscoprire la gioia
in un tempo di “passioni tristi”
Mi sembra perciò doveroso cogliere l’invito dell’attuale papa e ritornare a
meditare e a riflettere in profondità sulla gioia, su ciò che ci dà gioia.
Questo appare tanto più opportuno in un tempo di incertezza e di tristezza
dilaganti, per motivi fin troppo evidenti, legati alla situazione di crisi
pandemica che viviamo da oltre un anno e mezzo, con tutti i contraccolpi e i
disagi che ciò comporta a livello economico, sociale ed ecclesiale, sul piano
delle relazioni umane e degli equilibri psicologici e spirituali delle singole
persone.
In realtà “l’incertezza che oggi ci avviluppa in modo generalizzato a causa
della crisi sanitaria ha trovato un
humus socioculturale in cui radicarsi”
[10] e
si è manifestata in modo tanto più acuto e lacerante all’interno della coscienza
degli individui - soprattutto dei più giovani -, perché è venuta a innestarsi,
in modo improvviso e devastante, su una crisi culturale già in atto da tempo
nelle nostre società occidentali. L’epoca della postmodernità “liquida” nella
quale viviamo, infatti, è caratterizzata dal tramonto delle grandi utopie,
dall’emergere della società globalizzata, dal venir meno dei legami sociali e
dalla perdita della fiducia nel progresso umano illimitato, e ciò nonostante
l’inarrestabile avanzare della tecnica, la quale appare a molti sempre più come
una potenza impersonale che cresce in modo autonomo, senza fine né scopo, e da
cui ci si sente dominati. Quest’epoca vede gli individui e le società in balia
di un’incertezza paralizzante di fronte al futuro e di un senso di paura e
impotenza generalizzato nei confronti di forze oscure e caotiche che sembrano
muovere la storia. È appunto il quadro descritto dagli autori del fortunato
saggio
L'epoca delle passioni tristi:
Crisi nella crisi: la nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’onnipotenza
dell’uomo costruttore della storia a un altro mito simmetrico e speculare,
quello della totale impotenza di fronte alla complessità del mondo. Si sta
affermando l’idea che l’uomo non possa fare altro che subire le forze
irrazionali della storia
[11].
Senza rendersene conto e senza che nessuno in particolare l’abbia deciso, la
nostra società ha prodotto una specie di
ideologia della crisi, un’ideologia dell’emergenza che,
lentamente, in modo impercettibile, si è insinuata a ogni livello, dallo spazio
pubblico alle sfere più intime e private, fino a costituire, in ognuno di noi,
il modo di pensare come persona ... Oggi, per i giovani, la minaccia del futuro
si è sostituita all’invito a entrare nella società, a condividere, a conoscere e
ad appropriarsi dei beni della cultura[12].
Per evitare di lasciarci attanagliare dalle angustie e dalle paure generate da
questa situazione occorre saper riscoprire la capacità, costitutiva dell’umano,
di sentire, di pensare e di operare “in grande”, con larghezza d’animo
(makrothymía), dilatando il cuore al di là degli stretti
condizionamenti che ci spingono verso le “passioni tristi” e risvegliando
piuttosto in noi le “passioni gioiose che non solo consentano di resistere alla
crisi, ma anche di attraversarla e di assumerla”
[13],
perché “nella perseveranza possiamo essere ‘gioiosi nella speranza’ (Rm 12,12) e
possiamo rendere gioiosi anche altri”
[14].
In questo preciso contesto storico e sociale, che è quello in cui Dio ci ha
posto e dal quale non possiamo in alcun modo estraniarci, reimparare il “lessico
della gioia”
[15],
apprendere a riappropriarsi delle ragioni profonde della gioia che sono al cuore
della nostra fede evangelica appare un compito assolutamente imprescindibile per
noi cristiani, compito che, se svolto con umiltà e senza apologetica arroganza,
ma nella costante consapevolezza che “le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che
soffrono, sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo”
[16],
può aprire orizzonti di senso anche per chi non si riconosce in tale fede, e
tuttavia spera e crede nella possibilità di una vita più umana, più sensata, più
vera, e quindi più gioiosa. La gioia contiene in sé un’autoevidenza, una verità
antropologica, che nessuno (o quasi nessuno) può negare. Perché “la gioia è il
terreno in cui ogni vita mette radice per essere in grado di esistere. Senza la
gioia non potremmo vivere, o meglio, non potremmo sopravvivere”
[17].
Nell’oscuro orizzonte di crisi in cui ci troviamo immersi, dunque, il nostro
desiderio profondo come credenti dovrebbe essere di offrire un altro sguardo
sulla realtà, di osare un altro linguaggio, di diffondere un’altra musica
attorno a noi, oltre a quella
straziante e soverchiante della tristezza. In questo
senso, dovremmo far nostre le parole di un’intensa poesia-preghiera di Madeleine
Delbrêl (1904-1964), che ci ricordano il senso
primo delle parole del vangelo a noi consegnate e possono qui suggerirci anche
la giusta tonalità per iniziare a elevare il canto della gioia evangelica:
Poiché le parole non son fatte per rimanere
inerti nei nostri libri
ma per prenderci e correre il mondo in noi,
lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità,
di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte,
alcune scintille ci tocchino, ci mordano,
c’investano, c’invadano.
Fa’ che da esse penetrati come “faville nelle stoppie”
noi corriamo le strade della città
accompagnando l’onda delle folle
contagiosi di beatitudine
contagiosi di gioia.
Perché ne abbiamo veramente abbastanza
di tutti i banditori di cattive notizie,
di tristi notizie:
essi fan talmente rumore
che la tua parola non risuona più.
Fa’ esplodere sul loro frastuono
il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio.
Nella ressa confusa senza volto fa’ che passi la nostra gioia raccolta, più
risonante che le grida degli strilloni di giornali,
più invadente
che la tristezza stagnante della massa
[18].
Un tema fecondo che percorre tutte le Scritture
Il tema della gioia del credente potrebbe essere affrontato da molti punti di
vista. Le Scritture in questo senso offrono una messe abbondante, perché la
gioia le percorre da un capo all’altro, e c’è solo l’imbarazzo di scegliere un
percorso per non perdersi nei meandri dei tanti testi che ne trattano, quasi da
ogni punto di vista dell’esperienza umana e religiosa
[19].
Solo per offrire qualche esempio di questa grande varietà di gioie, spigolando
quasi a caso tra i testi
biblici, soprattutto del Primo Testamento, possiamo
citare:
-
la gioia della liberazione (cf. Es 15,1-18);
-
la gioia del ritorno dall’esilio (cf. Sal
126; Ger 31,12-13);
-
la gioia della salvezza (cf. Is 9,2; 12,4; 25,9; Ger 31,7; Le
1,47);
-
la gioia della restaurazione di Gerusalemme (cf. Is 65-66);
-
la gioia del banchetto messianico (cf. Is 25,6-9;
65,14-15);
-
la gioia della lode di Dio nel canto e nella danza (cf. 2Sam 6,15-16; 2Cr
15,16-28; Sal
150);
-
la gioia del culto e della festa (cf. Dt 12,8; 16,11.14; Ne 8,10; Sal
118,24);
-
la gioia nell’osservanza della legge e dei comandamenti di Dio (cf. Sal
1,2; 119,47.77.143; Gc 1,25);
-
la gioia dell’attesa della sua venuta imminente (cf. Is 35,1-10);
-
la gioia della guarigione e del perdono (cf. Sal
30; 32; 51,10-14);
-
la gioia della comunione e della fraternità (cf. Sal
133; At 2,46-47; 2Cor 9,7);
-
le semplici gioie quotidiane vissute come doni di Dio (cf. Sal
128; Qo 9,8-9; Sir 50,23);
-
la gioia dell’amore erotico (cf. Gen 2,23; Ct 4,10;8,6);
-
la gioia per la creazione (cf. Sal
8; 104) e della creazione personificata (cf. Sal
96,11-13; Is 49,13);
-
l’intima gioia del cuore (cf. Sal
84,3; 105,3; Sir 30,16.22);
-
la gioia della fede (cf. At 16,34; Rm 15,13; Fil 1,25;
1Pt 1,8-9);
-
la gioia dell’annuncio della resurrezione del Signore (Mt 28,1 e paralleli);
-
la gioia nelle tribolazioni (cf.
1Ts 1,6; Fil 2,17; Col 1,24);
-
la gioia celeste ed eterna dei redenti (cf. Mt 6,21; Ap 12,12; 19,7); e tante
altre sfumature di gioia che qui non è possibile ricordare in dettaglio.
Appare quindi evidente che l’ideale che la Scrittura propone ai credenti è da
ogni punto di vista un ideale di vita piena e felice, senza alcun’ombra di
sospetto nei confronti della gioia. Senza dimenticare in tutto ciò che la Bibbia
attribuisce la gioia a Dio stesso, soprattutto nel suo atto di salvare e di
riscattare gli uomini (cf. Dt 30,9-10; Sof 3,17; Is 62,5; Lc
15,7.10), gioia che fin dal principio e continuamente egli cerca di condividere
con l’umanità, tanto che è possibile rileggere sotto questa angolatura l’intera
storia di salvezza descritta nelle Scritture, dallo stupore gioioso di Dio
davanti alla bellezza-bontà della sua creazione (cf. Gen 1,1-31), fino alla
gioia della Gerusalemme celeste, in cui il Signore asciugherà le lacrime dagli
occhi dei redenti della terra (cf. Ap 7,17; 21,4). In questo modo la Bibbia ci
dice che l’umanità intera è destinataria di una gioia che si compirà quando la
gioia con cui il Signore gioisce dell’uomo si
congiungerà totalmente con la gioia umana per il Signore
[20].
*
Nella necessità di scegliere un percorso in mezzo a questo tripudio di gioie che
la Scrittura ci presenta, un percorso che ci offra la possibilità di ricentrarci
anzitutto su ciò che è più essenziale per la nostra fede cristiana, propongo qui
un cammino in due momenti: volgeremo innanzitutto la nostra attenzione alla
gioia vissuta da Gesù, per poi passare in un secondo momento alla
gioia del cristiano chiamato a partecipare alla gioia del suo
Signore “nello Spirito santo”.
In quel secondo momento dovremo, tra l’altro, confrontarci direttamente - ma la
pongo fin d’ora come domanda di fondo - con il duplice paradosso che il Nuovo
Testamento ci propone riguardo alla gioia cristiana: vi si parla di una gioia
stabile e continua (di un “gioire sempre e in ogni occasione”), quando invece la
nostra esperienza quotidiana sembra offrirci l’evidenza di gioie che, anche se
intense, anzi proprio perché intense, sono per lo più di breve durata, o che
comunque prima o poi terminano. Inoltre nel Nuovo
Testamento si parla della gioia come di un comando
(“gioite!”), mentre anche qui la nostra esperienza sembra orientarci in
direzione opposta, tanto che il filosofo Frédéric Lenoir, facendosi voce di un
sentire comune, afferma tranquillamente che “la gioia non si comanda, perché
essa si invita da sola”[21].
Che senso ha allora comandare la gioia? Come possiamo obbedire a un comandamento
di questo tipo? E poi, è possibile anche solo immaginare una gioia così intensa
che resista anche nelle situazioni dolorose? Ecco dunque alcuni paradossi con
cui dovremo confrontarci, anche se non sono certo gli unici, perché, come
vedremo, la gioia - collocata com’è al centro del paradosso cristiano - è un
terreno molto fecondo per le tensioni e le opposizioni polari.
[1]
II testo raccoglie e rielabora le due meditazioni predicate in occasione
del ritiro di Pentecoste presso il Monastero di Bose, domenica 23 maggio
2021. Si è scelto di mantenere lo stile discorsivo caratteristico
dell’esposizione orale.
[2]
Francesco,
Evangelii gaudium
I, Paoline, Milano 2013, p. 3.
[3]
Id.,
Gioia cristiana. Lunedì, 28 maggio 2018,
in Id.,
Omelie del mattino nella cappella della Domus Sanctae Marthae,
XI. 5
dicembre 2017-19 giugno 2018,
Lev,
Città del Vaticano 2018, pp. 224-225.
[4]
U. Neri, “Il motivo della gioia del cristiano”, in
Sussidi biblici
14-15
(1987),
P- 20.
[5]
S. Noceti, “La gioia di Gesù, la gioia dei discepoli. Una sfida alla
teologia”, in
Parole di vita
64/5 (2019), p. 41.
[6]
Cf. Paolo VI,
Gaudete in Domino,
[s.n.], [Milano] 1975.
[7]
Cf.
L'Evangelo della grazia,
a cura di M. Wirz, Qiqajon, Magnano 2018.
[8]
W. Kasper,
La gioia del cristiano,
Queriniana, Brescia 2019, p. 94.
[9]
Come è noto papa Francesco ha denunciato ripetutamente una nuova forma
di pelagianesimo che in varie forme dimentica il primato della grazia di
Dio e impedisce di gustare e di comunicare la gioia del vangelo (cf. ad
esempio Francesco,
Evangelii gaudium
94, pp. 76-77; Id.,
Gaudete et exsultate
47-62, Paoline, Milano 2018, pp. 46-55).
[10]
C. Peralta, “Incertezza”, in
La Civiltà Cattolica
4101 (2021), p. 223.
[11]
M. Benasayag, G. Schmit,
L’epoca delle passioni tristi,
Feltrinelli, Milano 2005,
p.22.
[12]
Ibid.,
pp. 39-40.
[13]
G. Schillaci, “L’epoca delle passioni tristi. Tra paure, smarrimento e
domande di senso”, in
Horeb
82/1 (2019), p. 12.
[14]
W. Kasper,
La gioia del cristiano,
p. 32.
[15]
Cf. L. Gobbi,
Lessico della gioia,
Lit,
Roma 2019.
[16]
Concilio Vaticano
II,
Gaudium et spes
1, in
Enchiridion vaticanum
I, Edb,
Bologna 200218,
pp. 1253-1255, nr. 1319.
[17]
A. Louf,
Sotto la guida dello Spirito,
Qiqajon, Magnano 20052, p. 134.
[18]
M. Delbrêl,
Gioie venute dal monte,
in Ead.,
La gioia di credere,
Gribaudi, Milano 1994, pp. 40-41.
[19]
Per alcune panoramiche sintetiche sul tema della gioia nella Scrittura,
segnalo: E. Lohse,
Gioia della fede.
La gioia nel Nuovo Testamento,
Queriniana, Brescia 2008; G. Stroia, s.v. “Gioia”, in
Temi teologici della Bibbia,
a cura di R. Penna, G. Perego e G. Ravasi, San Paolo, Cinisello Balsamo
[2010], pp. 571-576; G. Barbaglio, s.v. “Gioia”, in
Schede bibliche pastorali
I, a cura di G. Barbaglio, EDB, Bologna 20143, coll.
1674-1685. Spunti suggestivi in E. Borsotti,
Una gioia provata. Il cammino delle beatitudini,
Qiqajon, Magnano 2019, pp. 43-122.
[20]
In particolare, l’immagine del banchetto e della festa di nozze cui il
Signore invita l’umanità - che ricorre nei profeti e negli scritti del
Nuovo Testamento - esprime bene questo suo desiderio gratuito di intima
comunione nella gioia.
[21]
F. Lenoir,
La forza della gioia,
La nave di
Teseo,
Milano 2017,
p. 45.
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6 gennaio 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net