Eugippio e la "Vita di san Severino"
Estratto e tradotto da "Eugippius
- The Life of Saint Severin" (The Fathers of the Church, Volume 55)
a cura di Ludwig
Bieler - Catholic University of America Press, 1965
EUGIPPIO vive nella nostra memoria principalmente come il biografo di S.
Severino, l'"Apostolo del Norico". Nel mondo ecclesiastico del suo tempo,
tuttavia, sembra essere stato una figura di una certa importanza. Fu abate di un
monastero a Castellum Lucullanum vicino a Napoli. Lì erano stati depositati i
resti di San Severino e a lui fu dedicata la fondazione. Da Isidoro di Siviglia
(† 636), apprendiamo che Eugippio diede ai suoi monaci una regola che lasciò
loro "come suo lascito (spirituale)"
[1].
Ebbe una vasta corrispondenza con eminenti ecclesiastici dell'epoca; leggiamo
ancora lettere indirizzate a lui da Fulgenzio, vescovo di Ruspe
[2],
da Dionigi il Piccolo (che gli dedicò la sua versione latina dell'opera di
Gregorio di Nissa "Sulla creazione dell'uomo")
[3]
e da Fulgenzio Ferrando, diacono di Cartagine
[4];
la corrispondenza di Eugippio con il diacono romano Pascasio
[5] riguarda soprattutto la sua opera
riguardante la vita di san Severino. Le due lettere di Ferrando, scritte nel
533, rappresentano il termine a quo
della morte di Eugippio.
Tra questi documenti, la lettera di Fulgenzio di Ruspe è di particolare
interesse. Il vescovo chiede a Eugippio di avere un numero di libri trascritti
per lui dai volumi del suo monastero. Eugippio aveva collezionato una
biblioteca; in questo egli fu forse un modello per il suo giovane contemporaneo
Cassiodoro
[6],
che lo aveva conosciuto personalmente. C'era, tuttavia, una differenza
importante tra le due raccolte. Cassiodoro diede un posto di rilievo agli
antichi classici; gli interessi di Eugippio erano strettamente ecclesiastici.
Cassiodoro, non senza un sottotono di disapprovazione, chiama Eugippio "un uomo
non molto colto nella letteratura secolare, ma immerso nella lettura della Sacra
Scrittura. Lo stesso Eugippio disconosce modestamente per la sua stessa persona
tutti gli "studi liberali". La biblioteca di Eugippio, un altro lascito ai suoi
monaci, continuò dopo la sua morte ad essere utilizzato per fare copie. Sappiamo
di tre libri copiati dagli esemplari di Eugippio prima della fine del sesto
secolo: un volume di Origene, un volume delle lettere di Sant'Agostino ed un
manoscritto dei Vangeli, copiati da un libro che si supponeva fosse stato nelle
mani di San Girolamo.
Sia Cassiodoro che Isidoro parlano di Eugippio anche come scrittore. Cassiodoro
raccomanda lo studio delle sue selezioni dalle Opere di Sant'Agostino, "in 338
capitoli (esattamente 348)"; Isidoro menziona la sua vita di San Severino.
Entrambe le opere sono sopravvissute.
Le selezioni (Excerpta) dalle Opere di
Sant'Agostino "sono state fatte su richiesta del "mio Signore, l'abate Marino e
gli altri santi fratelli", e dedicate alla "vergine in Cristo", Proba, una
parente di Cassiodoro. Lo scopo di questa raccolta era puramente utilitaristico:
fornire un libro di riferimento facilmente accessibile alla dottrina del dottore
della Chiesa Agostino, che ai tempi di Eugippio era già considerato una delle
grandi autorità in teologia. "Questo libro", dice Cassiodoro "viene letto con
grande profitto, perché il suo autore è riuscito a includere in queste pagine
ciò che difficilmente si può trovare in una grande biblioteca". Lo stesso
Eugippio giustifica il suo impegno con la difficoltà nel poter avere a
disposizione tutti i volumi da dove estrarre le basi della sua opera, e con il
suo desiderio di risparmiare agli altri lo stesso lavoro. Ha sfruttato una
quarantina di opere di Agostino, senza contare i numerosi estratti tratti dalle
lettere e dai sermoni di Agostino. È difficile individuare in questa
compilazione voluminosa qualsiasi piano o schema definito, tranne che per una
cosa, che Eugippio sottolinea nella sua prefazione, cioè che il primo e l'ultimo
brano (Agostino, Lettera 167 e Sermone 350) sono elogio della carità, che è
l'inizio e la fine dell'insegnamento cristiano. Eugippio chiede ai suoi futuri
lettori e copisti, che potrebbero voler includere altri estratti secondo i loro
interessi speciali, di non spostare mai questi due pezzi dai loro luoghi
d'onore. Che il lavoro di Eugippio abbia soddisfatto una reale necessità lo si
può intuire dal gran numero di copie medievali, la più antica delle quali risale
alla fine del settimo o all'inizio dell'ottavo secolo. Gli studiosi moderni
valorizzano questi estratti principalmente come strumento per controllare la
tradizione manoscritta degli scritti di Sant'Agostino.
Mentre l'opera principale di Eugippio è derivativa, la sua Vita di san Severino
- oppure, per usare il suo stesso termine, il suo "Memorandum" (Commemoratorium
vitae sancti Severini)
- è di tipologia veramente personale. Nella sua giovinezza Eugippio era stato
discepolo di san Severino; si era trovato accanto al suo letto di morte; più
tardi, aveva accompagnato il corpo del santo nel suo ultimo viaggio, da Favianis
sul Danubio fino a Napoli; al momento della scrittura, egli era a capo "della
comunità monastica che si era radunata attorno al suo maestro".
L'idea di scrivere su san Severino, così ci dice Eugippio, "gli venne mentre
assisteva al successo del racconto della Vita, in forma di lettera, del monaco
Bassus, che era morto – sembra poco tempo prima - nel sud dell'Italia. Questa
Lettera, opera di un laico, fu fatta circolare privatamente ed un certo numero
di persone ne ricevette una copia: Eugippio e la sua comunità pensarono che i
miracoli del loro fondatore dovessero essere resi noti in un modo simile.
Sentendo questo, il biografo di Basso offrì i suoi servizi e si avvicinò ad
Eugippio per avere informazioni. Eugippio, tuttavia, aveva i suoi dubbi, che
erano probabilmente suscitati dalla Lettera di uno sconosciuto laico riguardante
Basso. Eugippio temeva che il lavoro sarebbe stato scritto in uno stile così
elaborato da essere quasi incomprensibile per i lettori ordinari, ed a giudicare
dalla moda letteraria dei tempi, tali paure non erano infondate.
Eugippio, quindi, redasse una bozza della vita e dei miracoli di Severino e la
mandò a Pascasio, uno dei sette diaconi della Chiesa di Roma e autore di
un'opera sullo Spirito Santo, che poi ottenne l'approvazione di Papa Gregorio
Magno. Eugippio chiese a Pascasio di trasformare la sua bozza in un libro di
tale forma e stile come il suo soggetto richiederebbe. Questa richiesta, a
quanto pare, non era intesa troppo sul serio. Pascasio nella sua risposta
rifiutò cortesemente l'offerta con la motivazione che la "bozza" di Eugippio
serviva egregiamente al suo scopo, e che nulla poteva essere ottenuto con una
maggiore elaborazione. Il Memorandum di Eugippio è certamente tutt'altro che
"casuale"; egli usa deliberatamente la retorica, anche se con moderazione;
osserva le regole del ritmo della prosa; è consapevole di certe esigenze di
composizione inerenti ad un genere letterario. Probabilmente Eugippio voleva
dire a Pascasio, un ecclesiastico di alto rango ed influente, di scrivere - come
diremmo oggi – una "prefazione" che avrebbe dato al suo lavoro una più ampia
diffusione. La risposta di Pascasio, con le sue osservazioni altamente
elogiative, può quindi essere considerata come una risposta all'educata
imposizione di Eugippio.
Da un punto di vista formale, il Memorandum di Eugippio deve essere classificato
come leggenda agiografica; esso differisce, tuttavia, dalla maggior parte di
tali opere per l'acuto senso della realtà dell'autore nel ricreare il clima
sociale e storico. Inoltre, gli episodi della vita di Severino che Eugippio dice
sono regolarmente sistemati - per quanto ciò possa essere controllato - in
sequenza cronologica e topografica, dall'arrivo di Severino nel Norico fino alla
sua morte.
Eugippio racconta la sua storia in modo molto vivido. "Tutti i lettori", dice
Pascasio, "avranno l'impressione che lui (Severino) sia presente e, per così
dire, viva in mezzo a loro". Con eguale freschezza, Eugippio rappresenta il
Norico e la sua gente. Aveva passato un po' di tempo in compagnia di Severino e
conosceva bene il paese; è una buona ipotesi che Eugippio sia nato lì come
figlio di coloni romani.
Tutto ciò si combina per rendere il Memorandum di Eugippio un documento di prima
mano di grandissima importanza. Dubbi sul suo valore come fonte storica sono
stati espressi da A. Dopsch. Questi dubbi hanno solo una limitata validità. Una
forte tendenza anti-ariana e un certo pregiudizio anti-tedesco – ambedue
comprensibili in un romano ed in un cattolico – possono avere occasionalmente
colorato l'atteggiamento di Eugippio; un caso emblematico è il ritratto del
personaggio di Giso, la regina del Rugi. Non c'è, tuttavia, alcuna prova che
dimostri che egli abbia mai permesso ai suoi sentimenti di interferire con i
fatti a cui si riferisce. Naturalmente, si tenga presente che: Eugippio scrive
la vita di un santo: l'ambiente storico e sociale, così interessante per noi, è
per lui semplicemente incidentale. Probabilmente non era a conoscenza, e
certamente non era interessato, dell'aspetto più ampio della politica di Odoacre
nei confronti del Norico e del Rugi, ma ciò non toglie nulla al valore delle
informazioni fattuali che egli fornisce. Né è necessario screditare la sua
testimonianza a causa del lungo intervallo tra gli eventi e la loro
registrazione. Eugippio, effettivamente, compose il suo Memorandum fino al
509/511 - ventinove anni dopo la morte di Severino, ventitré anni dopo che i
Romani avevano abbandonato il Norico. Tuttavia, l'uomo straordinario e gli
eventi eccitanti sarebbero stati ricordati vividamente anche dopo molti anni -
tanto più che Eugippio era probabilmente nella sua più influenzabile età.
Infatti, quando Severino morì, Eugippio avrebbe avuto circa vent'anni. Non può
aver raggiunto Severino molti anni dopo che quest'ultimo fosse arrivato nel
Norico. Per gran parte del suo racconto, quindi, dipendeva dai membri più
anziani della comunità, tra i quali una tradizione riguardante S. Severino aveva
cominciato a svilupparsi. Di questa limitazione, Eugippio stesso dà ai suoi
lettori un giusto avvertimento.
La piccola opera di
Eugippio ottenne una meritata popolarità. Essa è citata per il suo riferimento
ad Odoacre dal cosiddetto Anonimo Valesiano, un cronista italiano che scrisse
poco dopo il 526: la stessa era nota a Paolo Diacono nell'ottavo secolo ed
all'autore delle Gesta Episcoporum
Neapolitanorum circa nell'800, per menzionare solo i primi testimoni. Il
numero dei manoscritti è molto grande; la maggior parte di questi sono di
origine italiana o austriaca e della Germania meridionale. Secondo Mommsen,
questi manoscritti rientrano in diverse classi distinte, di cui solo la prima ha
conservato il testo originale. Tuttavia, Paul von Winterfeld e, più
recentemente, Emil Vetter hanno avuto dei buoni motivi per seguire più spesso la
Classe II di Mommsen o qualche altro manoscritto o gruppo di manoscritti; in un
certo numero di casi, anche se non in tutti, si è dimostrata la loro
attendibilità.
[1]
Così
Isidoro di Siviglia (565-636)
nel suo
De viris illustribus
(tradotto da Patrologia Latina vol. 83, cap.
XXVI): "Eugippio, abate di
Castellum Lucullanum, nella regione di Napoli, in Campania. Compose,
in modo conciso, un piccolo libro sulla vita del monaco san Severino,
che fu inviato a un certo diacono chiamato Pascasio. Scrisse anche una
regola per i monaci che soggiornavano nel monastero di San Severino, che
lasciò loro quando stava morendo come una specie di codice di
legislazione lasciato in eredità. Divenne famoso dopo il consolato di
Importuno il Giovane, sotto il regno dell'imperatore Anastasio (dal 491
al 518)".
[2]
San Fulgenzio nacque a Thelepte, oggi Nedinet-el Kedima, Tunisi, verso
il 462 dalla famiglia senatoriale dei Gordiani. Da giovane ricoprì
l’ufficio di procuratore. Attratto alla vita religiosa, decise di
abbracciarla in seguito alla lettura del commento di sant’ Agostino al
salmo 36.
Verso il 499
si mise in viaggio con l’intento di raggiungere i monaci della Tebaide,
in Egitto. Ma, arrivato in Sicilia, fu dissuaso da alcuni amici a
continuare il viaggio, a causa delle simpatie di quei monaci per
l’eresia monofisita. Nel 500 era a Roma; verso il 502 venne eletto
vescovo di Ruspe. Dai Vandali fu esiliato due volte in Sardegna, dove
istituì dei monasteri. La sua vita monastica si ispira al pensiero e
all’esempio di sant’Agostino tanto da essere chiamato «Augustinus
breviatus». Per questo motivo fondò molti monasteri sia in patria che in
esilio. Morì a Ruspe il 1° gennaio 527. (Dal sito
https://augustinians.net)
[3]
Dionigi il Piccolo è stato un monaco cristiano scita, che visse a Roma
tra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Volle essere chiamato "il
Piccolo" in segno di umiltà verso San Dionigi l'Areopagita e San Dionigi
di Alessandria. È famoso per avere calcolato la data di nascita di Gesù,
collocandola nell'anno 753 dalla fondazione di Roma, e per avere
introdotto l'uso di contare gli anni a partire da tale data (anno
Domini). Oggi, tuttavia, la maggioranza degli studiosi ritiene che la
data di Nascita di Gesù vada collocata, in base all'interpretazione dei
vangeli, tra il 7 e il 4 a.C., quindi alcuni anni prima della data
calcolata da Dionigi.
A partire dal
500 circa Dionigi visse a Roma, dove divenne un dotto membro della Curia
e tradusse dal greco in latino 401 canoni ecclesiastici, compresi i
Canoni apostolici; i decreti dei concili di Nicea, Costantinopoli,
Calcedonia e Sardica; e una raccolta delle decretali dei papi da Siricio
a Anastasio II. La sua raccolta, conosciuta come
Collezione Dionisiana è
indubbiamente, assieme ai Canoni
degli Apostoli, la più importante del suo tempo. Uomo assai dotto,
soprattutto nella Sacra Scrittura, nella matematica e nel greco, fu
autore di un trattato di matematica elementare e tradusse dal greco al
latino le vite di San Pacomio e di altri santi e il trattato "De
hominis opificio, Sulla creazione dell'uomo" di Gregorio di Nissa.
[4]
Ferrando (lat. Ferrandus). - Scrittore africano (sec. 6º), detto anche
(erroneamente) Fulgenzio Ferrando; seguì in esilio il suo maestro
Fulgenzio vescovo di Ruspe, di cui scrisse la Vita (533 circa; giunta
anonima, ma sicuramente di Ferrando) e per consiglio del quale si diede
a vita ascetica a Cagliari; tornato in Africa nel 523, fu diacono a
Cartagine e forse vescovo. Scrisse inoltre una
Breviatio canonum e varie
lettere, alcune delle quali sono veri trattatelli, importanti da un
punto di vista storico e teologico. (Da www.treccani.it)
[5]
Pascasio (morto tra il 511 e il 514), diacono di Roma, è chiamato da
Gregorio Magno nei suoi Dialoghi,
libro IV cap. 42 e 43: "un uomo di straordinaria santità, dedito
soprattutto alle opere di beneficenza, amico dei poveri, e capace di
ogni abnegazione". Esiste un suo lavoro in due libri, "De
Sancto Spiritu" (Patr. Lat. LXII), che Gregorio Magno chiama "libri
rectissimi ac luculenti", anche se attualmente certi studiosi ne mettano
in dubbio l'autenticità. Gregorio ricorda anche il sostegno dato da
Pascasio all'antipapa Lorenzo, contrapposto al papa "ufficiale" Simmaco.
Stando al racconto di Gregorio, per questo motivo dopo la morte fu
condannato al Purgatorio, ma ne fu liberato grazie alle preghiere di
Germano, vescovo di Capua. E ciò perché Pascasio peccò "non per malizia,
ma per ignoranza" ed inoltre "fu la sua prodigalità nelle elemosine a
meritargli di potere ottenere il perdono". (Estratti da "Opere
di Gregorio Magno – I Dialoghi", Città Nuova Editrice 2000).
[6]
Cassiodoro, Flavio Magno Aurelio (Squillace 490 ca. - Vivario 583 ca.),
uomo politico, letterato e storico romano. Figlio di un funzionario del
re ostrogoto Teodorico, svolse numerosi incarichi politici: nel 507 fu
nominato questore, nel 514 console e nel 523 segretario di Teodorico.
Alla morte del sovrano (526), divenne ministro di Amalasunta, la figlia
di Teodorico, succedutagli sul trono come reggente per il figlio
Atalarico. Cassiodoro si impegnò per fondere l'elemento romano con
quello gotico e per attuare una politica di mediazione tra le varie
popolazioni barbariche assoggettate all'impero; quando però il generale
Belisario catturò e fece prigioniero il sovrano ostrogoto Vitige (540),
Cassiodoro si ritirò dalla scena politica e fondò il monastero di
Vivario presso Squillace, in Calabria, dove trascorse il resto dei suoi
anni, dedicandosi allo studio e alla scrittura. Qui istituì uno
scriptorium per la raccolta e la riproduzione di manoscritti, che fu
modello per i successivi monasteri medievali. Fu autore della
Historia gothica, un elogio della politica di Teodorico pervenuto
solo nella versione ridotta dello storico medievale Giordane, e di una
raccolta di lettere e documenti (Variae,
537), in dodici volumi, scritti mentre era al servizio dei sovrani goti,
divenuta poi riferimento per lo stile cancelleresco; una più ampia
influenza nel Medioevo ebbero le sue
Institutiones divinarum et
saecularium litterarum (Istituzioni delle lettere sacre e profane),
erudita introduzione allo studio delle Scritture e delle arti liberali.
All'età di 92 anni, a uso dei monaci che trascrivevano i codici antichi,
Cassiodoro redasse infine il trattato
De orthographia.
(Estratto da
"Microsoft
Encarta 2007").
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15 gennaio 2019 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net