Eucherio di Lione
Esortazioni ai monaci
(Tradotto da "Patrologia
Latina", Vol. 50, Paris, J. P. Migne 1846)
[0865B] 1. Che cosa vi esponiamo, carissimi fratelli, che cosa è
opportuno che vi diciamo e che voi ascoltiate?
Che cosa osiamo dire a voi che ammiriamo con intima ammirazione?
Che cosa vi insegniamo a parole, mentre voi ce lo insegnate con l'esempio?
Vi insegniamo ciò che dovete fare, (mentre) già ammiriamo quello che fate?
Che cosa, dunque, possiamo dire?
Di abbandonare il mondo che già avete abbandonato?
Di disprezzare la ricchezza, che già in molti avete disprezzato?
Di sfuggire alle cupidigie, da cui siete già sfuggiti?
Di scegliere le cose più salutari, che avete già scelto?
Aprirò, dunque, la mia bocca con equilibrata esultanza,
soddisfacendo colui che disse: "Apri
la tua bocca, la voglio riempire" (Sal 81(80), 11). Perciò parlerò con
voi, miei cari, senza tirarmi indietro; che non ci sia la timidezza di uno
solo, quando la gioia è di molti. Il servizio divino è ciò di cui ci
rallegriamo. Studia a lungo ciò che devi insegnare bene. Voglia il cielo che
la mia bocca vi possa ammonire in modo degno in conformità al vostro merito.
Ciò che gli altri predicano in modo retto, voi adempitelo; ciò che gli altri
fanno a parole, voi fatelo: poiché rivelate la vita degli angeli mentre
siete ancora uomini che dimorano sulla terra. Infatti, voi fate già qui
vedere quella condotta di vita celeste, anche se pochi la vedono.
Voi siete, come disse il
Salvatore, la luce del mondo (Mt.
5, 14). Siete quella lampada posta sul candelabro. Se qualcuno è lontano da
questa lampada, è inevitabile che sia avvolto nelle tenebre del mondo.
Chiunque si avvicinerà a questa luce, avrà sicuramente occhi per vedere,
colui che ebbe anche orecchie per intendere. Pertanto, affinché questa
lampada abbia una luce molto luminosa, è sempre da riempire con l'olio della
misericordia, dell'amore, della dolcezza, dell'umiltà, dell'obbedienza,
della carità.
2. Occorre senza dubbio perfezionare soprattutto l'umiltà, che ci
equipara ai giusti, ci unisce agli angeli e ci fa avvicinare a Dio. E'
questa che non teme la rovina, il precipizio, la caduta, perché l'umiltà non
ha nulla che la faccia cadere. Desideri, quindi, non cadere? Non
inorgoglirti. Non ti vuoi esaltare? non metterti in mostra. Infatti, a
proposito di ciò, qualcuno disse bene: "Chi
si gonfia non è sano" (Agostino,
Discorso (contro i pagani) 198,10). Infatti, la superbia, che è
contraria all'umiltà, non è altro che un gonfiore. Ma, così come il corpo
con un gonfiore non è in salute, anche l'anima con la superbia non lo è.
Umilia, dunque, te stesso e non cercare cose troppo grandi per te
(Sir 3,20-22: Vulg.).
Tuttavia, se qualcuno vuole
essere superbo, troverà in se stesso motivi validi per esercitare la sua
superbia. Non si assoggetti al mondo, disprezzi la vita mondana, ritenga di
nessun valore le sue passioni, si opponga ai vizi, sia superbo nei confronti
della stessa superbia, schiacci sotto i suoi piedi la potenza, le ricchezze,
le passioni e tutte le altre cose che dominano nel mondo. Tutte le cose che
qui sulla terra sono ritenute grandi e magnifiche, le disprezzi con lodevole
severità considerandole rifiuti ed escrementi della superbia: soddisfi la
propria superbia quando potrà ritenere nel proprio animo di essere superiore
anche ai regnanti. Tuttavia, se egli vorrà essere santamente superbo qui
(sulla terra) disprezzi senza dubbio il mondo, ma sia umile nei confronti di
Cristo. Da una parte si mostrerà superiore, ma dall'altra sottomesso:
infatti, proprio per questo motivo egli si eleva in certe circostanze, per
potersi più facilmente umiliare in certe altre.
3. Pertanto, se custodiremo con cura
questa umiltà, osserveremo anche quella sincera obbedienza senza fatica.
Nella quale obbedienza, carissimi, si manifesta in modo particolare il
pentimento. Infatti, è pentito nel cuore colui che si giudica il più
piccolo. Quando avrebbe il coraggio di eseguire le proprie volontà? Quando
avrebbe il coraggio di resistere all'autorità di chi ha dato l'ordine? Onde
dice l'Apostolo: "Obbedite ai vostri
capi" ed altro ancora (Eb 13,17). Ma forse che solo chi comanda è da
lodare? Neppure colui che ottempera (agli ordini), carissimi, rimarrà senza
lode? Quello merita la gloria nel dirigere, questo nell'eseguire gli ordini.
Pertanto, entrambi aspirano ad un grande onore ed alla ricompensa, mentre
l'uno decide bene, l'altro ottempera bene alle decisioni. Specialmente il
nostro Salvatore ci ha inculcato questa obbedienza, Lui che ci volle salvare
non solo con la redenzione, ma anche insegnandoci l'obbedienza; infatti,
(pur essendo) uguale al Padre obbedì al Padre. E come obbedì? Forse che
obbedì in qualcosa di agevole? Fino alla morte. E quale morte?
Una morte di croce (Fil 2,8). Non
solo obbedì, ma fece sua anche la volontà del Padre. Infatti, possiamo
anche fare contro voglia quanto ci viene comandato; si tratta di vera
obbedienza quando colui che è sottomesso inizia a volere ciò che vuole colui
che comanda. La Sacra Scrittura dice: "È bene per l’uomo portare un giogo nella sua giovinezza. Sieda costui
solitario e resti in silenzio" (Lam 3, 27-28). Con l'aiuto di Cristo,
dunque, mettiamo una porta con catenaccio alla nostra bocca ed una bilancia
alle nostre parole. L'Apostolo disse: "Coloro
infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un
grado degno di onore" (1 Tm 3,13).
4. Ed inoltre vi dico queste cose, carissimi, non per istruirvi;
ma affinché nelle mie parole riconosciate i valori dell'umiltà e
dell'obbedienza che esercitate: quei valori che vi trascinano verso il regno
eterno di Dio e che noi desideriamo che voi possediate costantemente.
Infatti, non chi avrà iniziato, ma chi
avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Mc 13,13). Ahimè! Chi
invece vuole essere salvo, deve combattere qui. Se qualcuno nella battaglia,
quando l'esercito è organizzato ed è schierato contro l'avversario, si
allontana dal suo posto, in seguito sarà considerato vile e disertore. Anche
in questo luogo i soldati di Cristo sembrano stare di fronte al diavolo
quasi organizzati come in un esercito: abbandonare la lotta ed allontanarsi
da lì, non solo è inglorioso, ma anche pericoloso. Bisogna rimanere in
questo stesso luogo; affinché, mantenendo la posizione che abbiamo, non vi
siano altri che ci prendano le nostre corone. Bisogna rimanere e resistere
affinché, combattendo in modo glorioso e navigando in modo tranquillo,
trascorriamo questa vita al sicuro dai pericoli (dedicandoci) agli studi
spirituali ed acquisiamo la vita eterna in cui siamo chiamati.
5. Il nostro Salvatore parlò (così): "Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende
una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce
a tutti quelli che sono nella casa" (Mt 5,14-15). Giustamente, dunque,
una così illustre lampada collocata sotto il moggio del monastero viene
trasferita al candelabro della Chiesa
[1].
E, naturalmente, questo moggio evangelico si adatta bene al monastero, dove
non si fa nulla senza misura. Infatti lì tutte le cose sono misurate, tutte
le cose fatte o dette vengono portate avanti con giusta ragione come se
fossero (misurate con) il moggio (Cfr. Mc 4,24). Allora noi comprendiamo
bene con mente spirituale, attraverso questa figura del monastero, che non
dobbiamo avere dentro di noi, ad immagine del moggio, niente di disordinato.
Infatti, come il grano è separato dalla pula, così di solito si accolgono
(nel monastero) coloro che sono separati dal secolo; poi il ventilabro del
Signore che pulisce la sua aia, buttata via la pula, trattiene dentro di sé
i suoi eletti come fossero i chicchi più puri
[2].
Di conseguenza, come il moggio è paragonato al monastero, così il candelabro
alla Chiesa: perché, essendo stata costituita in modo eminente ed illustre,
manifestando agli occhi (di tutti) lo splendore conferitole, mostra a tutti
la luce che le è stata conferita. Il fuoco acceso lo si mette di norma in
evidenza per diffondere luce; infatti, un bene che rimane nascosto
certamente giova a poco, (così come) una lampada nascosta diffonde poca
luce. Eleva la tua voce, beatissimo vescovo, come un suono di tromba che
viene dal cielo per illustrare (queste realtà) al popolo; rivela come hai
dissotterrato il tuo tesoro nella solitudine; spargi le risorse che hai
conquistato; effondi le ricchezze che nell'eremo hai preparato pubblicamente
per gli affamati con l'aiuto del Signore Nostro Gesù Cristo, che con Dio
Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
[1]
Probabilmente qui l'autore si riferisce ad un vescovo, elevato dal
monastero e dalla solitudine all'episcopato.
[2]
Il ventilabro è una larga pala di legno di cui si servivano i
contadini per ventilare il grano sull'aia, per separarlo dalla pula.
I chicchi di grano venivano lanciati in aria e con l'azione del
vento si separavano dalla pula, cioè l'involucro esterno, da
impurità o da altri semi.
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2 marzo 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net