Un ponte tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente:
il monachesimo
Estratto da "Irenikon"
- Tome LVII 1984 - MONASTÈRE DE CHEVETOGNE, BELGIQUE
Il monachesimo è la
realizzazione più nobile della vita cristiana. Esso è "la conseguenza di uno
stile di vita ascetico"
1) ed in particolare del progetto di seguire Cristo (Matteo
16,24). Inoltre, poiché il monachesimo si basa sull’ascesi cristiana e sulla
volontà di seguire Cristo e poiché è sorto in primo luogo da queste motivazioni
puramente cristiane, non è privilegio della Chiesa di Oriente o di quella
d’Occidente, ma bensì è la comune eredità cristiana, la forza vitale interiore
delle Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente, che le rinnova ma anche che le
collega l’una all’altra. Infatti, il monachesimo manifesta nella storia della
Chiesa, soprattutto nel primo millennio, una funzione di ponte e potrebbe ancora
oggi essere compreso, per la sua stessa essenza, come un ponte tra la Chiesa
d'Oriente e d'Occidente.
In questo articolo
desidero presentarvi alcuni dati storici, così come alcuni suggerimenti che
supportano questo punto di vista. Tuttavia dal momento che nella Chiesa
ortodossa il monachesimo è considerato essere la fortezza ed il custode della
vera fede, e quindi appare piuttosto anti ecumenico, devo iniziare dicendo
comunque che
io cercherò nella seconda parte delle mie considerazioni, dopo aver
valutato le differenze tra il monachesimo occidentale ed il monachesimo
orientale, di presentare dei punti di contatto e delle prospettive.
I. IL MONACHESIMO, PILASTRO DELL’UNITÀ
DELLA CHIESA ANTICA
Queste incitazioni
hanno alimentato nella Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente, in
generale, il campo dell’ascesi e del cammino sulle orme di Cristo, ed hanno così
preparato la venuta del monachesimo. Il monachesimo in Occidente, così come in
Asia Minore ed in Siria, è sorto da questo terreno fertile comune, ben inteso
sotto l'influenza dei primi anacoreti e dei primi "coenobia" che apparvero in
primo luogo in Egitto.
Il legame tra il
monachesimo in Oriente ed in Occidente si esprime anche in un altro modo
attraverso lo scritto di cui sopra, la "Vita Antonii". Questa “Vita” proviene
dalla penna di uno dei teologi più significativi dell’Oriente, il vescovo
Atanasio il Grande di Alessandria, e fu composta verso il 357. Essa si rivolge,
infatti, "ai monaci stranieri" (πρός τούς έν ξένη μοναχούς). Si presume con
buona ragione che si riferisca ai monaci che vivono in Occidente. Se consideriamo che
all'inizio della comparsa del monachesimo in Occidente Atanasio gli ha dato, là
dove stava, un impulso decisivo durante i suoi ripetuti esili, l'ipotesi sembra
corretta e precisa (si vedano anche le allusioni, nel
proœmium, al fatto che il monachesimo è nuovo
là dove risiedono i destinatari e che tra Alessandria e questo luogo vi è un
collegamento col battello
4)). Ciò significa che Atanasio non solo ha apportato con la sua
attività un importante contributo alla nascita del monachesimo in Occidente, ma con questo scritto ha
anche
stabilito una chiara connessione
tra i primi celebri eremiti d'Egitto, patria del monachesimo, ed il monachesimo
occidentale; in effetti l’opera descrive la vita di Antonio per dare ai
destinatari, i monaci d'Occidente, “un grande modello di ascesi"
5).
A tal fine servì
anche la prima versione latina della "Vita Antonii" (verso il 371), opera del presbitero
e poi vescovo di Antiochia Evagrio. Sant'Agostino, che, come sappiamo, ha
portato il monachesimo in Africa del Nord, ci fa conoscere nelle sue
“Confessioni"
6) che la "Vita" era letta alla corte imperiale di Treviri in
una traduzione latina probabilmente più antica che non ci è pervenuta. Nello
stesso contesto egli parla anche con grande ammirazione di Antonio, "l'eremita
egiziano il cui nome godeva di altissima fama presso i servitori" di Dio.
L'influenza della "Vita" in Occidente certamente, ma anche in Oriente, è
dimostrata oggi senza equivoci, soprattutto da H. Dôrries
7).
Come Atanasio ha
inciso la figura letteraria del monaco anacoreta con la "Vita Antonii" ed ha
offerto in tal modo al mondo cristiano d'Oriente e d’Occidente un modello
monastico
8) il cui effetto è stato in seguito
notevole, un altro ed importante Padre della Chiesa d'Oriente, Basilio il
Grande, con i suoi scritti ascetici (in particolare con le sue Regole, le
cinquantacinque Grandi e le trecento tredici Piccole) domina l'area del
monachesimo cenobitico introdotto da Pacomio. Basilio non dà "Regole" nel senso
più tardivo del termine e non è il fondatore di un "Ordine basiliano”,
contrariamente a quanto si legge, in modo non corretto, in molti libri ed opere
di riferimento di teologia considerate affidabili. Quelle che chiamiamo le
Regole di Basilio presentano essenzialmente un catechismo dei doveri, una sorta
di dottrina cristiana delle virtù ed in generale delle istruzioni sotto forma di
domande e risposte. La realizzazione di una condotta di vita virtuosa, perfetta
ed evangelica dell'uomo, che Aristotele caratterizza come "animale politico"
9), per Basilio è garantita solo nella comunità ecclesiale, la
"Polis" di Dio sulla terra. Ciò è anche vero, come ha sottolineato con forza
nella Grande Regola 7, dei monaci che hanno scelto il "coenobium" organizzato
(κοινοβιακή κοινωία) per importanti motivi di salute, piuttosto che la vita
solitaria dell'anacoreta: precetto dell’amore del prossimo, complementarietà dei
carismi nell’unico corpo di Cristo, condotta di vita esemplare gli uni per agli
altri, ecc.: "Una comunità di fratelli è anche il campo di combattimento, la via
garantita del progresso, un addestramento continuo, la pratica assidua dei
comandamenti del Signore. Tende alla gloria di Dio secondo il precetto del
nostro Signore Gesù Cristo, che ha detto: “Così risplenda la vostra luce davanti
agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre
vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Infine conserva questa caratteristica propria
dei santi la cui storia è riportata negli Atti e di cui è detto: Tutti i
credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune” (At 2,44)
10).
Per il monachesimo
orientale le prescrizioni ascetiche di Basilio sono rimaste fino ad oggi
fondamentali e di guida, sia nella loro disposizione continuatrice di Teodoro
Studita ( † 829) e di Atanasio d'Athos († verso il 1002), sia tramite la loro
traduzione in armeno, georgiano, arabo e slavo. Ma esse hanno esercitato nello
stesso tempo un’influenza altrettanto stimolante sul monachesimo occidentale.
San Gerolamo
11) conosce l’"Asceticum" di Basilio e
Rufino († 410) che ha riassunto le due Regole in una (formata da duecento tre
regole) e le ha tradotte in latino ("Instituta monachorum"). Gerolamo e Rufino
sono ambedue luminosi esempi di uno scambio monastico attivo tra l’Oriente e
l’Occidente. Entrambi provengono dall’Occidente, ma hanno trascorso diversi
decenni in Oriente (Gerolamo dal 373/74 al 382 e dal 385 al 419 o 420, Rufino
dal 371 al 397); uno e l'altro visitano l’Egitto, diventano discepoli di Didimo
il Cieco, vivono qualche tempo come eremiti (Gerolamo nel deserto della Calcide
nei dintorni di Antiochia, Rufino visita i deserti di Nitria e di Scete) e come
monaci; essi fondano anche dei coenobia, Gerolamo vicino a Betlemme e Rufino
vicino a Gerusalemme. Il loro contributo più importante e più duraturo
riguardante il nostro argomento fu la loro attività di traduttori dal greco in
latino. Oltre alla traduzione di cui sopra delle Regole di Basilio da parte di
Rufino, dobbiamo qui indicare soprattutto la versione delle Regole di Pacomio da
parte di Gerolamo e quella della "Historia monachorum in
Ægypto" da parte di Rufino.
In aggiunta a quelli
che abbiamo riportato finora (Agostino, Gerolamo e Rufino), ci sono stati altri
scrittori cristiani ed altri monaci attivi sul piano dello scambio monastico.
Per esempio Giovanni Cassiano († 430/35), che ha vissuto anche lui per un certo
tempo in Oriente ed ha introdotto il monachesimo nel Sud della Gallia. Nelle sue
due opere principali – il "De institutis coenobiorum et octo principalium
vitiorum remediis" e le "Collationes Patrum" - ha trasmesso gli ideali
spirituali ed il pensiero della vita ascetico-monastica dell’Oriente. Tutti
questi sono però senza dubbio superati da San Benedetto († verso il 547). Dopo
l’ampia distruzione della vita monastica in Occidente dovuta all’invasione dei
popoli germanici, egli l’ha riorganizzata e rianimata. A Benedetto, "patriarca
del monachesimo occidentale",
12) risale la fondazione del famoso
monastero benedettino di Montecassino in Campania (nel Lazio. Ndt), nel 522. Ma innanzitutto
viene da lui la "Regula Monasteriorum" che nel medioevo, fino al XII secolo, ha
prevalso sola in Occidente e le cui fonti principali includono Antonio, Pacomio,
Gerolamo, Rufino, Agostino e, in modo particolare, Basilio il Grande e Cassiano.
Secondo Altaner la "Regula" è "il frutto dello spirito d’ordine dei Romani che
con il senso pratico ed il talento organizzativo ha dato al germoglio orientale
una forma ed una struttura adattata alle conformità occidentali"
13).
L'influenza
indiretta di Basilio il Grande su Benedetto, ma anche la sua influenza diretta,
sono facili da dimostrare confrontando quello che i due Padri della Chiesa
dicono sull'obbedienza, per esempio, o sul silenzio
14). Ma questo argomento ci porterebbe
lontano qualora lo volessimo approfondire. Vorrei comunque citare un altro esempio.
Tutti sanno che si considera come benedettino il principio "ora et labora". Al
contrario si sa meno, per prima cosa, che questo principio non si trova
letteralmente nella Regola di San Benedetto
15), ed in secondo luogo, che questo
principio è chiaramente presente in Basilio il Grande
16) e fondamentalmente risale al Nuovo
Testamento. In terzo luogo, è ancora meno noto che questo principio sembra
essere stato di grande importanza tra gli anacoreti. Questa affermazione si basa
sul fatto impressionante che la collezione detta alfabetica degli "Apophtegmata
Patrum", così importante per farci conoscere il mondo degli anacoreti
17), si apre con la seguente storia di
Antonio:
"Un giorno il santo
padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta
tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i
pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora,
sporgendosi un po’, Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi
interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto a
intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore,
mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo che diceva: «Fa’
così e sarai salvo». All’udire quelle parole, fu preso da grande gioia e
coraggio: così fece e si salvò"
18).
I Benedettini ci
forniscono anche notevoli esempi di scambio monastico nella direzione opposta,
cioè dall’Occidente all’Oriente. Durante il primo millennio già c'erano diverse
fondazioni monastiche in Oriente tenute dai Benedettini. La più interessante è
sicuramente il monastero benedettino sul santo monte di Athos. Si tratta del
monastero conosciuto con il nome Amalfion o degli Amalfitani
19). I monaci benedettini di Amalfi, in
Italia, sono già menzionati nella "Vita" di S. Atanasio, il fondatore del
monachesimo Athonita, e certi documenti delle origini contengono le firme di
monaci in latino. Il monastero degli Amalfitani è stata fondato negli anni
Ottanta del secolo X, vale a dire una ventina di anni dopo la costruzione della
Lavra (963), da parte di Leone di Benevento che era venuto al monte Athos
nell’anno 980 con sei dei suoi discepoli. La fondazione del monastero degli
Amalfitani è stata effettuata seguendo i consigli e con il sostegno materiale
degli Iberi (Georgiani. Ndt) Giovanni ed Eutimio, che erano allora decisivi sul
monte Athos. In un primo momento vi operava ancora Giovanni di Benevento che si
era stabilito sul monte Athos, arrivando direttamente da Montecassino. Il
monastero ha acquisito nel corso dei due secoli successivi un'importanza
particolarmente significativa ed è stato tra i più grandi della repubblica
monastica. A questo proposito la prescrizione del Typicon dell'imperatore
bizantino Costantino IX Monomaco, dell'anno 1045, è significativa: secondo questa
prescrizione il monastero degli Amalfitani, come anche il monastero di Vatopedi,
doveva insolitamente disporre di una navata più grande
20). Gli Amalfitani ebbero una attività di
notevoli traduttori ed hanno molto contribuito alla storia della spiritualità,
in particolare nel campo dell’agiografia. A partire dall'esistenza del monastero
degli Amalfitani, così come dall’insediamento amalfitano di Costantinopoli,
attestato da vari documenti fino alla fine del XII secolo o all'inizio del XIII,
si può concludere che gli eventi dell’anno 1054 (Il Grande Scisma o Scisma
d’Oriente. Ndt) non hanno avuto che un carattere episodico nella vita dell'unica
Chiesa in Oriente ed in Occidente, mentre furono solo le crociate, in
particolare la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati della quarta
crociata nel 1204 e ciò che ne seguì, che hanno portato alla divisione
propriamente detta. Del monastero degli Amalfitani sull’Athos, formalmente
abolito nel 1287 e aggregato alla Grande Lavra, e del suo fulgido esempio, oggi
ne conserviamo la memoria grazie alle rovine del suo mastio che si erge tra i
monasteri della Grande Lavra e di Karakalou.
Sarebbe facile
dimostrare la funzione unitiva del monachesimo nella Chiesa indivisa con altri
esempi di grande peso. Si potrebbe trattare in modo concreto del contributo
culturale dei monaci in Oriente e Occidente che, ad esempio, grazie alla
trascrizione assidua della letteratura classica (Ma anche di trattati
scientifici, di scritti giuridici, di storia, di medicina, di agricoltura, di
arte, di musica ed altro ancora. Ndt) ne hanno realizzato il
salvataggio nel corso dei secoli, oppure hanno continuato l'educazione del
popolo cristiano in tanti luoghi e modi diversi. Si potrebbero anche portare i
nomi di alcuni eminenti teologi, di santi padri, di grandi superiori e dottori
ecumenici, di martiri teofori e di taumaturghi famosi, di santi asceti e di
missionari disinteressati, che hanno almeno trascorso qualche tempo della loro
vita in un monastero e che noi, cristiani d'Oriente e d'Occidente, abbiamo in
comune. Si potrebbe citare, in particolare, l'impegno fino al sacrificio di sé
stessi di innumerevoli monaci a favore della vera fede, e le loro lotte
inflessibili contro l'errore (ad esempio quello di Massimo il Confessore). Ma io
penso che ciò che è stato presentato finora ha fornito una prova sufficiente che
il monachesimo ha segnato e sostenuto in modo decisivo l'unità effettiva tra
l’Oriente e l’Occidente nella vita della Chiesa indivisa.
La divisione
ecclesiale ha portato a parlare abitualmente delle differenze tra il monachesimo
d'Oriente e quello d'Occidente piuttosto che di ciò che esse hanno in comune
21). Ci sono realmente tali differenze, e
qual è il loro peso?
1. Una reale
differenza di antica origine consiste nel fatto che in Occidente, a differenza
dell'Oriente,
l’anacoresi, la vita eremitica, ha trovato scarso
accesso. E' vero che anche in Oriente il primato è dato alla vita cenobitica e
che questa è considerata come la forma classica (a partire da Pacomio e da
Basilio il Grande), ma ci sono sempre stati, a fianco dei coenobia, dei solitari
isolati. Va ricordata, infatti, in questo contesto, la tendenza in Oriente a
scoraggiare i solitari a causa della loro indipendenza. Già l'imperatore
Giustiniano (527-565), il grande organizzatore del monachesimo bizantino,
prescrive che il numero degli anacoreti rimanga limitato e che la loro cella
dovrà trovarsi all'interno della recinzione del monastero. Anche al Monte Athos
si stava portando avanti un tale obiettivo. Il Typikon di Atanasio, per esempio,
limitava a cinque il numero di kelliotes (solitari) relativi alla Lavra
22). Questi cinque, ai quali era permessa
l'ascesi in solitudine, dovevano avere delle ragioni spirituali ed essere in
grado di sostenere sé stessi. Il Typikon dell'imperatore Giovanni Zimisce (o
Tzimiskès), prima costituzione ufficiale del monachesimo athonita (972),
constata infatti l'esistenza di solitari ma, allo stesso tempo, determina che la
loro ammissione all’ascesi nella solitudine spetti agli abati
23). Il Typikon del 1045 (dell'imperatore
bizantino Costantino IX Monomaco. Ndt) passa sotto
silenzio i solitari, ciò che indica un’ulteriore limitazione della loro
indipendenza. L'ascesi nella solitudine è dunque normalmente consentita anche in
Oriente, senza tuttavia essere puramente e semplicemente la forma ideale di vita
monastica. Considerata nel suo insieme essa costituisce una ricchezza
tradizionale del monachesimo orientale, ad imitazione della quale anche
l’Occidente rimane aperto. Ma essa non è una differenza ecumenica di peso.
2. Durante il
Medioevo si è introdotto nel monachesimo orientale, in collegamento tra l'altro
con le forze centrifughe dell’ascesi solitaria, un rilassamento della vita
monastica che culminò nell’idioritmia (L'idioritmia è la tendenza a vivere secondo il proprio
ritmo, non soggetti a una regola. Ndt), secondo la quale la vita del monaco è
adattata ad un ritmo che, in misura considerevole, gli è proprio. L’idioritmia,
che significa, di fatto, l'abolizione della rinuncia monastica (della povertà) e
l'eliminazione dell’obbedienza, questa virtù cardinale monastica, apparve nei
primi anni del XV secolo sull’Athos e formò, in realtà, durante i secoli una
certa opposizione alla
natura comunitaria della vita monastica sempre attiva in Occidente. Tuttavia,
il fatto che molto presto l’idioritmia sia stata additata come una forma
decadente della vita monastica (si veda, ad esempio, lo scritto "Contro
l’idioritmia" del monaco Pacomio intorno al 1530, o il Typikon del 1574
(Del Patriarca Geremia II. Ndt)
24) e che, sulla base di una comprensione
e di una auto-affermazione di sé in conformità con questo giudizio, la vita
cenobitica ha quasi completamente ritrovato il suo posto oggi, non ci permette
di parlare di una differenza tra il monachesimo d’Occidente e quello d’Oriente.
L'idioritmia è soprattutto una manifestazione deviante della vita cenobitica
classica nel monachesimo orientale; essa appartiene più o meno al passato e per
questo motivo non ne teniamo conto.
3. Mentre in Oriente
non ci sono
ordini monastici con strutture proprie, noi oggi ci troviamo di fronte, nel
monachesimo in Occidente, ad un notevole numero di ordini. Per capire questa
situazione bisogna prima di tutto sottolineare che la Chiesa primitiva non
conosce gli ordini monastici. La ragione si trova nella concezione che fonda
l’autocefalia (l'autonomia) di ogni Chiesa locale. Sulla base di questa
concezione, a partire dal IV Concilio Ecumenico (a Calcedonia nel 451, canone
4), gli insediamenti monastici organizzati erano sottomessi al vescovo del luogo
"pro tempore". Questa norma della Chiesa antica, stabilita dalla più alta
autorità ecclesiastica, è rimasta in vigore senza alcuna modifica fino ad oggi
nella Chiesa d'Oriente. I cosiddetti "monasteri stavropigiali" (σταυροπηγιακαί
μονά) sono un'eccezione (Nel cristianesimo ortodosso è detta "stavropigiale"
un'istituzione od un monastero che risponde alla diretta giurisdizione
dell'arcivescovo (detto anche primate) piuttosto che a quella del vescovo
diocesano. Ndt).
Questa norma era
anche generalmente obbligatoria in Occidente fino al XII secolo. Il monastero
degli Amalfitani sull’Athos, per esempio, di cui abbiamo parlato in precedenza,
seguiva pure la Regola di San Benedetto, ma come gli altri monasteri dell’Athos
seguiva anche le Typika in vigore lì ed era sottomesso al Vescovo di Hiérissos
e, quindi, al Patriarcato ecumenico. Ma in Occidente, a partire dal Medioevo, fa
autorità un diritto degli ordini strutturato in modo centralizzato sul piano
ecclesiologico e condizionato dallo sviluppo del papato. Questo diritto è in
contraddizione con la suddetta disposizione del IV Concilio Ecumenico sopra
menzionato e, secondo la visione ortodossa, questo rappresenta uno sviluppo
ecclesiologico discutibile nel monachesimo occidentale. In relazione con la vita
degli ordini monastici si trovano anche in Occidente le numerose riforme
monastiche, a cominciare da Cluny, con i loro numerosi lati positivi.
4. Al diritto degli
ordini monastici, concepito in modo centralizzato, corrisponde in Occidente il
loro evidente carattere
internazionale, mentre in Oriente il monachesimo ha piuttosto un carattere
locale o nazionale. Ciò, tuttavia, non rappresenta alcuna differenza
significativa ed è appena un’apparenza. Perché la vita in comune dei monaci
provenienti da diverse nazioni sul Monte Athos, sia al tempo dell'Impero
Bizantino, sia ancora oggi, testimonia il contrario.
5. Infine,
l'esistenza di vari ordini monastici
in Occidente ha
fatto in modo che
la divisione del lavoro e della
produzione
appaia con più trasparenza all’esterno (ad esempio, la pratica del lavoro dei
campi dei Cistercensi o l’applicazione dei Domenicani alla scienza ed alla
cultura). Il principio della divisione del lavoro è nato pertanto dalla vita
cenobitica e lo si trova normalmente anche in Oriente in ogni monastero che
funziona bene. Incolpare il monachesimo d'Oriente di avere praticato e di
praticare ancora una "economia che non è razionale" significa ignorare la linea
e l'obiettivo propri del monachesimo. Per designare questo disconoscimento è la
parola di Basilio il Grande che lo spiega meglio, e cioè che gli uomini si
prendono cura delle cose del mondo e delle arti, ma non delle verità teologiche
(τεχνολογοΰσιν ού θεολογοΰσιν οί άνθρωποι)
25). Così, quando il monachesimo in Occidente compie
qualche prestazione economica e sociale degna di ammirazione la si deve
apprezzare, in tutti i casi, come qualcosa di accessorio che non entra in gioco,
vale a dire che non è particolarmente degna di lode in sé.
Il monachesimo in
ciò che esso realizza ed in ciò che persegue non deve essere giudicato con le
misure di questo mondo. Un monaco del Monte Athos, contemporaneo e noto, ha
scritto a questo proposito: "Ci chiediamo se sarebbe utile che i monaci della
Chiesa ortodossa intraprendano attività sociali o filantropiche. Io risponderei:
quando il nostro Signore Gesù Cristo ha lasciato alla libera scelta dell'uomo la
vita nella continenza come una sorta di vita più elevata, ha detto queste parole
ben note: “Chi può capire, capisca” (Mt 19,12). Permettetemi di indirizzare le
stesse parole a chi mi pone la questione. Chi, tra i monaci, è in grado di
entrare in contatto con il mondo senza sporcare la sua purezza e senza perdere
la sua relazione mistica con Dio, ecco che ci troviamo davanti ad un campo di
battaglia con un duplice irraggiamento e con la vita sdoppiata, verso l'interno
e verso l'esterno. La questione dell’attività dei monaci nel mondo può essere
affrontata solo da questo punto di vista .... "
26). Il monachesimo vive di preghiera e
non è che un solo ed unico servizio di salvezza dato alla Chiesa. Questo è il
motivo per cui le due differenze che abbiamo rapidamente accennato in
precedenza, purché non siano ecclesiologicamente condizionate - cioè ignorando
concretamente la questione degli ordini monastici in Occidente -, sono
differenze e spostamenti d’accento senza portata ecumenica. I punti in comune
tra monachesimo d'Oriente e d'Occidente sono, contrariamente delle differenze,
di fondamentale importanza. Utilizzando alcuni esempi ora illustrerà ciò.
Storicamente, ma anche per il suo contenuto, il
monachesimo nella Chiesa antica ha assunto il compito del martire in un certo
senso. Così come i martiri ed i confessori andavano alla morte in qualità di
soldati di Cristo (“milites Christi”), cioè imitavano Cristo nella sua
obbedienza (Fil 2,8), e con ciò deponevano una martyria (una testimonianza)
della loro solida ed incrollabile fede in Cristo, allo stesso modo fin dalle
origini ed ancor oggi i monaci in Oriente ed in Occidente sono dei testimoni,
fino al sacrificio, della loro fede in Cristo solida e splendente. Essi sono i
soldati anonimi di Cristo nella loro battaglia permanente, salutare e sempre
attuale “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo
tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”; essi
hanno “l’armatura di Dio, perché possono resistere nel giorno cattivo e restare
saldi dopo aver superato tutte le prove” (Ef 6,12-13). “Il monaco”, scrive Aolis
Mertes, “è uno scandalo, poiché la fede in Cristo rimane uno scandalo per i
Giudei, cioè per coloro che non si liberano delle catene
dell’autogiustificazione, la più profonda delle tentazioni dell’uomo, che si
presenta sotto sembianze religiose, morali o sociali. Essere monaco, significa
essere insensato perché la fede in Cristo rimane “follia per i Greci”, cioè per
coloro che sono ciechi di fronte al carattere insondabile delle questioni
ultime, quelle che sono le più umane ... Nel mondo europeo-americano in via di
rapida secolarizzazione – apparentemente per avversione -, il riconoscimento del
primato della fede aumenterà ben presto di nuovo, ma con questo anche la fame di
calma interiore ed esteriore, presupposto del raccoglimento che per il cristiano
sbocca sempre nella preghiera… Effettuare questa preghiera è e rimane il grande,
insostituibile dono dei monaci agli uomini, anche quando i loro occhi rimangono
chiusi. Colui che non comprende che i Mattutini sono importanti tanto quanto
un’elezione al Bundestag o di una battaglia o di un trattato di pace, non
seguirà certamente queste riflessioni. Non ci riesce proprio”
27).
Cito intenzionalmente un uomo politico conosciuto per non
dare l’impressione che è ex officio
(d’ufficio) che il teologo parla del
primato della fede e dell’insostituibile dono che è per gli uomini la
preghiera dei monaci. Il primato della fede ed il significato della preghiera
ricevono in maniera costante la testimonianza dei monaci in Oriente ed in
Occidente, e sono vissuti da loro in modo esemplare. Tali valori appartengono
all’essenza del monachesimo e contano incomparabilmente più delle realizzazioni
economiche o dei contributi culturali di gruppi di monaci qua e là. E’ in questo
senso che occorre comprendere il principio “ora et labora” il cui ordine dei
termini esprime, senza possibile errore, la priorità della preghiera. Questi
elementi formano il grande patrimonio comune dei monaci, permanente ed
unificatore.
Oltre a questo patrimonio comune, fondamentale ed
essenziale, c’è la vita cenobitica con le sue virtù monastiche di base:
obbedienza, castità e
povertà, che sono riconosciute, sia in
Oriente che in Occidente, come il segno e l’espressione del monachesimo. Su
queste virtù cardinali del monachesimo, che lo sono anche per la vita cristiana
in generale, non ho sicuramente bisogno di insistere per dimostrare a quale
punto ancora oggi il monachesimo orientale ed occidentale costituiscono un ponte
importante, malgrado la divisione delle Chiese.
Se c’è qualcosa di particolarmente utile al giorno d’oggi
dal punto di vista ecumenico, è il fatto di riscoprire e di valorizzare in modo
conveniente questo patrimonio comune. Si tratta di punti di contatto e di
prospettive ecumeniche di particolare importanza. Per sviluppare, come è
necessario, questi punti di contatto, sarebbero utili una serie di iniziative,
che le due Chiese sorelle devono intraprendere il più presto possibile se non
vogliono che il dialogo teologico ufficiale che è iniziato rischi di restare
impantanato in considerazioni teoriche. Tali iniziative potrebbero essere, tra
le altre, le seguenti. Io non faccio che enumerarle a titolo indicativo:
- visite frequenti e reciproche di monaci di una Chiesa in
monasteri dell’altra;
- soggiorni i più lunghi possibile per imparare a
conoscere ed a sperimentare in modo profondo ed immediato la pratica della
preghiera e la spiritualità dei monaci della Chiesa sorella;
- gemellaggi di monasteri col fine di uno scambio fervido
e multiforme;
- fondazione di una unione europea degli amici della santa
montagna dell’Athos;
- organizzazione di colloqui e di symposia sulla natura
del monachesimo, sulla sua storia, i suoi tratti distintivi, il suo contributo
all’ecumenismo, etc.,.
- intensificare ed imitare l’esempio dei Benedettini di
Chevetogne e di Nierderaltaich per spargere la conoscenza della Chiesa d’Oriente
con pubblicazioni ed altre attività e creare il reciproco;
- fondare monasteri ortodossi in Occidente e
reciprocamente.
Alcuni di questi progetti possono ancora oggi passare per
utopistici, anche da un punto di vista ortodosso. Io ne sono ben cosciente.
Forse è l’occasione di riflettere in Oriente come in Occidente sull’estrema
importanza che c’è di inglobare il monachesimo negli sforzi che vengono oggi
fatti in vista dell’unità e sul contributo ecumenico che il monachesimo
28) può
apportare sulla base del patrimonio comune che esso costituisce
de facto.
NOTE
1). R.
Lorenz,
Die Anfänge des abendländischen
Mönchtums im 4. Jh., in:
ZKG 77 (1966), p. 2. Vedere anche K. Suso
Frank,
Askese und Mönchtum in der alten Kirche (Wege der Forschung, Bd 409),
Darmstadt 1975, e dello stesso autore:
Grundzüge der Geschichte des
christlichen Mönchtums (Grundzüge, Bd 25),
Darmstadt 1979, pp. 1 ss.
2). H.G.
Beck,
Kirche und theologische Literatur im
Byzantinischen Reich, Munich 1959, p. 200.
3).
Atanasio,
Vita di sant’Antonio, 2; PG 26, 841B-844A.
4).
Id., 1 ;
ibid.,
837B-840A.
5). Id., 1 ;
ibid., 837B:
ίκανός χαρακτήρ πρός άσκησιν.
6).
Agostino,
Confessioni, lib.
VIII, 6; CSEL 33, p. 182.
7). H.
Dôrries,
Die Vita
Antonii als
Geschichtsquelle,
in : Wort und Stunde, 1.
Bd. Gesammelte Studien zur
Kirchengeschichte des 4. Jhdts., Göttingen 1966, pp. 200-209.
8). L’opinione secondo la
quale Atanasio il Grande ha presentato nella
Vita Antonii «un
modello monastico» non deve essere compresa come una perorazione in favore della
nota tesi secondo la quale la
Vita Antonii non è sicura come fonte storica.
Questa tesi è stata delineata, per esempio, da W.
Bousset
(Apophthegmata.
Studien zur Geschichte des ältesten Mönchtums, Tubingue 1923, p. 91) e da
B. Lohse
(Askese
und Mönchtum in der Antike und in der alten Kirche, Munich-Vienne 1969, p. 190). H. DÖRRIES (Die Vita Antonii,
supra cit. p. 198 in
particolare) arriva a delle conclusioni sfumate: «A lato degli Apoftegmi e dopo
di essi la
Vita Antonii di Atanasio è una fonte storica di alto valore».
9).
Th.
NIKOLAOU,
Der Mensch als politisches Lebewesen
bei Basilios dem Grossen, in:
Vigiliae Christianae
35 (1981), pp. 24-31.
10). S.
Basilio,
Regulae fusius
tractatae,
7, 3; PG 31, 933BC.
11). S. Gérôlamo,
De Viris illustribus, 116; PL 23, 708C.
12). B.
Altaner,
Patrologie, Fribourg-Bâle-Vienne I9606, p. 445.
13). B.
Altaner,
ibid. Riguardo
le fonti della Regola di san Benedetto, vedere anche B.
Altaner-A. Stuiber,
Patrologie,
Fribourg-Bâle-Vienne 1978, p. 48.
14). Sull’obbedienza:
Basilio,
Regulae fusius tractatae, 41; PG 31, 1021 A, da confrontare con
BENEDETTO,
Regula, 5; CSEL
75, 35ss. Sulla preghiera:
Basilio,
id., 13).
ibid. 949BC, da
confrontare con Benedetto,
id., 6;
ibid. 38 s.
15). Vedere
Weisung der Väter,
introd. e trad. A cura di B.
Miller,
Fribourg-en-Br. 1965, p. 458.
16). Vedere D.
Savramis,
Le principe «ora et labora»
d’après Basile le Grand
(estratto da
Theologia), Athènes 1967 (in
greco).
17). Vedere W.
Bousset,
Apophthegmata,
citato prima, specialmente pp. 90-93.
F. von Lilienfeld,
Spiritualität des frühen Wüstenmönchtums, Erlangen 1983.
18).
Apophthegmata patrum, Antonio, 1 ; PG 65, 76AB. Vedere anche a tale
riguardo
Judith
Frei,
Die Stellung des alten Mönchtums zur Arbeit,
in :
Erbe und Auftrag
53
(1977), pp. 332-336.
(Testo italiano estratto da “Vita e detti dei Padri del deserto” a cura di Luciana Mortari -
1971, Città Nuova Editrice. Ndt)
19). Vedere P.
Lemerle,
Les archives du monastère des Amalfitains au Mont Athos, in: ‘Επετηρίς' τής Εταιρείας βυζαντινϖν
σπουδϖν 23 (1953), pp. 548-566.
J.
Mamalakis,
La sainte Montagne (Athos) à travers les siècles, Thessalonique 1971, pp. 68 s.
(in greco).
20). Ph.
Meyer,
Die Haupturkunden für die Geschichie der Athosklöster, Leipzig 1894, pp. 157,
22 ss.
(Nel 1045
l'imperatore Costantino Monomaco emanò un editto che introduceva alcune modifiche al regime fiscale dei
monasteri: tutti i monasteri furono tenuti a pagare una tassa, ma furono
esentati dal sostenere i nobili e gli eserciti ospitati nelle loro terre. A
seguito di questo editto, le famiglie nobili o molto ricche preferirono
costruirsi un monastero per garantirsi una base economica molto sicura, anche
perché le terre dei monasteri non potevano essere né comprate né vendute. Ndt)
21). Vedere per esempio D.
Savramis,
Zur Soziologie des byzantinischen Mönchstums, Leyde-Cologne 1962, pp. 87-89.
22). Ph.
Meyer,
op. cit., p. 115, 7ss.
23).
Ibid., pp. 146 ss. et 147, 24ss.
24). Vedere
ibid. p. 213,
16 ss. e 215, 29 ss.
25).
Basilio,
Ep. 90, 2; PG 32, 473B.
26).
Theoklitos Dionysiatis,
Entre ciel et terre, Athènes 1973, p. 268 (in greco).
27). Alois
Mertes,
Mönchtum —
Ärgernis oder
Bothschaft,
Gesammelte Aufsätze,
hrsg. v. P. Theodor
Bogler,
Liturgie und Mönchtum,
Laacher Hefte 43 (1968), pp. 158-159
et 161.
28).
L’opinione generale che il monachesimo, soprattutto in
Grecia e sul Monte Athos in particolare, sia antiecumenico è contraddetta, per
esempio, dall’intervista rilasciata dal superiore del monastero di Stavronikita
Basilios, anche a nome dei superiori della Grande Lavra e di Grigoriou. Vedere
Episkepsis, n ° 264 del 15 dicembre 1981, pp. 12-15. Ne risulta
chiaramente che i monaci sono a favore del dialogo ecumenico quando questo è al
servizio della ricerca della verità cristiana inalterata e della vera fede.
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15 marzo 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net