Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere: 10 Rinnegare completamente se stesso. per seguire Cristo; 11 mortificare il proprio corpo, 12 non cercare le comodità, 13 amare il digiuno.
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 2 ... almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3 profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno. 4 E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno.
Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti: 10 Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite. 11 mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
IL DIGIUNO
G.
Mura
Estratto da “La teologia dei Padri”, Vol. 3
Città Nuova, 1975
1.- Significato del digiuno
Non è male mangiare — non sia mai! —, ma la gola è dannosa: riempirsi più del
bisogno, sino a che il ventre scoppi; ciò rovina lo stesso piacere del cibo.
Cosi, non è male bere moderatamente del vino, ma lo è abbandonarsi
all’ubriachezza e lasciar che la smodatezza ci sconvolga il giudizio e la
ragione. Se per la debolezza, o carissimo, non puoi osservare il digiuno per
tutto il giorno, nessuno che sia intelligente potrà fartene un rimprovero. Il
nostro Signore, poi, è mansueto e amorevole e non ci chiede nulla al di sopra
delle nostre forze; non ci chiede l’astinenza dal cibo e il digiuno per sé
stessi, o semplicemente perché noi restiamo privi di mangiare, ma perché
rinunciamo alle faccende della vita e dedichiamo tutto il nostro impegno alle
realtà spirituali.
Se guidassimo la nostra vita con impegno di sobrietà e spendessimo tutte le
nostre energie per le realtà spirituali e se prendessimo cibo solo quanto
richiede la pura necessità e impegnassimo tutta la nostra vita nelle opere
buone, non avremmo bisogno di aiutarci col digiuno. Ma poiché la natura umana è
indolente e si abbandona facilmente alla distrazione e al godimento, per questo
il nostro buon Signore, come un padre amoroso, ha pensato per noi alla medicina
del digiuno, perché così il piacere ci fosse tolto e noi fossimo spinti a
trasferire le nostre preoccupazioni dalle necessità della vita alle opere
spirituali. Perciò, se vi è qui qualcuno che per debolezza fisica non può
digiunare, non può privarsi del pasto, lo esorto a curare questa sua debolezza
organica, ma per questo non si privi della dottrina spirituale, ma vi si dedichi
con maggior impegno.
Davvero, davvero, molte sono le vie che ci possono aprire le porte nella fiducia
nel Signore: molte più che il semplice digiuno! Perciò chi
si ciba e non può digiunare, dia prova di
sé con elemosine più abbondanti, con preghiere ferventi, con l’alacrità
nell’ascolto della parola divina: a tutto ciò la debolezza del corpo non è di
impedimento; e si riconcili con i nemici ed elimini dall’animo ogni sentimento
di vendetta. Se farà cosi, osserverà il vero digiuno, quello che il Signore
soprattutto ci richiede. Perché questo è lo scopo per cui egli ci comanda di
astenerci dal cibo: frenare la petulanza della carne, rendendola docile
all’adempimento della legge di Dio.
Giovanni Crisostomo,
Omelie sul Genesi,
10
2.-
Digiuno incompleto
Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha
digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la
dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco
altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio.
Perciò Isaia esclama ogni giorno:
Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore
(Is. 58, 5), e ancora:
Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i
dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che
vi serve digiunare in mio onore?
(Is. 58, 3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere
immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più?
Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma
sul valore stesso della tua azione.
Girolamo,
Le Lettere,
I, 22, 37 (A Eustochio)
3.-
Scopo e limiti del digiuno
Le veglie, la lettura di libri sacri, la meditazione e soprattutto il digiuno: a
tutto ciò il comando divino, l’autorità delle sacre Scritture, ci impongono di
dedicarci; tuttavia non con una continuità tale che sia illecito interromperle
per breve tempo, ma necessario osservarle sempre. Ciò infatti che viene imposto
con precetto reca la morte a chi non lo adempie; ciò invece che viene
consigliato piuttosto che comandato, giova se osservato, ma non induce punizione
se non osservato. Perciò tutte queste cose, o certamente alcune, i nostri
anziani ci hanno comandato di osservarle con intelligenza, agendo con criterio,
secondo la causa, il luogo, il modo e il tempo. Infatti, se si compiono a tempo
e luogo, è chiaro che sono osservanze buone e convenienti; se si compiono in
modo inopportuno, sono inutili e nocive. Per esempio, se all’arrivo di un
fratello — in cui Cristo stesso deve essere ristorato con amore e abbracciato
con un’accoglienza calorosa — qualcuno volesse darsi all’austerità del digiuno,
non si mostrerebbe disumano, piuttosto che acquistar merito di religiosità? Così
se l’esaurimento o
la
debolezza del corpo richiedesse il cibo necessario per rifare le forze, ma
qualcuno non si decidesse a rilassare il rigore dell’astinenza, non lo si
dovrebbe considerare crudele assassino del proprio corpo, piuttosto che uomo
tutto dedito alla salvezza?...
Ma il digiuno è pericoloso anche per quei tali che ricercano in esso la lode
umana e, mostrando un vano pallore, si acquistano la fama di santità; la parola
evangelica dice che costoro hanno già ricevuto la loro mercede quaggiù. Anzi, il
Signore ne detesta il digiuno con le parole del profeta, al quale — che gli
aveva prima obiettato:
Perché digiunammo e non ci guardasti? Umiliammo la nostra anima e non lo
notasti?
(Is. 58, 3) — immediatamente risponde indicando
la
causa per cui non meritavano di essere ascoltati:
Ecco, nel giorno del vostro digiuno risalta la vostra volontà: date la caccia ai
vostri debitori, digiunate per litigare e bisticciare, e colpite empiamente a
pugni. Non digiunate come avete fatto fino ad oggi, se volete che si ascolti
lassù il vostro grido. È forse questo il digiuno che desidero? che l’uomo
affligga
tutto il giorno
la propria anima?
O
forse che curvi come un giunco il suo capo prosternandosi nella cenere, vestito
di sacco?
È
questo forse che io ho chiamato digiuno e giorno gradito al Signore?
(Is. 58, 4-5). E poi continua, insegnando in quale modo colui che digiuna possa
rendere accetta al Signore la sua astinenza, ed enunzia chiaramente che il
digiuno, da solo, non vale niente se poi non presenta i seguenti effetti:
Non è forse questo il digiuno che vorrei? Sciogli i legami di empietà, slega i
lacci che opprimono. Lascia libero chi è oppresso e togli via ogni peso. Spezza
con chi ha fame il tuo pane e accogli i poveri, i senzatetto in casa tua. Se
vedi qualcuno nudo, vestilo e non disprezzare quella carne che è tua,
cioè il tuo prossimo. Allora sorgerà come l'aurora il tuo splendore, e tosto
sorgerà la tua salvezza; la tua giustizia ti precederà e la gloria del Signore
ti accoglierà. Allora lo invocherai e il Signore ti esaudirà; chiamerai e ti
dirà: Eccomi!
(Is. 58, 6-9).
Vedete dunque che il Signore non giudica affatto il digiuno quale bene
principale, perché piace a Dio se non per se stesso, ma per le altre opere buone
che reca con sé; d’altra parte, ci sono circostanze in cui esso vien considerato
non solo inutile, ma anche odioso, tanto che il Signore dice:
Se digiuneranno, non esaudirò le loro preci
(Ger. 14, 12). La misericordia, la pazienza e la carità come le norme delle
predette virtù, in cui certamente consiste il bene principale, non devono essere
osservate per il digiuno, ma piuttosto il digiuno per quelle. Ci si deve
sforzare infatti di acquistare queste virtù, veramente buone, con la pratica del
digiuno, e non che esse servano al digiuno, come a scopo ultimo. Per esse è
utile la sofferenza del corpo; perciò si deve usare lo strumento della fame per
farci giungere alla carità, in cui consiste il bene eterno, immutabile e libero
da ogni limitazione nel tempo.
Giovanni Cassiano,
Conferenze,
21, 14-15
4.-
Il digiuno ilare
Dice il Signore:
Non mostratevi tristi... ma lavati la faccia e ungiti la testa
(Mt. 6, 16 s.). Disponiamoci come ci è stato insegnato alle feste che si
avvicinano: non con il volto arcigno, ma con ilarità, come si addice
ai
santi. Chi è abbattuto, non viene incoronato; chi piange, non ottiene
il
trofeo. Non essere triste mentre vieni curato. Sarebbe sciocco non rallegrarsi
per la salute della propria anima, ma dolersi per la sottrazione dei cibi,
mostrando così di dar più importanza ai piaceri del ventre che alla guarigione
dell’anima. La sazietà è un godimento del ventre; il digiuno è un guadagno per
l’anima. Rallegrati che il medico ti dà una medicina atta a cancellare il
peccato. Come i vermi che germinano nell’intestino dei bimbi si cacciano con
medicamenti molto aspri, così il peccato che dimora nel profondo dell’anima
viene ucciso dal digiuno — che sia veramente degno, di questo nome —, appena
sopraggiunge nell’anima.
«Ungiti la testa e lavati la faccia». La parola divina ti chiama ad un mistero:
chi è unto, si unga; chi ha ricevuto il lavacro, si lavi. Applica il precetto
anche alle membra interne: lava la tua anima dai peccati; ungiti la testa con il
sacro crisma, perché tu sia partecipe delle membra di Cristo, accedendo cosi al
digiuno. Non oscurarti in volto come i commedianti. Il volto si oscura quando il
sentimento interno viene artificiosamente celato, quasi ricoperto da un velo di
menzogna. Il commediante poi sul teatro rappresenta una persona altrui: a volte
recita la parte di padrone, pur essendo schiavo; o di re, pur essendo cittadino
privato. Così, in questa vita, i più recitano la loro parte come su di una
scena: una cosa portano in cuore, e un’altra mostrano agli occhi della gente.
Non oscurare dunque il tuo volto: tale sei, tale mostrati: non trasformarti in
una maschera triste e tetra, per ottenere da queste parvenze la fama di
temperante. Un’opera buona pubblicata a suon di tromba non è di utilità alcuna;
un digiuno annunciato al popolo non è di guadagno alcuno. Ciò infatti che si fa
per ostentazione non reca frutto per la vita futura, ma si esaurisce tutto nella
lode degli uomini. Accorri lieto, perciò, al digiuno!
Basilio il Grande,
Omelia sul digiuno,
1
5.- Rinuncia al corpo
La temperanza è rinuncia al corpo e adesione a Dio: essa rigetta tutto ciò che è
mortale e ha, quasi, per corpo lo Spirito di Dio: a Dio ci unisce senza invidia
alcuna o gelosia. Infatti chi ama il corpo invidia gli altri, ma chi non accetta
in cuor suo questa malattia dissolvitrice, è sicuro contro ogni male; e per
quanto muoia nel corpo, vive nell’immortalità. E se considero a fondo
l’argomento, mi sembra che Dio sia temperanza, perché egli nulla brama ma tutto
ha in se stesso; nulla appetisce, e non è mosso né dagli occhi né dalle
orecchie, ma è libero da ogni necessità ed è la pienezza di tutto. Il desiderio
è una malattia dell’anima; la temperanza ne è la salute.
Ma non si deve considerare la temperanza solo sotto un aspetto, come per esempio
in rapporto alla sessualità; ma anche in rapporto a tutto ciò che l’anima
desidera, non contenta del necessario: per l’oro si giunge all’invidia e per
altre brame a mille ingiustizie. Non ubriacarsi è temperanza; e così non
riempirsi di cibi fino a scoppiare. Dominare il corpo è temperanza, e anche
signoreggiare i pensieri cattivi. Quante volte un pensiero né bello né vero
turba l’anima e lacera il cuore in mille preoccupazioni vane! Ma ce ne libera
completamente la temperanza, che è insieme medicina e forza.
Basilio il Grande,
Lettera 361
(Al monaco Urbicio)
6.- Il digiuno accetto a Dio
Un giorno, durante un digiuno, stavo seduto su di un monte e ringraziavo il
Signore di tutte le cose fatte per me. Ed ecco che vedo il Pastore, che siede al
mio fianco e mi chiede: «Perché sei venuto qui, cosi di buon’ora?». «Perché ho
stazione,
signore». «Che è questa
stazione?».
«Sto digiunando, signore». «Cos’è questo digiuno che fate?». «Signore, io
digiuno come il mio solito». «Voi non sapete digiunare per il Signore — disse —
e questo inutile digiuno che gli offrite non è un vero digiuno». «Perché,
signore, dici questo?». «Ti ripeto che non è un vero digiuno questo che voi vi
immaginate di fare. Io ti voglio insegnare qual è il digiuno completo e accetto
al Signore. Ascoltami. Dio non vuole un digiuno inutile come questo: offrendo un
tale digiuno a Dio non fai nulla per la tua santificazione. A Dio devi offrire
un digiuno diverso, cioè: non compiere nulla di male nella tua vita, ma servi il
Signore con cuore puro; osserva i suoi comandamenti e progredisci nei suoi
precetti; non ammettere nel tuo animo nessun desiderio cattivo, ma confida in
Dio. Se farai questo, se sarai timorato di Dio in questo modo, ti terrai lontano
da ogni opera iniqua e vivrai in Dio. Se compirai ciò, farai un digiuno grande e
accetto al Signore».
«Riguardo al digiuno, ascolta l’allegoria che ti espongo. Un uomo aveva un
podere e molti schiavi. Mise a vite una parte del suo terreno e, scelto uno
schiavo di alto prezzo, caro e fidato, lo chiamò e gli disse: "Prendi cura di
questa vigna che ho fatto impiantare. Da ora al mio ritorno, impiantale intorno
una palizzata. Altro non devi fare; se eseguirai bene questo mio ordine, ti
lascerò vivere libero in casa mia". Detto ciò il padrone partì per l’estero. Lo
schiavo si mise all’opera e recinse la vigna. Finita la palizzata, si accorse
che la vigna era tutta invasa di erbacce. Pensò allora fra sé e sé: ho eseguito
l’ordine del padrone, ora, nel tempo che resta, voglio zappare la vigna; cosi
curata sarà più bella, anzi, porterà più frutto, perché non sarà soffocata da
queste erbacce. Prese a zappare la vigna e ne estirpò tutte le erbe parassite.
Essa divenne bellissima, rigogliosa».
«Dopo un po’ di tempo tornò il padrone dello schiavo e del podere, e si recò a
vedere la vigna. Notò che era recinta bene e, per di più, zappata e liberata
dalle erbacce, con le viti rigogliose. Si rallegrò assai del lavoro del suo
schiavo. Chiamò allora il suo figlio prediletto, suo erede, e gli amici
consiglieri; espose loro ciò che aveva ordinato allo schiavo e mostrò ciò che
egli aveva fatto. E tutti si congratularono con lui, per quello che il padrone
diceva. E il padrone soggiunse: " Avevo promesso la libertà a questo schiavo se
avesse eseguito bene il compito che gli avevo imposto, e lui non solo ha
eseguito l’ordine datogli, ma vi ha aggiunto un ottimo lavoro di miglioramento
della vigna, che mi piace molto. Perciò, in compenso di questa sua opera,
desidero farlo mio erede insieme con mio figlio, perché, essendogli passata per
la mente un’opera buona, non l’ha tralasciata, ma l’ha eseguita E il figlio del
padrone acconsenti alla decisione che lo schiavo divenisse suo coerede».
«Dopo alcuni giorni il padrone fece un banchetto e mandò a quello schiavo molti
cibi avanzati. Ricevuti dunque i cibi mandatigli dal padrone, egli prese ciò che
gli bastava e dette il resto agli altri schiavi. I suoi compagni, prese le
vivande, se ne rallegrarono e cominciarono a far voti perché egli trovasse ancor
più favore presso il padrone, dato che, con loro, si era comportato con tanta
generosità. Il padrone venne a sapere tutto ciò che era avvenuto, e se ne
compiacque molto. Convocò ancora gli amici e il figlio ed espose loro come lo
schiavo avesse agito con i cibi ricevuti: ed essi approvarono con maggior
entusiasmo la decisione di farlo coerede del figlio».
Io allora dissi: «Signore, non comprendo questa allegoria; non sono capace di
penetrarne il senso, se tu non me la spieghi».
«Ti spiegherò tutto — mi rispose — e ti farò comprendere ciò che ti ho detto.
Anzi tutto devi osservare i comandamenti
del
Signore per essere accetto a Dio e venir iscritto nel numero di coloro che
osservano la sua legge. Ma se oltre a ciò che Dio strettamente comanda, compirai
qualche altra opera di bene, ti procurerai una gloria maggiore e sarai più
apprezzato da Dio di quello che saresti senza tale opera. Se dunque
all’osservanza dei comandamenti aggiungi questi servizi, ne avrai una grande
gioia; a condizione però che li compia in conformità al mio comando». «Signore!
Tutto ciò che mi comandi lo farò, perché tu sei con me!». «Sì, starò con te,
perché hai tanta buona volontà di compiere il bene e starò con tutti coloro che
hanno, come te, buona volontà».
Poi continuò: «Questo tuo digiuno è molto meritorio, se prima però osservi i
comandamenti
del
Signore. Inoltre, questo digiuno che stai facendo, devi compierlo così: guardati
anzi tutto da ogni parola cattiva e da ogni desiderio disonesto, e purifica il
tuo cuore da tutte le vanità mondane. Solo se farai così, il tuo digiuno è
perfetto. Oltre a ciò, devi agire in questo modo: il giorno del digiuno,
adempiute tutte le prescrizioni, ti ciberai solo di pane e di acqua e, calcolata
la spesa dei cibi che avresti consumato, ne darai la somma corrispondente a una
vedova,
a
un orfano, a un bisognoso. Facendo così tu sosterrai una privazione, ma colui
che ne riceverà il frutto si sazierà e pregherà per te il Signore. Se pertanto
osservi il digiuno in questo modo che io ti prescrivo, il tuo sacrificio sarà
accetto a Dio; di questo digiuno si terrà conto, e la tua buona opera, compiuta
secondo queste modalità, sarà bella, preziosa, gradita al Signore. Osserva
queste prescrizioni insieme con i tuoi figli e con tutti i tuoi di casa; così
sarai beato; e anche tutti gli altri che le udiranno e le metteranno in pratica,
saranno beati, e otterranno tutto ciò che chiederanno a Dio».
Erma,
II Pastore,
Allegoria V
7.– L’astensione dalle carni
Alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è
evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina. Se dunque io volessi
discutere
più
a lungo su questo soggetto, qualcuno potrebbe pensare che l’apostolo Paolo abbia
dato delle norme poco o non troppo chiare a questo riguardo; egli al contrario,
tra le molte altre cose che dice su questa materia, detesta talmente l’empia
opinione degli eretici, da dire:
Lo Spirito poi dice chiaramente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno
dalla
fede
aderendo a spiriti ingannatori e a dottrine diaboliche insegnate da impostori
pieni d’ipocrisia, che hanno la coscienza indurita, che vietano il matrimonio e
l’uso di certi cibi creati da Dio per esser presi con rendimento di grazie dai
fedeli e da tutti coloro che hanno conosciuto la verità; poiché ogni cosa creata
da Dio è buona e nulla è da rigettarsi quando se ne usa con rendimento di
grazie, perché viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera
(1 Tim. 4, 1-5). L’Apostolo inoltre cosi parla di queste cose in un altro passo:
Tutto è puro per i puri; per i corrotti e per gli increduli, invece, nulla è
puro, avendo contaminata l’intelligenza e la coscienza
(Tit. 1, 15). Leggi da te stesso tutto il resto che segue e ricordalo pure a
tutti quelli che puoi,
affinché non rendano in sé stessi inutile la grazia
di Dio,
poiché sono stati chiamati alla libertà, ma non devono prendere la libertà come
pretesto per assecondare gli istinti carnali
(Gal. 5, 13). E non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni
cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale, sotto il pretesto che non è
loro permesso di agire in modo superstizioso e proprio degli infedeli.
Agostino,
Le Lettere,
I, 55, 36 (A Gennaro)
8.-
Bisogna uccidere non il corpo, ma le sue cattive abitudini
Nessuno odia se stesso: su questo punto non vi è mai stata discussione con setta
alcuna. Ma neppure il suo corpo nessuno odia: è infatti vero quello che dice
l’Apostolo:
Nessuno mai ebbe in odio la sua carne
(Ef. 5, 29). Se alcuni sostengono che vorrebbero essere senza corpo, sono in
errore: infatti non odiano il proprio corpo, ma la sua corruttela e il suo peso.
Perciò essi vorrebbero avere non nessun corpo, ma un corpo incorruttibile e
agilissimo;
ma
ritengono che qualcosa di simile non sia un corpo, perché credono che così sia
l’anima.
Alcuni sembrano quasi perseguitare il proprio corpo con l’astinenza e le
fatiche. Coloro che agiscono così con rettitudine, non fanno ciò per essere
privi del corpo, ma per averlo soggetto e pronto alle opere necessarie alla
salvezza. Mostrano infatti di estinguere, con un allenamento laborioso, i
piaceri che usano male del corpo, cioè le consuetudini e le inclinazioni
dell’anima a sollazzarsi dei bassi piaceri. Ma non uccidono sé stessi, bensì
hanno cura della propria salute.
Coloro invece che agiscono così perversamente, fanno guerra al proprio corpo
quasi fosse un nemico naturale. Comprendono falsamente quando leggono:
La carne desidera contro lo spirito, e lo spirito contro la carne; si avversano
infatti a vicenda
(Gal. 5, 17). Ciò è stato detto riguardo alla consuetudine, non ancora vinta,
della carne, che ha brame contrarie allo spirito; non perché si uccida il corpo,
ma perché lo si soggioghi allo spirito, come vuole l’ordine naturale, domandone
la concupiscenza, cioè la consuetudine perversa. Questo sarà lo stato dell’uomo
dopo la risurrezione: il corpo vivrà in eterno sottomesso, con pace somma, allo
spirito; a ciò dunque si deve pensare anche in questa vita: che l’abitudine
della carne si muti in meglio e non resista, con moti disordinati, allo spirito.
Fino
a
quando ciò non si avvererà, la carne avrà brame contrarie allo spirito, e lo
spirito alla carne; lo spirito cioè l’osteggerà, non per odio, ma per dominare,
sapendo che è meglio per essa, pur da lui amata, essere soggetta; e la carne gli
resiste, non per odio, ma per il legame della consuetudine che, inveterato anche
per trasmissione ereditaria, si è rassodato per legge naturale. Cosi dunque
agisce lo spirito dominando la carne.
Agostino,
La dottrina cristiana,
1,
24-25
9.- Il digiuno è il cibo dell’anima
Quanto più il nostro uomo esteriore si corrompe, tanto più quello interiore si
rinnova
(2 Cor. 4, 16). Il digiuno infatti è il nutrimento
dell’anima
e come il cibo materiale rinforza il corpo, così il digiuno rende l’anima più
vigorosa, le dà ali leggere, la innalza dalla terra a contemplare le realtà di
lassù, ad elevarsi al di sopra dei piaceri e delle dolcezze di questa vita. Come
le navi leggere attraversano velocemente i mari, mentre le navi gravate da molto
carico si sommergono, così il digiuno rende più agile la mente, la rende atta ad
attraversare con facilità il mare di questa vita, a contemplare il cielo e le
realtà celesti, a non far conto alcuno delle cose presenti, a ritenerle
esclusivamente come ombre e sogni. Invece l’ubriachezza e la crapula aggravano
l’animo, appesantiscono il corpo, rendono schiava l’anima, la vessano da ogni
lato e le indeboliscono il lucido giudizio della ragione. Fan precipitare
l’anima in un baratro e la fan agire nel senso diametralmente opposto alla sua
salvezza.
Giovanni Crisostomo,
Omelie sul Genesi,
1
10.-
Cibo semplice e naturale
Qualcuno forse si meraviglierà che sia stato creato prima il cibo degli animali
che quello dell’uomo. In ciò dobbiamo ravvisare un profondo disegno di Dio: egli
non trascura neppure gli esseri più piccoli, come dice la divina Sapienza nel
Vangelo:
Guardate gli uccelli del cielo, non seminano, non mietono e non raccolgono nei
granai, ma il vostro Padre celeste li nutre: forse voi non valete più di essi?
(Mt. 6, 26). Essi dunque vengono nutriti per dono di Dio: nessuno perciò deve
vantarsi della propria industria e della propria forza. Inoltre, perché l’uomo
dovrebbe preferire ad ogni altro il cibo semplice e naturale; questo infatti è
fonte di sobrietà, ogni altro di piacere e lussuria. Esso è proprio di tutti gli
animali, l’altro solo di pochi. Abbiamo qui perciò un esempio di frugalità, un
insegnamento di parsimonia: accontentarsi delle semplici erbe e dei semplici
frutti offerti dalla natura, elargitici direttamente dalla liberalità di Dio. È
questo il cibo salubre, il cibo utile, che allontana le malattie, che fa evitare
le cattive digestioni, procurato non dal lavoro dell’uomo, ma diffuso per dono
divino: messe senza seminagione, frutto senza seme, tanto dolce, tanto grato che
allieta e ristora anche chi è sazio. Elargito per il pranzo, resta anche per la
cena.
Ambrogio,
Esamerone,
3, 28
11.-Il
digiuno giova alla salute
Non scusarti con l’infermità o la debolezza del corpo. Non raccontarlo a me,
questo pretesto, ma a chi sa bene le cose. Dimmi: non puoi digiunare? E invece
riempirti per tutta la vita, aggravare il corpo col peso dei cibi, lo puoi? Ma
agli ammalati so che i medici prescrivono non cibi vari, bensì astinenza e
digiuno. Perché dunque se puoi fare tanto, per quali motivi ti scusi di non
poter digiunare? Che è più facile per il ventre? Trascorrere la notte con un
cibo leggero, o giacere aggravato dalla quantità di cibo? O meglio, non giacere,
ma rigirarsi
di
qua e di là, gonfio da scoppiare? A meno che tu non voglia dire che per i
marinai è più facile salvare una nave appesantita dal carico, piuttosto che un
vascello maneggevole e leggero. La nave molto carica affonda anche per una
mareggiata molto lieve; quella invece il cui carico è moderato, supera
facilmente i flutti, perché nulla le impedisce di galleggiarvi sopra. Così anche
il corpo umano continuamente aggravato dalla sazietà diventa facilmente preda
delle malattie; se invece si accontenta d’un cibo semplice e leggero, non solo
sfuggirà i guai delle malattie che sovrastano come una tempesta, ma darà di
cozzo contro l’indisposizione già presente, come i flutti contro uno scoglio.
Certo, secondo te è più pesante riposare che correre, e starsene in ozio più che
combattere: quindi per gli ammalati ritieni più opportuno gozzovigliare che
seguire una dieta semplice. L’energia fisiologica del vivente invece, assimila
con facilità un vitto parco e moderato, e lo rende carne di colui che se ne
nutre; ma se è sopraffatta dalla varietà e dalla sontuosità delle vivande e non
è in grado di sopportarle, dà luogo a una quantità di malattie.
Basilio il Grande,
Omelia sul digiuno,
4
12.-Il digiuno accentua il gusto dei cibi
Il digiuno è occasione di letizia. Come infatti la sete rende dolce la bevanda e
la fame rende appetitosa la mensa, così il digiuno condisce il piacere dei cibi.
Si pone in mezzo, interrompe la continuità nel piacere del cibo, e fa che la sua
degustazione, perché interrotta, ti appaia più desiderabile. Perciò, se vuoi
prepararti una mensa gustosa, accetta di intercalarla col digiuno. Ma tu,
dandoti troppo al piacere, te lo rendi, senza avvedertene, insipido, e per
troppo gusto sopprimi il gusto. Nulla infatti è tanto desiderabile da non
diventar mai nauseante per la continua degustazione. Ma ciò che si ha raramente,
lo gustiamo con avidità. Cosi colui che ci ha creati ha provveduto che i suoi
doni ci fossero sempre grati per il loro continuo variare nella vita. Non vedi
che il sole è più raggiante dopo la notte? Che la veglia è più serena dopo il
sonno? E la salute è più apprezzata dopo che si è sperimentato il contrario? E
così la mensa è più lieta dopo il digiuno: sia per i ricchi che mangiano bene,
sia per coloro il cui cibo è semplice e frugale.
Basilio il Grande, Omelia sul digiuno, 8
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
17 febbraio 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net