Le
antiche Costituzioni
dell’Ordine
dei Frati Predicatori
(1215-1237)
Estratto da “La
vita quotidiana di un convento medievale”,
di Pietro Lippini O.P.-
Edizioni Studio Domenicano, 2003
(Digitalizzato da
Google Books)
Nell’anno 1228
dall’Incarnazione del Signore si radunarono a Parigi nel convento di S. Giacomo,
insieme col Maestro del nostro Ordine Giordano, gli otto Priori provinciali,
accompagnati ciascuno da due Definitori, deputati a questo ufficio dai
rispettivi Capitoli provinciali. A questi rappresentanti tutti i frati con voto
unanime avevano delegati pieni poteri per prendere qualsiasi decisione, sia per
fare nuove leggi che per abolire le vecchie. Avevano dato loro anche il mandato
di determinare se le loro mutazioni, aggiunte e soppressioni dovessero avere un
valore talmente stabile e permanente, che anche in seguito non fosse lecito a
chicchessia, qualunque fosse la sua autorità, cambiare qualcosa di quanto essi
avessero stabilito in Capitolo, ma dovesse avere una durata perpetua.
I suddetti Priori, dunque,
coi loro Definitori, dopo aver invocata l’assistenza dello Spirito Santo e aver
diligentemente vagliate le cose, per il bene, l’onore e la conservazione
dell’Ordine fecero concordemente e unanimemente alcune leggi che decisero di
inserire al posto giusto fra le altre Costituzioni. Ne fecero però altre che
vollero fossero osservate integre e immutate in perpetuo: quelle cioè di non
accettare assolutamente proprietà e redditi, di non accettare ricorsi, e che i
Definitori nelle loro definizioni non portassero pregiudizio ai diritti dei
Provinciali né questi a loro. Ne fecero anche altre che vollero anch’esse
immutabili, ma solo nel senso che esse, per andare incontro a eventuali nuove
necessità e circostanze dettate dal mutare dei tempi, potessero venire
parzialmente mutate, ma solo per decisione di un Capitolo consimile. Si trana
della regola di non fare costituzioni senza l’approvazione di tre Capitoli
generali, di non andare a cavalo, di non portare con sé denaro, di non mangiare
came se non per motivi di malattia.
Fu però concesso che in
queste ultime norme il superiore secondo le circostanze di tempo e di luogo
avesse facoltà di dispensare.
COMINCIANO LE CONSUETUDINI
DEI FRATI PREDICATORI
Siccome la Regola ci comanda di avere «un cuor solo e un’anima sola» nel
Signore, è giusto che noi, che viviamo sotto una medesima Regola e siamo legati
col voto di una medesima professione, ci comportiamo uniformemente
nell’osservanza della vita canonicale, affinché l’uniformità osservata
esteriormente nel modo di vivere alimenti e sia segno dell’unità che deve essere
conservata interiormente nei cuori. Orbene, senza dubbio questa uniformità si
potrà avere e tenere a memoria con più precisione e fedeltà se le cose che
dobbiamo fare verranno affidate allo scritto, in modo che mediante un testo sia
noto a tutti come ci si deve comportare e a nessuno sia lecito di propria
iniziativa aggiungere o mutare o togliere qualcosa; affinché non accada che
trascurando le pur minime cose, un po’ alla volta non si vada alla deriva.
Tuttavia in queste cose il superiore abbia nel suo convento la facoltà di
dispensare i frati tutte le volte che gli sembrerà opportuno, specialmente in
ciò che sembri impedire lo studio, la predicazione e il bene delle anime: poiché
si sa che il nostro Ordine è stato istituito fin dal suo inizio principalmente
per la predicazione e la salvezza delle anime. Di conseguenza, ogni nostro
impegno deve tendere principalmente con ardore e con ogni sforzo a renderci
capaci di essere utili alle anime del prossimo. E i Priori potranno usufruire
delle dispense come gli altri frati.
E
per meglio provvedere all’unità e alla pace di tutto l’Ordine, vogliamo e
dichiariamo che le nostre Costituzioni non ci obblighino a colpa ma soltanto
alla pena, a meno che non si tratti di un precetto o di trasgressione fatta con
disprezzo.
Quanto a questo libro, che intitoliamo
Libro delle Consuetudini e che
abbiamo redatto con cura, lo dividiamo in due Distinzioni. La prima tratta di
come si devono comportare i frati nel convento, sia di giorno che di notte, di
quello che devono fare i novizi, gli ammalati e quelli che hanno subito un
salasso, tratta inoltre del silenzio e delle colpe. Nella seconda Distinzione si
tratterà invece dei Capitoli provinciale e generale, dello studio e della
predicazione. Le due Distinzioni le abbiamo poi suddivise in capitoli, dando a
ciascuno un titolo, affinché quando un lettore ne fa ricerca, li possa trovare
senza difficoltà.
COMINCIA LA PRIMA DISTINZIONE
Al
primo segno i frati si alzino recitando, a seconda dei tempi, il Mattutino della
Beata Vergine. Finito questo, quando i frati giungono in coro facciano
l’inclinazione profonda davanti all’altare. E quando saranno al loro posto, al
segno del superiore dicano il
Pater noster e il
Credo in ginocchio o in
inclinazione profonda a seconda dei tempi. Poi, a un nuovo segno del Priore si
alzino. In tal modo, dopo aver cominciata devotamente l’Ora, si voltino verso
l’altare facendosi il segno della croce; e al
Gloria Patri si inclinino
profondamente coro contro coro o, a seconda dei tempi, si prostrino fino al
Sicut erat.
E
ciò facciano tutte le volte che vengono detti il
Pater noster e il
Credo in Deum, tranne che durante
la Messa, e prima delle letture e alle preghiere di ringraziamento. Lo si faccia
invece anche al primo
Oremus della Messa, al
postcommunio, agli
oremus per la Chiesa e di ogni
Ora e al
Gloria Patri iniziale di ogni
Ora. A tutti gli altri
Gloria Patri, all’ultima strofa
degli inni e al penultimo versetto del cantico
Benedicite, si faccia invece
l’inclinazione fino alle ginocchia; così pure al
Suscipe deprecationem nostram
quando si canta il
Gloria in excelsis Deo e durante
il Credo della Messa al-
YHomo factus est. E similmente
alla benedizione prima delle letture, al
Capitolo, alla preghiera
Sancta Maria e in ogni altra
preghiera quando viene nominato il nome della Beata Vergine.
Al
Salve, sancta Parens e al
Veni Sancte Spiritus ci ingi-
nocchiamo. Nei giorni feriali resteremo in prostrazione dal
sanctus fino all’Agnus.
Invece, nelle feste di tre o di nove lezioni, resteremo prostrati alla stessa
maniera dalla elevazione del Corpo di Cristo fino al
Pater noster. Ci prostreremo fino
a terra anche in tutti i giorni feriali quando celebriamo la Messa della Croce,
non però quando si dice quella della Beata Vergine e dello Spirito Santo.
Incominciata dunque l’Ora
nel modo sopraddetto, dopo aver fatta la inclinazione al
Gloria che segue il
Venite, i due cori si voltino
l’uno verso l’altro e al primo salmo uno dei due si metta a sedere, mentre
l’altro resta in piedi. E così si alternino fino al
Laudate Dominum de coelis. E così
si faccia a tutte le
Ore.
Al
termine del Mattutino si tenga il
Capitolo, che però a giudizio del
superiore qualche volta potrà essere tenuto dopo
Prima o addirittura omesso,
affinché non resti impedito lo studio.
Quando la comunità sarà entrata nella sala del Capitolo, il lettore legga la
luna e le altre notizie del calendario e il sacerdote prosegua dicendo
Pretiosa, ecc. Poi, mentre i frati
si siederanno, il lettore si accinga a leggere, a seconda dei tempi, un brano
delle nostre leggi o del Vangelo. Prima però chieda la benedizione con il
Jube domne, cui l’ebdomadario
risponderà con il
Regularibus disciplinis, oppure, a
seconda dei tempi, con
Divinum auxilium. Data
l’assoluzione per i defunti, colui che presiede il Capitolo dica
Benedicite; e risposto
Dominus, tutti si inchinino. Poi
recitate le preci per i benefattori e detto dal Priore
Retribuere dignare ecc., la
comunità reciti i salmi
Ad te levavi e De profundis,
il
Kyrie eleison e
il
Pater.
Dopo i tre versetti:
Oremus pro Domino Papa, Salvos fac servos tuos
e
Requiescant in pace,
l’ebdomadario recita le tre orazioni:
Omnipotens sempiteme Deus qui facis, Praetende
e
Fidelium Deus;
e i frati si siedono.
A
questo punto il superiore potrà fare brevemente quei richiami che gli
sembreranno opportuni sulla condotta e per la correzione dei frati. Dopo di che
i novizi si ritireranno. Usciti loro, dirà:
Quelli che si ritengono colpevoli, facciano la
venia. E subito coloro che si ritengono colpevoli, faranno la
venia, stesi sul pavimento. Dopo di che, rialzatisi, accusino umilmente le
proprie colpe; e coloro le cui colpe meritano correzione, si dispongano a
riceverla dal Priore o da un suo incaricato.
In
Capitolo i frati parlino solo per due motivi: per dire con semplicità le colpe
proprie e degli altri e per rispondere alle domande dei superiori. Nessuno però
intervenga ad accusare un altro solo basandosi su sospetti. E quando il
superiore impone qualche preghiera comune, tutti si inchinino; e la stessa cosa
facciano coloro ai quali viene comandato di fare o di dire qualcosa. Se poi a
qualcuno viene comandata una obbedienza o imposto un ufficio o un ministero,
accetti facendo la
venia.
Finite le accuse, si dica il salmo
Laudate Dominum om- nes gentes col
versetto
Ostende nobis Domine, il
Dominus vobiscum e l’oremus
Actiones nostras, ecc. Infine il
Priore conclude con
YAdiutorium nostrum. E così
termina il Capitolo.
3
- Proibito
l'ingresso alle donne
Le
donne non devono mai entrare nel chiostro né nelle nostre sale di lavoro né in
coro, tranne che in occasione della consacrazione della chiesa. Il Venerdì Santo
potranno però entrare nel coro fino all’ora dell’ufficio. Ma è nella chiesa dei
laici o, se fuori di essa, in un luogo stabilito, che il Priore parlerà loro di
Dio e di cose spirituali.
4
- Le Ore e
il modo di recitarle
I
nostri frati partecipino sempre comunitariamente al mattutino, alla Messa, alle
altre Ore canoniche e anche ai pasti: a meno che il superiore non ne dispensi
qualcuno.
Le
Ore vengano tutte recitate nella chiesa con una certa brevità e sveltezza, in
maniera tale che i frati non perdano la devozione né che il loro studio venga
minimamente impedito. Intendiamo con ciò che, sia a metà del verso che alla
fine, si osservi il ritmo con la pausa senza trascinare la voce, ma - come si è
detto - si termini brevemente e con prontezza. E questo venga osservato più o
meno a seconda dei tempi liturgici.
Similmente, non si termini mai la Messa con l’Alleluja.
Confermiamo tutto l’ufficio, sia notturno che diurno e vogliamo che sia da tutti
osservato con uniformità, in maniera che a nessuno in futuro sia lecito portare
innovazioni.
Da
Pasqua fino alla festa della S. Croce i frati avranno due pasti, eccettuati i
venerdì, i giorni delle Rogazioni e delle Quattro Tempora e le vigilie di
Pentecoste, di S. Giovanni Battista, dei SS. Pietro e Paolo, di S. Giacomo, di
S. Lorenzo, dell’Assunzione di Santa Maria e di S. Bartolomeo.
Dalla festa della S. Croce fino a Pasqua, a eccezione delle domeniche,
osserveremo digiuno continuo e mangeremo dopo aver detta
Nona.
Useremo inoltre cibi quaresimali durante tutto l’Avvento e la Quaresima, nei
giorni di digiuno delle Quattro Tempora, nelle vigilie dell’Ascensione, di
Pentecoste e dei Santi Giovanni, Pietro e Paolo, Matteo, Simone, Giuda e Andrea
e di Tutti i Santi e in tutti i venerdì dell’anno, a eccezione del venerdì in
cui eventualmente cadesse il Natale del Signore.
Con
qualcuno si potrà però far uso della dispensa o per il lavoro che fa o perché si
trova in luoghi dove si usa mangiare diversamente o vi ricorre la festa
principale.
Tuttavia coloro che sono in viaggio potranno mangiare due volte al giorno,
tranne che durante l’Avvento e la Quaresima e nei giorni dei principali digiuni
stabiliti dalla Chiesa.
A
ora conveniente, prima del pranzo e della cena il sagri- sta suoni alcuni tocchi
di campana per permettere ai frati di giungere alla refezione puntualmente. Poi,
se il cibo è già pronto si suoni il cembalo, altrimenti si attenda fino a che
non sia pronto. Dopo che i frati si saranno lavate le mani, il Priore suoni la
campanella del refettorio e solo allora i frati vi faranno ingresso. Una volta
entrati, suonata di nuovo la campanella, il versicolario dica
Benedicite e la comunità prosegua
nella benedizione della mensa. Dopo di che si inizi a mangiare.
I
servitori nel servire comincino dagli inferiori, proseguendo gradualmente fino
alla tavola del Priore. Nessuno dei frati presenti in convento si assenti senza
permesso dalla prima mensa, tranne i servitori e i sorveglianti. Quelli che non
erano presenti mangino tutti alla seconda mensa, in maniera che non se ne debba
fare una terza.
Non
si faccia alcun piatto straordinario per i servitori e i cucinieri che non venga
passato anche alla comunità, a meno che non si tratti di ammalati o di coloro
che hanno fatto il salasso. I Priori mangino anch’essi in refettorio e si
accontentino del cibo della comunità. Facciano lo stesso gli infermieri, gli
addetti all’accoglienza degli ospiti, i cucinieri e gli altri frati: a meno che
il Priore per qualche ragione non abbia dispensato qualcuno concedendogli di
mangiare fuori della comunità. Se poi i Priori si ammalano, si provveda loro
nell’infermeria come agli altri frati.
Eccettuato il Priore, nessun frate invii ad altri il suo piatto supplementare:
può però passarlo ai due frati che gli stanno a fianco.
Le
vivande nei nostri conventi siano ovunque senza carne.
Tuttavia, per non essere di peso a chi li ospita, sia lecito ai nostri frati,
quando mangiano fuori convento, di avere portate con carne. I nostri frati,
però, siano essi Priori o no, nei luoghi dove abbiamo un nostro convento non si
permettano di mangiare fuori, se non coi vescovi e in case religiose: e anche
ciò di rado.
Se è
possibile i frati abbiano ogni giorno due portate cotte. Ma il Priore potrà
anche aggiungerne a seconda delle circostanze e delle possibilità economiche. Se
qualcuno si accorge che al suo vicino manca qualcosa che gli altri hanno, ne
faccia richiesta al servitore o al refettoriere. Se poi qualcuno
dei servitori o di coloro che
mangiano, servendo o mangiando
avrà commesso qualcosa di sconveniente, quando i frati si
alzeranno da tavola faccia la
venia e torni al suo posto solo
dopo il segno del superiore. Chi
vorrà bere fuori pasto, ne chieda il permesso al superiore e si faccia
accompagnare da un altro.
Un
permesso richiesto a un superiore non venga chiesto a un altro, se non dopo aver
spiegato il caso. E se
è stato chiesto a un superiore
maggiore, non lo si richieda all’inferiore.
9
- La
refezione serale e la Compieta
Nei
tempi di digiuno il sagrista a ora opportuna dia il segno per la refezione
serale. E quando i frati si saranno radunati, al segno del Priore il lettore
faccia la lettura dopo aver premesso
Jube, domne, benedicere, cui segue
la benedizione
Noctem quietam ecc. Durante la
lettura i frati possono bere, dopo però il segno del Priore e il
Benedicite detto dal lettore e la
benedizione
Largitor omnium bonorum impartita
dall’ebdomadario. Finita la lettura, chi presiede dica
Adiutorium nostrum ecc., poi i
frati entrino in chiesa in silenzio.
Nei
tempi invece che non sono di digiuno, la lettura
Fra- tres sobrii estote che
precede la Compieta, si legga in chiesa. Poi si faccia la confessione e al
termine della Compieta chi presiede dia la benedizione e l’ebdomadario asperga
con l’acqua benedetta. Poi venga detto il
Pater noster e il
Credo in unum Deum : cosa questa
che va fatta anche prima del
Mattutino e di
Prima.
10 - I letti
I
nostri frati non dormano su materassi, tranne nel caso che per dormire non
possano avere pagliericci o qualcosa di simile. Dormano rivestiti della tunica e
con le calze. È loro permesso di dormire su strame di paglia, su coperte di lana
e su sacconi.
Fuori convento, però, per non mettere in difficoltà chi li ospita, potranno
dormire su come è stato loro preparato. Se però sarà il frate a chiedere un
materasso, digiuni per un giorno a pane e ad acqua.
Eccettuato il Maestro dell’Ordine, nessuno che possa dormire in dormitorio con
gli altri abbia per dormire un luogo speciale, a meno che non gli sia dato per
custodire le cose. Per i Lettori i Priori tuttavia provvedano a loro
discrezione.
Il
superiore abbia molta cura degli ammalati. Deve infatti trattarli in maniera che
essi - come dice il nostro padre Agostino - «possano presto ristabilirsi».
Alcuni di essi, nella misura che lo esiga la loro infermità, a giudizio del
superiore, potranno anche mangiare carne.
Se
però qualcuno avrà una malattia che non lo debilita molto né gli toglie
l’appetito - come sono, ad esempio, un gonfiore o una ferita alle membra o
qualcosa del genere - non dorma su un materasso né si esima dai consueti digiuni
né prenda cibi speciali in refettorio. Studi invece o lavori secondo quanto gli
verrà comandato dal superiore.
Nei
nostri conventi, poi, ci siano soltanto due luoghi destinati ai pasti dei deboli
e degli ammalati: uno dove si può consumare carne e l’altro no, a meno che non
ci sia una necessità evidente o una malattia urgente. Similmente gli altri frati
non mangino se non nel comune refettorio o nella parte della casa destinata agli
ospiti.
I
nostri frati ammalati nei luoghi dove abbiamo un convento non mangino carne
fuori di esso.
Il
salasso si faccia quattro volte all’anno: la prima nel mese di settembre, la
seconda dopo Natale, la terza dopo Pasqua, la quarta verso la festa di S.
Giovanni Battista. Oltre a questi, nessuno si permetta di farsi altri salassi, a
meno che il Priore, a suo giudizio, per un particolare motivo non abbia
giudicato diversamente.
Quando ciò può essere fatto senza inconvenienti, coloro che si sono fatti il
salasso mangino in silenzio fuori del refettorio e, se la casa se lo può
permettere, vengano trattati nel cibo in maniera speciale. Ma a causa del
salasso non mangino carne.
Il
Priore affidi i novizi per la loro formazione a un Maestro diligente, che li
istruisca nella vita regolare, li stimoli alla preghiera e, per quanto sta in
lui, si sforzi di emendarli con la parola e con i gesti ovunque si comportino
negligentemente. Infine, per quanto può, procuri loro il necessario. Per le
mancanze esterne, quando gliene chiedono scusa, potrà infliggere loro una
penitenza e proclamarli nel loro proprio Capitolo.
Insegni loro l’umiltà del cuore e del corpo e si sforzi di educarli in questa
virtù, in base a quel detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore».
Insegni loro anche a confessarsi frequentemente con sincerità e discrezione, a
vivere senza possedere nulla e a preferire alla propria volontà quella del
superiore, osservando in tutto l’obbedienza volontaria. Li istruisca su come
debbono comportarsi in ogni luogo e in ogni cosa: come debbono tenere il posto
loro assegnato, come debbono fare l’inchino a chi dia loro e chieda loro
qualcosa o rivolga loro parole in bene e in male, come debbano comportarsi nei
luoghi comuni, come non debbano tenere gli occhi troppo dissipati, in che modo e
quali preghiere dire e come dirle sottovoce per non disturbare gli altri.
Insegni pure loro che, quando vengono ripresi dal superiore, subito debbono
chiedergli venia; non debbono permettersi di contendere con chicchessia ma
devono obbedire in tutto al proprio maestro.
Deve
anche insegnare loro che durante la processione nel chiostro devono stare in
linea col compagno di fianco; non parlare nei luoghi e nei tempi proibiti e che
quando ricevono qualche indumento da qualcuno devono inchinarsi profondamente,
dicendo: «Benedetto il Signore nei suoi doni,.. Non giudichino assolutamente
nessuno; ma se anche vedessero qualcuno fare qualcosa da loro giudicata
malfatta, la pensino buona o per lo meno compiuta con buona intenzione, perché
il giudizio umano spesso si inganna. Mostri anche loro come devono fare la
venia quando in Capitolo o in
qualsiasi altro luogo siano ripresi; come darsi spesso la
disciplina:, come di un assente
non devono parlare se non in bene; come si deve bere a due mani e da seduti e
come devono custodire con cura i libri, le vesti e le altre cose del monastero.
Insegni infine loro a esser applicati allo studio in maniera tale, che di giorno
e di notte, in casa o per strada leggano o meditino sempre qualcosa, sforzandosi
di ritenere a mente tutto ciò che potranno; e come a suo tempo dovranno poi
essere zelanti nella predicazione.
Coloro che vengono da noi per essere accolti nell’Ordine, nel giorno fissato
dalla prudenza del superiore o di alcuni anziani, vengano condotti in Capitolo.
Ivi giunti, si prostrino nel mezzo e al superiore che chiederà loro che cosa
domandano, rispondano:
La misericordia di Dio e la vostra.
Ad essi poi, rialzatisi a un suo cenno, il superiore esporrà le austerità
dell’Ordine, chiedendo infine qual è la loro volontà. Che se risponderanno di
voler osservare le cose esposte e di rinunciare al mondo, egli aggiunga :
Il Signore che ha iniziato quest'opera,
la
conduca a termine; e la comunità
risponda:
Amen. A questo punto, dopo aver
deposti gli abiti secolari e aver indossato quello religioso, vengono ammessi in
capitolo nel novero della comunità, anche se, prima di promettere di farne parte
stabilmente e di far voto di obbedienza al superiore e ai suoi successori viene
loro assegnato un tempo di prova.
Nessuno venga accettato senza che gli sia stato chiesto se è sposato, se è
schiavo, se è indebitato, se è legato da professione a qualche altro Ordine
religioso o abbia qualche malattia occulta. Che se risulterà appartenere a un
altro Ordine, non venga accolto nel nostro senza il consenso del Capitolo
provinciale o generale. I Cistercensi non vengano accettati se non con speciale
permesso del Papa.
Il
Priore conventuale non ammetta nessuno né come converso né come canonico se non
dopo aver chiesto e ottenuto il consenso di tutto o della maggior parte del
Capitolo.
Nessuno venga accettato prima dei diciotto anni. In ogni convento, poi, vengano
scelti col parere del Capitolo tre frati idonei per esaminare i vestiendi sulla
loro condotta e sul loro grado di istruzione. Essi ne riferiranno al Priore e al
Capitolo, rimettendo al loro giudizio se ammetterli o no.
15 -
Il noviziato
Affinché il novizio possa sperimentare le austerità dell’Ordine e i frati il suo
modo di vivere, stabiliamo che la durata del noviziato sia di sei mesi o più
lunga a giudizio del superiore, a meno che qualche postulante maturo e prudente
non voglia rinunciarvi e offrirsi per fare subito la professione.
I
novizi prima della professione saldino i loro debiti e depongano tutti i loro
averi ai piedi del Priore, in modo da spogliarsene totalmente.
A
nessuno sia garantito l’uso di certi libri, per cui egli poi si possa inquietare
se gli vengono sottratti o vengono dati in uso a un altro.
Tutti i nostri frati una volta all’anno facciano un inventario di tutte le cose
loro affidate, da mostrare ai Priori, mettendo tutto a loro disposizione.
I
novizi durante il noviziato vengano diligentemente istruiti nella salmodia e
nella recita dell’ufficio. Prima della professione si accostino alla confessione
e vengano istruiti per bene sul modo di confessarsi e nelle altre cose.
Non
intervengano al Capitolo né, dove ciò è possibile, dormano nello stesso
dormitorio degli altri frati. Ma il loro Maestro ascolti le loro mancanze fuori
del Capitolo e, per quanto potrà, li istruisca diligentemente sul modo di
comportarsi e li corregga caritatevolmente.
I
novizi, siano essi chierici o laici, durante l’anno di noviziato non siano
mandati in paesi lontani se non in caso di necessità, né vengano occupati in
qualche ufficio, né i loro vestiti secolari vengano venduti, né vengano ammessi
agli Ordini prima della professione.
16- Modo di fare la
professione
Il
modo di fare la professione è questo: «lo N. faccio professione e prometto
obbedienza a Dio, alla Beata Maria e a te N. Maestro dell’Ordine dei Predicatori
e ai tuoi successori, secondo la Regola del beato Agostino e le Costituzioni dei
frati dell’Ordine dei Predicatori: sarò obbediente a te e ai tuoi successori
fino alla morte».
Ma
quando la si fa a un altro Priore, qualunque egli sia, la si fa in tal modo: «lo
N. faccio professione e prometto obbedienza a Dio, alla Beata Maria e a te N.
Priore di tale luogo, che rappresenti N., Maestro dell'Ordine dei Predicatori e
i suoi successori, secondo la Regola del beato Agostino e le Costituzioni dei
frati dell'Ordine dei Predicatori: sarò obbediente a te e ai tuoi successori
fino alla morte».
Le
vesti dei novizi, o per lo meno lo scapolare, quando fanno la professione
vengano benedette.
I
nostri frati osservino il silenzio nel chiostro, nel dormitorio, nelle celle, in
refettorio e in coro. In questi luoghi potranno dire solo qualche parola
sottovoce, non però fare una conversazione completa; negli altri luoghi potranno
parlare ma con speciale permesso.
Durante la mensa, sia in refettorio che fuori, osservino il silenzio tutti i
frati, sia i Priori che gli altri, eccettuato colui che fra essi è il superiore
oppure colui al quale egli abbia dato facoltà di parlare al suo posto. Ma in tal
caso egli taccia. Se poi qualcuno avrà mancato a questo silenzio di proposito o
dato ad altri occasione di parlare, per una volta durante un pranzo non berrà
che acqua, e non ne sia dispensato, e riceva pubblicamente la disciplina in
Capitolo.
Da
queste disposizioni sono esenti gli ammalati degenti. Ma quelli non degenti
osservino il silenzio dal pranzo fino al Vespro e dal segno che si dà dopo
Compieta. Osservino queste disposizioni dopo il primo giorno anche coloro che
hanno fatto il salasso.
Per
l’infrazione del silenzio le pene sono queste: per la prima volta un
Miserere mei e un
Pater noster; così per la seconda
volta. Per la terza volta si riceva la
disciplina, e la stessa cosa per
la quarta, la quinta e sesta volta. Ma per la settima i colpevoli stiano un
giorno a pane e ad acqua, seduti per terra, durante il pranzo ma non alla cena.
Dopo la settima infrazione non si continui a contare, ma si ricominci il computo
da zero. Tutto ciò si intende fra due Capitoli, in maniera che le infrazioni si
comincino a computare tra un Capitolo e il successivo. Questa pena della
disciplina i frati potremo darsela da soli o riceverla con gli altri dopo
Compieta. Se poi ne resta qualcuna, potranno riceverla quando si celebra il
Capitolo.
Se
qualcuno avrà in qualche modo scandalizzato un confratello, si prostri in venia
ai suoi piedi fino a quando egli, rappacificato, non lo faccia rialzare.
I
nostri frati, ovunque sarà possibile osservare questa regola, portino vestiti di
lana non rasata. Dove invece questo non è possibile, usino vestiti di stoffa
volgare. Soprattutto poi si osservi la povertà nelle cappe. Non usino biancheria
di lino alle carni, neppure gli ammalati; e il lino sia eliminato dalle nostre
infermerie. Non usino più di tre tuniche e in inverno una pelliccia di montone
che deve essere portata sempre sotto la tonaca. E se non fanno uso della
pelliccia, non ne abbiano più di quattro. Non usino però pellicce di animali
selvatici né mantelli di qualsiasi tipo di pelle.
È
sufficiente che le tonache scendano fino al collo del piede. La cappa e la
pelliccia siano più corte. Gli scapolari scendano fino a coprire le ginocchia.
Porteremo calze e calzature da casa secondo le necessità e per quanto lo
permettono le possibilità del convento. Non avremo né stivali né guanti. Non si
portino pantofole fuori convento.
La
parte superiore della rasura non sia troppo ridotta, come conviene a dei
religiosi, ma sia tale che fra essa e le orecchie non ci siano più di tre dita.
La tonsura cominci sopra le orecchie.
Rasura e tonsura si facciano in questi tempi: la prima a
Natale, la seconda fra Natale e la
Purificazione, la terza per la Purificazione, la quarta fra la Purificazione e
Pasqua, la quinta il Giovedì Santo, la sesta fra la Pasqua e la Pentecoste, la
settima a Pentecoste, l’ottava fra la Pentecoste e la festa dei Santi Pietro e
Paolo, la nona per la loro festa, la decima per la festa di S. Maria Maddalena,
l’undicesima per l’Assunzione di Maria, la dodicesima per la sua nascita, la
tredicesima per la festa di S. Dionigi, la quattordicesima per la festa di Tutti
i Santi, la quindicesima per la festa del Sant’Andrea.
QUESTE
SONO LE COLPE LIEVI:
Quando ci si trova in convento o nei paraggi non troncare prontamente, appena
uditone il segnale, ogni altra occupazione per prepararsi per tempo, secondo
quanto prescrive la Regola, a recarsi in chiesa ordinatamente e senza correre.
Non
compier con attenzione la lettura o il canto assegnato.
Disturbare il coro con l'intonare male un responsorio o un’antifona.
Non
umiliarsi subito davanti a tutti quando in coro, leggendo o cantando, si è
commesso uno sbaglio.
Non
essere puntuali a tornare in convento all’ora stabilita o causandovi qualche
disturbo o disordine.
Non
intervenire alla mensa con gli altri e non essere presenti alla rasura comune.
Fare
qualche rumore in dormitorio.
Attardarsi fuori convento quando si ha avuto il permesso di uscirne.
Lasciare cadere per negligenza la stola, o il manipolo, o il corporale, o i lini
che si usano per portare il calice o ricoprire la patena.
Non
riporre nel luogo stabilito e in buon ordine le vesti e i libri o trattarli
negligentemente.
Rompere o perdere qualcuno degli utensili.
Versare qualche bevanda.
Non
provvedere per negligenza che ci sia il libro da leggere in refettorio, o in
capitolo o al colloquio spirituale.
Quando si è designati a leggere durante la mensa, tralasciare di chiedere la
benedizione o dire o far qualcosa che scandalizzi i frati.
Fare
un gesto reprensibile o rendersi singolari in qualcosa.
Prendere una bevanda o qualche cibo senza la benedizione.
Parlare con dei parenti, o con persone giunte in convento, per ricavarne notizie
all’insaputa e senza il permesso del superiore.
Dormire a scuola durante le lezioni, leggere libri proibiti, disturbare gli
insegnanti e i loro uditori e, andando a predicare, dire o fare cose oziose.
Ridere sguaiatamente o far ridere gli altri con scherzi, giochi, parole o fatti.
Non
essere ancora presenti in coro al
Gloria del primo salmo e non
chiederne venia davanti ai gradini dell’altare.
Per
ciascuna di queste colpe, a chi ne chiede venia venga data come penitenza la
recita di un salmo.
Le colpe medie sono queste:
Essere assenti per negligenza all’inizio del Capitolo delle vigilie
dell’Annunciazione e del Natale, allorché, mentre vengono annunciati gli inizi
della nostra redenzione, se ne deve render grazie col cuore e col corpo a Dio
redentore.
Se
in coro, invece che stare attenti all’ufficio, con il vagare degli occhi e con
la scompostezza dei gesti si dimostra di essere distratti.
Non
prepararsi opportunamente alla lettura.
Non
eseguire un precetto comune o permettersi di cantare o di leggere cose fuori
dell’uso.
Ridere o far ridere in coro.
Non
intervenire al Capitolo o al colloquio spirituale o essere assenti alla
refezione comune.
Trascurare, se non se ne è impossibilitati, di prendere la benedizione entro
un’ora dal rientro da un viaggio, o uscire dal convento senza richiederla quando
si tratta di un viaggio non breve e che richieda di soggiornare fuori per più di
una notte.
Proclamare nello stesso giorno, quasi a mo’ di vendetta, colui dal quale si è
stati proclamati o fare una proclamazione basandosi su un giudizio temerario.
Affermare o negare qualcosa, a mo’ di intercalare, facendo giuramento.
Fare
uso di parole turpi e futili o, quel che è più grave, averne l’abitudine.
Ogni
negligenza riscontrata nei riguardi del loro ufficio in coloro che ne sono
incaricati: i Priori nel governare il loro convento, i docenti nell’insegnare,
gli studenti nello studiare, gli scrittori nello scrivere, i cantori nel loro
ufficio, gli economi nel procurare le cose materiali, il vestiario nel
provvedere, custodire e riparare i vestiti, l’infermiere nel curare gli
ammalati, nel provvedere ai loro bisogni e nel fare quanto è necessario dopo la
loro morte; e tutti gli altri nei loro uffici secondo gli ordini ricevuti.
Avere l’abitudine, quando si è in viaggio per i paesi e la campagna, di vagare
con gli occhi, osservando spettacoli futili.
Prendere per sé gli indumenti o altre cose date e concesse a un altro frate,
senza avergliene chiesto il permesso.
Non
intervenire insieme con gli altri alle lezioni nei tempi stabiliti.
A
coloro che sono stati proclamati per le suddette mancanze e ne avranno chiesto
venia, si imponga come penitenza la recita di uno o due salmi o la disciplina
con un salmo o qualcosa di più secondo il giudizio del Priore.
È
UNA COLPA GRAVE:
Disputare violentemente con un altro in presenza di secolari.
Litigare con un altro frate dentro o fuori convento.
Quando si giunge in un luogo dove ci sono donne, fissare in loro lo sguardo, per
lo meno quando questo lo si fa per abitudine.
Essere sorpresi a dire una bugia intenzionale.
Avere l’abitudine di non osservare il silenzio.
Difendere la propria colpa o quella di un altro.
Seminare la discordia tra i frati.
Pronunziare con malizia delle minacce, delle maledizioni o delle parole
offensive e indegne di religiosi contro colui dal quale si è stati proclamati, o
contro chiunque altro.
Ingiuriare un confratello.
Rinfacciare a un confratello una colpa passata da lui ormai riparata.
Essere scoperti a mormorare o a calunniare.
Propalare con malizia nei riguardi dei padri, dei frati e dei loro conventi
delle cattiverie che non si possono provare con la testimonianza dei loro frati.
Andare a cavallo senza permesso e senza necessità, o mangiare carne, o parlare
da solo con una donna di cose non riguardanti la confessione o utili e oneste, o
rompere senza causa né permesso i consueti digiuni.
Per
queste colpe o per colpe simili, coloro che hanno chiesto venia senza esserne
stati proclamati vengano ripresi per tre volte in Capitolo e per tre giorni
digiunino a pane e ad acqua. Se invece sono stati proclamati, si aggiungano una
correzione e un giorno di digiuno. Del resto il superiore a sua discrezione,
secondo la qualità delle colpe, potrà sempre dare come penitenza dei salmi e
fare delle correzioni aggiuntive.
Sono
meritevoli delle stesse pene coloro che, mandati in missione, si permetteranno
di rientrare in convento senza il permesso del Priore oppure si saranno
attardati oltre il tempo loro assegnato.
Se
qualcuno mormorerà del cibo o del vestito o di qualsiasi altra cosa, sostenga la
medesima penitenza e per quaranta giorni sia privato di quel genere di cibo o di
bevanda o di quell’indumento del quale aveva mormorato.
È
una colpa più grave disobbedire ostinatamente al proprio superiore o con aperta
ribellione, oppure osando opporglisi interiormente ed esteriormente con
insolenza; come pure percuoterlo e commettere crimini capitali, quali sono ad
esempio il furto, il sacrilegio e cose del genere.
Quando uno ne viene proclamato e convinto, si alzi spontaneamente e faccia la
venia deplorando la gravità della sua colpa. Poi si denudi per ricevere la
penitenza che si merita, e venga fustigato nella misura che giudicherà il
superiore. Riceva quindi l’ordine di sottostare alla pena contemplata per le
colpe più gravi, ossia di occupare l’ultimo posto nella comunità ovunque i frati
si radunano : in tal modo, colui che non ha avuto rossore di diventare membro
del diavolo col commettere la sua colpa, in vista del suo ravvedimento viene
bandito per qualche tempo dalla società delle pecorelle di Cristo. Inoltre, in
refettorio non sieda con gli altri alla stessa tavola, ma mangi in mezzo al
refettorio su una nuda tavola e, a meno che il superiore mosso a misericordia
non voglia aggiungere qualcosa, gli sia servito il pane più grossolano e come
bevanda dell’acqua. I suoi avanzi, poi, non vengano mescolati con quelli degli
altri, affinché si renda conto che come è stato in tal modo bandito dal
consorzio dei confratelli, potrebbe venir privato anche di quello degli angeli,
se non vi rientra per mezzo della penitenza.
Alle
Ore canoniche e al rendimento di grazie dopo
il pranzo si metta davanti alla
porta della chiesa e vi rimanga steso per terra, sia al loro ingresso che
all’uscita, quando passano i frati. Nessuno poi osi aver contatti con lui né
chiedergli qualcosa. Però il superiore, per evitare che egli cada nella
disperazione, mandi a lui degli anziani per spronarlo alla penitenza, esortarlo
alla pazienza, sostenerlo con la compassione, convincerlo alla riparazione. E se
avranno riscontrato in lui umiltà di cuore, intercedano per lui. E tutta la
comunità lo aiuti con la preghiera. Se poi ciò risultasse necessario, egli tomi
a prostrarsi ai piedi di ciascuno per ricevere la disciplina e la correzione,
prima dal superiore e poi da parte di coloro che siedono ai due lati del coro.
Per
tutto il tempo che egli resterà in penitenza non riceva la comunione né il bacio
della pace. Se è predicatore non eserciti quel ministero. Non gli venga
assegnato alcun ufficio in chiesa né gli venga affidato nessun altro incarico
prima che abbia terminata completamente la pena. Se è sacerdote o diacono non
eserciti più questi uffici, a meno che in seguito non manifesti una condotta
veramente religiosa.
Soggiacerà alla stessa pena anche colui che accetterà in dono quelle cose che è
proibito accettare e se ne approprierà di nascosto, azione questa che il beato
Agostino dice doversi condannare come furto, oppure sarà caduto in un peccato
carnale, mancanza che a nostro avviso deve essere punita più severamente delle
altre.
Se
un frate commette tale colpa fuori del monastero, il frate che lo accompagna
cerchi di avvertirne al più presto il superiore affinché lo possa correggere.
Dopo la correzione egli poi non deve più tornare nel luogo dove ha commesso la
colpa, a meno che la sua successiva condotta non sia così esemplare, che un
Capitolo generale o provinciale non giudichi che egli possa tornarvi. Se invece
il peccato è rimasto occulto, dopo una inchiesta segreta, si sottoponga a una
penitenza adeguata, tenendo conto delle circostanze e della persona.
Quando chi ha commesso un peccato vuole confessarsi dal confratello che lo
accompagna, se questi per altra via è già venuto a conoscenza della sua colpa,
non deve ascoltare la sua confessione, se non a patto che al momento opportuno
lo possa proclamare.
Coloro poi che con un complotto, una congiura o un patto sedizioso si fossero
sollevati contro il Priore e gli altri superiori, verranno sottoposti alle
penitenze suddette, in seguito per tutta la vita occuperanno l’ultimo posto
della loro categoria, in Capitolo non avranno voce che per proclamare e accusare
se stessi e non potranno vedersi affidato alcun ufficio.
Ma
se alcuni frati, mossi non da cattivi intenti ma da giusti motivi avranno
qualche appunto da fare al superiore per qualche cosa che non conviene né si
deve tollerare, per correggerlo devono prima di tutto avvertirlo a tu per tu con
umiltà e carità. Se poi, nonostante ripetute ammonizioni egli trascura o rifiuta
di correggersi, la cosa venga riferita apertamente, affinché lo ammoniscano e
correggano, al Priore provinciale o ai Visitatori quando giungono a quel
convento per la visita, o venga segnalata al Capitolo generale o provinciale. I
sudditi non si permettano di parlar male dei loro superiori in altra maniera.
Chiunque abbandona l’Ordine, se non vi rientra entro quaranta giorni venga
scomunicato. Se pentito invece vi ritorna, deporrà le vesti nel chiostro e si
presenterà nudo in Capitolo portando le verghe; quindi in venia confesserà la
sua colpa domandandone perdono. Sottostarà alle pene stabilite per le colpe più
gravi per tutto il tempo che il superiore fisserà e tutte le domeniche si
presenterà nudo in Capitolo. Durante questo periodo di penitenza in comunità
occuperà ovunque l’ultimo posto e per un anno intero digiunerà a pane e ad acqua
due giorni alla settimana. Finito il tempo della penitenza, non rioccuperà mai
più
U suo posto ma uno inferiore,
secondo quanto giudicherà il superiore.
Se
fuggirà una seconda volta e tornerà di nuovo, subisca
la stessa penitenza di cui sopra,
aggiungendo al primo un secondo anno. Alla terza fuga se ne aggiunga un terzo e
un quarto alla quarta volta. Tuttavia, con tutti i frati che sono in penitenza
per questo motivo e chiedono umilmente perdono in Capitolo, il superiore,
tenendo conto del loro pentimento, potrà mostrarsi indulgente e rimettere loro
la pena secondo quanto gli sembrerà bene e opportuno.
Ma
se qualcuno di essi si fosse fatto ordinare mentre era fuggitivo o avesse avuto
l’ardire di celebrare la Messa dopo essere incorso nella scomunica, sia privato
in perpetuo dell’esercizio del suo ufficio, a meno che in seguito non si sia
comportato talmente bene da riceverne dispensa dall’autorità della Sede
Apostolica.
Similmente, colui che è fuggito una prima volta o chi è sicuramente colpevole di
un peccato carnale, non predichi più né ascolti le confessioni, a meno che non
venga reintegrato da un Capitolo generale o provinciale.
Colpa gravissima è l’incorreggibilità di colui che non si preoccupa di non
commettere la colpa e rifiuta di portarne la pena. E di un religioso così che il
nostro padre Agostino prescrive che, «se non se ne va da sé, venga scacciato
dalla vostra comunità» e l’Apostolo comanda che «dopo una o due ammonizioni»,
una volta cioè che risulta evidente la sua incorreggibilità, «deve venir
evitato, sapendo che egli è ormai fuori strada e che continua a peccare
condannandosi da solo». Costui, nel caso però che sia ancora sano di mente e
abbia piena coscienza di ciò che fa, dopo essere stato privato dell’abito
religioso e rivestito di quello secolare, venga espulso dall’Ordine. E a
nessuno, per nessuno motivo, anche se qualcuno avesse la sfrontatezza di
chiederlo, sia concesso di rientrare, perché non avvenga che l’Ordine e la
disciplina canonicale cadano nel disprezzo permettendo che l’abito canonicale
venga disonorato da persone che lo portano indegnamente. Nella stessa maniera
ch’egli ha cacciato dal cuore la propria professione, così venga costretto a
deporre le insegne della professione da lui un tempo ricevute. E a nessuno,
qualunque sia la sua importunità nel chiederlo, venga in qualche modo dato il
permesso di andarsene in altra maniera.
COMINCIA LA SECONDA DISTINZIONE
Stabiliamo che ogni anno in ciascuno dei Capitoli provinciali di Spagna, di
Provenza, di Francia, di Lombardia, della provincia Romana, di Ungheria, di
Teutonia e di Inghilterra, vengano eleni dal Capitolo provinciale quattro frati
dei più prudenti e più preparati.
Per
la loro scelta si proceda, mediante inchiesta del Priore provinciale, del Priore
e Sottopriore del convento in cui si celebra il Capitolo, nel modo seguente. I
tre religiosi suddetti, o due se ne mancasse uno, in una stessa sala, sotto gli
occhi di tutti ma separatamente, si informino uno a uno della volontà di
ciascuno e la segnino con fedeltà. E subito dopo, nello stesso luogo, prima che
i frati ne escano e abbiano a comunicare fra loro, rendano noti, in base a
quanto hanno scritto, i risultati. Risulteranno eletti coloro sul cui nome è
confluita la maggioranza assoluta del Capitolo provinciale. Se questa non si
sarà ottenuta, allora il Capitolo con lo stesso procedimento di inchiesta,
eleggerà uno; e siano considerati definitori quelli della parte per il quale
egli deciderà. Ma se nemmeno in tal modo si sarà raggiunta la maggioranza, ne
venga eletto un altro e così di seguito, fino a che non la si sia raggiunta.
Per
Capitolo provinciale intendiamo la riunione dei Priori conventuali, con ciascuno
un socio eletto dal rispettivo
Capitolo, e dei Predicatori Generali. Predicatori Generali sono coloro che
furono nominati tali dal Capitolo generale o dal Padre provinciale coi
definitori del Capitolo provinciale.
Nessun Priore conventuale porti con sé più frati al Capitolo generale o
provinciale senza giusto motivo; ma ognuno di essi prenda con sé il socio eletto
dal rispettivo Capitolo.
All’accusa e alla correzione fraterna potranno però partecipare anche i professi
che da tre anni sono entrati nell’Ordine.
I
conventi che mandano delle accuse al Capitolo generale o a quello provinciale
debbono notificare di ogni accusa il numero e il nome degli accusatori e
specificare se accusano per aver visto o soltanto sentito dire; e in tal caso
devono dire da chi hanno sentito. Ma soprattutto colui che ha sentito si guardi
dal riferire alcun male sul conto altrui, senza dire da chi lo ha appreso.
Ogni
Priore col suo convento mandi ogni anno. al suo Priore provinciale e ai
definitori del Capitolo provinciale l’elenco dei debiti della casa, dandone
anche la ragione.
Nessuna petizione venga inviata al Capitolo provinciale se non dal convento e a
quello generale se non dal provinciale.
2
- I
definitori del Capitolo provinciale
I
suddetti definitori insieme col Priore provinciale tratteranno tutti i problemi
e
definiranno. Se nelle loro
definizioni si divideranno in parti uguali, prevarrà il parere in favore del
quale si è pronunciato il Provinciale. Negli altri casi prevale la decisione
della maggioranza.
3
- Il potere
di questi definitori
Questi quattro definitori ascolteranno e correggeranno davanti ai frati le
trasgressioni del Priore provinciale da lui confessate o proclamate nei suoi
riguardi in Capitolo infliggendogli una penitenza. Se egli - Dio non voglia - si
mostrasse incorreggibile, lo sospendano dall’ufficio fino al Capitolo generale
seguente, sostituendolo col Priore del convento in cui si sta celebrando il
Capitolo. Riferiscano poi le sue trasgressioni al Capitolo generale con uno
scritto sigillato in comune.
4
- Chi deve
sostituire il Priore provinciale
Stabiliamo anche, che in caso di morte o di destituzione del Priore provinciale,
dovrà farne le veci, fino a che non verrà eletto e confermato il nuovo
Provinciale, il Priore conventuale di quel luogo nel quale dovrà celebrarsi
l’anno seguente il Capitolo provinciale.
Se
invece succedesse che il Priore provinciale fosse assente senza che egli si
fosse fatto sostituire da un altro, il Priore del luogo dove si celebra il
Capitolo proceda alla sua celebrazione insieme coi definitori del Capitolo
provinciale.
Il
Priore provinciale coi suoi definitori durante il Capitolo provinciale deve
anche determinare il luogo dove si dovrà celebrare il Capitolo seguente.
5
- L’elezione
del definitore del Capitolo generale
Stabiliamo che per due anni nei Capitoli delle sopranominate Province venga
eletto un frate dei più idonei come definitore del Capitolo generale. A lui il
Priore provinciale e i definitori assegneranno un socio competente allo scopo
che, se egli dovesse morire o per qualsiasi motivo fosse impossibilitato ad
andare al Capitolo generale, il suo socio possa a pieno diritto essere
considerato definitore provinciale al suo posto.
Stabiliamo che le quattro Province di Gerusalemme, di Grecia, di Polonia e di
Dacia abbiano anch’esse ogni ano i loro propri definitori a tutti i Capitoli
generali.
Il
terzo anno celebreranno il Capitolo generale i Priori provinciali delle dodici
Province.
Stabiliamo inoltre che anche al Priore provinciale che si reca al Capitolo
generale i definitori dei Capitoli provinciali assegnino un socio.
6
- Evitare di
portare pregiudizio
In
virtù dello Spirito Santo e dell’obbedienza e sotto la minaccia della scomunica,
proibiamo categoricamente ai Priori provinciali di porre con le loro definizioni
qualche limite all’autorità dei definitori e viceversa. Che se qualcuno osasse
di farlo, con la medesima categoricità proibito a chiunque di osare di
obbedirgli.
E
per evitare il moltiplicarsi eccessivo delle Costituzioni, proibiamo che in
seguito qualcosa venga stabilito se non con l’approvazione di due Capitoli
successivi. Nel terzo Capitolo, immediatamente successivo, qualunque sia il
luogo dove viene celebrato, la delibera potrà essere confermata o ^multata, sia
che si tratti di un Capitolo di provinciali che di definitori.
7
- I
definitori del Capitolo generale
I
dodici definitori per i primi due anni e i dodici Priori provinciali nel terzo
anno si uniremo al Maestro dell’Ordine per
definire, costituire e trattare
tutti gli affari. E se nel dare il loro parere si divideranno in pani uguali,
prevarrà il parere della parte in favore della quale si pronuncia il Maestro
dell’Ordine. Se invece le pani sono disuguali, prevale la decisione della
maggioranza. Se poi, aggiungendosi il parere del Maestro le parti tornassero a
essere pari, venga eletto qualcuno secondo le modalità previste per l’elezione
dei definitori provinciali.
Se
per qualsiasi motivo non tutti i previsti definitori avessero potuto intervenire
al Capitolo, tratteranno gli affari insieme al Maestro i presenti. Se poi per
caso dovesse essere assente lo stesso Maestro, i definitori procedano ugualmente
nelle loro definizioni e nel caso che i loro pareri fossero discordi, si osservi
la norma sopra esposta.
Questi definitori avranno pieni poteri per correggere le trasgressioni del
Maestro dell’Ordine e anche per destituirlo. La loro decisione, sia su questo
punto che in ogni altro affare, sia osservata inviolabilmente in maniera da non
ammettere appello. Che se qualcuno vi ricorrerà, il suo ricorso sia considerato
illecito e nullo.
Proibiamo infatti in modo assoluto e sotto pena di scomunica di appellarsi, dato
che ci siamo riuniti non per litigare ma piuttosto per correggere le mancanze.
9
- La
correzione delle trasgressioni del Maestro
I
suddetti definitori correggano ed emendino le trasgressioni del Maestro
separatamente e a tu per tu. Se però le sue mancanze fossero così gravi da dover
giungere alla sua destituzione, non agiscano inconsideratamente e con
leggerezza, ma procedano con la massima prudenza e dopo una diligentissima
indagine. Non venga deposto se non per eresia o per qualche altra colpa
infamante che non si possa tollerare senza grave scandalo per l’Ordine - a
condizione però che egli ne sia stato legittimamente convinto o l’abbia
confessato -, oppure se egli è talmente negligente,
inutile e
indolente da condurre l’Ordine
alla rovina o al suo scioglimento. Ma in tal caso, prima di destituirlo venga
indotto dai definitori a dimettersi spontaneamente dall’ufficio e a scegliersi
un convento dove poter vivere onorevolmente.
In
caso di morte o di destituzione del Maestro, fino a che non verrà eletto il
nuovo, otterranno i suoi supremi poteri i Priori provinciali delle sopradette
Province; e ad essi rutti sono tenuti a obbedire come al Maestro. Se durante
questo intervallo i loro pareri su qualche punto risultassero discordi, prevalga
il parere della maggioranza. E se le parti risultassero uguali, prendano uno dei
frati che avrà voce nell’ elezione del Maestro e avrà valore esecutivo il parere
di quella parte in favore della quale egli si pronuncerà. Se saranno ancora
discordi, se ne scelga un altro; e così di seguito fino a che non si raggiunga
una maggioranza.
Comandiamo infine in virtù dello Spirito Santo, che nessuno prima dell’elezione
del Maestro osi mutare qualcosa circa lo stato dell’Ordine.
10
- L'elezione
del Maestro dell'Ordine
Verranno al Capitolo generale (elettivo) i Priori provinciali delle sopraddette
otto Province, accompagnati ciascuno da due frati eletti nei rispettivi Capitoli
provinciali e ai quali gli altri hanno affidato il mandato di eleggere il
Maestro, e i quattro Priori provinciali delle quattro Province aggiunte, cioè
quelle di Gerusalemme, di Grecia, di Polonia e di Dacia, accompagnati ciascuno
da un frate anch’egli eletto a questo scopo. Quando il lunedì dopo Pentecoste si
saranno radunati, i Priori conventuali di quella Provincia e gli altri frati
presenti nel convento in cui si celebra l’elezione, li chiudano a chiave in un
luogo sicuro, in modo che non possano assolutamente uscirne. E non somministrino
loro del cibo fino a quando il Maestro dell’Ordine non sia stato eletto secondo
la forma descritta sotto.
E
comandiamo che ciò venga osservato con la massima scrupolosità tanto dagli
elettori che da coloro che devono rinchiuderli, di modo che, se qualcuno osasse
fare il contrario sia
ipso facto scomunicato e debba
subire la pena stabilita per le colpe più gravi.
11
- La forma
dell’elezione
La
forma dell’elezione è questa:
Una
volta che gli elettori, come si è detto sopra, sono stati rinchiusi, siccome
l’elezione vien fatta mediante inchiesta o scrutinio delle volontà degli
elettori, i tre Provinciali che prima degli altri presero l’abito del nostro
Ordine, raccolgano e scrivano il parere dei singoli, uno a uno, leggermente in
disparte ma nella stessa sala e davanti agli occhi di tutti. E se per
ispirazione della grazia divina tutti concorderanno su uno, quello sia ritenuto
vero Maestro dell’Ordine. Se invece i pareri saranno discordi, in forza di tale
elezione e di questa legge sia ritenuto Maestro quello che avrà ottenuto più
della metà dei suffragi degli elettori.
Se
dovesse capitare che l’uno o l’altro degli elettori non fosse giunto, i presenti
procedano ugualmente all’elezione, in modo che per il mercoledì di Pentecoste il
Capitolo abbia sempre il Maestro, vecchio o nuovo, presente o assente e così nel
giorno in cui avviene la sua apertura solenne non sia giudicato acefalo.
Queste prescrizioni riguardanti l’elezione del Maestro vogliamo e comandiamo
assolutamente che vengano osservate senza opposizione. Chi osasse contraddirle
con pertinacia o ribellatisi, sia ritenuto scomunicato, scismatico e distruttore
del nostro Ordine e, fino a che non avrà riparata la sua colpa, sia
completamente allontanato dalla comunione di tutti e sottoposto alla pena
prevista per le colpe più gravi.
Stabiliamo inoltre che, se l’elezione del Maestro cade nell’anno in cui si
celebra il Capitolo dei Provinciali, venga ammesso a
definire insieme a loro anche uno
dei due frati elettori di ciascuna Provincia, eletto a questo scopo dal
rispettivo Capitolo provinciale. Se invece l’elezione cade nell’anno in cui si
celebra un Capitolo dei definitori, allora i Provinciali si assoceranno ai
definitori e definiranno insieme.
12
- Chi deve
intervenire al Capitolo generale
Stabiliamo inoltre che debbano venire al Capitolo generale anche tutti i Priori
conventuali coi loro soci e i Predicatori generali di quella Provincia nella
quale in quell’anno si celebra il Capitolo generale e non siano tenuti
quell’anno a celebrare in Provincia un altro Capitolo.
Se
capita che il Maestro muoia prima della festa di S. Michele, il Priore
conventuale o provinciale più vicino al luogo dove il Maestro è morto ne dia
notizia con sollecitudine al convento di Parigi o a quello di Bologna, secondo
quale dei due gli è più vicino. Quello di questi due cui per primo è stata
comunicata la notizia deve a sua volta informarne gli altri: quello di Parigi i
Provinciali di Spagna, di Provenza, d’Inghilterra e di Germania; quello di
Bologna è tenuto invece ad avvertire al più presto le Province di Ungheria e la
Romana e le altre che gli è possibile.
Se
invece il Maestro muore dopo tale festa, la sua morte venga annunciata alla
stessa maniera, per avvertire che quell’anno il Capitolo generale è sospeso.
Verrà celebrato l’anno seguente nel luogo dove si sarebbe dovuto celebrare
precedentemente.
Il
Capitolo generale venga celebrato un anno a Parigi e l’anno seguente a Bologna.
14
- Per
evitare che l’Ordine sia infamato
In
virtù dello Spirito Santo e dell’obbedienza comandiamo rigorosamente di
osservare quanto segue: che nessuno osi scientemente render noto a estranei i
motivi della destituzione del Maestro o del Priore provinciale, le loro mancanze
e la loro correzione, un segreto del Capitolo o i dissensi dei definitori o dei
frati: notizie cioè che potrebbero causare perturbazione nell’Ordine o
pregiudicarne la sua reputazione.
Se
ciò nonostante qualcuno osasse contravvenire deliberatamente a quest’ordine, sia
ritenuto come scomunicato o scismatico o distruttore dell’Ordine e finché non
avrà riparato la sua colpa, sia completamente escluso dalla comunione di tutti e
sottostia alla pena stabilita per le colpe più gravi.
Con
la medesima severità comandiamo che nessuno, in nessun modo, con parole o con
fatti osi adoperarsi per provocare una scissione del nostro Ordine. Chi lo
facesse, sia sottoposto alle pene suddette.
15 - Elezione dei Priori provinciali
Stabiliamo che durante il Capitolo generale i Priori delle Province (o regni)
vengano confermati o rimossi, dopo attento esame, dal Maestro dell’Ordine e dai
definitori. La loro elezione spetta invece al Capitolo provinciale. Il Maestro,
agendo da solo, può ugualmente confermare il Priore provinciale.
Alla
morte o alla destituzione del Priore provinciale, in ogni convento di quella
Provincia vengano eletti due frati, i quali, insieme al loro Priore conventuale,
procederemo all’elezione del Provinciale nel modo sopra esposto. Non è
necessario però rinchiuderli, come si fa per l’elezione del Maestro.
Inoltre, morto o rimosso il Priore provinciale, il Priore che lo rimpiazza è
tenuto a convocare prima che può gli elettori, per poter eleggere il Priore
provinciale e, se non sia già stato celebrato, per poter celebrare il Capitolo
provinciale. Se coloro che devono eleggere non lo fanno, il diritto di
provvedere passa al Maestro dell’Ordine.
Stabiliamo inoltre che l’elezione del Priore provinciale spetti solo ai Priori
conventuali e ai frati eletti in ogni convento a questo scopo, previa
convocazione dove sarà possibile, di tutti i componenti della comunità.
16
- I poteri
del Priore provinciale
Il
Priore provinciale nella sua Provincia, o regno, gode degli stessi poteri che ha
il Maestro su tutto l’Ordine; e i religiosi della Provincia gli usino lo stesso
rispetto che hanno verso il Maestro, a meno che egli non sia presente.
I
Priori
provinciali curino di visitare le Province loro affidate. E se non possono farlo
agevolmente di persona, incarichino altri di farlo al loro posto.
Se
il Priore di una Provincia, o regno, dispone di elementi adatti
all’insegnamento, che promettano di diventare in breve tempo dei bravi
insegnanti, curi di mandarli a studiare in un centro di studi. E coloro presso i
quali egli li invia, non si permettano di occuparli in altri uffici né di
rimandarli nella loro Provincia, a meno che non vi vengano richiamati.
Il
Capitolo provinciale venga celebrato nella festa di S. Michele, entro i confini
della Provincia o regno, nel luogo convenuto, scelto dal Priore provinciale col
consiglio dei definitori.
Nessun religioso di un altro Ordine o professione e nessun laico, qualunque sia
il suo rango, la sua professione o il suo modo di vivere, vengano mai ammessi a
partecipare ai segreti e alle deliberazioni del Capitolo.
Tutte le formalità stabilite per il Capitolo generale dovranno essere osservate
anche in quello provinciale, quando il lunedì viene iniziato.
Il
mercoledì, quando i frati si saranno radunati in Capitolo, si incominci
innanzitutto con l’invocare lo Spirito Santo
dal quale sono guidati i
figli di Dio (Rm
8, 14) . Si dica il versetto
Emitte Spiritum tuum et
creabuntur
con l’orazione allo Spirito Santo; poi, dopo che i frati si
saranno seduti e ognuno avrà occupato il suo posto, per
fortificarli con la parola
del Dio del cielo (Sal
103, 30), venga indirizzata alla comunità la parola divina. A
questo discorso potranno assistere tutti coloro che a loro edificazione lo
vogliano. Al suo termine, siccome bisogna soccorrere quanto prima coloro che
sono nel bisogno,
venga ricordato pubblicamente l’obito dei frati defunti in quell’anno, se ne dia
l’assoluzione in comune e si reciti per loro il salmo De
profundis (Sal
129). Poi, se ci sono delle lettere da presentare, vengano consegnate e accolte:
ad esse però si risponderà a suo tempo dopo riflessione.
Nessuno del resto consegni ai definitori delle petizioni che non siano state
approvate dal proprio Capitolo provinciale.
A
questo punto escano tutti coloro che non fanno parte del Capitolo. E una volta
usciti, coloro che sono stati incaricati di scusare gli assenti, dicano ciò che
devono dire. Poi ha inizio l’ascolto delle colpe.
Dopo
di ciò, i Visitatori, se presenti a voce, se assenti per iscritto, devono
riferire sui frati che hanno visitato: se vivono in continua concordia, se sono
assidui nello studio, ferventi nella predicazione, qual è la loro reputazione,
quali i loro frutti e se, nel mangiare, nel vestire e in tutto il resto
osservano quanto è prescritto dalle Costituzioni. Se riferiremo che in qualche
luogo hanno trovato che le cose vanno meno bene, colui che è chiamato in causa
si alzi spontaneamente, chieda venia e umilmente attenda una penitenza adeguata.
Coloro che nell’anno corrente avrebbero dovuto fare la visita e non l’hanno
fatta com’era loro dovere, confessino la loro colpa e si sottomettano al
meritato castigo. Dopo di ciò, agli assenti che avrebbero dovuto intervenire e a
coloro che avendo commesso una colpa non l’hanno ancora riparata, si faccia
giungere per iscritto una penitenza.
19
- L'elezione
dei Visitatori
Stabiliamo che nel Capitolo provinciale vengano eletti nel modo sopraddetto
quattro frati con l’incarico di visitare la Provincia. Essi indagheranno sulle
trasgressioni dei Priori e dei frati e li correggeranno, senza però fare
ordinazioni e senza mutare gli ordinamenti della casa. Siederanno ovunque al
posto che spetta loro abitualmente, tranne in Capitolo quando esercitano il loro
ufficio di correzione, che deve però terminare entro tre giorni. Se poi
riscontreranno qualcosa di grave e di dannoso, si facciano premura di
denunciarlo, anche se già corretto, al Capitolo generale, con la testimonianza
della maggioranza del Capitolo locale.
I
Priori e i Lettori non vengano mai scelti come Visitatori.
20
- Gli idonei
alla predicazione
Dopo
di ciò, vengono presentati al Capitolo o ai definitori coloro che da alcuni
vengono ritenuti idonei alla predicazione e coloro che ne hanno già ricevuto il
permesso e l’incarico dal loro Priore, ma non ancora dal Maestro dell’Ordine o
dal Capitolo. Tutti costoro vengano diligentemente esaminati uno a uno da una
commissione di competenti, scelta a questo scopo o per le altre questioni
sollevate in Capitolo. Si interroghino accuratamente i frati coi quali essi sono
convissuti
sulla grazia della predicazione
loro concessa da Dio, sui loro studi, sulla loro condotta, sul fervore, sul
proposito e l’intensità della loro carità. E se la loro testimonianza sarà
favorevole, si prenda, col consiglio e col consenso del superiore maggiore, la
decisione che sarà giudicata più utile-: se cioè essi debbano ancora continuare
gli studi, o possano già cominciare a esercitare la predicazione sotto la guida
di frati più esperti, o se, ritenuti ormai idonei, possano esercitarla
fruttuosamente anche da soli.
A
questo punto, coloro che, sia a titolo personale che comune, hanno da introdurre
questioni riguardanti l’osservanza o la predicazione, le espongano con ordine,
susseguendosi uno dopo l’altro. Qualche frate ne prenda nota con cura, affinché
a suo tempo e luogo venga loro data una risposta e una soluzione adeguata da
parte di coloro cui spetta il farlo. E mentre uno, in piedi, sta parlando, un
altro non prende la parola.
Affinché poi si osservi un certo ordine anche nell’uscire, nessuno esca senza
permesso e senza necessità. E una volta uscito non vada in giro, ma, soddisfatta
la necessità, rientri al più presto. Se poi - Dio ce ne guardi - dovesse nascere
qualche dissenso tra i frati del nostro Ordine a proposito dei libri o di altre
cose, siccome bisogna anteporre le cose spirituali a quelle materiali, non se ne
tratti in Capitolo, ma vengano scelti dei frati che abbiano competenza in
materia, i quali, dopo il pranzo, in un luogo adatto ma fuori del Capitolo, dopo
aver esaminata oggettivamente la questione, dirimeranno la controversia
ristabilendo la pace tra i frati.
Della risposta e della soluzione alle diverse questioni, della correzione dei
frati e delle pene da infliggere, dell’invio dei frati col loro socio a
predicare o a studiare fissandone
il momento, il luogo e la durata,
si occuperà il superiore maggiore con gli altri a ciò deputati. E quando essi,
illuminati dallo Spirito Santo, avranno presa una decisione, l’intero Capitolo
l'accetti rispettosamente in maniera unanime e concorde. Nessuno mormori,
nessuno reclami, nessuno contraddica.
Alla
fine si faccia comunitariamente la confessione e venga impartita l’assoluzione
generale. A coloro che perseverano si dia la benedizione, agli apostati e ai
fuggitivi la maledizione della scomunica.
Queste disposizioni vengano osservate anche nel Capitolo provinciale.
Il
Maestro dell’Ordine e i Priori provinciali non mutino gli atti del Capitolo
generale o di quello provinciale, se non per un motivo speciale, necessario e
utile.
22
- Il
Capitolo generalissimo
Il
Capitolo generalissimo non venga convocato che su richiesta della maggior parte
delle Province o quando al Maestro sembrerà necessario. Le province che lo
richiedono espongano le ragioni della loro richiesta, non perché il Capitolo
debba giudicare se esse sono plausibili, ma affinché prima della sua
convocazione i frati possano trattarne fra loro.
Parteciperanno a questo Capitolo i Priori provinciali con due frati eletti a
questo scopo dai rispettivi Capitoli provinciali. E, a meno che la sua
convocazione non sia urgente, venga preannunciato due anni prima.
23
- La
fondazione di un convento
Non
si mandi a fondare un convento con un numero di frati inferiore a dodici, senza
il permesso del Capitolo generale né senza un Priore e un dottore.
E
non si dia tale permesso se non su richiesta del Priore provinciale e dei
definitori del Capitolo provinciale; e la fondazione, una volta ottenutone il
permesso, non venga effettuata che nel luogo giudicato conveniente dalle
predette autorità.
Stabiliamo inoltre che nessun convento del nostro Ordine venga trasferito da una
Provincia a un’altra senza l’approvazione di tre Capitoli generali.
24
- L’elezione
dei Priori conventuali
I
Priori conventuali siano eletti dalle rispettive comunità e vengano confermati,
se a lui sembrerà opportuno, dal Priore provinciale, senza il cui permesso non
si può eleggere un frate di un altro convento.
I
frati vengano ammessi all’elezione del Priore conventuale solo dopo un anno
dalla loro professione. Se poi sono di un’altra Provincia, vengano ammessi
all’elezione solo dopo aver dimorato per un anno in un convento della Provincia
nella quale sono stati inviati.
Morto o scaduto il Priore, la comunità deve procedere all’elezione entro un
mese, a partire dal giorno in cui viene a conoscenza del fatto, altrimenti a
dare un Priore a quel convento provvede il Priore provinciale.
Da
parte sua il Priore conventuale, col parere del consiglio del convento,
istituisca il Sottopriore, il cui ufficio sarà quello di sorvegliare con zelo e
cura l’andamento della comunità, di riprendere quelli che sono in difetto e
occuparsi di tutte quelle altre cose che il Priore gli assegnerà o gli
permetterà. Egli non sia sottomesso all’accusa nei Capitoli quotidiani, a meno
che in qualche caso non debba venir proclamato, a giudizio del Priore, per
qualche grave mancanza.
26
- Il rifiuto
delle proprietà
Non
si accettino proprietà e rendite nella maniera più assoluta.
Nessuno dei nostri frati si permetta di domandare o di intrigare per ottenere
benefici in favore dei suoi parenti.
27
- Non
procurare la cura delle monache
In
virtù dello Spirito Santo e sotto pena di scomunica proibiamo rigorosamente a
chiunque dei nostri frati di occuparsi e di procurare che in seguito venga
affidata ai nostri frati la cura e l’assistenza di monache o di qualsiasi altro
genere di donne. Se qualcuno osasse fare il contrario, venga sottoposto alla
pena contemplata per le colpe più gravi. Proibiamo ugualmente a tutti in futuro
di tagliare i capelli, di fare vestizioni di donne e di ammetterle alla
professione.
Proibiamo inoltre di accettare chiese, cui sia annessa la cura delle anime. Non
si accettino neppure troppe fondazioni di Messe.
28
- Il Maestro
degli studenti
Dato
che degli studenti bisogna avere un’attenta cura, vengano affidati a un frate
particolare senza il cui permesso non potranno scrivere
quaderni di appunti né frequentare
le lezioni. Egli corregga nei loro studi tutto ciò che a suo avviso meriti di
venir corretto. E in quello che eccede le sue facoltà, riferisca al superiore.
Gli
studenti non prendano a base dei loro studi i libri dei pagani e dei filosofi,
anche se potranno consultarli saltuariamente. Non attendano alle scienze profane
né alle arti cosiddette liberali: a meno che con qualcuno il Maestro dell’Ordine
o il Capitolo generale non vogliano fare eccezione; ma tutti, sia i giovani che
gli altri, studino soltanto libri di teologi.
...
Stabiliamo poi che ogni Provincia sia tenuta a provvedere ai suoi frati mandati
in uno
studium almeno i tre libri di
teologia, ossia la
Bibbia, le
Sentenze e le
Storie. E i frati mandativi a
studiare si applichino e studino le storie, le sentenze, il testo e le glosse.
Nei
giorni di domenica e nelle feste principali si astengano dallo scrivere
quaderni.
Quando un frate viene mandato da una Provincia in un’altra affinché vi eserciti
l’ufficio di Reggente, porti con sé tutti i libri glossati, la Bibbia e i suoi
quaderni. Se invece vi viene inviato ma non come reggente, porti con sé solo la
Bibbia e i suoi quaderni. E se dovesse capitare che egli morisse per strada, il
convento al quale era destinato è tenuto alle Messe e ai salteri di suffragio
per lui e gli apparterranno i libri che egli aveva. Allo studio di Parigi
vengano inviati soltanto tre frati per Provincia.
29
- Le
dispense degli studenti
Agli
studenti il superiore accordi dispense in misura tale che né da un ufficio né da
qualche altra cosa possano venir distolti o impediti nello studio.
Se
il maestro degli studenti lo stima vantaggioso, venga loro riservato un locale
particolare, nel quale, dopo la scuola o dopo il Vespro o in qualche altro tempo
libero, possano riunirsi in sua presenza per esporre le loro difficoltà e le
loro domande. E quando uno di essi fa la sua domanda o la sua deposizione, gli
altri tacciano, per non disturbare chi parla. Se poi qualcuno nel chiedere o nel
ribattere si comporta in modo sconveniente, confuso, rumoroso o irritato venga
immediatamente richiamato all’ordine da chi presiede.
Le
celle non vengano assegnate indistintamente a tutti gli studenti, ma solamente a
quelli che a giudizio del maestro ne sanno trarre profitto. E se ci si accorge
che qualcuno non rende negli studi, la sua cella venga data a un altro ed egli
venga impiegato in qualche altro ufficio. Nelle celle si potrà leggere,
scrivere, pregare, dormire; e quelli che lo vogliono potranno per motivi di
studio anche vegliare al lume della lucerna.
Nessuno venga nominato dottore se non ha frequentato i corsi di teologia almeno
per quattro anni.
Nessuno dei nostri frati nell’insegnare dia ai salmi e ai profeti un senso
letterale diverso da quello che i santi Padri accettano e confermano.
Stabiliamo che nessuno sia nominato Predicatore generale prima di aver
frequentato teologia per tre anni. Dopo averla frequentata per un anno possono
però venire iniziati alla predicazione coloro dalla cui predicazione non si
abbia a temere che ne derivi scandalo.
A
coloro che saranno prescelti per la predicazione, perché ne sono adatti, quando
escono dal convento venga loro assegnato dal Priore un compagno di viaggio
adatto alle loro abitudini e al loro comportamento. E, ricevuta la benedizione,
uscendo si comportino ovunque come persone desiderose della propria e altrui
salvezza. Tengano quindi una condotta religiosa ed esemplare, come uomini
evangelici che,
sulle orme del loro Salvatore
(cfr. 1
Pt 2, 21),
parlano sempre con Dio o di Dio
(cfr.
Atti 41), con se stessi e col
prossimo, evitando la familiarità di compagnie sospette.
Quando essi vanno in tal modo a esercitare il ministero della predicazione o si
mettono in viaggio per altri motivi, non devono ricevere né portare con sé né
oro, né argento, né denaro, né altre cose, eccezion fatta per il vitto, per il
vestito, per gli altri indumenti necessari e per i libri.
A
nessuno di coloro che sono deputati al ministero della predicazione o allo
studio venga affidato l’incarico o l’amministrazione delle cose temporali,
affinché possano adempiere più liberamente e con più dedizione il ministero
delle cose spirituali loro affidate: a meno che non ci sia nessun altro che
possa occuparsi di queste necessità, giacché alle volte diventa necessario
occuparsene.
Non
intervengano a processi o a pubblici dibattiti se non per difendere la fede.
32
- I luoghi
dove i frati non devono predicare
Nessuno si permetta di predicare nella diocesi di un vescovo che glielo abbia
proibito, a meno che non abbia delle lettere o un mandato generale del Sommo
Pontefice.
Quando i nostri frati entrano nella diocesi di un vescovo per predicarvi, se lo
possono gli facciano innanzitutto visita e si attengano al suo consiglio, per
ottenere presso il popolo i frutti spirituali che si ripromettono. E fino a che
permangono nel territorio di sua giurisdizione, gli prestino devota obbedienza
in tutto ciò che non è contrario alla nostra Regola.
33 -
Lo scandalo nella
predicazione
Si
guardino i nostri frati dallo scandalizzare con le loro prediche i religiosi e i
chierici
alzando la loro voce contro il cielo
(cfr.
Sal 72, 9). Devono al contrario
sforzarsi di correggere in essi i difetti che sembrano degni di correzione,
esortandoli privatamente come padri
(cfr. 1
Tim 5, 1).
Nessuno venga incaricato dell’ufficio della predicazione fuori del convento e
della comunità prima dei
25 anni. Proibiamo inoltre ai
nostri frati, quando predicano, di sollecitare e di raccogliere offerte per il
convento o per qualche persona in particolare.
I
predicatori e gli altri frati mentre sono in viaggio dicano il loro ufficio come
sanno e possono e si accontentino dell’ufficio che viene recitato nelle chiese
nelle quali eventualmente si fermano. Possono anche recitare o ascoltare
l’ufficio presso i vescovi o i prelati, o presso altri, secondo le usanze di
coloro presso i quali eventualmente soggiornano. E per le inclinazioni si
conformino alle loro usanze. Anche i viandanti siano forniti di lettere
testimoniali e nei conventi nei quali si fermano sono passibili di correzione
per le mancanze ivi commesse.
Il
Priore accolga con onore un Priore che sopraggiunge. L’ospite non vada in giro
per la città o vi si attardi contro il suo parere.
Durante il viaggio funga da superiore il più anziano nell’Ordine, a meno che
egli non sia stato dato come socio a un predicatore o che il Priore non abbia
disposto altrimenti. Il socio dato a un predicatore deve obbedirgli in tutto
come al suo superiore.
I
Frati Minori devono venir accolti con carità e gioia, come se si trattasse di
nostri frati; e secondo le possibilità del convento si provvedano del necessario
con affetto e decoro.
Nessun frate si rechi presso la Curia se non col permesso del Maestro o del
Capitolo generale; ma si invii un corriere ai frati che vi si trovano o ci si
serva di un secolare che accetti di fare da procuratore, in modo che sembri
agire di sua iniziativa e non per nostro incarico.
I
frati, specialmente se sono confessori, non accettino né ricevano doni da donne.
I
nostri frati abbiano conventi modesti e umili, vale a dire che i loro muri,
senza contare il solaio, non devono superare i dodici piedi di altezza e col
solaio i venti. Il tetto della chiesa potrà raggiungere anche i trenta piedi di
altezza; ma, eccezion fatta per quello del coro e della sagrestia, non dovrà
essere fatto a volta.
Se
qualcuno in seguito contravverrà a questa disposizione, sia punito con la pena
riservata alle colpe più gravi.
In
ogni convento vengano eletti tre frati tra i più competenti, senza il cui parere
non si costruiscano edifici.
I
frati non possono essere amministratori di beni o di denaro altrui, né
fideiussori. Possono però esserne depositari. E nessuno faccia scrivere libri
per sé a spese del convento, se non sono di comune utilità.
Proibiamo inoltre che nei giorni di domenica si compiano opere servili, quali il
portare pietre, ammucchiare legname e cose simili.
Dalla festa di S. Dionigi fino all’Avvento, ogni chierico per l’anniversario dei
frati defunti reciti il salterio, un sacerdote celebri tre Messe e i laici
dicano 50
Pater
noster. Ogni frate faccia
altrettanto alla morte di un religioso del suo convento. Si faccia lo stesso in
tutto l’Ordine alla morte del Maestro; e dai figli di una Provincia per il
Priore provinciale defunto.
E lo stesso si faccia pure per un
Visitatore, che muoia durante la visita, in tutte le case che egli doveva
visitare. Gli stessi suffragi previsti per la morte del Maestro dell’Ordine si
facciano anche, se muoiono durante il viaggio, per i definitori del Capitolo
generale, sia che si tratti di Priori provinciali, sia degli altri frati e dei
loro soci.
In
ciascuna Provincia, alla morte di un frate di essa, ciascun sacerdote celebri
una Messa, ogni convento ne celebri una comunitariamente e ciascuno degli altri
frati dica i sette salmi penitenziali.
L’anniversario dei padri e delle madri venga celebrato il terzo giorno dopo la
Purificazione della Madonna; quello dei benefattori e dei familiari il terzo
giorno dopo la sua
Natività.
37
- Regola dei
nostri frati conversi
I
nostri frati conversi si alzino alla stessa ora dei frati canonici e facciano le
inclinazioni allo stesso modo. Quando si alzano per il Mattutino, dicano il
Pater noster e il
Credo in Dio. La qual cosa faranno anche prima di
Prima e dopo Compieta. A Mattutino, dopo aver detto il
Pater noster e il
Credo in Dio,
si alzino in piedi e dicano:
Domine, labia mea aperies ecc.,
Deus in adiutorium ecc.,
Gloria Patri ecc.
Al posto del Mattutino nei
giorni feriali diranno 28
Pater noster, terminandoli col
Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison, Pater noster e
aggiungendo
Per Dominum ecc., e
Benedicamus Domino ecc. Nelle feste di nove lezioni diranno invece
40
Pater noster.
Al posto delle altre
Ore dicano 7
Pater noster e 14 per i Vespri. Al posto di
Pretiosa diranno tre
Pater noster, per la benedizione della mensa un
Pater noster e un
Gloria Patri, per il ringraziamento dopo la mensa 3
Pater noster, il
Gloria Patri ecc., oppure, per quelli che lo sanno, un
Miserere mei Deus. E tutto questo in silenzio, in chiesa e
ovunque.
I conversi che attualmente
hanno dei salteri non potranno tenerli che per due anni. In seguito, anche ad
essi sarà proibito tenere altri salteri.
Abbiano gli stessi indumenti
che hanno i canonici, eccezion fatta per la cappa, al posto della quale abbiano
uno scapolare lungo e largo, che non deve essere bianco come la tonaca. Possono
però avere anche uno scapolare più corto, di colore grigio, della misura e della
forma dello scapolare dei canonici.
Per i digiuni, i cibi, le
astinenze e tutto il resto, si comportino secondo quanto è prescritto nella
Regola dei canonici. Per motivi di lavoro il superiore potrà però dispensarli.
Nessun converso potrà
diventare canonico né osi occuparsi di libri per farvi degli studi.
I Priori provinciali non
accettino conversi se non per quei conventi dove fanno la vestizione. Né i frati
conversi vadano fuori convento da soli, ma sempre accompagnati da un chierico o
da un altro converso.
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5 ottobre 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net