Regola di S. Benedetto

Prologo: "... Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia". Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni. Ed è proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni di questa vita secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?" Difatti il Signore misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva... ".

Capitolo VII - L'umiltà: "... bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e, pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto"... ".

Capitolo LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli: "... Al momento dell'ammissione faccia in coro, davanti a tutta la comunità, solenne promessa di stabilità, conversione continua e obbedienza, al cospetto di Dio e di tutti i suoi santi, in modo da essere pienamente consapevole che, se un giorno dovesse comportarsi diversamente, sarà condannato da Colui del quale si fa giuoco. ... "


Tratto dal libro "Le confessioni " di Sant'Agostino - Edizione Rizzoli

LA CONVERSIONE

LIBRO OTTAVO

CAPITOLO II

SIMPLICIANO NARRA LA CONVERSIONE DI VITTORINO

Andai dunque a trovare Simpliciano, padre spirituale di Ambrogio, allora vescovo, e da lui come un padre amato: e gli esposi tutte le fasi del mio traviamento. Quando gli dissi che avevo letto alcuni libri dei Platonici, tradotti in latino da Vittorino (1), già retore in Roma, morto, a quanto si diceva, cristiano, cominciò dal congratularsi meco, perché non mi ero imbattuto negli scritti di altri filosofi, zeppi di falsità e di inganni conformi alle massime di questo mondo, mentre in questi almeno si suggerisce in tutti i modi l'idea di Dio e del suo Verbo. Poi, per spingermi all'umiltà di Cristo nascosta ai sapienti e rivelata ai piccoli, si fece a parlare appunto di Vittorino con cui era stato in stretta intimità durante il soggiorno a Roma. E di lui mi narrò un fatto che non voglio passare sotto silenzio. Perché non è piccola spinta ad esaltare la grande potenza della tua grazia, che quel vecchio coltissimo e versatissimo in ogni ramo di scienze liberali, il quale aveva letti e disaminati tanti scritti di filosofi, maestro di tanti nobili senatori, giudicato meritevole, come riconoscimento del suo preclaro magistero, che gli fosse decretata ed eretta una statua sul Foro a Roma - onore ritenuto altissimo dai cittadini di questo mondo -; adoratore fino a quella tarda età di idoli e cultore di quei riti sacrileghi, dei quali andava pazza quasi tutta la nobiltà romana - strane e mostruose divinità, un Osiride, un latratore Anubi (2) - armate prima " contro Nettuno e Venere e Minerva ", ed ora oggetto di culto in quella Roma che li aveva vinti, divinità che quel vecchio Vittorino aveva per tanti anni difeso con violenza di parole, quello stesso vecchio, non si sia vergognato di farsi servo del tuo Cristo, infante del tuo sacro fonte, piegando il collo sotto il giogo dell'umiltà, curvando la fronte davanti all'obbrobrio della croce.

O Signore, o Signore che abbassasti il cielo e discendesti, toccasti i monti e fumigarono (3), in qual modo ti insinuasti in quell'animo? Come raccontò Simpliciano, egli leggeva la santa Scrittura, faceva studi accuratissimi e approfonditi sulle opere degli autori cristiani, e diceva a Simpliciano, non in pubblico, ma in segreto e amichevolmente: " Sappi che io sono ormai cristiano". E l'altro rispondeva: "Non potrò crederlo, né ti conterò tra i cristiani, se non quando ti avrò veduto nella chiesa del Cristo ". E quello, motteggiando, diceva: " Son dunque i muri che fanno cristiani? "; e ripeteva spesso di essere già cristiano, e Simpliciano replicava allo stesso modo, ma Vittorino ritornava sulla facezia dei muri. In realtà egli aveva timore di inimicarsi quei suoi amici superbi adoratori di demoni, e si aspettava che dalle vette della loro boria babilonica, come da cedri del Libano non ancora schiantati dal Signore, sarebbero ruinate su lui gravi inimicizie. Ma quando dalla assidua lettura aspirò come da fauci aperte la fermezza, e temette di essere rinnegato da Cristo davanti ai santi angeli se temeva di confessarlo davanti agli uomini, si riconobbe grandemente colpevole di arrossire dei misteri d'umiltà del tuo Verbo e di non arrossire dei riti sacrileghi dei superbi demoni da lui, superbo imitatore, accolti; cessò di vergognarsi di fronte alla vanità, arrossì di fronte alla verità, e improvvisamente, senza che si potesse pensarlo, disse a Simpliciano, come questi narrava: " Andiamo alla chiesa; voglio farmi cristiano ". E quegli, che non capiva più in sé per la gioia, ve lo accompagnò. Non appena istruito nelle prime verità della fede, Vittorino fece tosto richiesta di essere rigenerato nel battesimo. Roma ne fu meravigliata, la Chiesa esultante. I superbi fremevano vedendolo, digrignavano i denti e se ne struggevano; ma il servo tuo aveva posta la sua speranza nel Signore Iddio, e non si rivolgeva a guardare vanità e pazze menzogne.

Quando poi giunse il momento della professione di fede - che a Roma gli aspiranti alla tua grazia sogliono fare da un luogo eminente, davanti a tutto il popolo dei fedeli, con una formula fissa imparata a memoria -, i sacerdoti, diceva Simpliciano, avevano fatto la proposta a Vittorino di recitarla in privato, come si usa per quelli che si prevedono esitanti per timidezza; egli però scelse di confessare quello che faceva la sua salvezza alla presenza della santa folla: quella salvezza (disse) non si trova nella retorica insegnata da lui, eppure ne aveva fatto professione davanti a tutti; quanto meno doveva vergognarsi di pronunziare le parole tue al cospetto del tuo gregge mansueto, egli non temeva le turbe insensate nelle parole sue? Quando dunque salì per fare la professione tutti quelli che lo conoscevano - e chi non lo conosceva ? -, gli uni e gli altri si passarono il suo nome, con non represse voci di compiacimento. E risonò in tutte le bocche esultanti un mormorio: " Vittorino, Vittorino... ". Improvvise furono le voci di gioia al vederlo, ed improvviso il silenzio per ascoltarlo. Egli fece la sua professione di fede sincera con mirabile franchezza; e tutti avrebbero voluto rapirselo nel loro cuore. Se lo rapivano infatti nell'amore e nella gioia: tali erano le mani di quei rapitori.

NOTE

(1) "Africano di origine, professore di eloquenza a Roma…. Vecchissimo si convertì alla fede in Cristo e scrisse libri contro Ario… e commentari sull'Apostolo.. " Così lo descrive San Gerolamo.

(2) Si allude alla mania invalsa in Roma per i culti stranieri, specialmente esoterici; tra i quali, quelli di Iside e di Osiride - dall'Egitto -, con quelli di Mitra - dalla Persia -, erano i più diffusi. Anubi, detto latratore perché rappresentato con la testa di cane, era il dio dei morti degli Egiziani. Agostino cita poi un passo dell'Eneide, VIII, 698, che ricorda la guerra contro l'Egitto (Cleopatra), raffigurato nelle sue divinità, accolte poi da Roma.

(3) Adattamento del vers. 5 del Salmo CXLIII " Signore, inchina i tuoi cieli e discendi: tocca i monti e fumeranno ".

 

CAPITOLO III

IL GAUDIO PER LA CONVERSIONE DEL PECCATORE

O mio buon Dio, come si spiega che l'uomo prova una gioia maggiore per la salvezza di un'anima di cui disperava o per la sua liberazione da un più grande pericolo, che non se la speranza non fosse mai mancata, o se il pericolo fosse stato minore? Ed anche Tu, o Padre misericordioso, godi più " della conversione di un peccatore che non di novantanove giusti non bisognosi di penitenza " (4). Con quanto piacere si ascolta la narrazione del pastore che esultante riporta sulle spalle la pecorella smarrita, della donna che tra le congratulazioni del vicinato ripone nei suoi tesori la moneta ritrovata; come ci fa piangere di commozione il gaudio che rende festosa la tua casa quando leggiamo del tuo figlio minore che era morto ed è risuscitato, si era perduto ed è stato ritrovato (5)! Poiché in noi Tu ti rallegri, e negli angeli tuoi, santi di amore santo: quanto a Te, Tu sei sempre uguale a Te stesso, e conosci sempre, né sempre in uno stesso modo.

Come si spiega dunque che l'anima si rallegra più per il ritrovamento o per la restituzione delle cose che ama che non per il possesso incontrastato di esse? E' un fatto ammesso da tutti: tutti sono d'accordo nel dire: " E' proprio così ".

Un generale vincitore riporta il trionfo: ma non avrebbe vinto se non avesse combattuto, e quanto maggiore fu il pericolo, tanto maggiore è l'esultanza del trionfo. La burrasca travolge i naviganti e minaccia naufragio: tutti son pallidi in attesa della morte (6): ma il cielo e il mare s'abbonacciano, e la loro gioia è smodata, perché troppo grande fu il timore. Un nostro caro è ammalato, il polso rivela la gravità del male. Tutti quelli che lo vogliono salvo soffrono con lui nell'animo. Si ristabilisce, non cammina ancora con l'antica sicurezza, e avviene una manifestazione di gioia che non aveva luogo quando camminava sano e spedito. Ma persino i piaceri materiali della vita l'uomo se li procura talvolta con molestie premeditate, volontarie, non per contrarietà inaspettate e involontarie. Senza lo stimolo della fame e della sete non danno piacere il mangiare e il bere. I bevitori mangiano certi salatini che rendono violenta l'arsura: estinguerla con bevute costituisce il piacere. E la consuetudine vuole che dopo il fidanzamento la sposa non sia data subito al marito affinché questi non tenga poi in poco conto colei per la quale non ha sospirato nell'attesa, come fidanzato.

Questo si verifica nei piaceri brutti e colpevoli; questo nelle gioie lecite e oneste; questo persino nella purissima dignità dell'amicizia: questo avvenne per colui che era morto e rivisse, che s'era smarrito e fu ritrovato: sempre maggiore è il gaudio, se preceduto da pena maggiore. Che cosa vuoi dire ciò, o Signore e mio Dio, mentre Tu stesso a Te stesso sei gaudio eterno, e alcune creature a Te vicine godono sempre di Te (7)? Perché quest'altra parte dell'universo subisce alternative di demerito e di merito, di disaccordi e di riconciliazioni? Ma forse tale è la condizione loro; e tale la misura che loro assegnasti, quando distribuisti ogni sorta di beni, tutte le tue opere giuste, al loro posto conveniente; quando fissasti a ciascuna il proprio tempo: tutte, dalla sommità dei cieli alle profondità della terra, dal principio alla fine dei secoli, dall'Angelo al verme, dal primo all'ultimo istante del moto. Ahimè, quanto sei più alto delle somme altezze, quanto più profondo degli abissi! Non ti ritiri da nessun luogo; eppure non ritorniamo a Te che con grandi sforzi.

 

NOTE

(4) Luca, XV, 7.

(5) Le tre belle parabole della misericordia: la pecorella smarrita, la moneta perduta, il figliuol prodigo. Cfr. Luca, XV.

(6) Evidente reminiscenza virgiliana (Eneide, IV, 644): la cultura classica affiora spesso, quasi sempre non di proposito, ma spontanea.

(7) Gli Angeli, che, nella beatifica visione di Dio, non vanno soggetti a mutamenti nel loro stato.

 

CAPITOLO IV

GRANDE CONVERSIONE GRANDE GIOIA

Ebbene Signore, su, risvegliaci e richiamaci: accendi, rapisci, infiamma, raddolcisci i nostri cuori: e noi amiamo, corriamo! Non è forse vero che molti risalgono a Te da un baratro di cecità più profondo che non Vittorino: e ti si avvicinano, e vengono illuminati da quella luce che a chi la accoglie dà possibilità di diventare tuoi figlio (8)? Se però poca è la loro notorietà fra la gente, anche la gioia di quelli che li conoscono è minore. Quando la gioia si estende a molti, anche i singoli ne sono più lieti per lo scambio reciproco di fiamme e di fuoco. Per di più l'essere molto conosciuti riesce un eccitamento alla salvezza per molti: è un camminare avanti a molti che vengon dietro: e si gode assai di questi e di quelli che precedevano: perché la gioia è reciproca.

Non già, però, che nella tua casa vengano accolti più volentieri i ricchi dei poveri, o i nobili dei plebei: quando anzi " Tu hai scelto ciò che, di questo mondo, è debole per confondere ciò che è forte; ciò che è ignobile e spregevole e quello che neppure esiste per annientare ciò che esiste " (9). Però proprio quel tuo " minimo tra gli Apostoli" dalla cui bocca sono uscite queste tue parole, quando, dopo averne vinta con le sue armi la superbia, mandò il proconsole Paolo sotto il giogo leggiero del tuo Cristo e ne fece un suddito del gran Re, anch'egli, di Saulo che era, volle essere chiamato Paolo, in ricordo di tanta vittoria (10). Maggiore è il trionfo sul nemico (11), quando esso viene vinto in uno che più gli è schiavo, e per mezzo del quale molti gli sono schiavi: perché costui ha legati a sé molti superbi per la sua dignità, ed altri in maggior numero per la sua autorità. Quanto più quindi si era ammirato l'animo di Vittorino, quando era tenuto dal demonio come un baluardo inespugnabile e la lingua dello stesso, arma potente ed acuta apportatrice di morte a molti, tanto più larga dové essere la gioia dei tuoi figliuoli quando il nostro Re " incatenò il forte "; quando videro strappargli " i suoi vasi " (12) che vennero purificati, riconsacrati ad onor tuo, fatti strumenti di opere buone al loro padrone (13).

 

NOTE

(8) Giovanni, I, 12.

(9) San Paolo, Prima lettera ai Corinti, I, 27-28.

(10) Negli Atti degli Apostoli, fino al cap. XIII, 9, l'Apostolo san Paolo è sempre chiamato con il nome ebraico " Saulo": in quel versetto si dice: " Saulo, detto anche Paolo ", e poi è sempre chiamato " Paolo ". Narrandosi in quel capitolo la conversione del Proconsole Paolo, si credé anticamente - e la credenza venne avvalorata anche con l'autorità di san Gerolamo - che il cambiamento di nome avesse rapporto con quel fatto,.come dice qui sant'Agostino. Oggi però si ritiene che l'apostolo, cittadine romano di Tarso, avesse, accanto al nome ebraico, anche un nome di foma latina - Paulus - del quale fece uso esclusivo quando la sua missione apostolica si esplicò nel mondo greco-romano.

(11) Il demonio.

(12) Nella doppia accezione: termine militare (vasa) che indica tutto l'equipaggiamento del soldato, e significato proprio di " vaso ". Anche nella terminologia biblica vas, accompagnato da genitivo specificativo, ha valore perifrastico (cfr., di san Paolo, " vaso di elezione " per " eletto ", "prescelto "; Atti degli Apostoli, IX, 15; e cfr. anche Matteo, XII, 29).

(13) Ci pare che " padrone " debba riferirsi a Vittorino, anziché al Signore.

………..

CAPITOLO XI

CRISI INTERIORE

Così, sempre ammalato e tormentato, accusavo me stesso più acerbamente del solito, ravvoltolandomi ancora nella mia fune, finché non si spezzasse completamente: era ormai ben assottigliata, ma pure mi teneva legato. E tu, o Signore, segretamente mi facevi pressione nella tua severità e misericordia, e mi battevi con doppia sferza, la paura e il timore, affinché non mi lasciasse andare di nuovo e perché quel legame che ancora mi avvinceva, ormai sottile e liso, invece di spezzarsi del tutto, non riprendesse consistenza per avvilupparmi più strettamente.

Mi ripetevo nel mio interno: " Subito, subito: bisogna farlo subito ", e già le parole mi avviavano alla decisione; quasi ci arrivavo; e non ci arrivavo, non ripiombavo nelle condizioni precedenti, ma dopo un piccolo sforzo mi fermavo come per riprendere respiro. Nuovi tentativi, la meta si faceva sempre meno, sempre meno distante; già la toccavo, la tenevo in pugno: e non vi ero giunto, e non l'avevo toccata, non la tenevo ancora, irresoluto a morire alla morte a risorgere alla vita. E più poteva il peggio diventato abitudine del meglio a cui non ero avvezzo; e quell'istante decisivo che avrebbe fatto di me un altro uomo mi incuteva un senso di spavento tanto più profondo quanto più si avvicinava: però, almeno, non mi respingeva indietro, non mi faceva deviare; ero come in bilico.

Ciance, ciance, vanità di vanità, le mie antiche amicizie mi ritenevano; e scuotendo la mia veste di carne mi venivan bisbigliando: " Ci mandi via? ", e: " D'ora in poi non saremo teco mai più, in eterno ", e: " D'ora in poi tu non potrai più fare questo né quello ". E quando dico " questo " " quello ", che razza di pensieri insinuavano nella mia mente, o mio Dio! Le tenga lontane dall'anima del tuo servo la tua misericordia! Quali brutture, quali svergognatezze! E' vero: quel bisbiglio aveva perduto più di metà della sua forza né arrivava di fronte da aperti avversari; era un sussurro da tergo, una punzecchiatura di soppiatto, per farmi voltare indietro. Bastava però a farmi rallentare il passo, mi rendeva titubante nello sforzo di strapparmi da esse, di disfarmene di balzare d'un salto dove ero chiamato; era la voce della mia prepotente abitudine: " Credi tu che potrai stare senza di esse? ".

Voci però senza calore, ormai. Là dove avevo voltato la faccia, pur essendo ancora trepidante a passare, mi si apriva la casta dignità della continenza, serena senza essere smodatamente gioiosa, pudicamente carezzevole; e mi invitava ad andare a lei senza esitazione, ed apriva per accogliermi, per abbracciarmi le pie mani ricolme di una messe di buoni esempi. Ivi fanciulli e fanciulle, ivi una folla di giovani, persone di ogni età, vedove gravi, vecchie che hanno serbato la verginità: e in tutte (riluceva) quella continenza, non mai sterile, ma madre feconda di figli del gaudio tuo, o Signore, suo sposo.

E mi canzonava e mi esortava nello stesso tempo, come dicesse: " Ciò che questi e queste hanno potuto fare, tu non lo potrai? Credi tu che essi abbian tanta forza in se stessi, e non piuttosto nel loro Iddio e Signore? Il loro Iddio e Signore mi donò ad essi. Perché ostinarti a reggerti da te, e non ti reggi? Gettati in lui senza timore; non si ritrarrà per lasciarti cadere: gettati con sicurezza; ti accoglierà e ti guarirà ". E vieppiù arrossivo di stare ancora a sentire il bisbiglio di quelle ciance e di rimanere nella mia indecisione. E insisteva essa, la continenza, e sembrava dicesse: " Chiudi le orecchie alle sollecitazioni immonde della tua carne sulla terra, in modo che vengan ridotte al silenzio. Ti parlano di piaceri, ma non conformi alla legge del Signore, tuo Dio ". Era una lotta che si combatteva nel segreto del mio cuore, io ero il mio avversario. Alipio non si distaccava da me, attendendo in silenzio l'epilogo di quel mio insolito turbamento.

 

CAPITOLO XII

" PRENDI E LEGGI "

Quando infine dalle misteriose profondità del cuore una severa meditazione ebbe spurgata ed ammucchiata davanti alla mia visione interiore tutta quanta la mia miseria, scoppiò una fiera procella apportatrice di un profluvio di pianto. E, per dar libero sfogo ad esso e ai singhiozzi che lo accompagnavano, mi alzai e, poiché la perfetta solitudine mi pareva più adatta al bisogno di piangere, mi allontanai da Alipio quel tanto che mi rendesse non grave la sua presenza.

Così ero: ed egli ne ebbe l'intuizione: credo anche di aver detto qualche cosa che tradiva nel suono della voce il nodo del pianto; e così mi ero alzato. Egli rimase là dove eravamo stati seduti, profondamente stupito. Io mi gettai a terra, non so come, sotto un albero di fico, lasciai libero corso al pianto, che proruppe a guisa di torrente dagli occhi, accetto tuo sacrificio. E parlai, parlai a lungo, non proprio con queste parole, ma certo con questi sentimenti: " E Tu, Signore, fino a quando? Quando, o Signore, avrà fine la tua collera? (14) Oh, dimentica i miei peccati antichi! " (15). Sentivo di essere ancora legato. Mandavo gemiti imploranti pietà: " Fino a quando, fino a quando: domani, domani? Perché non subito? Perché in questo stesso istante non finirla con la mia vergogna? ".

Parlavo e piangevo, gonfio il cuore di amarissima contrizione. Ed ecco dalla casa vicina mi giunge canterellata una voce - di bambino o di bambina, non so - che ripeteva a guisa di ritornello: " Prendi, leggi; prendi, leggi ". Di colpo, il volto si muta: e il mio pensiero va ricercando attentamente se quella sia una delle cantilene che i fanciulli sogliono ripetere in qualche loro giuoco; ma non rammento affatto di averla già udita. Frenai il corso delle lagrime, mi alzai, sicuro che quella voce non era altro che un ordine del cielo di aprire il libro e di leggere il primo capitolo che mi capitasse sotto gli occhi. Avevo poco prima sentito raccontare di Antonio (16) che da una lettura del Vangelo a cui per caso assisteva, come se essa fosse stata indirizzata a lui personalmente, aveva ricevuto l'invito: " Va', vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi ", e che era stato istantaneamente convertito a Te da quella parola divina.

Pertanto, tutto eccitato, ritornai là dove Alipio stava seduto, e dove avevo posto il volume dell'Apostolo nell'atto di alzarmi. Lo afferrai, lo apersi e, in silenzio, lessi il primo versetto che mi cadde sotto gli occhi: " Non nella crapula e nell'ubriachezza, non nelle impudicizie del letto, non nella discordia e nell'invidia: rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo, e non prendetevi cura della carne nelle concupiscenze " (17) Non volli leggere altro, né altro occorreva. Subito, appena finito il versetto, come per una luce rassicurante infusa nel mio spirito, tutte le tenebre dell'incertezza scomparvero. Chiusi allora il libro, tenendovi il dito o non so quale altra cosa come segno, e con volto ritornato sereno ormai del tutto, misi al corrente Alipio. Questi alla sua volta mise me al corrente di quello che si stava svolgendo in lui, del che io non mi ero accorto, in questo modo: volle vedere il brano che avevo letto, ed io glielo mostrai: ma egli pose mente anche più in là di quello che io avevo letto e che ancora ignoravo. Seguivano queste parole: " Se poi qualcuno è debole nella fede, porgetegli la mano ". Queste egli applicò a se stesso, e me lo disse. Ma un tale ammonimento servì a confermarlo in quella santa risoluzione che, del resto, era pienamente conforme ai suoi costumi nei quali era tanto e da tanto tempo migliore di me: mi si unì, così, senza alcuna esitazione e senza lotte interne.

Rientriamo in casa, dalla madre: gliene do l'annuncio; ella ne gioisce. Al racconto particolareggiato, esulta come di un trionfo ed innalza benedizioni a Te, " che nel tuo operato vai tanto oltre le nostre richieste e la nostra visuale " (18): vedeva bene che Tu le avevi concesso nei miei riguardi assai più di quanto soleva chiederti tra gemiti e pianto. Mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie, né ad altre speranze mondane, saldo in quella regola di fede in cui le ero stato mostrato da Te tanti anni prima. Tramutasti il suo dolore in una gioia ben più intensa di quella che aveva desiderato, più dolce e più casta di quella che si sarebbe potuta aspettare da nipoti nati dalla mia carne.

 

NOTE

(14) Salmo VI, 4.

(15) Salmo LXXVIII, 8.

(16) Nella narrazione di Ponticiano (VIII, 6). Il passo evangelico citato è tolto da Matteo, XIX 21; è il consiglio dato da Gesù al giovane ricco che gli aveva chiesto che cosa gli mancasse per raggiungere uno stato più perfetto.

(17) San Paolo, Lettera ai Romani, XIII, 13-14.

(18) San Paolo, Lettera agli Efesini, III, 20.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net