Regola di S. Benedetto

Prologo: 45 Vogliamo dunque istituire una scuola del servizio del Signore 46 nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso

III - La consultazione della comunità: 1 Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l'abate convochi tutta la comunità … 3 spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore... 13 "Fa' tutto col consiglio e dopo non avrai a pentirtene".

XXXIII - Il "vizio" della proprietà: 1 Nel monastero questo vizio dev'essere assolutamente stroncato fin dalle radici... 6 "Tutto sia comune a tutti", come dice la Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria qualsiasi cosa".

XXXIV - La distribuzione del necessario: 1 Si legge nella Scrittura "Si distribuiva a ciascuno proporzionatamente al bisogno."...3 chi ha meno necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi, 4 mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza.”

LXIII - L'ordine della comunità: 1 Nella comunità ognuno conservi il posto che gli spetta secondo la data del suo ingresso o l'esemplarità della sua condotta o la volontà dell'abate.

 


 

LE COORDINATE SOCIOLOGICHE

DELL’UTOPIA CRISTIANA DI PAOLO

Carlo Maria Martini S. J.

Estratto da "L'utopia alla prova di una comunità" - Edizioni Piemme 1998

 

 

‘Spirito santo di Dio, scendi su di noi e rischiara la nostra mente, il nostro spirito, così che possiamo contemplare il disegno del Padre nelle nostre comunità come l’ha contemplato Paolo nella Chiesa del suo tempo’.

 

Siamo ancora in quella prima parte degli Esercizi di sant’Ignazio, che si chiama Principio e fondamento e vorrei trarre qualche conseguenza dall’utopia di Paolo. Quale società sogna Paolo a partire dalla sua comprensione del mistero di Cristo? Quale immagine di Chiesa deriva dalla sua esperienza di Damasco e dal suo incontro con il Risorto?

Dopo una lunga riflessione credo di potervi presentare sette caratteristiche di comunità cristiana che corrispondono alla visione dell’Apostolo, alla visione stessa di Gesù e del Padre.

 

I.  Le caratteristiche della comunità cristiana

 

1. Una comunità che si identifica con Gesù Signore

 

Ho già accennato a questa prima caratteristica sottolineata al momento della conversione di Paolo dalle parole che Gesù pronuncia.

At 9, 4: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».

At 9, 5: «Io sono Gesù, che tu perseguiti!».

At 22, 8: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti».

At 26, 14-15: «Perché mi perseguiti?»... «Io sono Gesù che tu perseguiti».

Queste parole che ritornano in tutte le tre narrazioni non lasciano alcun dubbio: il Risorto si identifica con i suoi discepoli che vengono perseguitati.

È la visione cristologica della Chiesa quale parte del suo Signore, e Luca ne è pienamente consapevole. Infatti, sempre nel libro degli Atti descrive l’operato degli apostoli e poi aggiunge:

 

«Sempre più numerosi si aggiungevano alla comunità coloro che credevano nel Signore» (5, 14).

 

Osserviamo però che la Bibbia di Gerusalemme traduce: «credenti sempre più numerosi si univano al Signore, una moltitudine di uomini e di donne»; la Bibbia TOB, dal canto suo, recita: «moltitudini sempre più numerose di uomini e di donne si univano, per mezzo della fede, al Signore». E la stessa TOB - che è la Traduzione Ecumenica della Bibbia - annota: «Unendosi alla comunità, è al Signore che si congiungono; ciò suggerisce una specie di identificazione tra il Signore e i suoi».

È questa l’intuizione di Paolo fin dall’inizio: tra Gesù e i suoi c’è una specie di identificazione.

 

2. Una comunità che diventa corpo del Signore

 

Comprendiamo allora anche la visione eucaristica della comunità, sulla quale la Chiesa orientale insiste molto, e noi stessi abbiamo riscoperto questa profonda verità: la comunità diventa corpo del Signore nell’Eucaristia.

 

«Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10, 16-17).

 

In proposito la TOB ha una nota interessante: «Nella comunione al Corpo di Cristo i Cristiani sono una cosa sola nell’unico Cristo. Nella spiegazione dottrinale del pensiero di Paolo, il nesso di causalità tra la Cena e l’unità della Chiesa è compreso in modo differente dalle diverse chiese». Per la Chiesa protestante, la Cena ha un valore diverso rispetto alla Chiesa cattolica e ortodossa. Resta il fatto che la Chiesa nasce dall’Eucaristia, è l’Eucaristia, è plasmata dinamicamente, continuamente come il corpo di Cristo.

 

3. Una comunità che è un solo corpo

 

A livello sociologico, nel senso pregnante del termine, Paolo vede la comunità cristiana una.

 

«Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: “Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 12-27).

 

Partendo dal corpo di Cristo, Paolo legge la Chiesa come un’unità organica dove le diverse parti formano una cosa sola e devono perciò aiutarsi mutuamente, collaborare, vivere un’armonia profonda. Per lui la comunità cristiana è una realtà bella, piacevole, attraente, che dà gioia come dà gioia all’orecchio ascoltare un insieme gradevole di suoni diversi.

 

4. Una comunità tempio dello Spirito santo

Alla visione sociologica si può aggiungere una visione sacrale e pneumatica della Chiesa, su cui l’Apostolo ritorna sovente:

 

«Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3, 16).

 

È fortissima l’espressione «voi siete tempio di Dio». La relazione con lo Spirito santo è spiegata meglio al capitolo 12:

 

«Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito... tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (v. 13).

 

Per capire in quale senso Paolo ha una visione della comunità cristiana sacrale e pneumatica al tempo stesso, dobbiamo ricordare che cosa voleva dire il «tempio» per un ebreo. È il luogo della Presenza divina, la Shekhinah, il luogo dove si manifesta la santità di Dio, l’Altissimo. Pensiamo, per esempio, al sentimento di estasi che ha rapito Gesù dodicenne quando è entrato nel tempio di Gerusalemme: «Bisogna che io resti nelle cose del Padre mio» (cf. Lc 2, 49). Il tempio è il luogo sacro per eccellenza e per questo Gesù, divenuto adulto, scaccerà i profanatori: «Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera» (cf. Lc 19, 45). Nel tempio tutto è puro, incontaminato, tutto va trattato con somma cura e rispetto perché è proprietà di Dio.

L’esperienza straordinaria dell’incontro con Cristo ha fatto intuire all’ebreo Paolo che ora la Chiesa è il tempio, la presenza di Dio nel mondo, la manifestazione della sua gloria, e perciò all’interno della comunità cristiana si devono instaurare rapporti intessuti di delicatezza, di rispetto, di amore. Questo intende sottolineare con l’espressione: «Voi siete il tempio dello Spirito santo».

È una visione sacrale di Chiesa che santifica il mondo, che è dappertutto come Dio è dappertutto.

È una visione pneumatica di Chiesa sottomessa alla forza dello Spirito, di comunità carismatica e perciò ricca di spontaneità, di trasparenza, di pace; una comunità chiara come un cristallo in quanto animata dallo Spirito del Risorto.

 

5. Una comunità fraterna

 

La quinta caratteristica è quella di una visione agapica della comunità. La Chiesa per Paolo è una comunità fraterna, una comunità fondata sull’amore. Il capitolo 13 della prima lettera ai Corinti illustra splendidamente il volto della Chiesa sognata dall’Apostolo:

 

«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta...» (vv. 4-7).

 

Una comunità paziente, che serve, che non si inorgoglisce, che non si irrita, che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta; in essa si parla bene di tutti, si dà fiducia a tutti, si porta stima a tutti.

 

6. Una comunità di edificazione

 

C’è un’altra definizione di Chiesa molto cara a Paolo: una comunità che si edifica ed edifica grazie all’amore. È infatti una casa da costruire, un tempio da edificare. L’amore è la sola forza che non distrugge né con le opere, né con le parole, né con i pensieri. L’amore stesso va costruito giorno dopo giorno e da qui la regola fondamentale della comunità: promuovere ciò che edifica, evitare ciò che distrugge.

 

«Poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, ma per l’edificazione della comunità» (1 Cor 14, 12).

 

La regola non sono i doni dello Spirito in astratto; bensì l’edificazione grazie all’amore.

 

«Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un insegnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpretarle. Ma tutto si faccia per l’edificazione» (v. 26).

 

Da questa regola trae delle conseguenze pratiche e poi conclude:

 

«Fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. Ma tutto avvenga decorosamente e con ordine» (vv. 39-40).

 

L’edificazione nell’amore è un principio di ordine, di convenienza per il vero bene dell’intera comunità.

 

7. Una comunità che ringrazia Dio

 

Infine Paolo sogna una comunità di lode, che rende grazie a Dio.

Quello della lode è un ritornello presente in tutte le lettere paoline, per esempio nella nostra:

 

«Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza» (1 Cor 1, 4).

 

Cito in proposito un altro grande testo:

 

«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi, per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia...» (Ef 1, 3 ss.).

 

È la lode della comunità che si sente benedetta da Dio. La comunità sognata da Paolo è la stessa che Gesù sogna. È il progetto di Dio, il Principio e fondamento della Chiesa, dell’umanità chiamata a essere in Cristo. L’Apostolo ha compreso tale progetto a poco a poco, attraverso i giorni felici e attraverso le circostanze avverse: tutto l’ha aiutato a questa contemplazione grandiosa e gloriosa di una comunità di credenti. E, fin dall’inizio, cioè dall’incontro con Gesù risorto, la sua vita è diventata, sempre e comunque, un inno di lode e di riconoscenza alla Trinità santa.

 

II. Spunti di riflessione

 per la preghiera personale

 

Mi preme proporvi degli spunti per la preghiera personale che dovrebbe scaturire dalla visione del piano di Dio sulla Chiesa e sul mondo.

 

1. Se vi dedicate a riflettere sulle sette caratteristiche che ho presentato, avvertirete il bisogno di elevare la lode e il ringraziamento a Dio. Siamo abituati ad accettare la Chiesa come una realtà storica che esiste da secoli, a vederla come qualcosa di ovvio, di scontato. Di fatto, invece, è un dono grande di Dio, è il capolavoro di Gesù Cristo. Non è sufficiente rendere grazie per la Chiesa nel Prefazio della Messa; occorre lasciarci coinvolgere dallo spirito del Prefazio e viverlo nella preghiera personale. Non c’è nulla di più gradito al Signore della nostra riconoscenza per il suo mirabile disegno di salvezza, nel quale siamo inseriti.

E rendere grazie anche per la Chiesa concreta che conosciamo, in quanto realizza il piano di Dio, per quello che lo realizza; rendere grazie di ciò che ci è stato dato e che è molto. Solo allora possiamo iniziare l’esame di coscienza sui nostri peccati e sui peccati della Chiesa. Solo cominciando dalla lode possiamo vedere ciò che ci manca.

Il padre Ghislain Lafont, monaco benedettino e docente di teologia, ha scritto recentemente un libro sul desiderio come sentimento tipico della creatura umana, tesa sempre a un più. E afferma che il primo inizio del desiderio nasce dall’esperienza di essere saziati, come il bambino è sazio ed è contento dopo aver succhiato il latte dal seno materno. Senza tale esperienza non si può desiderare di vedere ciò che ancora non si vede. Quando ci sentiamo colmati dai doni del Signore, ci sentiamo suoi figli nella Chiesa, diventa semplice scorgere la mèta verso cui camminare.

 

2. Il secondo spunto è l’applicazione del primo. Avendo imparato a esercitarci nella lode e nel ringraziamento, diventiamo capaci di rendere grazie per la comunità concreta a cui apparteniamo - parrocchia, comunità religiosa, comunità diocesana -.

Paolo ci dà un esempio nella prima lettera ai Corinti: anzitutto ringrazia Dio per quella comunità che pure ha tanti difetti ed è per lui fonte di preoccupazioni.

Nelle comunità di recente costituzione è più facile rendere grazie perché tutto è nuovo, smagliante; nelle comunità già esistenti da tempo è meno spontanea la lode perché tutto appare dovuto, scontato, e si dimentica invece che è dono di Dio.

 

3. Proviamo a domandarci: come vorrei la mia comunità? La sogno secondo le linee del disegno di Dio? E ancora: amo la mia comunità? È bello interrogarci e rispondere nella preghiera, lasciando il cuore libero di esprimersi nella verità.

Ricordo un prete che venne un giorno a trovarmi. Si lamentava molto della sua comunità: mediocre, chiusa all’ascolto, non disposta mai a collaborare, indifferente a ogni sollecitazione, a ogni proposta. Lo ascoltai in silenzio e alla fine l’ho interpellato: Ma ami la tua comunità? E conclusi: Se la amassi, non ne parleresti in questi termini!

Dunque, amare e pregare per la propria comunità, come faceva Paolo che pregava di giorno e di notte.

Gli spunti che vi ho offerto ci preparano anche alla prossima meditazione che verterà sulle difficoltà e sulle disillusioni della comunità vissute dall’Apostolo.

 


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20 ottobre 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net