APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

RELAZIONI CON L'ESTERNO (capitoli 66-67; 51; 53; 56)

CAP. 66 - I portinai del monastero

CAP. 67 - I fratelli mandati in viaggio

CAP. 51 - I fratelli che vanno fuori non molto lontano

CAP. 53 - Come debbono essere accolti gli ospiti

CAP. 56 - La mensa dell'abate


Relazioni con l'esterno: clausura, viaggi, ospiti

Preliminari

Il monastero nella primitiva tradizione era considerato come un luogo chiuso, separato dal mondo, costituito - secondo la RM - da "santi", da "fratelli spirituali" che non si debbono mescolare ai secolari. I fratelli percio` vivevano tutta la loro vita nei "recinti" del monastero, ai margini della vita del mondo. Cosi` per anacoreti e cenobiti, cominciando dai pacomiani. Tuttavia anche per il monastero di RM e di RB, alcune relazioni con l'esterno sono inevitabili: accogliere poveri e pellegrini, quindi l'importanza dell'ufficio del portinaio (RB.66), ricevere tutti gli ospiti (RB.53 e 56), uscire per breve tempo per qualche commissione (RB.51) o anche per viaggi piu` lunghi (RB.67).Tutto cio` trattiamo in questa sezione; e iniziamo proprio dall'organizzazione autosufficiente del monastero, quale ci appare dal c.66, prevista appunto per ridurre al minimo le uscite.


CAPITOLO 66

I portinai del monastero

De ostiariis monasterii

Il capitolo sui portinai

Il capitolo sui portinai del monastero ci testimonia - come si e` detto - di tutta una mentalita` sulla concezione del monastero come unita` auto-sufficiente, separato dal mondo, ecc. Difatti non si limita a tracciare le qualita` del portiere (vv.1-5), ma ricorda che il cenobio deve essere organizzato con ogni cosa all'interno (vv.6-7); una nota finale prescrive la lettura frequente della Regola in comunita` (v.8).

1-5: Persone e ufficio del portinaio

L'ufficio del portinaio, secondo la Regola, e` molto importante e delicato: il portinaio e` intermediario tra il monastero e il mondo, e` il guardiano della pace dei monaci e, nello stesso tempo, il rappresentante della comunita`; il primo contatto della gente col monastero avviene attraverso il portinaio, anzi a volte (almeno nelle brevi visite, non in caso di ospitalita`), egli e` il solo monaco avvicinato e conosciuto; spesso dal suo modo di rispondere e di trattare dipende l'edificazione degli estranei e il buon nome del monastero. Gli antichi davano grande importanza a tale ufficio e sceglievano per esso i migliori monaci. A Montecassino SB spesso fu trovato a leggere presso la porta (II.Dial.31); e li` pure S.Willebaldo (sec.VIII) fu per parecchi anni portinaio.

La Regola enumera alcune qualita`: saggezza, assennatezza, prontezza e sollecitudine nel rispondere "con tutta gentilezza e fervore di carita`". Si parla di "saggio" come per l'abate (RB.27,2; 28,2), per il celleraio (RB.31,1), per il foresterario e in generale per quanti amministrano la "casa di Dio" che e` il monastero (RB.53,22). Notiamo che alla fine del v.1 alcuni codici danno vagari, altri vacari, e il senso sarebbe: "la cui eta` non gli permetta di rimanere ozioso" ('vacari': Penco, Colombas); oppure: "la cui eta` matura non gli permetta di andare gironzolando" ('vagari': Lentini e altri). De Vogue` legge "vacari", ma solo come variante ortografica di "vagari".

Nota per l'oggi

Oggi molti monasteri per l'ufficio di portinaio viene assunto un laico; pero` nella riscoperta che oggi si sta facendo del monastero come luogo di accoglienza, non sarebbe male ripensare la cosa e rifare all'ufficio del portinaio quel posto delicato e importante che gli da` la Regola. Cosi` pure sara` bene rieducare tutti alla disponibilita` e gentilezza nel rispondere alla porta e al telefono; anche rispondere subito e con delicatezza al telefono puo` essere oggi un'ottima forma di accoglienza.

6-7: Clausura

Gia` alla fine del c.4 SB ha ricordato che tutti gli strumenti dell'arte spirituale enumerati vanno usati nell'"officina" che e` il recinto del monastero e la stabilita`. Percio` ora aggiunge che il cenobio deve essere provvisto di tutto il necessario - enumera difatti alcune cose principali - per ridurre al minimo le uscite, "cosa questa che non giova affatto alle loro anime" (v.7). (La frase riecheggia alcune espressioni della "Historia Monachorum in Aegypto"). Ricordiamo anche come SB ha parlato male dei monaci girovaghi (RB.1,10-11). Gia` Antonio il Grande diceva che "un monaco fuori del monastero e` come un pesce fuor d'acqua" (Vita, 85; Apoftegmi, Antonio, 10).

Nota per l'oggi

Certamente l'evoluzione storica, le circostanze, il ritmo di vita diverso, i segni dei tempi, ecc., inducono a una rilettura di questo brano e a una concezione diversa dei contatti con l'esterno. Oggi non e` piu` possibile, e neanche opportuno, organizzarsi in un sistema economico chiuso e in una vita completamente avulsa dal contesto sociale ed ecclesiale. Pero` non e` fuori di luogo richiamare a noi il principio generale che i monaci devono abitualmente stare in monastero. E questo non come indizio di una mentalita` ristretta e meschina (che potrebbe affiorare in noi) che il "mondo" e` la sentina di tutti i vizi e il monastero il luogo dei santi, dei puri, cosa che non e` nello spirito di SB e della genuina tradizione monastica. Nei Detti dei Padri, spesso si trova il fatto del santo eremita, vissuto per lungo tempo nella solitudine, a cui viene rivelato che in citta` c'era un semplice e comune artigiano che era piu` santo di lui; e Gregorio ci presenta SB avere dei rapporti semplici e liberi con le persone di fuori. Si tratta semplicemente di coerenza con il proprio stato di vita: una certa separazione dal mondo puo` considerarsi come una componente essenziale della professione monastica, ma naturalmente la cosiddetta "fuga-mundi" deve essere rettamente intesa. Per quanto possa sembrare paradossale, questo modo di essere tutto di Dio senza alcun pensiero in cuore al di fuori di quello della sua presenza e` il modo piu` pieno e assoluto di essere tutto dei fratelli. "Monaco e` colui che e` separato da tutti e unito a tutti", dice Evagrio. E per irradiare genuinamente Cristo (anche nel lavoro pastorale, per alcuni monasteri) il modo migliore e` questa fedelta` a un certo distacco, a una certa separazione, a una vita "piu` nascosta in Dio".

8: Prescrizione di leggere la Regola in comunita`

Questa nota finale prescrive la lettura frequente della Regola in pubblico, anche se non specifica i modi e i tempi. Secondo la RM (RM.24,15), tale lettura si faceva a refettorio durante il pasto. Da questa finale si deduce che qui terminava la prima stesura della RB: difatti RB.66 corrisponde a RM.95, sempre sui portinai, che e` l'ultimo capitolo della RM.


CAPITOLO 67

I fratelli inviati in viaggio

De fratribus in viam directis

1-7: Norme per i fratelli in viaggio

I viaggi senza dubbio sono inevitabili. E` curioso notare che proprio immediatamente dopo il c.66 che insiste rigorosamente nulla necessita` di rimanere in monastero, il primo dei capitoli aggiunti (ricordiamo che i cc.67-73 sono stati aggiunti dopo la prima redazione della Regola che terminava al c.66) parla dei fratelli mandati in viaggio. Necessita` di apostolato, di carita`, di interessi del monastero e anche di famiglia possono esigere che i fratelli viaggino. RB.67 si limitava comunque a far notare i pericoli spirituali a cui puo` andare incontro il monaco fuori del suo ambiente piu` naturale, e SB richiama continuamente l'aiuto soprannaturale. I partenti si raccomandano alla preghiera della comunita` (v.1); essi poi durante l'assenza vengono ricordati alla fine dell'ufficio (v.2: questo si fa ancor oggi con il "Divinum auxilium...); al ritorno chiedono perdono delle eventuali colpe commesse fuori (vv.3-4).In questo contesto si comprende la prescrizione seguente (vv.5-6), di non riferire le cose viste o udite fuori ai fratelli rimasti dentro, sempre per evitare il pericolo di far entrare la mentalita` del mondo nel monastero. Il v.7 aggiunge la pena regolare per chi esce dal monastero senza il permesso dell'abate, o per chi compie qualsiasi cosa (l'interpretazione secondo il contesto sembra essere: qualsiasi cosa fuori dal monastero), senza il permesso dell'abate. Il santo Patriarca non perde occasione per riaffermare l'autorita` del "padre del monastero". Tuttavia SB non prescrive niente di straordinario: i Regolamenti di Pacomio hanno disposizioni molto simili. Anche per questo brano va tenuto conto, oggi, della nostra situazione diversa; va interpretato secondo quanto gia` detto al capitolo precedente.


CAPITOLO 51

I fratelli che vanno fuori non molto lontano

De fratribus qui non longe satis proficiscuntur

1-3: Viaggi brevi

Questo capitoletto parla di viaggi meno importanti e, senza dubbio, piu` frequenti, per piccole commissioni. In pratica si limita a proibire di fermarsi a mangiare fuori, qualora si pensi di rientrare in giornata, senza espressa licenza dell'abate. Nel testo c'e`: il suo abate, ad escludere l'invito proveniente anche da un altro abate, nel caso il monaco sia andato a fare una commissione in un altro monastero. Ricordiamo l'episodio dei fratelli che accolsero l'invito di una pia donna e furono rimproverati (ma poi subito perdonati!) da SB. E S.Gregorio inizia quel capitolo proprio ricordando che "era consuetudine del monastero che ogni volta che i fratelli uscivano per qualche commissione, non prendere ne` cibo ne` bevanda fuori del monastero" (II.Dial.12).

Notiamo che questo capitolo si trova dopo il c.50, con cui appare la connessione, perche` li` si diceva come si devono comportare riguardo all'Ufficio divino i fratelli che lavorano non molto lontano o sono in viaggio. Notiamo ancora che nel testo del presente capitolo si parla di monaco, al singolare, mentre al c.67 sempre al plurale: probabilmente nei viaggi piu` lunghi e importanti i monaci non andavano mai da soli, ma almeno in due.


CAPITOLO 53

Come debbano essere accolti gli ospiti

De hospitibus suscipiendis

Preliminari

Il c.53 sull'ospitalita` e` in linea con tutta la tradizione monastica. La S.Scrittura parla dell'accoglienza degli ospiti come di un esercizio fondamentale della carita` fraterna (cf. Rom.12,13; 13,8; ecc.) e Gesu` dice che nelle persone di ospiti e pellegrini si riceve lui stesso (Mt.25,35-43). Fin dalle origini del monachesimo, ricevere poveri, pellegrini e ospiti fu ritenuta una pratica sacrosanta della vita quotidiana: cosi` presso i Padri del Deserto (abbiamo tanti esempi e aneddoti nei "Detti"), presso anacoreti, presso i cenobiti pacomiani. SB si mostra degno erede di questa tradizione. Per il c.53 della RB abbiamo nella RM vari capitoli (RM.65; 71-72; 78-79), in cui da una parte notiamo grande comprensione e carita` (addirittura il Maestro fa anticipare il pasto dei fratelli a sesta, se l'ospite si trattiene); d'altra parte notiamo differenza nei confronti di ospiti che si fermano piu` giorni: in essi potrebbero nascondersi parassiti e ladri. SB ha soppresso tanta casistica e parla dell'ospitalita` in un solo capitolo unitario e ben compatto, tutto pieno di un profondo spirito di fede, di calore umano e di carita` fraterna.

Struttura del capitolo

RB.53 si divide in due parti: a) la prima (vv.1-15) descrive l'accoglienza con una piccola teologia dell'ospitalita` (e` ispirata soprattutto alla "Historia Monachorum in Aegypto" tradotta da Rufino); b) la seconda (vv.16-24) parla dell'organizzazione dell'ospitalita` nel monastero, con le ripercussioni per la vita interna del cenobio e la pace dei fratelli.

Appare, anche dalla struttura e dal vocabolario, che questa seconda parte dovette essere composta in un secondo tempo da SB; in seguito alla pratica continua dell'ospitalita`, alle varie esperienze, agli inconvenienti notati, il santo Patriarca dovette aggiungere alcune precisazioni. Le campagne italiane non erano certo il deserto dell'Egitto, gli ospiti a Montecassino affluivano incessantemente e a volte in buon numero; tale afflusso avra` pregiudicato il clima di preghiera e il silenzio in cui vivevano i monaci. Da qui alcune restrizioni aggiunte alla prima stesura, per armonizzare le irrinunciabili tradizioni dell'ospitalita` monastica con le esigenze della vocazione cenobitica.

1-15: Accoglienza degli ospiti: teologia dell'ospitalita`

Esaminiamo ora il testo "Ero pellegrino e mi avete ospitato" (Mt.25,35). La frase di Matteo domina tutta la prima parte del capitolo e costituisce la base per il principio generale che tutti gli ospiti che giungono al monastero siano accolti come Cristo in persona (v.1). Mettiamo l'accento su quel "tutti" con cui si apre il capitolo. SB intende bandire ogni distinzione di grado sociale. Ognuno poi sia ricevuto con l'onore dovuto, "soprattutto i nostri fratelli nella fede e i pellegrini" (v.2). Domestici fidei <fratelli nella fede> sembra si debba interpretare nel senso di monaci o anche chierici e in genere quelli che fanno professione di speciale servizio a Dio (cio` sarebbe confermato anche da passi di Pacopmio, Cassiano, Girolamo). Pellegrini: quelli che vengono da lontano a scopo di pieta` e di devozione. I pellegrinaggi ai luoghi santi della Palestina e di Roma erano allora frequenti e i monasteri erano il naturale rifugio nelle soste dei pii viaggiatori. Dunque i "domestici fidei", per la loro professione sacra, e i "peregrini", per il loro sacro scopo di viaggio, meritano particolare cura ed onore. A questi SB aggiunge i "poveri" (v.15), specificando che specialmente nei poveri e nei pellegrini si riceve Cristo.

Posto il principio, SB passa a descrivere il rito dell'accoglienza, i cui vari atti erano nella tradizione della Chiesa primitiva e del monachesimo: accorrere a ricevere l'ospite, umilta` nel riceverlo, preghiera, bacio di pace, lettura della S.Scrittura, lavanda dei piedi... (vv.3-14).A proposito della lavanda dei piedi (vv.12-14), ricordiamo che essa era anticamente assai comune ed era necessaria a causa del viaggiare a piedi. Praticamente dobbiamo ritenere che non ad ogni ne-venuto tutta la comunita` andasse a compiere questo atto, ma che per tutti insieme i nuovi venuti si eseguisse la lavanda in un solo tempo della giornata, e che i fratelli la facevano a turno, in modo che "tutta la comunita`" adempisse questo atto di servizio e di umilta`. A tal riguardo gli usi nei monasteri furono i piu` vari. Bello lo spirito di fede che aleggia nel v.14: i monaci vedono nell'ospite arrivato una manifestazione della grazia e della benevolenza di Dio: "Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia <=grazia>..." (salmo 47,10).

16-24: Organizzazione dell'ospitalita`

Dato che nel monastero bisogna accogliere tutti coloro che chiedono ospitalita` - (ricordiamo l'8.vo strumento delle buone opere: "onorare tutti gli uomini" (RB.4,8) che si riferisce senz'altro all'ospitalita`, come ha dimostrato DeVogue`) - potrebbero derivare inconvenienti per la vita comune, poiche` gli ospiti, "che non mancano mai in monastero" (v.16), arrivano alle ore piu` impensate. Ecco allora la necessita` di una certa organizzazione, per compiere bene l'esercizio dell'ospitalita`. Abbiamo quindi la cucina a parte con un personale specializzato, la foresteria e il foresteriario, con eventuali aiutanti: ambedue le cose sono creazioni di S.Benedetto rispetto alla RM. Il santo patriarca vuole che la casa di Dio sia amministrata da saggi e saggiamente (v.22). Sappiamo che nel mandare alcuni monaci a fondare il monastero di Terracina, SB parlo` di posto per l'"oratorio, il refettorio per gli ospiti, la foresteria..." (II.Dial.22); e ancor oggi non si concepisce monastero benedettino senza una parte riservata a foresteria.

Il capitolo si chiude con la proibizione ai monaci di parlare con l'ospite, e sembra una nota un po` negativa in un testo iniziato con tanto slancio spirituale. SB e` guidato dall'intenzione di salvaguardare l'osservanza regolare; non si tratta solo del silenzio, ma anche di evitare il contatto col mondo esterno, come gia' visto in RB.66,7 e 67,4-5. Pero` l'osservanza della Regola non significa mancanza di educazione: incontrando l'ospite, il monaco non omettera` di salutare gentilmente e di domandare umilmente la benedizione, secondo l'uso del tempo.

Conclusione e applicazione oggi

Il bel capitolo sull'ospitalita` ha generato la gloriosa tradizione dell'ospitalita` benedettina, una delle manifestazioni caratteristiche dello spirito e dello stile benedettino, che ha svolto anche un'opera di altissimo valore sociale nella storia d'Europa. Oggi, certo, la situazione e` cambiata: rapidissimi mezzi di comunicazione, organizzazioni turistiche e alberghiere... Eppure, anche oggi si viene al monastero. Che cosa vengono a cercare gli uomini del XX secolo nelle nostre foresterie? Quella dimensione spirituale che non puo` trovarsi in un albergo. Il problema dell'accoglienza va ripensato, e seriamente, nelle nostre comunita`. E notiamo che gli ultimi versetti del c.53 non sono in contraddizione con il concetto di "comunita` aperta". Aprirsi significa soprattutto donare quanto di meglio si possiede, in uno scambio fraterno di carita`. Questo tuttavia e` possibile solo se l'accoglienza degli ospiti si svolge in modo da salvaguardare la pace e il raccoglimento della comunita`, altrimenti non si offre altro che il vuoto della propria dissipazione. La foresteria poggia sulla interiorita` dei monaci; una foresteria monastica non puo` essere tale se dietro di essa non c'e` la presenza silenziosa e irradiante di una comunita` riunita nel nome di Cristo; una comunita` che sappia, in uno spirito di fede, essere disponibile, sappia accogliere tutti come Cristo in persona (cf.v.1), e mettere a parte coloro che vengono al monastero, in semplicita` e umilta`, della propria vita di preghiera, di meditazione, di lavoro.


CAPITOLO 56

La mensa dell'abate

De mensa abbatis

1-3: Senso del capitolo

Il breve capitolo va considerato come complemento del capitolo dell'ospitalita`: c'e` una cucina e una mensa propria per i forestieri e per l'abate. Questi mangia sempre con gli ospiti e, nel caso questi fossero pochi, l'abate puo` invitare alcuni dei fratelli, purche` rimangano sempre uno o due seniori a tutelare la disciplina nel refettorio comune.

Il capitolo, uno dei piu` brevi di tutta la Regola, e` stato il tormento dei commentatori, antichi e moderni. Alcuni hanno ritenuto inammissibile che SB faccia mancare abitualmente l'abate dalla mensa comunitaria, che e` uno dei segni maggiori della vita fraterna e della comunita` radunata nel nome di Cristo. DeVogue` ha interpretato che gli ospiti fossero introdotti nel refettorio monastico e mangiassero alla "tavola" ("mensa" = nel senso di tavola) dell'abate, in giorno di digiuno con orario diverso (in modo che l'abate - solo lui - interrompesse il digiuno), negli altri giorni insieme alla comunita`. Ma questa ipotesi renderebbe incomprensibile il v.3 e non risponderebbe alla "mens" di SB, il quale vuole che gli ospiti non disturbino con la loro presenza la vita regolare dei monaci.

Dobbiamo dire che separare l'abate dai fratelli in un momento cosi` significativo della vita della comunita` come la refezione comune, costituisce il prezzo che SB si considero` obbligato a pagare affinche` l'esercizio dell'ospitalita` non intralciasse lo svolgimento normale del ritmo della giornata monastica. Certo, la cosa genero`, nel corso dei secoli, abusi e inconvenienti: si pensi alla grande stortura che piu` tardi si verifico` dando alla "mensa abbatis" il senso di "beneficio ecclesiastico", con patrimonio proprio, distinto da quello della comunita`; fu il pretesto per una lunga serie di gravi abusi che influirono molto negativamente sullo spirito monastico, specialmente nel periodo dei cosiddetti "abati commendatari".

Naturalmente, oggi, tutto cio` e` sorpassato e l'abate presiede abitualmente ai pasti comuni; gli ospiti o mangiano a parte o sono ammessi al refettorio monastico assieme alla comunita`.

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Nota: I cc.54-55 e 57 sono stati trattati dopo i cc.32-34 nella sezione della poverta`.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net