LE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di GIOVANNI CASSIANO

LIBRO TERZO

LA REGOLA DA SEGUIRE PER LE PREGHIERE ED I SALMI DEL GIORNO.

"Libera traduzione"

Link al testo latino con traduzione a fronte

CAPITOLO PRIMO

Penso di aver mostrato abbastanza, per grazia di Dio e secondo i miei deboli talenti, il metodo seguito in Egitto per gli orazioni e id salmi della notte.

Dobbiamo ora parlare delle solennità di Terza, di Sesta e di Nona [1], secondo la regola in vigore nei monasteri di Palestina e Mesopotamia. Le loro istituzioni, come ho annunciato nella prefazione, ci serviranno per temperare la perfezione degli egiziani e la loro rigorosa ed inimitabile disciplina.

 

CAPITOLO II. Tra (i monaci) d'Egitto, preghiere e salmi, uniti al lavoro delle mani, continuano tutto il giorno, senza distinzione di ore.

Gli uffici coi quali noi, (monaci della Gallia), rendiamo omaggio al Signore in ore ed intervalli diversi, obbligati dall'avvertimento del fratello che bussa alla nostra porta, vengono celebrati dai monaci d'Egitto spontaneamente tutto il giorno con assiduità, unendo alla preghiera il lavoro manuale. Infatti, essi si dedicano a un lavoro ininterrotto nelle loro celle, così che la meditazione dei salmi o di altre parti della Scrittura non cessa mai completamente. A questa meditazione mescolano in ogni momento preghiere ed orazioni, trascorrendo così tutto il giorno nella celebrazione degli uffici che noi celebriamo in tempi stabiliti. Al di fuori delle riunioni del vespro e della notte, presso di loro non si fa nessuna solennità pubblica durante il giorno, tranne il sabato e la domenica, dove si incontrano all'ora terza per ricevere la santa comunione In effetti il sacrificio ininterrotto ha più valore di ciò che viene compiuto ad intervalli di tempo (prefissati) ed il dono volontario è più gradevole delle azioni eseguite per obbedienza (ad una regola) canonica. Da qui il sentimento che fa esultare il re Davide, quando dice "Ti offrirò un sacrificio spontaneo" (Sal 54 (53),8) e, "Le offerte spontanee della mia bocca ti siano gradite, Signore!" (Sal 119 (118),108; Vulg.).

 

CAPITOLO III. In tutto l'Oriente le solennità di Terza, Sesta e Nona sono fissate con solo tre salmi e tre orazioni; (indichiamo) il motivo per cui proprio queste ore sono state assegnate ai doveri spirituali.

Nei monasteri della Palestina, della Mesopotamia e di tutto l'Oriente, le solennità delle suddette ore sono fissate tutti i giorni con tre salmi. In questo modo Dio riceve, a orari prestabiliti, l'offerta di un'assidua preghiera e, dato che questi doveri spirituali sono compiuti con giusta moderazione, i lavori indispensabili non subiscono alcun impedimento.

Sappiamo che anche il profeta Daniele rivolse in queste tre ore del giorno le sue preghiere davanti al Signore, nella sua stanza e con finestre aperte. (Cfr. Dn 6,11). E non è senza motivo che questi momenti sono stati specialmente destinati ai doveri religiosi, dato che in queste ore vi fu l'adempimento delle promesse ed il compimento della nostra salvezza [2].

È all'ora terza che lo Spirito Santo, un tempo promesso dai profeti, discese per la prima volta sugli Apostoli in preghiera (Cfr. At 2,1-4.15). Infatti, poiché il popolo giudeo si stupiva del dono delle lingue che essi avevano ricevuto per l'infusione dello Spirito Santo e li deridevano dicendoli pieni di mosto, Pietro si alzò in mezzo a loro e disse: "Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino (l'ora terza); accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele: Avverrà: negli ultimi giorni - dice Dio - su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno" (At 2,14-18; cfr. Gl 3,1-2). È alla terza ora che vediamo tutte queste cose compiute ed in quello stesso momento lo Spirito Santo annunciato dai profeti è disceso sugli apostoli.

Alla sesta ora nostro Signore e Salvatore si è offerto al Padre, vittima senza macchia e, salendo sulla croce per la salvezza del mondo intero, ha cancellato i peccati del genere umano. "Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo" (Col 2,15) ed a tutti noi che eravamo colpevoli ed oppressi dal debito di un'obbligazione insolvibile ha dato la liberazione, "togliendolo di mezzo ed inchiodandolo al (trofeo della sua) croce" (Col 2,14).

Ancora alla sesta ora Pietro ricevette la rivelazione divina, in un'estasi di spirito, della vocazione dei Gentili figurata dal "recipiente" evangelico che scende dal cielo e dalla purificazione di tutti gli animali che si trovavano lì dentro, mentre una voce divina gli diceva: "Coraggio, Pietro, uccidi e mangia" (Atti 10,13).

Perché è chiaro che quel recipiente di stoffa "calato a terra per i quattro angoli" (At 10,11) può ovviamente solo designare il Vangelo. In effetti, benché sembri avere quattro autori distinti, a causa del quadruplo racconto degli evangelisti, tuttavia il corpo del Vangelo è unico, abbracciando sia la nascita di Cristo che la sua Divinità, sia i suoi miracoli che la sua Passione. D'altra parte (la Scrittura) dice bene non "Un lenzuolo", ma: "simile ad un lenzuolo". (Atti 10,11), poiché un lenzuolo è un simbolo di morte. Dato che la morte che il Signore subisce durante la sua Passione non è effetto della legge della natura umana, ma rientra in una decisione della sua libera volontà, essa viene detta: "Simile ad un lenzuolo". Morì secondo la carne, ma non morì secondo lo spirito poiché: "La sua anima non fu abbandonata negli inferi, né la sua carne subì la corruzione" (At 2,31) ed ancora: "Nessuno mi toglie la vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo" (Gv 10,18).

Ora, in questo recipiente dei Vangeli inviato dal cielo, cioè interamente scritto dallo Spirito Santo, tutte le nazioni che in passato, estranee all'osservanza della Legge, erano considerate impure, si riuniscono per obbedienza alla fede. E così, rinunciando per la loro salvezza al culto degli idoli ed avvicinandosi ad un alimento di salvezza, esse sono dichiarate pure davanti a Pietro dalla Voce del Signore.

Alla nona ora, il Signore penetrò negli inferi, dissipò l'inestricabile oscurità del Tartaro con lo splendore della sua luce, ruppe le porte di bronzo e spezzò le serrature di ferro; fece salire in cielo con lui i santi che erano tenuti prigionieri nelle tenebre di questo crudele inferno; e dopo aver rimosso la spada fiammeggiante riportò in paradiso il suo antico abitante, (Adamo), testimoniando così della su bontà.

E sempre a quest'ora anche il centurione Cornelio, mentre persisteva nella preghiera con la sua abituale devozione, apprese dalla voce di un angelo che il Signore si era ricordato delle sue preghiere e delle sue elemosine; ed alla nona ora gli fu manifestato il mistero della vocazione delle genti (At 10,30), rivelato a Pietro all'ora sesta in un'estasi di spirito. In un altro passo degli Atti degli Apostoli si parla della stessa ora: "Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera dell'ora nona" (Atti 3,1).

Tutto ciò dimostra chiaramente che queste ore, giustamente dedicate al servizio religioso da parte di uomini santi ed apostolici, devono essere da noi osservate allo stesso modo. Infatti, se una specie di legge non ci costringesse ad assolvere questi uffici di pietà in momenti precisi, noi trascorreremmo tutto il giorno immersi nell'oblio, nella pigrizia o travolti dalle occupazioni senza trovare un momento per la preghiera.

Che dire ora dei sacrifici della sera che anche nel Vecchio Testamento, la legge di Mosè ingiungeva di offrire senza interruzioni (Cfr. Nm 28,4)? Nel tempio, ogni giorno, venivano offerti gli olocausti del mattino e le offerte della sera, anche se le vittime erano figurative, ed anche di ciò troviamo evidenza nel canto di Davide: "La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera" (Sal 141 (140),2).

Questo passaggio può essere compreso in un senso più spirituale in riferimento al vero sacrificio della sera: ovvero il sacrificio che il nostro Signore e Salvatore insegnò durante l'Ultima Cena ai suoi apostoli, quando istituì i santissimi misteri della Chiesa, oppure il sacrificio della sera – cioè alla fine dei secoli - che lui stesso offrì al Padre il giorno successivo con elevando le mani per la salvezza del mondo. È a giusto titolo che si chiama "elevazione" il suo gesto di distendere le mani sul patibolo. Poiché, mentre giacevamo tutti nell'inferno, egli ci ha elevati al cielo secondo la parola della sua promessa: "Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32).

Per quanto riguarda la solennità del Mattutino, anche i testi che cantiamo quotidianamente in essa ci istruiscono: "O Dio, mio Dio, fin dall'alba attendo a te" e "Al mattino, mediterò su di te"; (Sal 63 (62),3.7; Vulg.); "Precedo l’aurora e grido aiuto" e "I miei occhi precedono il mattino per meditare sulla tua promessa" (Sal 118 (117),147.148).

È ancora in queste stesse ore che quel padre di famiglia del Vangelo reclutò gli operai per la sua vigna. Sta scritto, infatti, che ne assunse all'alba, ciò che designa la nostra solennità del Mattutino, poi all'ora terza, sesta e nona; infine all'ora undicesima, ora che significa il lucernario, cioè il vespro (Mt 20,1-6).

 

CAPITOLO IV. La solennità del mattino, che noi chiamiamo l'ora Prima, non viene da un'antica tradizione ma è stata creata nel nostro tempo.

Bisogna sapere che questa funzione canonica del mattino, (l'ora Prima [3]) che si osserva oggi soprattutto nelle regioni occidentali, è stata per la prima volta istituita ai nostri tempi e nel nostro monastero (di Betlemme), in quei luoghi in cui il nostro Signore Gesù Cristo, nascendo dalla Vergine, si degnò di ricevere gli inizi dell'infanzia umana e fortificò con la sua grazia la nostra infanzia nella vita monastica, ancora tenera e avida di latte.

Fino a quel momento, infatti, constatiamo che questa celebrazione mattutina – che, una volta terminati i salmi e le preghiere della notte, si usa celebrare nei monasteri della Gallia dopo un piccolo intervallo di tempo – era celebrata insieme alle veglie quotidiane, mentre le ore rimanenti i nostri anziani le dedicavano al riposo.

Ma i più negligenti abusavano di questa indulgenza per prolungare il loro sonno oltre misura, dal momento che nessuna riunione li costringeva a lasciare la cella o ad alzarsi dal letto prima dell'ora terza; in questo modo, a detrimento del lavoro, rimanevano immersi in un sonno profondo nell'ora in cui dovevano applicarsi a certi impegni, soprattutto nei giorni in cui la veglia, prolungandosi dalle ore serali fino quasi all'alba, portava con sé una stanchezza ancor più grande. Fu allora che alcuni fratelli, ferventi di spirito, a cui molto dispiaceva questa negligenza, si lamentarono con gli anziani. Dopo una lunga discussione ed un'attenta deliberazione, essi decisero che allo stanco corpo fosse concesso il riposo fino all'alba, vale a dire finché ognuno poteva senza difficoltà dedicarsi alla lettura o dedicarsi ad un lavoro manuale. Dopodiché, tutti saranno chiamati ad adempiere a questo dovere di pietà e dovranno alzarsi dai loro letti allo stesso tempo. Diranno tre salmi e tre orazioni, secondo la modalità precedentemente istituita per l'ufficio di Terza e Sesta sul modello della triplice confessione (di fede), e con ciò smetteranno di dormire e contemporaneamente inizieranno il lavoro.

Questa regola, nata per l'occasione ed istituita da poco tempo per il motivo che ho appena detto, non manca di completare molto chiaramente e letteralmente il numero indicato dal beato Davide, sebbene abbia anche un senso spirituale: "Sette volte al giorno io ti lodo, per i tuoi giusti giudizi" (Sal 118 (117),164) [4]. In effetti, con l'aggiunta della nuova solennità, abbiamo sette incontri spirituali al giorno e proviamo senza alcun dubbio che sette volte al giorno diciamo le lodi del Signore.

Facciamo anche notare che questa norma si è diffusa fino a qui (nella Gallia) con molto frutto venendo dall'Oriente; eppure diversi antichi monasteri orientali, che non hanno mai tollerato la benché minima violazione delle più antiche regole dei padri [5], non l'hanno assolutamente ancora ammessa fino ad oggi.

 

CAPITOLO V. Dopo le orazioni del mattino non bisogna tornare a dormire.

Alcuni in questa provincia, ignari del motivo per cui è stata inventata o istituita questa solennità, tornano a dormire una volta terminati gli inni del mattino, cadendo a loro volta nello stesso errore che i nostri antichi avevano voluto reprimere istituendo questa celebrazione. Infatti essi si affrettano a compiere l'ufficio ad un'ora in cui i più negligenti e meno scrupolosi possono tornare di nuovo a dormire. E ciò non deve assolutamente succedere, come ho esposto in modo più completo nel libro precedente quando ho descritto la sinassi degli Egiziani [6], se non vogliamo che la nostra purificazione acquisita con l'umile confessione e con le orazioni dell'alba sia insozzata dall'emergere di umori naturali o sia corrotta dall'illusione del nemico. Inoltre questo tempo di riposo, anche se con sonno puro e semplice, può interrompere il fervore del nostro spirito e, intiepiditi dal torpore del sonno trascineremo la nostra inerzia e pigrizia per tutto il giorno.

Per non correre questo pericolo gli Egiziani - sebbene in certi tempi si alzino anche prima che il gallo canti -  dopo aver celebrato la sinossi canonica, continuano le loro veglie fino al giorno, in modo che la luce del mattino, quando brilla su di loro, li trova stabiliti in questo ardore spirituale e li custodisce tutto il giorno più ferventi e zelanti. Quando questa luce appare li trova pronti per la lotta e fortificati contro le battaglie diurne del diavolo, grazie all'esercizio delle veglie notturne ed alla meditazione spirituale.

 

CAPITOLO VI. Quando i nostri anziani istituirono la solennità del mattino non cambiarono nulla nell'antico ordine dei salmi.

Dobbiamo anche sapere che i nostri anziani, quando ritennero necessario introdurre questa solennità del mattino, non cambiarono nulla nell'antico uso della salmodia, ma nelle riunioni della notte gli uffici divini continuarono ad essere celebrati come prima. Infatti i salmi riservati in questa regione per la solennità del mattino (Lodi), vale a dire il 148, che inizia con "Lodate il Signore del Cielo", ed i seguenti, sono da loro cantati alla fine delle vigilie notturne, che finiscono dopo il canto del gallo e prima dell'alba: i salmi 50, 57 e 89 sono stati assegnati da loro alla nuova solennità.  Infine, in tutte le Chiese d'Italia il Salmo 50 viene cantato ancor oggi dopo i salmi del mattino (Lodi) e non ho dubbi che questo uso certamente deriva dall'ufficio di cui parliamo.

 

CAPITOLO VII. A chi non si reca alla preghiera del giorno prima della fine del primo salmo, non si conceda di entrare nell'oratorio; invece per la preghiera notturna è perdonabile un ritardo fino alla fine del secondo salmo.

Colui che, a Terza, Sesta o Nona, non è arrivato alla preghiera prima della fine del primo salmo, non osi più entrare nell'oratorio, né mescolarsi a coloro che stanno salmeggiando, ma aspetti il congedo dell'assemblea in piedi vicino alla porta; e quando escono i fratelli faccia penitenza in presenza di tutti, prostrandosi a terra, per ottenere il perdono della sua negligenza e della sua lentezza. Egli saprà che non può espiare in altro modo il suo peccato di pigrizia e che anche non sarà più ammesso alla solennità che viene dopo quelle tre ore, se non si affretterà a dare immediata soddisfazione per la sua negligenza con sentimenti di una vera umiltà.

Alle sinossi della notte il ritardatario viene perdonato fino alla fine del secondo salmo a condizione, tuttavia, che abbia preso il suo posto tra i fratelli prima che si siano prostrati per la preghiera alla fine del salmo. Sarà soggetto allo stesso rimprovero e penitenza di cui sopra se ritarderà un solo momento oltre il tempo fissato [7].

 

CAPITOLO VIII. Con quale regola temporale e con quale ordine si celebrano le vigilie dopo i vespri fino all'alba del sabato.

Le vigilie che si celebrano ogni settimana dai vespri del venerdì fino all'alba del sabato, gli anziani dei monasteri le fanno durare, durante l'inverno, quando le notti sono più lunghe, fino al quarto canto del gallo [8] . Così, dopo essere stati svegli tutta la notte, ci sono ancora quasi due ore in cui i monaci si possono riprendere dalle loro fatiche. In questo modo essi non saranno appesantiti da un torpore sonnolento per il resto della giornata, accontentandosi di un così breve tempo di riposo come se avessero riposato una notte intera.

Anche noi dobbiamo osservare questo uso con la massima esattezza in questo modo: soddisfatti del sonno che ci è concesso dal termine delle vigilie fino all'arrivo del giorno, cioè fino ai salmi del mattino (Prima) [9], noi dobbiamo poi passare l'intera giornata dedicandoci al lavoro ed ai servizi necessari. Se facessimo diversamente, la stanchezza accumulata nelle vigilie ci spingerebbe a riprendere durante il giorno il sonno che abbiamo carpito alla notte e daremmo l'impressione di aver invertito il tempo del riposo notturno, piuttosto che di aver privato il corpo del suo riposo.

La carne è fragile e non può essere privata del riposo per tutta la notte ed il giorno dopo conservare intatta la sua vigilanza senza l'assopimento di spirito ed il torpore dell'anima. La vigilanza sarebbe addirittura impedita piuttosto che aiutata se, dopo il termine delle vigilie, non potesse gustare anche solo un po' di sonno. Pertanto, se ci concederemo almeno un'ora di riposo, come è stato detto, prima dell'arrivo del giorno, noi guadagneremo tutte le ore di veglia trascorse in preghiera durante tutta la notte poiché, avendo dato alla natura ciò che le spetta, non saremo obbligati a riprendere durante il giorno ciò che le abbiamo sottratto dalla notte. Questo è un punto che non lascia alcun dubbio: sarà necessario restituire tutto alla carne se, invece di essere ragionevoli e di toglierle solo una parte, pretendiamo di rifiutarle tutto e, per parlare più precisamente, vogliamo tagliare non solo il superfluo ma il necessario.

Poiché bisognerà ricambiare con un interesse da usurai queste vigilie se sono state prolungate fino all'alba in modo sconsiderato ed irragionevole. È perciò che i nostri anziani le dividono in tre parti per ammorbidire la fatica ed alleggerire con un po' di riposo l'indebolimento del corpo. Dopo aver cantato in piedi tre antifone, si siedono a terra o su dei sedili molto bassi e, mentre un solista intona i tre salmi, essi rispondono. I fratelli si succedono l'un l'altro, così che ogni solista canta solo un salmo. Poi aggiungono le tre letture rimanendo seduti nella stessa posizione di riposo. E così, diminuendo la fatica del corpo, possono celebrare le loro vigilie con una maggiore attenzione di spirito.

 

CAPITOLO IX. Perché sono state stabilite le vigilie all'alba del sabato e perché in tutto l'Oriente si osa spezzare il digiuno nel giorno del sabato.

Fu al tempo della predicazione apostolica, quando furono fondate la religione e la fede cristiana, che fu deciso in tutto l'Oriente di celebrare queste vigilie nella notte precedente il sabato, poiché il nostro Signore e Salvatore era stato crocifisso il sesto giorno della settimana, il venerdì. I discepoli, sotto l'influenza della sua recente passione, passarono tutta la notte a vegliare, senza accordare nessun riposo ai loro occhi. A quel tempo risale l'istituzione delle vigilie in questa notte e l'usanza è rimasta così osservata in tutto l'Oriente. Per questo motivo, in tutte le Chiese d'Oriente, si ritiene giustamente che lo spezzare il digiuno il giorno del sabato dopo la fatica delle vigilie sia stato deciso dagli apostoli. Questo uso è anche conforme a quella sentenza dell'Ecclesiaste che, pur avendo un altro significato mistico, significa anche che ci viene ordinato di attribuire la stessa solennità ai due giorni, il settimo e l'ottavo. La sentenza dice: "Da' una parte a questi sette ed anche a questi otto" (Qo (Eccle) 11,2; Vulg.) [10]. Questa rottura del digiuno non deve essere intesa come una partecipazione alla festa dei giudei, specialmente tra le persone così estranee ad ogni superstizione giudaica, ma solo come un riposo per un corpo stanco, come abbiamo detto. Dopo un digiuno costante di cinque giorni durante ogni settimana dell'anno, il corpo si stancherebbe e si indebolirebbe facilmente se non fosse riconfortato almeno con questi due giorni di tregua.

 

CAPITOLO X. Come mai a Roma si digiuna il sabato.

Ignorando il motivo di questa moderazione del digiuno, in certe città dell'Occidente, e particolarmente a Roma, alcuni ritengono che non si deve interrompere il digiuno di sabato perché, dicono, l'apostolo Pietro digiunò quello stesso giorno prima di combattere contro Simon (Mago) (Cfr. At 8, 9-24) [11].

Ma questa stessa circostanza mostra solo più chiaramente che l'apostolo non aveva intenzione di conformarsi ad un'usanza canonica, ma piuttosto fu spinto dalla necessità del conflitto. Sembra chiaro che, se Pietro prescrisse un digiuno ai suoi discepoli, fu in vista di questa particolare congiuntura e lo considerò un digiuno speciale, non abituale. Egli non avrebbe certamente agito così se avesse saputo che questa pratica sarebbe diventata un'usanza regolarmente osservata. E senza dubbio sarebbe stato pronto ad emettere un tale decreto anche di domenica, se l'occasione del combattimento l'avesse costretto. Questo, tuttavia, non sarebbe stato un valido motivo per promulgare questo digiuno come regola canonica, poiché non era stato stabilito da una pratica universale, ma imposto per necessità e per una volta.

 

CAPITOLO XI. In cosa la solennità della domenica osserva diverse consuetudini rispetto agli altri giorni

Non si deve neanche ignorare che la domenica si celebra un solo Ufficio [12] prima del pasto nel quale, per rispetto alla stessa sinassi ed alla comunione domenicale, ci si applica con più solennità e fervore ai salmi, alle preghiere ed alle letture, pensando di avere nello stesso tempo adempiuto a Terza ed a Sesta.

Con questo metodo non si diminuisce il servizio della preghiera, poiché si aggiungono delle letture [13]. Tuttavia, in rapporto agli altri giorni, varietà e distensione sono concesse ai fratelli per rispetto alla Risurrezione del Signore. Questa pratica sembra alleviare l'osservanza di tutta la settimana e, introducendo anche della varietà, essa incita ad attendere il ritorno di questo giorno con più solennità, come un giorno di festa, e questa aspettativa rende meno pesanti i digiuni della settimana che segue. Infatti, si sopporta sempre la fatica più serenamente e si affronta il lavoro senza ripugnanza se durante l'attività avviene un qualche diversivo o cambiamento di qualche tipo.

 

CAPITOLO XII. In quei giorni in cui viene offerta la cena ai fratelli, coloro che si recano alla mensa non recitano i salmi, come è consuetudine nei pranzi (di mezzogiorno).

Infine, nei giorni in cui ai fratelli vengono serviti il pranzo e la cena, cioè il sabato, la domenica ed i giorni festivi, la sera non si dice il salmo prima di sedersi a tavola e neanche dopo, come è consuetudine per i pasti più solenni (di mezzogiorno) o per la refezione regolare che segue il digiuno, la quale è anche preceduta e seguita dai soliti salmi. Ma (i fratelli) si siedono a tavola dopo una semplice preghiera ed alzandosi concludono la cena allo stesso modo con una preghiera. Ciò avviene poiché questo pasto è considerato straordinario tra i monaci e non tutti sono tenuti a parteciparvi. Vi prendono parte solo i fratelli pellegrini appena arrivati, gli ammalati e quelli che lo desiderano.

 



[1] Secondo il computo romano le 24 ore della giornata erano divise in due parti di 12 ore, quelle del giorno e quelle della notte, individuate dal sorgere e dal tramonto del sole. Le ore del giorno erano divise in quattro parti, di tre ore ciascuna: terza, sesta (mezzogiorno), nona e dodicesima (coincidente col tramonto). Le ore della notte erano divise in quattro "vigilie". Agli equinozi (21 marzo e 23 settembre) l'ora terza, sesta, nona e dodicesima corrispondevano alle nostre attuali 9, 12, 15 e 18 e quindi il giorno andava dalle ore 6 alle ore 18 attuali. Le ore erano legate al ciclo solare e quindi, secondo le stagioni, avevano una durata diseguale: d’estate le ore diurne erano più lunghe rispetto a quelle notturne. D’inverno invece accadeva il contrario. Tanto per fare un esempio, a Roma e dintorni d'estate un'ora di luce poteva durare 75 minuti al solstizio di giugno e 45 minuti al solstizio di dicembre. Solo due volte all'anno, ovvero agli equinozi del 21 marzo e del 23 settembre, le ore del giorno erano uguali a quelle della notte e duravano 60 minuti. Tra equinozio e solstizio le ore aumentavano o diminuivano e gli unici punti fissi erano il mezzogiorno e la mezzanotte.

[2] Si confronti per esempio: Origene, "La preghiera", cap. XII, 2 "Come pregare incessantemente. Colui che alle obbligatorie opere unisce la preghiera e alla preghiera le convenienti azioni, incessantemente prega, poiché le opere di virtù o i comandamenti osservati sono in parte preghiera; poiché soltanto così possiamo accogliere il «pregate senza tregua» come un comando traducibile in pratica, se chiameremo tutta la vita del santo un’unica, continua, grande orazione. Parte di siffatta preghiera è quella comunemente intesa e che si deve fare non meno di tre volte tutti i giorni; ad essa allude chiaramente Daniele che pregava tre volte al giorno quando era sotto la minaccia di un pericolo tanto grande. E Pietro poi «salendo sul terrazzo della casa, verso l’ora sesta, per pregare, quando vide discendere dal cielo un recipiente calato per le quattro estremità», allora recita la seconda delle tre preghiere, che prima di lui riporta già Davide: «Al mattino ascolterai la mia voce, al mattino mi metto dinanzi a te e guardo». Anche l’ultima è indicata con queste parole: «L’alzarsi delle mie mani sia il sacrificio della sera». Ma non termineremo il tempo della notte senza questa preghiera, secondo le parole di Davide: «A mezzanotte mi alzo a lodarti per i tuoi giusti giudizi»; e Paolo, come dice negli Atti degli Apostoli, «a metà della notte, quand’era a Filippi, pregava e lodava Dio insieme a Sila, cosicché li sentivano anche i carcerati»".

[3] Gli specialisti della storia della liturgia non si sono ancora accordati sul fatto che in questo capitolo Cassiano si riferisca all'ora Prima o all'ufficio delle Lodi.

[4] Si confronti la Regola da san Benedetto al Capitolo XVI - La celebrazione dei divini Offici durante le ore del giorno - "Sette volte al giorno ti ho lodato", dice il profeta. Questo sacro numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta, perché proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: "Sette volte al giorno ti ho lodato". Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso profeta dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo per lodarti". Dunque in queste ore innalziamo lodi al nostro Creatore "per le opere della sua giustizia" e cioè alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di notte alziamoci per celebrare la sua grandezza.

[5] Ovvero alle usanze dei monaci egiziani, che non prevedevano momenti particolari dedicati alla preghiera, ma ordinavano una preghiera continua, ininterrotta.

[6] Si confronti Istituzioni II, 13, 1-5.

[7] Si confronti Pacomio, Precetti, 9-10: "Quando squilla il suono della tromba per la sinassi, chi di giorno arriverà dopo la prima preghiera verrà rimproverato come nel caso precedente e resterà in piedi nel refettorio. Di notte invece, poiché si concede un po’ di più alla fragilità del corpo, verrà rimproverato allo stesso modo, nella sinassi e in refettorio, chi arriverà dopo la terza preghiera".

[8] Della turnazione notturna ci parla Gesù stesso (Mc 13,35) specificandone lo svolgersi: sera, mezzanotte, canto del gallo e mattina. Questo standard, variabile nel numero di minuti a seconda delle stagioni, ma immutabile nei ritmi, prevedeva una prima veglia dalle 18 alle 21, poi una seconda fino alla mezzanotte, una terza fino al canto del gallo (che i romani chiamavano gallicinium) ed una quarta fino al mattino, cioè quando iniziava l’ora "prima" delle dodici che scandivano il giorno.

[9] Di cui Cassiano parla al capitolo 4,1 di questo libro.

[10] La traduzione attuale della Bibbia CEI è :"(1 Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai). 2 Fanne sette o otto parti, perché non sai quale sciagura potrà arrivare sulla terra". Il testo latino che usa Cassiano è interpretato in vari modi dai Padri della Chiesa, in particolare Girolamo lo intende riferito al sabato e alla domenica, ovvero alla Legge ed al Vangelo.

[11] In particolare Cassiano si riferisce agli apocrifi Atti di Pietro e Simone, dove si parla della richiesta di digiuno e preghiera fatta da Pietro alla comunità cristiana, prima di affrontare pubblicamente Simon Mago.

[12] In latino "missa", motivo per cui questo Ufficio lo si interpreta anche come una liturgia eucaristica.

[13] Le letture bibliche della liturgia domenicale.


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19 gennaio 2019                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net