LE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di GIOVANNI CASSIANO

LIBRO SESTO

LO SPIRITO DI FORNICAZIONE

Estratto da “Giovanni Cassiano - Le istituzioni cenobitiche" - EDIZIONI QIQAJON  2007

Link al testo latino con traduzione a fronte

 

1. La duplice battaglia contro lo spirito di fornicazione

La nostra seconda lotta, secondo la tradizione dei padri, è contro lo spirito di fornicazione: è la più lunga di tutte e dura molto tempo, e pochissimi riescono a vincerla in modo definitivo. E una guerra senza fine: sebbene l’uomo inizi a combatterla fin dai primi anni della sua pubertà, essa non cessa prima che tutti gli altri vizi siano dominati. Si tratta, infatti, di un assedio su due fronti, perché il nemico ci assale armato con un doppio vizio. Dobbiamo dunque resistergli ugualmente su due fronti, perché, come acquista forza grazie all’infermità della carne e dell’anima, così non può essere vinto se l’una e l’altra non combattono assieme [1]. Non basta, infatti, il semplice digiuno del corpo per acquistare o possedere la purezza della castità perfetta, se esso non è preceduto dalla contrizione interiore, dalla preghiera perseverante contro questo spirito impuro e dalla continua meditazione delle Scritture. A questo, inoltre, occorre aggiungere la conoscenza spirituale e un lavoro manuale faticoso che tenga a freno e limiti le continue divagazioni del cuore; ma a fondamento di tutto si deve porre una vera umiltà, senza la quale non si potrà mai trionfare su alcun vizio.

 

2. Il rimedio principale contro lo spirito di fornicazione

La correzione di questo vizio, infatti, dipende principalmente dalla purificazione del cuore, perché, come insegnano le parole del Signore, è proprio dal cuore che esce il veleno che è all’origine di questa malattia: Dal cuore - dice - escono ì pensieri malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e tutto il resto (Mt 15,19). E proprio questo, dunque, che dobbiamo prima di tutto purificare, perché è di qui che sgorga la fonte della vita e della morte, come sappiamo dalle parole di Salomone che dice: Custodisci il tuo cuore con ogni precauzione, perché da qui sgorga la vita (Pr 4,23). La carne, infatti, obbedisce al volere e al comando del cuore. Bisogna dunque ricercare con ogni sforzo la frugalità nel mangiare attraverso i digiuni, per evitare che la nostra carne, rimpinzata di cibo, si opponga ai salutari precetti dell'anima e, nella sua insolenza, sottometta lo spirito che la guida. Se però riponiamo tutti i nostri sforzi unicamente nel castigare il corpo, senza che l’anima si astenga allo stesso modo da tutti gli altri vizi e senza che si dedichi alla meditazione delle cose di Dio e alle occupazioni spirituali, non potremo mai raggiungere la vetta sublime dell’autentica integrità [2], perché è soprattutto ciò che è dentro di noi a contaminare la purezza del nostro corpo. Perciò, secondo la parola del Signore, bisogna prima di tutto purificare l'interno del bicchiere e del piatto, perché anche l’esterno diventi puro (Mt 23,26).

 

3. La solitudine, insieme alla continenza, è un rimedio

assai utile contro il vizio della fornicazione

Da tutti gli altri vizi, inoltre, è normalmente possibile essere purificati grazie alla frequentazione e al contatto quotidiano con gli uomini, e in qualche modo è la stessa umiliazione prodotta dalle cadute a curarli. Per esempio, l’ira, la tristezza o l’impazienza possono essere guarite grazie alla meditazione del cuore e a una vigilanza costante, ma anche grazie alla frequentazione dei fratelli e ai loro continui richiami; e quanto più spesso queste passioni sono rese manifeste e ci vengono rimproverate, tanto più presto possono essere guarite. Questa malattia, invece, oltre alla mortificazione del corpo e alla contrizione del cuore, richiede anche la solitudine e la separazione dagli altri uomini, perché in questo modo, deposta la funesta febbre della passione, si possa giungere allo stato di completa guarigione. Come spesso, infatti, per quelli che soffrono di una determinata malattia, si rivela utile che nessuno presenti davanti ai loro occhi i cibi che potrebbero nuocere alla loro salute, per evitare che anche la sola vista faccia nascere in loro un desiderio che potrebbe essere fatale, così, per vincere questa particolare malattia, sono di grande aiuto la quiete e la solitudine, affinché la mente malata, non essendo disturbata da una molteplicità di immagini diverse, possa purificare il suo sguardo interiore e sradicare più facilmente il funesto focolaio della concupiscenza [3].

 

4. C’è differenza tra continenza e castità:

 esse non sono sempre possedute insieme

1. Nessuno pensi tuttavia che con ciò vogliamo negare che anche all’interno di una comunità di fratelli ci possano essere dei continenti: anzi, riconosciamo che ciò si verifica molto facilmente. Una cosa, infatti, è essere continente - cioè, per dirlo in greco, enkratés -, e un’altra cosa è essere casto [4] e giungere allo stato di integrità o d’incorruttibilità, che in greco è detto hagnós, virtù, questa, che è accordata soltanto a quelli che rimangono vergini sia nella loro carne che nella loro mente, come sappiamo che lo furono i due Giovanni nel Nuovo Testamento [5], e, nell’Antico, Elia, Geremia e Daniele [6]. Nel loro numero potranno a buon diritto essere inclusi anche quelli che, dopo aver fatto l’esperienza della corruzione, hanno raggiunto lo stesso grado di purezza con una lunga fatica e molto impegno, acquistando l’integrità della mente e del corpo, e che ormai avvertono gli stimoli della carne non più con l’assalto dell’ignobile concupiscenza, ma con i semplici moti della natura. 2. Ed è appunto questa la condizione che dichiariamo difficilissima da raggiungere in mezzo a un gran numero di persone. Se poi questo sia addirittura impossibile, non ci si aspetti un mio giudizio per saperlo, ma ciascuno cerchi di scoprirlo con l’esame della propria coscienza.

Del resto, non dubitiamo che esistano molte persone continenti che, pur dovendo sostenere gli assalti della carne - chi di rado, e chi addirittura ogni giorno -, li soffocano e li reprimono, o con la paura dell’inferno, o con il desiderio del regno dei cieli. Di loro i nostri padri affermano che, pur avendo la capacità di non lasciarsi totalmente sommergere dalle tentazioni dei vizi, non possono però restare sempre al sicuro, senza ricevere qualche ferita. E infatti inevitabile che chiunque lotta, anche se spesso vince e supera l’avversario, a volte riceva lui stesso dei colpi.

 

5. Per vincere la fornicazione non bastano gli sforzi umani

Se dunque vogliamo veramente, con l’Apostolo, combattere la lotta spirituale secondo le regole (cf. 2Tm 4,7) [7], affrettiamoci a vincere questo spirito, che è il più impuro di tutti, con tutta la concentrazione della nostra mente, senza però confidare nelle nostre forze - poiché gli sforzi umani non riusciranno mai a ottenere questo risultato -, ma nell’aiuto del Signore. L’anima, infatti, continuerà a essere assalita da questo vizio finché non arriverà a riconoscere che sta combattendo una guerra superiore alle proprie forze e che non può ottenere la vittoria con la propria fatica e il proprio impegno se il Signore non la sostiene con il suo aiuto e la sua protezione [8].

 

6. La castità è un dono che si riceve

per una particolare grazia di Dio

Se è vero, certamente, che in ogni progresso nelle virtù e in ogni trionfo contro i vizi è la grazia del Signore che opera e ottiene la vittoria, in questo caso è più che mai evidente che ci troviamo di fronte a una grazia particolare e a un dono speciale di Dio, come affermano chiaramente sia l’insegnamento dei padri, sia l’esperienza stessa di coloro che attraverso la purificazione hanno meritato di ottenere questa virtù. Non avvertire più gli stimoli della carne, infatti, pur essendo circondati dalla fragilità della carne, è un po’ come un uscire dalla carne restando nel corpo e un andare al di là della natura. E appunto per questo è impossibile che l’uomo riesca con le proprie ali - se così posso dire - a elevarsi verso un tesoro così sublime e celeste, a meno che la grazia del Signore non lo sollevi dal fango della terra attraverso il dono della castità. Nessuna virtù, infatti, riesce a rendere gli uomini carnali così simili agli spiriti angelici, attraverso l’imitazione del loro genere di vita, come il merito e la grazia della castità, in virtù della quale, vivendo ancora in terra, hanno, come dice l’Apostolo, una cittadinanza nei cieli (Fil 3,20): ciò che i santi, secondo la promessa, otterranno nella vita futura dopo essersi spogliati della corruzione della carne (cf. Mt 22,30; 1Cor 15,35-58), costoro lo possiedono già in questa vita, nella loro fragile carne [9].

 

7- Esempio della lotta degli atleti

introdotto dalle parole dell’Apostolo

1. Ascolta cosa dice l’Apostolo: Chiunque combatte nella lotta si astiene da tutto (1Cor 9,25). Ma cerchiamo di capire cosa sia questo “tutto” da cui ci si astiene, in modo che il paragone con la lotta fisica possa istruirci riguardo alla lotta spirituale [10].

Coloro che aspirano a combattere secondo le regole in questa lotta visibile (cf. 2Tm 2,5), infatti, non hanno la libertà di mangiare tutto quello che l’appetito suggerisce loro, ma solo i cibi stabiliti dalla disciplina di quelle gare atletiche. E non soltanto è necessario che essi si astengano dai cibi proibiti, dall’ebbrezza e da ogni sorta di eccesso, ma anche da ogni indolenza, ozio e pigrizia, in modo da poter accrescere la propria virtù grazie agli esercizi quotidiani e all’allenamento continuo. 2. Così essi diventano estranei non solo a ogni preoccupazione e tristezza e agli impegni mondani, ma agli stessi affetti e doveri coniugali, al punto che, al di fuori degli esercizi imposti dalla loro disciplina, non sanno nient’altro, né si lasciano prendere dalla minima preoccupazione mondana, perché è unicamente dal giudice di gara che essi sperano di ottenere il nutrimento quotidiano, la gloria della corona e dei premi proporzionati al valore della loro vittoria. E a tal punto si mantengono puri da ogni contaminazione carnale, che, quando si preparano a un combattimento, per non rischiare di cadere in preda a qualche illusione notturna durante il sonno e di perdere un po’ delle forze che hanno impiegato così tanto tempo ad acquistare, si coprono le zone lombari con delle lamine di piombo, in modo che questo metallo freddo, accostato alle parti genitali, trattenga gli umori impuri [11]: sanno bene, infatti, che saranno certamente vinti e che, privi di forze, non potranno neanche condurre a termine il combattimento che stanno per iniziare, se si saranno lasciati ingannare da qualche immagine sensuale, perdendo così il vigore acquisito con la continenza.

 

8. Paragone con la purificazione

di coloro che affrontano la lotta nelle gare atletiche

Se dunque abbiamo capito come ci si prepara alle lotte di questo mondo, che il beato Apostolo ha voluto prendere a modello per mostrarci quanta scrupolosità, quanta dedizione e quanta vigilanza siano necessarie per affrontarle, che cosa dovremo fare noi, e con quanta purezza dovremo custodire la castità del nostro corpo e della nostra anima, noi che ogni giorno dobbiamo nutrirci delle santissime carni dell’Agnello, carni che perfino i precetti dell’antica legge vietano di toccare a chiunque sia impuro [12]?

Nel Levitico, infatti, così si prescrive: Chiunque sarà puro potrà mangiare le carni; ma chiunque, trovandosi nell’impurità, avrà mangiato delle carni del sacrificio di salvezza offerto al Signore, perirà in presenza del Signore (Lv 7,20). E davvero grande, dunque, il dono dell’integrità, se senza di essa coloro che vivevano al tempo dell’Antico Testamento non potevano partecipare ai sacrifici - che pure erano soltanto prefigurazioni -, e se senza di essa coloro che desiderano ottenere una corona corruttibile non possono essere incoronati (cf. 1Cor 9,25).

 

9. Dobbiamo continuamente purificare il nostro cuore

davanti agli occhi di Dio

Dobbiamo dunque innanzitutto purificare le profondità del nostro cuore con ogni cura, perché la purezza che quegli atleti desiderano ottenere nel corpo, noi dobbiamo possederla anche nel segreto della nostra coscienza, nella quale il Signore troneggia come un arbitro e un giudice di gara [13] che sorveglia continuamente lo svolgimento della nostra corsa e della nostra lotta. Così non permetteremo, con incauti pensieri, che metta radici nel nostro intimo ciò che esteriormente aborriamo, e non saremo contaminati neppure da una segreta connivenza con ciò di cui ci vergogneremmo se gli uomini ne venissero a conoscenza. Tutto ciò, infatti, sebbene possa sfuggire alla conoscenza degli uomini, non potrà rimanere nascosto alla vista dei santi angeli e dello stesso Dio onnipotente, a cui nessun segreto può sfuggire.

 

10. Qual è il segno della perfetta e completa purezza

Il segno evidente e la prova inequivocabile che abbiamo raggiunto una tale purezza sarà il fatto che non veniamo più assaliti da alcuna immagine seducente quando riposiamo o siamo rilassati nel sonno, oppure, quand’anche qualche immagine dovesse importunarci, che essa non sia in grado di suscitare in noi alcun moto di concupiscenza. Sebbene, infatti, una tale eccitazione non possa essere considerata alla stregua di un vero e proprio peccato, tuttavia il fatto stesso che attraverso queste immagini ingannevoli si produca una tale illusione è indizio di una mente ancora imperfetta e non pienamente purificata dal vizio [14].

 

11. Qual è l’origine delle illusioni notturne

La quiete notturna, infatti, rivela la qualità dei pensieri sui quali durante il giorno abbiamo vegliato con più negligenza a causa delle distrazioni. E quindi, quando sopraggiunge un’illusione di questo genere, non bisogna attribuirne la colpa al sonno, ma alla negligenza del tempo precedente: essa è il segno di una malattia latente nell’intimo, che non è stata generata dall’ora notturna, ma che, nascosta nelle profondità dell’anima, è emersa in superficie durante il riposo del sonno, rivelando così la febbre nascosta delle passioni che abbiamo contratto nutrendoci durante tutto il giorno di pensieri cattivi. Così avviene anche per le malattie del corpo, che non vengono contratte nel momento in cui sembrano manifestarsi, ma sono il frutto della negligenza del tempo precedente, quando uno ha mangiato imprudentemente dei cibi controindicati, che a loro volta hanno prodotto degli umori nocivi.

 

12. È impossibile ottenere la purezza della carne

senza la purezza del cuore

Per questo Dio, creatore e autore del genere umano, conoscendo meglio di chiunque altro la natura della propria creatura e il modo per correggerla, ha applicato la medicina proprio a ciò che sapeva essere l’origine principale della malattia, dicendo: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt 5,28). Rimproverando l’impudenza degli occhi, non intende però accusare questi, quanto piuttosto il senso interiore che ne fa un cattivo uso per guardare. Il cuore che guarda per desiderare, infatti, è già malato e ferito dai dardi della passione, poiché distorce con il proprio vizio il dono della vista che il Creatore gli ha concesso per un retto fine, servendosene per azioni malvagie; e così, appena gli si presenta davanti qualche spettacolo, manifesta la malattia della concupiscenza che già cova in se stesso.

Per questo, dunque, quel comando salutare è stato dato proprio al cuore: perché è dal vizio che si annida al suo interno che procede questa funesta passione, appena la vista gliene offra l’occasione. Non si dice infatti: “Custodisci i tuoi occhi con ogni precauzione” - ciò che sarebbe più che mai necessario fare se la passione della concupiscenza scaturisse da essi -, poiché gli occhi non fanno altro che prestare all’anima il semplice servizio della vista; ma dice: Custodisci il tuo cuore con ogni precauzione (Pr 4,23), e così la medicina viene applicata proprio a quell’organo che può costantemente abusare del servizio degli occhi.

 

13. La prima precauzione da osservare per purificare il cuore

1. La prima precauzione da osservare per purificare il cuore è dunque la seguente: quando il diavolo, con qualche sottile e astuta suggestione, riesce a insinuare nella nostra mente il ricordo della donna, e prima di tutto il ricordo di nostra madre, delle nostre sorelle o parenti, o comunque di altre sante donne, affrettiamoci a scacciarlo dal nostro intimo il più presto possibile, per evitare che, se indugiamo troppo in tale ricordo, il tentatore ne prenda occasione per far cadere a poco a poco il nostro pensiero su altre donne, attraverso le quali possa insinuare dei pensieri peccaminosi. Proprio per questo dobbiamo ricordarci incessantemente di quel precetto: Custodisci il tuo cuore con ogni precauzione (Pr 4,23), e, come dice il primo comandamento di Dio, bisogna tenere costantemente d’occhio la pericolosa “testa” del serpente (cf. Gen 3,15), ovvero gli inizi dei pensieri cattivi, con i quali il diavolo tenta d’insinuarsi nella nostra anima [15]. E non dobbiamo permettere che con la nostra negligenza penetri nel nostro cuore anche il resto del corpo di questo serpente, ovvero il consenso dato allo stimolo del piacere, che, se riuscirà a introdursi in noi, certamente catturerà la nostra mente e la ucciderà con un morso velenoso. 2. Dobbiamo anche sterminare fin dal mattino i peccatori della nostra terra (cf. Sal 100,8) - ovvero i sensi carnali - appena si svegliano e, finché sono piccoli, scagliare contro la pietra i figli di Babilonia (Sal 136,9) [16] che, se non verranno uccisi fin dalla tenera infanzia, quando poi saranno diventati adulti con la nostra complicità, insorgeranno con più forza contro di noi per rovinarci, o quantomeno non potranno essere vinti se non con grande pena e fatica.

Finché infatti un uomo forte, cioè il nostro spirito, custodisce la sua casa armato, fortificando l’intimo del proprio cuore con il timore di Dio, tutti i suoi beni, cioè i frutti delle sue fatiche e le virtù acquisite con un lungo esercizio, saranno al sicuro. Ma se arriverà uno più forte di lui e lo vincerà - ovvero il diavolo che lo fa acconsentire ai pensieri cattivi -, gli strapperà via le armi nelle quali confidava, cioè la memoria delle Scritture e il timore di Dio, e dividerà il suo bottino, gettando i vari meriti delle sue virtù in preda ai vizi contrari (cf. Lc 11,21-22).

 

14. Non vogliamo tessere le lodi della castità,

ma spiegare come raggiungerla

Lasciando da parte tutte le parole che si trovano nelle sante Scritture a lode di questa virtù - il mio proposito infatti non è di tessere le lodi della castità, ma di spiegare secondo le tradizioni dei padri quale sia la sua natura, come la si debba acquistare e custodire, e quale sia il suo fine -, mi limiterò a riferire una sola sentenza del beato Apostolo, nella quale, scrivendo ai tessalonicesi, rivela chiaramente come egli anteponga questa virtù a tutte le altre, raccomandandola con le seguenti nobili parole.

 

15- L’Apostolo chiama “santità”

in modo particolare la virtù della castità

1. Questa - dice - è la volontà di Dio: la vostra santificazione (1Ts 4,3)! E per non lasciarci in dubbio o all’oscuro su che cosa abbia inteso chiamare “santificazione”, se la giustizia, la carità, l’umiltà, o la pazienza - con tutte queste virtù infatti si può ritenere di ottenere la santificazione -, prosegue e indica in modo chiaro cosa abbia inteso chiamare propriamente “santificazione”: Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate - dice - dalla fornicazione, e che ciascuno sappia mantenere il proprio “vaso” nell’onore e nella santificazione, non in preda al desiderio passionale, come i pagani che non conoscono Dio (1Ts 4,3-5). Vedi di quali lodi circonda questa virtù, chiamandola onore e santificazione del nostro “vaso”, ovvero del nostro corpo [17] ! Quindi, per converso, chi è in preda al desiderio passionale, vive nell’ignominia e nell’impurità, ed è ben lontano dalla santificazione. 2. E poco dopo, per la terza volta, chiamandola di nuovo “santità” aggiunge: Dio infatti non ci ha chiamati all’ignominia, ma alla santità. Perciò chi disprezza queste parole non disprezza un uomo, ma Dio, il quale ci ha dato anche il suo Spirito santo che dimora in noi (1Ts 4,7-8). Al suo precetto attribuisce un’autorità inviolabile, dicendo: Chi disprezza queste parole, cioè quelle che ho appena detto riguardo alla santità, non disprezza un uomo, cioè me, che vi comando queste cose, ma Dio, che parla in me (cf. 2Cor 13,3), lui che ha anche reso il nostro cuore dimora dello Spirito santo (cf. Ef 2,22).

Da queste parole semplici e pure puoi ben vedere in quale stima egli abbia tenuto questa virtù e con quali grandi lodi l’abbia esaltata: innanzitutto attribuendo a essa in modo particolare la santificazione, poi affermando che attraverso di essa bisogna liberare il “vaso” del nostro corpo dall’impurità, e in terzo luogo che, quando questo corpo avrà ripudiato l’ignominia e l’infamia, potrà dimorare nell’onore e nella santificazione; infine, ha affermato che attraverso questa virtù lo Spirito santo abiterà nel nostro cuore, e questa è la ricompensa perfetta e la beatitudine più grande.

 

16. Un’altra testimonianza dell’Apostolo

riguardo alla santità della castità

Sebbene ci stiamo avvicinando alla fine del nostro libro, voglio citare ancora un’altra testimonianza simile dello stesso Apostolo, accanto a quella che avevo promesso. Scrivendo agli ebrei dice infatti: Cercate la pace con tutti e la santità, senza la quale nessuno vedrà il Signore (Eb 12,14). Anche in questo passo afferma in modo chiaro che senza la “santità” - come ha l’abitudine di chiamare l’integrità della mente e la purezza del corpo - è assolutamente impossibile vedere Dio. Anche qui, infatti, suggerendo chiaramente lo stesso significato, aggiunge: Non vi sia nessun fornicatore o profanatore come Esaù (Eb 12,16)!

 

17. La speranza di una ricompensa più sublime

deve spingerci a custodire la castità con maggiore impegno

Quanto più sublime e celeste, quindi, è la ricompensa della castità, tanto più violente sono le insidie dei nemici di cui essa è vittima. Per questo dobbiamo praticare con maggiore impegno non solo la continenza del corpo, ma anche la contrizione del cuore, con continui gemiti e preghiere, affinché la fornace della nostra carne, che il re di Babilonia non cessa di alimentare con gli stimoli delle suggestioni carnali, sia spenta dalla rugiada dello Spirito santo che discende nei nostri cuori (cf. Dn 3,46-50) [18].

 

18. Senza l’umiltà non si può ottenere la castità,

né senza la castità la conoscenza

I padri, infatti, se da una parte affermano che questa virtù non può essere raggiunta se prima non sono stati stabiliti nel cuore i fondamenti dell’umiltà, dall’altra dichiarano con altrettanta sicurezza che non si può pervenire alla sorgente della vera conoscenza [19] finché questo vizio affonderà le sue radici nell’intimo della nostra anima; e dicono che se è possibile acquisire la castità senza la grazia della conoscenza, è impossibile però possedere la conoscenza spirituale senza la perfetta castità, perché i doni sono diversi e non a tutti è accordata la stessa grazia dello Spirito santo, ma a ciascuno è data quella per la quale si è reso degno e idoneo con il proprio zelo e il proprio impegno. E così, sebbene si debba ritenere che tutti i santi apostoli abbiano posseduto la virtù della castità in modo perfetto, il dono della conoscenza tuttavia si riversò più abbondantemente in Paolo, poiché a essa si era reso idoneo con il proprio zelo e il proprio impegno.

 

19. Sentenza del santo vescovo Basilio

sulla qualità della sua verginità

Di san Basilio, vescovo di Cesarea si riferisce questa rigida sentenza: “Non conosco donna - dice -, eppure non sono vergine!” [20]. A tal punto egli aveva capito che la verginità della carne non consiste tanto nell’astenersi dalla donna quanto nell’integrità del cuore che, grazie al timore di Dio o all’amore della castità, è in grado di custodire per sempre incorrotta la santità del corpo.

 

20. Qual è il culmine dell’integrità e della purezza

Questo, dunque, è il culmine dell’integrità e la prova sicura che l’abbiamo raggiunta: se durante il sonno non avvertiamo più alcuna eccitazione carnale e se le emissioni impure si producono in noi senza che ne siamo coscienti, solo per necessità di natura. E se eliminare queste emissioni e sopprimerle definitivamente è al di là della natura, è però proprio della virtù, quando ha raggiunto il suo culmine, riportarle nei limiti di una inevitabile e rarissima necessità di natura, che generalmente assale il monaco ogni due mesi. Ciò tuttavia sia detto secondo la nostra esperienza, non secondo l’opinione degli anziani - che ritenevano anche troppo corto l’intervallo di tempo che abbiamo appena menzionato -, perché, se volessimo esporre questo insegnamento così come l’abbiamo ricevuto da loro, probabilmente coloro che per negligenza o per minore impegno hanno meno esperienza di questa purezza penserebbero che descriviamo cose impossibili e incredibili [21].

 

21. Come custodire lo stato di perfetta purezza

Tale stato di purezza potremo custodirlo in modo permanente, senza superare mai la misura naturale e l’intervallo di tempo che abbiamo appena fissato, se pensiamo che Dio vede e conosce non solo i nostri atti segreti, ma anche tutti i nostri pensieri, sia diurni che notturni, e se crediamo che a lui dovremo rendere conto di tutto ciò che meditiamo nel nostro cuore, come di ciò che facciamo e operiamo.

 

22. Qual è il grado supremo dell’integrità del corpo

e il segno di una mente perfettamente purificata

Dobbiamo dunque sforzarci di combattere senza indugio contro i moti dell’anima e gli stimoli della carne, finché quest’ultima arrivi a una condizione in cui può soddisfare le necessità naturali senza suscitare alcuna eccitazione passionale, espellendo cioè la sovrabbondanza degli umori accumulati in sé senza alcuno stimolo impuro e senza minacciare la castità. La mente sappia poi che, finché è tentata dalle immagini che la assalgono durante il sonno, non ha ancora raggiunto la completa e perfetta castità.

 

23. Mezzi per custodire la perfetta purezza del cuore e del corpo

Per evitare dunque che tali illusioni s’insinuino in noi mentre dormiamo, dobbiamo osservare sempre un regime di digiuno uniforme e moderato. Chiunque, infatti, oltrepassa la misura nel rigore ascetico, è inevitabile che oltrepassi la misura anche nel sollievo che poi si concederà; e così, sottoponendosi a tale diversità di regime, finirà certamente per allontanarsi da questa condizione di completa tranquillità, ora spossato da un digiuno eccessivo, ora gonfiato da un cibo troppo abbondante. E infatti inevitabile che con il variare della nostra alimentazione, cambi anche la qualità della nostra purezza.

Bisogna inoltre esercitarsi a una continua umiltà, a un’incessante pazienza del cuore e a un’attenzione sempre desta contro l’ira e le altre passioni [22]. Dove infatti s’insinua il veleno della collera, inevitabilmente penetrerà anche l’incendio della concupiscenza. Ma soprattutto è necessario vegliare con la massima attenzione durante la notte. Come infatti la purezza e la vigilanza del giorno preparano la castità notturna, così le veglie notturne rinsaldano il cuore e gli danno la forza di custodirla durante il giorno [23].

 



[1] Cf. Conf. V,4: “A una doppia malattia è necessaria l’applicazione di un doppio rimedio: affinché la concupiscenza non raggiunga il suo compimento, è necessario sottrarre al corpo la materia, la cui presenza serve al corpo ad attizzarla; e all’anima, affinché essa non si lasci lusingare dalla concupiscenza anche con il solo pensiero, occorre somministrare utilmente la meditazione delle Scritture, la vigilanza assidua e la pratica della solitudine”.

[2] Su questo termine, cf. supra. Ist. V,7, n. 12.

[3] Sulla stessa linea, cf. Evagrio Pontico, Gli otto spiriti di malizia 5.

[4] Sulla distinzione tra continenza (enkràteia) e castità (hagneia) Cassiano ritorna in Conf. XII,11: “La perfezione della castità si distingue per una sua continuata tranquillità dai laboriosi inizi propri della continenza. Questo infatti è il compimento della vera castità: quando, senza bisogno di combattere i moti della concupiscenza della carne, e detestandoli con tutto il possibile orrore, essa conserva una propria continua e inviolabile purezza, e non può essere nient’altro che santità. E questo avverrà quando la carne, desistendo dal concepire desideri contrari allo spirito, consentirà ai suoi desideri e alla sua virtù, e così l’una e l’altro cominceranno ad affiatarsi reciprocamente in una pace solidissima ... ”.

[5] Cioè Giovanni Battista e Giovanni apostolo ed evangelista. Di entrambi la tradizione monastica afferma la castità: cf. Girolamo, Contro Gioviniano 1,25-26.

[6]  Cf. Girolamo, Lettere 22,21.

[7] Cioè rispettare la gradualità delle lotte contro gli spiriti maligni: cf. Ist. V,12 ss.

[8] Cassiano in tutta la sua opera sviluppa diffusamente il tema della necessità della grazia divina e del suo rapporto con gli sforzi umani: si veda in particolare la celebre conferenza Sulla protezione di Dio (Conf XIII), che ha guadagnato al suo autore l’accusa di semi-pelagianesimo per aver ammesso che in qualche caso l’uomo può disporsi al bene di propria iniziativa, sebbene solo la grazia di Dio possa attuarlo e portarlo a compimento (cf. infra, Ist. VI,17-18, n. 18; XII,10-19). Sul tema, cf. in particolare C. Stewart, Cassian theMonk, pp. 76-81.

[9] Secondo l’insegnamento dei padri orientali, il dono della castità reintegra l’uomo nella sua condizione originaria, precedente alla caduta di Adamo: una condizione simile a quella degli angeli (cf. Ireneo di Lione, La predicazione apostolica 14; Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi 18,4; Id., Sulla verginità 14; Gregorio di Nissa, La creazione dell’uomo 17). Per questo, la vita del monaco è stata spesso chiamata dai padri “vita angelica”, anche se, a seconda degli autori, troviamo interpretazioni diverse di questo dato tradizionale. Qui Cassiano - a scanso di equivoci - chiarisce che colui che vive nella castità continua a dimorare nel proprio corpo come tutti gli altri uomini: i limiti della “natura” - la natura attuale dell’uomo, nella sua condizione decaduta - vengono superati solo nella misura in cui l’uomo perfettamente casto non è più sottoposto al dominio della “carne” che lo tenta e lo induce al peccato. E bene notare che con la stessa parola “carne” qui si indicano due realtà molto diverse: da una parte semplicemente il corpo, dall’altra la natura umana - nella sua unità indivisibile di corpo e dì spirito - in quanto peccatrice e sottomessa alla “morte”.

[10] Cf. Ist, V, 12 ss.

[11] Su quest’uso, cf. Plinio il Vecchio, Storia naturale XXIV,18.

[12] E probabile, come ritiene A. de Vogüé (Histoire littéraire VI, p. 138), che qui Cassiano alluda non tanto alla celebrazione eucaristica, ma alla comunione quotidiana praticata con le specie eucaristiche consacrate durante la celebrazione domenicale e custodite da ogni monaco nella propria cella per l’intera settimana (cf. Basilio di Cesarea, Lettere 93). Cassiano raccomanda esplicitamente la comunione quotidiana in Conf. IX,21, perché la ritiene “medicina” e “rimedio per le nostre ferite” (cf. ibid. VII,30; XXIII,21); ma tale pratica non era generalizzata tra i monaci egiziani. Sulla frequenza della celebrazione eucaristica nel monachesimo antico, cf. A. Veilleux, La Liturgie dans le cénobitisme pachòmien, pp. 226-248; V. Desprez, Le monachisme primitif. Des origines jusqu’au concile d’Ephèse, Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1998, pp. 563-581; A. de Vogüé, “Le passage de la messe du Dimanche à la célébration quotidienne chez les moines (IVe-Xe siècle)”, in La Maison-Dieu 2/242 (2005), pp. 33-44.

[13] Lat.: agonotheta. Cf. Conf. VII,20.

[14] Cf. infra, Ist. VI,20, n. 21.

[15] Cf. supra, Ist. IV,37, n. 81.

[16] L’esegesi patristica ha interpretato i “figli di Babilonia” del Sal 136,9 come un’allegoria dei pensieri cattivi, che possono essere vinti soltanto se scagliati contro la “pietra” per antonomasia, cioè Cristo. Cf. ad esempio Basilio di Cesarea, Commento a Isaia 13,273; Evagrio Pontico, Scolii ai Salmi, PG 12,166oA; Agostino di Ippona, Esposizioni sui Salmi 136,21; Girolamo, Lettere 22,6; Regola di Benedetto 4,50.

[17] Cassiano, come altri padri, interpreta la parola “vaso” (lat.: vas; gr.: skeúos) di 1Ts 4,4 sulla base di 2Cor 4,7: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta”, dove la parola è chiaramente riferita al corpo umano nella sua fragilità. Altri padri (ed esegeti moderni) vedono in questa parola un’allusione alla donna o al corpo femminile.

[18] Per la stessa immagine, cf. supra, Ist. V,14,2, n. 23, Questo paragrafo, come anche quello che segue, illustrano bene la concezione dei rapporti tra grazia divina e sforzo umano tipica del monachesimo e della teologia dei padri orientali, che Cassiano ha fatto propria: la lotta contro il peccato e le forze di morte che abitano l’uomo è vista in termini di “cooperazione” (gr.: synerghía) tra l’uomo e Dio (cf. Conf. XIII,13). Lo sforzo dell’uomo - la sua ascesi - lo predispone ad aprirsi alla grazia dello Spirito santo, che sola può annullare il peccato e colmare l’uomo dei suoi doni: “L’impegno dell’uomo nelle opere buone, infatti, non potrà raggiungere la perfezione senza l’aiuto che viene dall’alto, né d’altra parte la grazia che viene dall’alto potrà mai venire in aiuto di chi non s’impegna, ma è necessario contemperare le due esigenze: l’impegno dell’uomo e il soccorso che mediante la fede riceviamo dall’alto per portare a perfezione la virtù” (Pseudo-Basilio, Costituzioni ascetiche 13; cf. anche Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 19,1; Detti dei padri, Serie alfabetica, Longino 5; Id., Serie anonima N 342; Diadoco di Fotica, Capitoli 93-94; Giovanni Climaco, Scala XV,21, PG 88,884B). Sul sinergismo in Cassiano, cf. Sr. Marie-Ancilla, Saint Jean Cassien. Sa doctrine spirituelle, La Thune, Marseille 2002, pp. 20-26.

[19] Cioè alla vera conoscenza delle cose di Dio, e in particolare delle sante Scritture (cf. Ist. V,34; Conf. XIV,9-10.14).

[20] Non è possibile identificare questo detto in nessuna delle opere di Basilio di Cesarea,

[21] Cf. Conf. XII,7-8; XXII,3-6; Ist. VI,10.

[22] I vizi infatti sono tutti legati tra loro, e non è possibile ammetterne uno senza ammetterli tutti: cf. Ist. V,11.

[23] Cf. Ist. II,13,1-2; III,5,1-2.

 


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3 febbraio 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net