Regola di S. Benedetto

 

XXII - Il dormitorio dei monaci - ... Nel dormitorio rimanga sempre accesa una lampada fino al mattino. Dormano vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno. Così i monaci siano sempre pronti e, appena dato il segnale, alzandosi senza indugio si affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l'Ufficio divino, ma sempre con la massima gravità e modestia.

XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in refettorio - All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine, ma nello stesso tempo con gravità, per non dare adito alla leggerezza. In altre parole non si anteponga nulla all'Opera di Dio".

XLVII - Il segnale per l'Ufficio divino - Bisogna che l'abate si assuma personalmente il compito di dare il segnale per l'Ufficio divino, oppure lo affidi a un monaco diligente in modo che tutto avvenga regolarmente nelle ore fissate. L'intonazione dei salmi e delle antifone, secondo l'ordine prestabilito, spetta, dopo l'abate, ai monaci appositamente designati.

XLVIII - Il lavoro quotidiano - L'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.... Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli...... Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per essere pronto al suono del secondo segnale. Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.


Campane e monasteri

Giancarlo Andenna

Estratto da: "Del fondere campane. Dall'archeologia alla produzione. Quadri regionali per l'Italia settentrionale. Atti del Convegno (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 23-25 febbraio 2006)"

A cura di Silvia Lusuardi Siena, Elisabetta Neri

Ed. All'Insegna del Giglio, 2007

 

Nella Regola di Benedetto da Norcia il termine “campana" non compare, ma in due punti si fa riferimento ad un signum, ad un segnale, che dal contesto appare come un suono, che indicava ai monaci l'inizio di uno specifico momento della giornata liturgica. Ma osserviamo i due brani in cui la parola signum è utilizzata: il primo si pone entro il capitolo XXII, Quomodo dormiant monachi. In esso, dopo aver ricordato che i monaci debbono dormire sempre vestiti, con le tonache strette da cinture o da corde, Benedetto lega tale norma al fatto che essi debbano essere pronti a levarsi senza indugio al segnale (facto signo), per accorrere in fretta alla celebrazione dell'ufficio divino. Il secondo contesto appare più ampio e riguarda il capitolo XLVII, De significanda hora operis Dei: in esso il compito di gestire i signa relativi alla recita e al canto dell’ufficio divino nelle diverse ore del giorno e della notte era riservato all’abate, che avrebbe potuto poi affidare l'incarico a un monaco di sua piena fiducia. In altre parole la comunicazione delle frazioni di tempo nelle quali i monaci attuavano una delle funzioni fondamentali del cenobio era riservata a colui a cui era affidato il monastero. Nei commenti antichi alla Regola era ovviamente specificato che l’abate non si trasformava in campanaro (pulsatorem campanarum), ma che egli poteva direttamente ordinare ai sacristi, anche per l’interposta persona del priore claustrale, di suonare le ore canoniche (pulsandi horas canonicas). Insomma il signum in questione era un segnale sonoro, molto probabilmente un suono di campane [1].

Pure un segnale sonoro, dato da un tintinnabulum o campanella, poteva essere legato all'ordine con cui l’abate, o il suo delegato, comunicavano al sacrista di suonare la campana. In effetti la parola e il corrispettivo oggetto, il tintinnabulum, appaiono nel II libro dei Dialogi di Gregorio Magno, nel cap. I, dove si tratta della vita di Benedetto da Norcia, e sono posti in connessione con un segnale utilizzato dal discepolo Romano, affinché il santo ricuperasse il cesto contenente il cibo. Comunque a chiarimento delle due parole che indicavano la campana e il campanello richiamo l’attenzione su una riflessione di Walafrido Strabone, monaco di Fulda, che nel libro De ecclesiasticarum rerum exordiis et incrementis, nel V capitolo affronta la questione de vasis quae simpliciter signa dicuntur. Questi sono oggetti di per se significanti e tra essi le campane occupano il primo posto. Secondo l’erudito monaco di Fulda a Campania, quae est Italiae provincia, eadem vasa maiora quidem campanae dicuntur. Al contrario i vasa minora vocantur tintinnabula, voce che assume il nome dal suono, cioè a sono tintinnabula vocantur (PL. 114 [2]). Il ritorno forte del termine signum associato alla campana, ci permette di affermare che in ambiente monastico durante l'età carolingia le due parole si equivalessero.

Chiediamoci ora, insieme agli antichi commentatori della Regula, quali segnali erano stati usati nei primi secoli del monachesimo cristiano per convocare i cenobiti alla recita dell'ufficio divino. Esistevano, se si seguono le fonti, ben quattro modi: il primo era dato da una tromba, o forse da un corno di toro, piuttosto che di ottone, testimoniata dal dettato dell’articolo 2 della Regola di San Pacomio. Quel testo parla esplicitamente di una tuba, utilizzata per chiamare i confratelli per la preghiera diurna della colletta, ma anche per le orazioni della notte. Nel secondo capitolo della Regola si dice esplicitamente: Quando ad collectam tuba insonuerit per diem, qui una oratione tardius venerit, superioris increpationis ordine increpabitur. Il suono di una tromba doveva dunque ritmare la vita dei cenobi di Pacomio, che d’altra parte assomigliavano più a caserme militari che a luoghi di vita religiosa.

La seconda possibilità di comunicazione sonora era data dalla percussione di una tavola di legno, con la quale i monaci potevano essere convocati o in comune o individualmente per la preghiera. Ciò avveniva battendo la tavola nei pressi delle porre dei dormitori. La terza modalità era data dalla voce umana, che intonava con forza il canto dell’Alleluia, come ricorda Gerolamo nella lettera 27, parlando del monastero di Santa Paola: Post alleluia decantatum, quo signo vocabantur ad collectam, nulli residere licitum erat.. In altre parole il segnale per indicare il momento della preghiera collettiva era costituito dal canto con voce squillante dell'alleluia.

L’ultima modalità era infine data dall’uso della campana, che nell’età di Colombano era ampiamente utilizzata nei monasteri irlandesi; infatti nella Vita de sancto Columba dell’abate Adamanno di Iona si possono rintracciare due punti in cui si parla dello strumento sonoro, indicato con il vocabolo volgare clocca. Colombano al suono della campana di mezzanotte (media notte pulsata personante clocca) era pronto ad alzarsi e a recarsi in chiesa De vita S. Columbae libri tres, col. 773AB). Nel secondo Colombano che in quel tempo risiedeva nelle isole del mare del Nord, nel paese degli Scoti, un giorno chiamò a sé il fedele amministratore Diormitio e gli ordinò in modo categorico: Cloccam pulsa (De vita … col. 732D). Ovviamente si trattava di un segnale di adunanza, poiché l’agiografo sottolinea che a quel suono i confratelli accorsero in chiesa e l’abate ordinò loro di pregare perché Dio attribuisse la vittoria al re Aidano.

La campana segnava dunque nei cenobi anche l’accadere di momenti non inseriti nel contesto prevedibile delle azioni giornaliere e per questo essa era pronta a conquistare la dimensione del linguaggio simbolico utile in numerosi campi. In ogni caso, e lo notava già Sicardo di Cremona nel suo Mitrale, i cristiani occidentali affermavano pro tubis hodie campanas habemus ed esse servivano ad annunziare al mattino la misericordia del Signore e la sua verità [3]. Inoltre Onorio di Autun nel De divinis officiis et antiquo ritu missarum si pose il problema del significato delle campane (de campanis significatio) e lo risolse affermando che le campane si identificavano con i profeti; infatti esse col loro suono preannunciavano l’ingresso dell’abate o del vescovo nel tempio, come i profeti avevano preannunziato l’avvento di Cristo [4]. In due altre opere tuttavia le campane sono paragonate alla bocca dei predicatori del Nuovo Testamento, in quanto le bocche a detta di Onorio erano con il loro linguaggio più durature delle trombe. D'altra parte se i prelati erano paragonati alle torri campanarie, appare ovvio che le campane fossero da intendere come l’espressione della loro attività di predicazione. Inoltre se la torre per lo stesso Onorio era paragonabile al capo, alla testa, la campana era senza indugio identificabile con la lingua, con cui il predicatore chiamava il prossimo alla conversione e al premio eterno [5]. Una uguale identificazione delle campane con i predicatori appare anche nel De divinis officiis di Ruperto di Doitz, il quale usa con chiarezza l’espressione signa ecclesiae, campanas dicimus, sanctos Christi precones significare [6].

Ma se ritorniamo per un istante al rapporto tra gli strumenti della comunicazione sacra, ciò che importa qui dire nella comparazione tra trombe e campane è che per Onorio di Autun il clamore delle trombe durante le antiche processioni di Aronne era espresso nelle adunate militari cristiane dal suono delle campane. Infatti nel capitolo LXXIII del De divinis officiis lo stesso autore sottolinea un elemento importante, che in quegli anni fu alla base della presenza delle campane nelle lotte entro le città comunali italiane: Cum campanae sonantur quasi per classica milites ad praelium incitantur [7]. Insomma, quando suona la campana chi combatte è obbligato a lanciarsi nella mischia. Questi ragionamenti monastici presenti in autori del XII secolo anticipano e per certi versi spiegano in modo evidente la successiva e celebre frase di Pier Capponi, che d’altra parte aveva anche un precedente nei Gesta Alberonis archiepiscopi, quando l’agiografo sottolinea che col suono della campana si accelerava l'eccitazione e il furore del popolo: inciperent furere et constrepere et sonitu campanae populum civitatis eum concitare accelerabant [8]. I cittadini, già infuriati ed urlanti, al suono delle campane diventavano sempre più eccitati da spirito di lotta.

Chiediamoci ora quale fosse la grandezza delle campane monastiche. Sembra che nei primi secoli del monachesimo benedettino le campane fossero piccole, tanto da poter essere suonate dal solo abate, anche se vecchio. Questa consuetudine di avere campane di dimensioni ridotte fu ripresa nel XII secolo dai cistercensi con questa disposizione, poi inserita nella loro legislazione: «Le campane del nostro ordine saranno fatte in modo tale che possano essere suonate da un solo monaco, mai da due insieme» [9].. Tuttavia nei monasteri benedettini invalse a partire dal X secolo un uso contrario tanto che le campane divennero sempre più numerose e pesanti. Ad esempio nel Chronicon Beccensis abbatiae l'abate Tommaso fece fondere due campane, una che fu chiamata le timbre, cioè ebbe un nome specifico, come le navi, e la seconda, che non ebbe nome, ma che era facilmente riconoscibile in quanto era suonata al vespro e al mattutino. Orbene per sospendere le due campane, ovviamente molto pesanti, alle due grosse torri della chiesa si impose la necessità di rinnovarle dalle fondamenta, poiché nimium erant gravatae et commotione campanarum gravabantur [10]. Il movimento delle campane avrebbe potuto mettere in serio pericolo le due torri.

Vorrei riprendere ora con una breve considerazione la questione del nome delle campane per osservare che tale uso si ritrova originariamente attorno all’anno Mille in ambiente monastico, come nel Chronicon del cenobio di Hildesheim, la cui campana era chiamata Cantabona [11]. Un nome che riprendeva quello del santo del monastero fu invece dato dai monaci di San Benigno alla loro campana che fu due volte rifusa per essere più grande e più sonora, e che in ogni caso era sempre chiamata Benigna [12].

Risulta ora opportuno chiedersi quale fosse il linguaggio delle campane in ambiente monastico almeno a partire dall'età carolingia e per quali contesti di comunicazione lo stesso linguaggio, o meglio il sistema di signa, fosse utilizzato. Il primo e naturale ambito era quello liturgico, relativo alle ore del divino ufficio. La domanda risulta allora così concepita: Quot signa pulsanda sint? Seguo il commento alla Regola di Ildemaro: il monaco franco sottolinea che per annunciare la preghiera notturna (ad vigilias) erano necessari tre suoni (tria signa); al contrario per segnalare la preghiera del mattutino e dell'ora prima bastava un unico tocco di campana. E ancora per la recita dell'ufficio a terza, sesta e nona i rintocchi dovevano essere due; al vespro di nuovo tre segni sonori convocavano i monaci. Infine un solo suono annunciava l’ora del completorio e l'inizio della notte [13]. In effetti, a suffragio delle affermazioni di Ildemaro, il canone 539 del celebre concilio di Aquisgrana dell'817 impose la seguente norma: duo tantum signa ad tertiam, sextam nonamque pulsentur. Ma anche il suono del completorio aveva una sua importanza, in quanto avvisava i famuli del cenobio sulla necessità di illuminare con lampade il chiostro, il capitolo e i gabinetti, in un perfetto accordo tra il suono che lentamente si dissolveva nella notte e la luce artificiale che di nuovo illuminava gli spazi monastici [14].

Tuttavia questi strumenti di comunicazione sonora, signa, nell’età carolingia e post carolingia erano posti sia fuori dallo spazio di vita monastico, cioè sulle torri o sulla chiesa, in questo caso pendenti da campanili a vela, sia entro lo spazio monastico più intimo. Si legga ad esempio la Vita di Benedetto di Aniane, scritta dal discepolo Ardone: nel capitolo 52 l'agiografo narra che l’abate di Inda volle porre per la prima volta nel dormitorio dei monaci una skilla da suonare con forza prima che la campana della chiesa annunciasse con i tre suoni l’ora della preghiera notturna. In questo modo essi al terzo rintocco della campana potevano già essere pronti nei loro stalli del coro per le preghiere, così che, spalancate successivamente le porte della chiesa, si facessero entrare gli ospiti [15]. Una uguale testimonianza, ma con annotazioni di natura spirituale, appare nell'Historia miraculorum sancii Willelmi, il duca e conte d’Aquitania divenuto monaco nel Gellonensi monasterio e morto tra l'812 e l'813. Nel narrare la liberazione di un indemoniato l’agiografo si soffermò a descrivere il demone che scacciato da Guglielmo aveva deciso di procurare un danno al cenobio. Uscito dall'indemoniato lo spirito maligno si scagliò contro una bella e decorata finestra di vetro (finestram vitream satis decoram satisque speciosam) riducendola in minuti frammenti, poi con la stessa forza rivolse il suo spirito verso la skillam argenteam che pendeva dal soffitto della chiesa e con ugual violenza la percosse e la ruppe. Quella piccola campana era stata donata al cenobio con molti altri oggetti preziosi dallo stesso duca Guglielmo; e l’agiografo sostenne che l’offerta avrebbe dovuto esaltare la gloria e la lode di Dio, poiché la skilla annunciava ai monaci per prima le diverse ore dell’ufficio divino. Poiché era d’argento con la melodia della sua voce chiara e squillante rendeva vigili le orecchie e addolciva le menti dei monaci che l’udivano [16]. La differenza di metallo rendeva non solo precisi, ma anche gradevoli i linguaggi della comunicazione.

Un ulteriore uso liturgico delle campane era legato, sempre in ambiente monastico, all'annuncio della morte di un confratello; infatti nel narrare gli ultimi istanti di vita del vescovo Annone, l’abate Reginardo ricorda che esistevano dei crebra campanarum signa, suoni delle campane che indicavano l’avvenuta morte del presule (mortem episcopi significantia). Dunque un preciso linguaggio, ben diverso dal fragore e dal clamore delle stesse campane, unito al canto dei salmi, che accompagnava il corpo esanime del presule nell'atrio della chiesa e poi lungo il percorso del funerale [17]. E nel tempio durante la cerimonia funebre ancora una volta le luci delle candele, il luccicare dei metalli degli oggetti sacri e il fragore (clangor) delle campane permeavano l'intero spazio sacro.

Nel caso del vescovo Annone i rintocchi della campana, che annunciavano la morte, erano eseguiti dai campanarii, ma la letteratura agiografica monastica registra al contrario un considerevole numero di agonie di presuli, di abati, di monaci, di monache o di eremiti la cui comunicazione avveniva con il suono spontaneo delle campane. Ad esempio dopo che Leone IX affidò la sua anima a Dio, la campana di San Pietro iniziò a suonare nullo ministrorum pulsante [18]. Sembra pertanto che a partire dall’XI secolo si sia diffusa nelle agiografie di ambiente monastico l’abitudine di annunciare le morti dei santi, oppure di comunicare eventi miracolosi o traslazioni gloriose di reliquie con un lungo e squillante suono di campane senza che mano di uomo traesse le corde. Si legga ad esempio quanto scrive Orderico Vitale nelle Ecclesiasticae Historiae a proposito della morte del duca o conte Guglielmo, divenuto monaco, di cui si è già parlato: magnus valde et insolitus clangor signorum et campanarum sonitus, longa pulsatio, mirabilis tinnitus, non hominibus funes trahentibus [19]. L’immagine non era presente nelle precedenti agiografie del personaggio. La campana che suona da sola per annunciare la morte del monaco o del religioso diventa dunque un segno inequivocabile di santità già a partire dall'XI secolo, ma poi nel corso del basso medioevo si trasforma in un motivo dominante in quasi tutte le agiografie. Si veda come esempio il passo relativo a Rita da Cascia nella vita scritta da Agostino Cavallucci: il 22 maggio, nel momento in cui la santa spirò, audita est monasterii campana, movente nemine, ter pulsari. Pertanto i presenti e lo stesso agiografo pensarono che la stessa fosse stata mossa da mani angeliche [20]. Molto più ricco di accenti mistici risulta invece il brano relativo alla morte dell'eremita camaldolese Leonardo, poiché i  presenti videro la sua anima in sphaera ignea caeli secreta penetrare; e proprio in quel momento si sentì suonare la campana dell'eremo, absque mortalium ope [21].

Un’ultima annotazione di natura liturgica si impone: tra i miracoli di Giovanni Gualberto, narrati dal monaco vallombrosano Gerolamo, si legge della guarigione di una fanciulla, avvenuta subito dopo il suono dell'Angelus, detto anche vespertinam Angelicam salutationem, che nei monasteri vallombrosani era ormai di abitudine (de more) suonare [22]. Si tratta di un rito liturgico connesso ad una breve preghiera, ma anche alla conclusione del lavoro diurno nelle campagne, che ebbe in seguito ampia diffusione e che sembra essere connesso all'uso monastico delle campane, quelle che segnalano l'ora del vespro, al tramonto del giorno. E che il successo del rito si sia realizzato nelle campagne europee appare in modo chiaro da un commentario previo alla vita di san Gualderico agricoltore, vissuto nella Francia meridionale attorno al Mille. L'agiografo, che scriveva in età basso medievale, si chiese se il santo avesse nei suoi atti quotidiani recitato in ginocchio, dopo aver udito i tre rintocchi delle campane di mezzogiorno, le tre Ave Marie che il re di Francia, in accordo con il papa, aveva imposto a tutti i sudditi per conservare la pace nel regno. Ma si chiese anche se il contadino al vespero si fosse inginocchiato anche nell'acqua per recitare l'Angelus e per chiedere aiuto a Dio affinché provvedesse alla salvezza della Francia [23].

Se dall'ambito liturgico si passa ora al contesto del potere signorile monastico, la skilla o il tintinnabulum offrono con il loro suono un diverso linguaggio di comunicazione, segnano cioè, come nel celebre brano della Cronaca di Novalesa, di cui ha già detto in un convegno sui mercati Aldo Settia [24], il tempo delle contrattazioni commerciali e mercantili. Il cronista narra che i monaci possedevano un carro di legno intagliato, detto anche plaustrum domenicalem, con al centro un palo a cui era appeso un tintinnabulum o skilla, ovviamente squillante (valde resonantem). Mentre i servi del monastero trasportavano su altri carri il vino e il frumento, l’apparato serviva a segnalare agli altri signori della regione che la comitiva apparteneva al cenobio, in modo che nessun duca, marchese, conte o vescovo osasse assaltare la spedizione. Era in altre parole un segno di riconoscimento, ma nel contempo era molto di più, in quanto nelle fiere che ogni anno si tenevano sui territori circostanti l'abbazia nessun mercante osava iniziare le contrattazioni prima che fosse giunto il carro signorile del monastero con la campana squillante [25]. La campana in questo caso dava inizio al tempo dei mercanti e delle contrattazioni economiche in quanto esprimeva la voce del dominus e col carro manifestava la simbolica immagine del potere. Poiché tali atti nella Cronaca di Novalesa risalgono ad anni precedenti la scrittura dell’opera, in quanto il monaco narratore afferma di aver ascoltato il racconto dagli anziani della comunità, ritengo che anche in questo caso i monasteri abbiano preparato la strada alle successive azioni mercantili della civiltà comunale, dominate dal suono delle campane.

Per concludere vorrei soffermarmi sul linguaggio universale che i monaci hanno correlato al suono delle campane nella civiltà occidentale: il segno delle ore liturgiche è stato nel contempo ascoltato anche come segno delle ore della giornata umana di lavoro. Preghiera e lavoro si sono così fuse perfettamente, come appare anche nella sintesi della regola benedettina: ora et labora. Nel contempo il suono delle campane monastiche ha avuto anche un valore teofanico, in quanto ha permesso di innalzare gli animi verso la contemplazione di Dio e della sua divina bellezza e nel contempo ha garantito un ritorno della mente nelle vicende del mondo per porre una precisa diacronia nei momenti della vita quotidiana, ritmati dal ricordo delle immagini celesti recitate con il ripetersi dei salmi e delle preghiere dell'ufficio divino. Infine le campane e i loro suoni hanno avuto per i monaci una forte valenza sociale in quanto segnalavano non solo i pericoli, del fuoco, delle alluvioni, delle scorrerie di predoni, ma anche i momenti di gioia delle comunità monastiche, a cui erano legate le società rustiche dei servi e dei coltivatori abitanti nei villaggi e nei castelli circostanti. Per tutte queste ragioni esse potevano essere ben paragonate ai predicatori ecclesiastici, infatti come a volte era scritto nella fusione del bronzo, la campana svolgeva molte azioni: Laudo Deum verum, congrego monacos, plebem voco; vox vitae, voco vos ad sacra, venite. Defunctos ploro, sacra decoro et nimbum fugo (Lodo il Dio vero, raduno i monaci, chiamo il popolo; la mia voce è voce di vita; vi chiamo, venite ai sacri uffici; piango i defunti, rendo belle le feste e metto in fuga la tempesta). In altre parole valore sacrale e valore civile si sono fusi nei lunghi secoli del monachesimo e hanno preparato il terreno alla distinzione dell’uso religioso ed ecclesiastico da quello civile e politico della successiva età comunale, quando questi concetti, dopo il concordato di Worms, trovarono una loro lenta e complessa separazione. La campana con il suo valore simbolico c il suo linguaggio di suoni lieti e mesti, con il suo rimando a Dio e alla minuta organizzazione del tempo quotidiano ha incarnato perfettamente la missione del monachesimo occidentale, entro il quale essa ha trovato un grande successo.

 

Bibliografia

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Nota del redattore del sito: Nel testo originale le note sono più complete.


[1] Norme simili sono anche presenti nella Regula Magistri.

[2] Walafridi Strabi fuldensis monachi De ecclesiasticarum rerum, coll. 924 B. 924 C.

[3] Sicardi Cremonensis Episcopi Mitrale seu de officiis ecclesiastica summa, I.iber Primus, cap. XIII, De utensilibus eeelesiae, 53C.

[4] Honorii Augustodunensis Gemma animae sive De diviniis officiis et antiquo ritu missarum, deque horis canonici et totius annis solemnitatibus. coll. 544C-545B.

[5] Honorii Augustodunensis Sacramenrarium seu de causis et signi­ficata mystico rituum divini in ecclesia officii liber, col. 763C; Honorii Augustoduncnsis Speculum ecclesiae. col. 1105B.

[6] Ruperti Abbatis Tuitiensis Ad venerabilem Ecclesiae Ratisponensis episcopum Cunonem pro libro de divinis officiis, coll. 150 AB.

[7] Honorii Augustodunensis Gemma animae sive De diviniis officiis et antiquo ritu missarum, deque horis canonicis et totius annis solemnitatibus, coll. 567AB.

[8] Gesta Alberonis archiepiscopi auctore Balderico, p. 246.

[9] Lucet 1964, p. 35.

[10] Chronicon Beccensis abbatiae, col. 683B; 687C.

[11] Chronicon hildesheimense, p. 853.

[12] Chronici abbatiae S. Benigni continuatio, col. 854D.

[13] Expositio regulae [of Saint Benedict] ab Hildemaro tradita et nunc primum typis mandata, 1880, commento al capitolo XLVII della Regola di Benedetto. Si veda anche Benedicti Regula cum commentariis, 47, coll. 701D-702B.

[14] Benedicti Regula cum commentariis, cap. 22, col. 497D. Si tratta di un decreto dell'abate Ingulfo.

[15] Ardo Smaragdus Vita sancti Benedicti Anianensis, 52. coll. 378B- 378D; ma anche Ardo Smaragdus Vita Benedicti abbatis Anianensis et Indiensis, in particolare cap. 38, p. 216.

[16] Historia miraculorum sancti Willelmi monaci Gellonensis, Miracula Crucis, p. 823.

[17] Reginhardi Sigebergensis Vita Sancti Annonis, col. 1574A e col. 1575A.

[18] Historia mortis et miraculorum sancti Leoni: IX, 531 A.

[19] Orderici Vitalis Ecclesiasticae Historiae, col. 454D.

[20] Augustini Cavallucci De beata Rita vidua ordinis eremitarum san­cti Augustini vita, p. 226.

[21] De beato Peregrino eremita Camalduli in Etruria Commentari historicus, p. 371; si tratta di un excursus per ricordare l’eremita Leonardo che avrebbe profetizzato al cardinal Ugolino d’Ostia la sua nomina a pontefice.

[22] Miracola sancti Joannis Gualberti auctore Hieronymo Radiolensi monacho vallumbrosano, coll. 811-960, in particolare col. 946.

[23] Sanctus Gualdericus agricola in Occitania, col. 1107. A colonna 1109 si afferma che l'Angelus ebbe origine nel Trecento, ma sarà opportuno riprendere l'argomento.

[24] Settia 1993, pp. 187-233, in particolare pp. 187-188.

[25] Cronaca di Novalesa, pp. 100-103.


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26 marzo 2020                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net