Regola di S. Benedetto

Prologo

1. Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, 2. in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. 3. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.


1. Ascoltare con il cuore, vedere con il cuore

Anselm Grün O.S.B.

Estratto e tradotto da „Mit dem Herzen hören, mit dem Herzen sehen (Ascoltare e vedere con il cuore)

Vier-Türme-Verlag 2017

 

Ascoltare e vedere

nella Regola di Benedetto

Ascoltare

La Regola di Benedetto inizia con la parola Ascolta. La parola latina sottolinea ancora una volta l'ascolto: obsculta. Questa parola significa un ascolto diretto a qualcuno. È un ascolto personale. Ascolto qualcuno che mi parla. Benedetto parla dell'istruzione del Maestro a cui dobbiamo dare ascolto. Il Maestro qui significa Gesù Cristo stesso. Noi dobbiamo ascoltarlo.

Per far sì che l'ascolto abbia successo, Benedetto chiede al monaco: "Inclina l'orecchio del tuo cuore". Si tratta di un ascolto umile, non di un ascolto curioso, ma un ascolto che si inchina davanti a colui che ha qualcosa da dirmi. È Gesù Cristo stesso che mi parla". Ma, nella frase successiva, Benedetto si riferisce al "Padre benevolo", a Dio stesso: "Accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno!" (RB Prologo 1). Questo significa che l'ascolto non è un piacere, come l'ascolto della musica. Ascoltare è sempre un obbligo. Devo accettare ciò che sento come un'istruzione e metterla in pratica. L'ascolto ha delle conseguenze. Porta all'obbedienza. L'obbedienza, come la intende Benedetto, deve essere sempre considerata in relazione all'ascolto. L'obbediente ascolta. Ascolta ciò che Dio gli dice nel suo cuore. Ma ascolta anche ciò che Dio vuole dirgli attraverso l'abate o un confratello. E l'obbediente ascolta il proprio cuore per vivere in modo obbediente e quindi in accordo con la sua natura più profonda.

Tuttavia, l'ascolto che porta all'obbedienza non è sempre facile. Nella seconda strofa del Prologo, San Benedetto parla già del lavoro dell'obbedienza (per oboedientiae laborem). L'obbedienza è ardua, significa fatica. Ma l'obbedienza mi permette di tornare a Dio. Il non ascoltare mi ha allontanato da Dio. Quindi l'ascolto mi riporta a Dio. Ma questo percorso è difficile all'inizio. Richiede che io apra le orecchie e ascolti ciò che Dio mi dice. E Dio non è colui che si limita a confermarmi. Dio mi mette in discussione. Chi ascolta si lascia interrogare. È pronto a tornare indietro, a prendere la strada che ha riconosciuto come giusta attraverso l'ascolto. Ma quanto più ci siamo allontanati dalla nostra natura e dal vero cammino, tanto più diventa difficile tornare sulla retta via, tornare a noi stessi, tornare a Dio, che ci ha chiamati a seguirlo.

L'ascolto porta anche alla vita. Il profeta Isaia dice: "Ascoltate e vivrete" (Is 55,3). Chi ha le orecchie tappate, chi si rifiuta di ascoltare, non vive bene. La vera vita inizia con l'ascolto. Anche Benedetto la vede così. E in questo sa di essere in sintonia con la tradizione ebraica. Come Benedetto, anche la professione di fede ebraica inizia con l'ascolto. Lo Sh'ma Israel è il segno con cui si riconosce un ebreo: "Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno solo!". La parola uno solo non significa esclusività giuridica, ma è una parola d'amore. Il pio ebreo deve sentire che Dio è l'unico Dio per lui, che deve aderire completamente a Dio e diventare uno con lui e che solo lui ama Dio con tutte le sue forze. Ascoltando, l'uomo pio appartiene a Dio. E quando appartiene a Dio, sperimenta la vera vita. Questo è ciò che dice il libro del Deuteronomio: "Ascolta, Israele, le leggi e le norme che ti insegno a osservare. Ascolta e vivrai" (Dt 4,1). Come il Libro del Deuteronomio, Benedetto è convinto che l'ascolto ci porti a Dio e quindi alla vera vita. L'ascolto ci dà il dono di sperimentare la vicinanza di Dio, che ci parla e ci promette il suo amore incondizionato.

Benedetto mostra che l'ascolto porta alla vita quando scrive nel Prologo: "Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?". Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila!" (RB, Prologo 14-17).

Dobbiamo ascoltare il Signore. Questo si riferisce a Gesù, che nella parabola degli operai nella vigna cerca persone disposte a lavorare nella sua vigna. Gesù vuole condurci alla gioia di vivere nella sua vigna. Ma l'ascolto ha bisogno di una risposta. Risposta in realtà significa: dire una parola contro, cioè di fronte all'altro [Ndt: nella lingua tedesca Risposta = Antwort, dove Anti = contro e Wort = parola]. Non dò una risposta astratta, ma dico una parola di fronte all'altro. Guardo Gesù e gli dico una parola. La parola che Benedetto si aspetta dal monaco è: io. Sono pronto ad andare nella sua vigna sulla parola di Gesù e a fare il lavoro che il Signore mi dice di fare. Ma quando lavoro nella vigna di Gesù, sperimento la gioia di vivere. Ma questa gioia di vivere la sperimento solo quando ascolto Dio. Dio mi parla nel Salmo 34 e mi mostra come posso trovare la vera vita, una vita che non promette solo un breve piacere, ma una gioia eterna.

Il Salmo parla di tre condizioni affinché io possa trovare la vera vita: tenere la mia lingua lontana dal male, evitare il male e fare il bene, e cercare la pace. Per Benedetto, nella sua Regola, il silenzio, la pratica dell'amore e la ricerca della pace sono passi essenziali verso una vita realizzata.

Quando Benedetto parla di ascolto nel Prologo cita spesso parole dei Salmi o parole di Gesù. Queste parole ci mostrano la via della vita. Ma le parole non chiedono solo di essere ascoltate, richiedono anche obbedienza. Dobbiamo obbedire alle parole. Così Benedetto ci invita a chiedere al Signore con le parole del salmista: "Signore, chi può abitare nella tua tenda, chi può abitare sul tuo monte santo?". (Sal 15,1)

E poi Benedetto continua: "E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda: ‘Chi cammina senza macchia e opera la giustizia; chi pronuncia la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua; chi non ha recato danni al prossimo, né ha accolto l'ingiuria lanciata contro di lui’; chi ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue suggestioni, respingendolo dall'intimo del proprio cuore e ha impugnato coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo sorgere" (RB, Prologo 24-28)

Anche in questo caso l'ascolto richiede l'azione. L'azione è descritta per la prima volta con le parole del Salmo 15. Si riferisce ancora una volta alla lingua, che non deve calunniare ma dire la verità. E l'azione si riferisce al comportamento verso il prossimo. Ma poi Benedetto abbandona la formulazione del Salmo 15 e fa riferimento al Salmo 137,9, che dice che gli ebrei in esilio dovranno "prendere i figli di Babilonia e schiacciarli contro la roccia". Benedetto interpreta questa parola in modo figurato.

Dobbiamo distruggere i pensieri che sorgono interiormente contro Cristo. Cristo è la vera roccia. Qui si percepisce la tradizione dei primi monaci. I padri del deserto trattavano in modo molto dettagliato il modo in cui dovevano affrontare i loro pensieri. Ciò che Evagrio Pontico, (345 – 399: monaco cristiano, scrittore e asceta greco antico) scrive a proposito della lotta contro i demoni è anche ciò che Benedetto vuole che il monaco pratichi: deve osservare i suoi pensieri, lottare con essi e se provengono dal male, allora deve gettarli fuori da sé e schiacciarli contro Cristo.

Ascolto e azione sono ancora una volta collegati quando Benedetto cita le parole di Gesù alla fine del Discorso della Montagna: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia" (RB Prologo 33-34; Mt 7,24 seg.). Chi ascolta e agisce di conseguenza costruisce la sua casa sulla roccia. Anche in questo caso, la roccia è un'immagine di Cristo. Cristo è il fondamento della vita per il monaco, ma anche per ogni cristiano. Ma Cristo vuole essere ascoltato e allo stesso tempo esige l'obbedienza dell'azione. Senza azione, l'ascolto non ha conseguenze. Chi ascolta e comprende veramente agisce di conseguenza.

Finora lo scopo dell'ascolto è sempre stato quello di ascoltare la voce di Dio. Ma nella Regola, Benedetto parla anche dell'ascolto degli altri. L'abate deve "ascoltare il consiglio dei fratelli e poi rifletterci per proprio conto" (RB 3,2). Benedetto richiede quindi che l'abate ascolti i suoi fratelli. E deve aspettarsi che Dio spesso "riveli al più giovane la soluzione migliore" (RB 3,3). Così Dio ci parla attraverso le persone. L'abate deve fare i conti con il fatto che Dio parla anche attraverso i confratelli più giovani. E quando un monaco straniero viene al monastero e ci critica in umiltà e amore, l'abate deve ascoltare attentamente e considerare con saggezza "se il Signore non lo abbia forse mandato proprio per questo motivo" (RB 61,4). Ascoltandoci impariamo gli uni dagli altri. Dipendiamo l'uno dall'altro. Quindi, è bene ascoltarsi a vicenda. L'altro può avere qualcosa di importante da dirci.

Benedetto sottolinea l'ascolto soprattutto nel capitolo sull'obbedienza. Il monaco deve ascoltare l'abate e obbedirgli. "Perché l'obbedienza ai superiori è mostrata a Dio, perché egli dice: "Chi ascolta voi ascolta me"" (RB 5,15 - Lc 10,16). Tuttavia, l'obbedienza non significa che ogni parola dell'abate venga da Dio. Ma, come l'abate, quando ascolta i fratelli minori o il monaco straniero, deve chiedersi in cuor suo se Dio non gli stia parlando attraverso di loro, così il monaco deve chiedersi in cuor suo se Dio stesso non gli stia parlando attraverso l'abate. E allora l'obbedienza all'abate è, in definitiva, obbedienza a Dio.

La lettura a tavola non deve mancare durante il pasto. Anche i fratelli devono ascoltare con attenzione. La condizione per un buon ascolto è il silenzio: "Nel refettorio regni un profondo silenzio, in modo che non si senta alcun bisbiglio o voce, all'infuori di quella del lettore" (RB 38,5). Spesso siamo così pieni del rumore dei nostri pensieri che non riusciamo a sentire ciò che un altro ci sta dicendo. Perciò è sempre necessario il silenzio per poter ascoltare bene. Ma c'è un altro prerequisito. Ci piace ascoltare solo se il lettore della tavola legge bene e con attenzione. Pertanto, non tutti i fratelli devono leggere ad alta voce a turno, "ma solo se sono in grado di edificare i propri ascoltatori (audientes)" (RB 38,12).

La lettura ad alta voce richiede, quindi, una pratica consapevole e la capacità di leggere in modo da toccare il cuore dell'ascoltatore. Secondo Benedetto, l'ascolto richiede non solo una buona voce e l'abilità del lettore, ma anche materiale adatto da ascoltare. Dopo il pasto serale, anche nella sala capitolare si legge qualcosa ad alta voce, ma solo "qualche altra opera di edificazione" (RB 42,3). Pertanto, la scelta dell'Eptateuco o dei Libri dei Re è inopportuna, "perché ai temperamenti impressionabili non fa bene ascoltare a quell'ora i suddetti testi scritturistici" (RB 42,4). L'ascolto di storie talvolta brutali stimolerebbe troppo l'immaginazione dei frati e li terrebbe occupati nel sonno. Il monaco deve quindi scegliere anche ciò che ascolta. È necessaria un'ascesi dell'ascolto. Questo vale anche oggi. Non abbiamo bisogno di essere costantemente bombardati dal rumore acustico. Possiamo ascoltare consapevolmente ciò che scegliamo di ascoltare.

Questo vale anche per i monaci in viaggio. Il giorno del ritorno, essi "si prostrino in coro al termine di tutte le Ore canoniche, implorando dalla comunità una preghiera per riparare le mancanze eventualmente commesse durante il viaggio, guardando o ascoltando qualcosa di male o perdendosi in chiacchiere" (RB 67,3-4). La preghiera purifica i fratelli dalle cose negative che hanno sentito. Infatti, ciò che hanno sentito può continuare ad avere un'influenza negativa sui loro cuori. Perciò nessuno deve raccontare agli altri fratelli "quello che ha visto o udito fuori dal monastero, perché questo sarebbe veramente rovinoso" (RB 67,5).

Questa frase è una grande sfida, soprattutto oggi, perché tutto ciò che accade nel mondo può penetrare anche nei monasteri attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Benedetto è quindi favorevole a una sana ascesi dell'ascolto. Non devo vedere o sentire tutto ciò che accade nel mondo. Devo essere ben informato per poter pregare per il mondo. Ma Benedetto è anche convinto che si causano grandi danni se ascoltiamo indiscriminatamente tutto ciò che viene detto oggi. Soprattutto nei media moderni, oggi si dicono molte cose non qualificate. Benedetto parla non solo di danno, ma di destructio, che in realtà significa distruzione. Se sentiamo molte cose negative, questo distrugge il nostro equilibrio interiore e il nostro ancoraggio a Dio. Se le nostre orecchie sono piene delle notizie che sentiamo costantemente sugli altri, allora non siamo in grado di ascoltare la voce di Dio.

 

Guardare e vedere

Nel Prologo, Benedetto combina in modo singolare l'udito con la vista: "Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: ‘E' ora di scuotersi dal sonno!’ e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: ‘Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!’ e ancora: ‘Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!’. E che dice? ‘Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio’” (RB, Prologo 8-12). Benedetto parla di risveglio. I primi padri della Chiesa parlano spesso di persone che vivono in uno stato di sonno. Si è cullato con alcune illusioni su se stesso e sulla propria vita. La vita spirituale significa svegliarsi. Il gesuita indiano Anthony de Mello definiva la mistica come un risveglio alla realtà. Oggi è di moda parlare di consapevolezza. La consapevolezza risuona con il risveglio. Il monaco dovrebbe quindi vivere sveglio e consapevole.

Questo risveglio si manifesta nell'ascolto e nello sguardo. Lo sguardo è uno dei temi principali della mistica. La mistica orientale, in particolare, parla ripetutamente di vedere la luce divina. A questo punto, San Benedetto parla del "deificum lumen". Questo significa letteralmente: "la luce che rende divini". Quindi non è solo la luce divina, ma anche la luce che ci divinizza. La divinizzazione è un tema essenziale della mistica greca. Dio si è fatto uomo in Gesù perché noi uomini potessimo essere divinizzati. Dobbiamo guardare con occhi aperti la luce divina che vuole penetrare in noi e riempirci di luce divina, amore divino e vita divina.

La mistica greca ama guardare alla storia della trasfigurazione di Gesù (Cfr. Mt 17, 1-6)quando si tratta di vedere la luce divina. Lì i discepoli vedono il volto di Gesù. Brilla come il sole. I discepoli sono così affascinati da questo spettacolo che vogliono catturare il momento. Pietro vuole costruire tre capanne in una volta sola. Ma poi appare una nube splendente, dalla quale una voce grida: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo" (Mt 17,5). I discepoli vedono la luce divina. Ma oltre a vedere, c’è anche l'udire. Sentono la voce di Dio. E Dio fa notare loro che non sempre vedranno la luce di Cristo nella valle della loro vita quotidiana. Deve allora bastare loro ascoltare Gesù, sentire e meditare le sue parole.

Come nella storia della trasfigurazione, anche Benedetto collega lo sguardo all'ascolto. Qui parla di "ascolto con orecchie stupite". Benedetto non intende quindi un ascolto privo di emozioni, curioso, ma un ascolto stupito e riverente, sbigottito. È la voce di Dio stesso che il monaco deve ascoltare. Per ascoltare, deve svegliarsi dal sonno in cui ha chiuso le orecchie per non essere disturbato. Oltre al risveglio, c'è un'altra condizione necessaria perché il monaco possa ascoltare la voce di Dio: non deve indurire il suo cuore. Il tema della durezza del cuore è un tema che muove la spiritualità orientale. La durezza di cuore è menzionata nella storia della guarigione dell'uomo con la mano secca. Gesù guarda i farisei singolarmente "pieni di rabbia e di dolore per il loro cuore indurito" (Mc 3,5). I manoscritti parlano talvolta di durezza di cuore, di cuore chiuso, ma anche di cuore morto o indurito. Nemmeno Gesù riesce - nonostante la sua compassione, syllypoustai in greco - a far crollare la durezza di cuore dei discepoli. In un apoftegma (detto in greco), tuttavia, viene dato un rimedio alla durezza di cuore:

"Il padre Poemen (Abba Poemen (340 - 450): un monaco cristiano egiziano, padre del deserto, il più citato negli Apophthegmata Patrum) interrogato sulla durezza del cuore, disse: ’La natura dell’acqua è tenera, quella della pietra è dura. Ma un vaso appeso sopra la pietra, goccia dopo goccia, fora la pietra. Così anche la parola di Dio è tenera, mentre il nostro cuore è duro. Tuttavia, se l’uomo ascolta spesso la Parola di Dio e la medita, il suo cuore si apre al timore del Signore’". (Vitae Patrum 7,29)

L'ascolto della Parola apre il cuore indurito affinché la luce di Dio possa penetrarvi. Già il prologo di Giovanni mette in relazione la parola e la luce: " Tutto è stato fatto per mezzo di lui (il Verbo) e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,3 seg.). La parola di Dio, che ascoltiamo con orecchie stupite, ci riempie di luce. Illumina la nostra esistenza. Improvvisamente riconosciamo chi siamo e qual è il segreto della vita umana. Anche Origene (Origene (185 – 254): teologo e filosofo greco antico, tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli) ha riconosciuto questo legame tra parola e luce. Egli afferma che nelle parole della Bibbia è Dio stesso a insegnarci: "… il quale ammaestra infondendo la sua luce nell'anima del discepolo e rischiarandone lo spirito con la sua parola" (Origene, Frammento su Giobbe 22,2).

Quando la Parola ci illumina, l'udito e la vista si fondono nella Parola della Sacra Scrittura. Ascoltiamo la parola e vediamo la luce di cui la parola ci riempie. Già il Salmo 119 la vedeva così: "La tua parola è una lampada per i miei piedi, una luce per i miei sentieri" (Salmo 119, 105). Le parole illuminano la nostra vita, sono luce sul nostro cammino. Ci permettono di trovare la nostra strada. L'obiettivo di questo cammino è vedere Dio. Così scrive Benedetto nel Prologo: "Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno " (RB, Prologo 21). In cielo, l'udire termina con il vedere. Qui sulla terra abbiamo bisogno di ascoltare e vedere. Ascoltiamo la parola e guardiamo la luce che la parola evoca in noi. Nella vita eterna, vediamo solo quello che stiamo cercando qui: Dio nel suo mistero incomprensibile.

Ma, per Benedetto, vedere non è solo un vedere mistico di Dio. Egli parla anche di Dio che ci vede. " Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli " (RB 7,13). Lo sguardo di Dio non è uno sguardo di controllo. Piuttosto, dobbiamo sapere che Dio ci guarda in ogni momento. E possiamo vivere consapevolmente e con attenzione davanti a questi occhi benevoli e amorevoli di Dio. Benedetto si preoccupa di questa attenzione quando scrive: " Se dunque "gli occhi di Dio scrutano i buoni e i cattivi" e se "il Signore esamina attentamente i figli degli uomini per vedere se vi sia chi abbia intelletto e cerchi Dio", se a ogni momento del giorno e della notte le nostre azioni vengono riferite al Signore dai nostri angeli custodi, bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo " (RB 7,26-29).

Tutto ciò che facciamo e pensiamo avviene alla presenza di Dio, davanti ai suoi occhi. Dobbiamo quindi essere attenti, vivere con attenzione, essere in questo momento pienamente in contatto con il nostro vero io.

Nella sua Regola, San Benedetto parla anche del modo in cui guardiamo le persone. Con le parole di Gesù ammonisce l'abate a non proiettare le proprie colpe sui fratelli: "Tu che vedevi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo" (RB 2,15 - Mt 7,3). L'abate deve vedere Cristo in ogni straniero. E i fratelli dovrebbero vedere Cristo in ogni fratello e sorella. Questo significa che non dobbiamo giudicare gli altri in base a ciò che vediamo all'esterno e ai loro difetti e debolezze, ma dobbiamo guardare nel profondo della persona. Cristo abita in ogni persona nel profondo della sua anima. Per questo motivo possiamo guardare tutti con riverenza. Ciò richiede di vedere gli altri in un atteggiamento di umiltà. Così Benedetto dice nel capitolo sull'accoglienza degli ospiti: "…se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione… " (RB 53,24).

È necessario osservare il comportamento dei fratelli aspiranti alla vita monastica. Osservando, si può riconoscere se il fratello aspirante sopporta pazientemente le difficoltà dell'ingresso. Vedere è quindi anche un modo per riconoscere com'è il fratello dentro di sé. Tuttavia, il fratello deve anche giudicare correttamente se stesso, vedendosi come è realmente. Nel capitolo 68 "Le obbedienze impossibili", Benedetto scrive: " Ma se proprio si accorgesse che si tratta di un carico, il cui peso è decisamente superiore alle sue forze, esponga al superiore i motivi della sua impossibilità con molta calma e senso di opportunità, senza assumere un atteggiamento arrogante, riluttante o contestatore " (RB 68,2-3). Guardare, quindi, significa anche guardare se stessi con occhio limpido e fidarsi della propria visione.

 


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22 dicembre 2023                       a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net