Prologo
1. Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, 2. in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. 3. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.
L'ascolto:
la chiave per la crescita spirituale
La Regola
Ascolta, figlio mio, i precetti del maestro, piega l'orecchio del tuo cuore,
accogli con docilità e metti concretamente in pratica gli ammonimenti che ti
vengono da un padre pieno di comprensione.
E, dopo che i nostri occhi si sono aperti alla luce di Dio, lasciamoci cogliere
da stupore di fronte alla Parola divina che ogni giorno grida a noi esortatrice:
Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore. E ancora:
Chi ha orecchi capaci di ascolto, intenda ciò che lo Spirito dice alle chiese.
E che cosa dice? Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del
Signore. Correte finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le
tenebre della morte.
RB Prologo, 9-13
Le campane che
suonano in ogni monastero benedettino sono un modo
antiquato
di attirare l'attenzione di una comunità verso l'ordine del giorno e, se questo
fosse il loro unico scopo, ci
sarebbero certamente modi migliori per farlo. Segnali acustici, suonerie,
sveglie, annunci da altoparlanti e insegne lampeggianti sarebbero sicuramente
più efficaci. Ma i campanili benedettini non richiamano soltanto al programma
della giornata. Essi attirano l'attenzione del mondo sulla fragilità dell'asse
intorno al quale esso ruota. I campanili benedettini ci chiedono di ascoltare
anche quando non vorremmo.
Anni fa, quando ero una
giovane monaca, ci veniva insegnato che quando le campane suonavano le ore,
dovevamo interrompere qualsiasi cosa stessimo facendo e recitare le Ore. Era una
vecchia regola, ormai da tempo decaduta, e più nessuno nella comunità la ricorda
nella sua interezza.
Ma noi tutte sappiamo cosa significasse. Voleva ricordare, a quelle fra noi che
vivevano lontane dal monastero, dove le nostre campane non suonavano, la
fragilità della vita e la presenza esigente di Dio in ogni momento
dell'esistenza.
«Ascolta», dice
la Regola.
«Ascolta», dice
la campana.
«Ascolta», dice
la spiritualità monastica.
La spiritualità
benedettina consiste nell'ascoltare, in una cultura che guarda ma molto di rado
ascolta.
La spiritualità
benedettina tende all'ascolto di quattro realtà: i Vangeli, la Regola, gli uni
gli altri e il mondo che ci circonda. La maggior parte di noi ascolta più
facilmente una o due di queste realtà, ma solo con molta difficoltà le ascolta
tutte e quattro. Leggiamo con fede le Scritture, ma non riusciamo a metterle in
pratica. Ascoltiamo i bisogni dei poveri, ma dimentichiamo completamente la
lettura del Vangelo. Ci rivolgiamo regolarmente a guide spirituali, ma ignoriamo
o trascuriamo le intuizioni delle persone con le quali viviamo. Preferiamo
ascoltare noi stessi anziché cuori più saggi, perché temiamo che ci possano
portare oltre noi stessi. Per la spiritualità benedettina è invece necessario
unire tutto questo.
Un Padre del
Deserto insegnava la verità in questo modo:
«Un giovane in ricerca chiese al maestro: "Ho ricevuto il comandamento di fare
un buon lavoro, ma c'è il pericolo della
tentazione là dove dovrei andare a compierlo.
Desidero fare un buon lavoro, in virtù del comandamento che mi è stato dato, ma
sono spaventato dal pericolo".
E l'anziano maestro rispose: "Se fosse un mio problema, adempirei il
comandamento e in quel modo sarei sicuro di vincere la tentazione"».
In altre
parole, la vita spirituale non si compie negando una parte della propria vita
per il bene di un'altra, ma solo ascoltando tutta la vita e imparando a
rispondere pienamente e con onestà ad ognuna delle sue dimensioni.
Le campane che
chiamano i monaci alla preghiera suonano fuori della cappella così come all'interno
del monastero. Esse ci convocano dai luoghi in cui ci troviamo verso ciò cui
dobbiamo rivolgere il nostro pensiero, se il lavoro che continuiamo a fare
dev'essere puro, proficuo e profetico. Ci conducono là dove possiamo portare la
Parola di Dio ad influire su di noi.
La Regola di
San Benedetto considera la Scrittura come voce di Cristo (cfr. RB Prologo, 19),
medicamento divino (cfr. RB 28, 3), e arma contro il diavolo (cfr. RB Prologo,
28). In altre parole, ascoltiamo la Scrittura per difenderci da futili
questioni. La Scrittura, pregata intensamente, ci richiama nelle nostre giornate
monotone al fondamentale scopo della vita. Quando niente sembra avere uno scopo,
la Scrittura ci mette direttamente in contatto con Cristo che, in realtà, ci
appare lontanissimo dall'ufficio, dalla cucina e dall'angolo della strada. La
Scrittura ci guarisce dalla nostra limitatezza e piccolezza, dalle lotte con la
fede in un'epoca che addita quale scopo della vita superare gli amici, essere il
numero uno, fare soldi, ottenere prestigio e riporre la propria fiducia negli
strumenti del terrore definiti scudo nucleare. Attraverso tutto questo, le
Scritture ci portano a guardare le grandi figure della Bibbia alle prese con le
loro lotte con la fede in tempi che erano pericolosi per loro tanto quanto lo
sono i nostri per noi. La spiritualità benedettina è incentrata sull'ascolto
delle Scritture e sulla scoperta di un modo semplice e pratico di vivere la
Buona Novella al di fuori della cappella, là dove ci trovavamo
quando le campane ci hanno chiamato per la prima
volta e dove torneremo quando ci ricorderemo perché stavamo facendo quello che
stavamo facendo al primo suono della campana.
La preghiera,
nella spiritualità benedettina, non è un'interruzione della nostra vita attiva e
neppure un'azione
superiore. La preghiera è il filtro attraverso il quale, se ascoltiamo
abbastanza attentamente, noi impariamo a vedere il nostro mondo in un modo
giusto e nuovo; altrimenti siamo destinati a vivere con un'anima che è sorda,
muta e cieca.
Ma la preghiera
può essere un facile sostituto della vera spiritualità. Questa, senza la
preghiera, sarebbe impossibile, ma è certamente possibile pregare senza
spiritualità. Ad esempio, ci sono uomini d'affari della nostra generazione che
regolarmente pregano a colazione e poi alzano i tassi d'interesse dei debiti del
Terzo Mondo, aumentano i tassi delle ipoteche sui prestiti per le case,
rifiutano di aiutare gli agricoltori ma, senza alcuna difficoltà, anticipano
denaro alle industrie di armi. E ci sono monaci che si recano in cappella
dimenticando che lo scopo della lettura dei Vangeli è diventare un'incarnazione
del Vangelo e non una pianta da serra ecclesiastica.
Il fatto è che
Satana può raggiungere una persona santa anche attraverso la santità. Benedetto
lo definisce «lo zelo cattivo, che porta alla separazione da Dio» (RB 72, 1).
Persino la santità può diventare una barriera contro la crescita. Se non
riusciamo ad ascoltare le necessità degli altri tanto quanto le parole delle
preghiere che proferiamo, la preghiera stessa non è che una vuota ipnosi. Può
farci sentire persone buone, ma difficilmente ci renderà persone migliori.
Quando ero una
giovane suora pregavamo moltissimo. Pregavamo sette volte al giorno per un
totale di più di tre ore. In un'altra lingua. Secondo un rigido programma. Ma
nessuno entrava nel nostro refettorio. Nessun povero dormiva nelle nostre case.
Nessun bambino piangeva nelle nostre cappelle. Nessun profugo bussava alla
nostra porta. Nessuno mai pensava di rivolgersi a noi per dei vestiti o per un
rifugio o per un sostegno
o per essere persuaso di qualcosa. Vivevamo in un
mondo, la gente in un altro. E noi pregavamo,
tutte.
Anche oggi la
gente va fedelmente nella chiesa del suo quartiere,
settimana dopo settimana e, nel frattempo, si dedica solo
a fare soldi, ad essere nazionalista e a divertirsi. Intanto, Lazzaro
affamato attende ancora che i cristiani del suo tempo notino i suo stato di
privazione e si chinino ad ascoltarlo, come Lazzaro
nella parabola evangelica aspettava invano che il ricco e pio
Epulone lo aiutasse.
La Regola di
San Benedetto mette
chiaramente in luce il bisogno di ascoltare anche le
persone con le quali viviamo. Benedetto, che
iniziò la sua vita religiosa come eremita - cosa normali per quell'epoca -
lasciò ben presto la grotta per vivere in una
comunità e ascoltare le richieste e le intuizioni sia dei pastori
che abitavano le colline circostanti, sia dei monaci che si erano
raccolti attorno a lui. Nessuno era escluso dal ruolo di messaggero
celeste:
«Ricevete l'ospite come se fosse Cristo in persona» (RB 53, 1), diceva.
«Lasciate che l'abate chieda a tutti i monaci iniziando dai più giovani» (RB 3,
4).
Nella
spiritualità monastica, la vita in comunità - nonostante il cinico suggerimento
di Sartre: «L'inferno sono gli altri» -
è
un'occasione, non un ostacolo alla manifestazione della presenza di Dio.
Quindi, non
ascoltare significa non crescere. Ma, più ancora non essere in grado di
ascoltare significa anche non essere capaci di dare. È facile sapere qual è il
bene per gli altri. È
difficile ascoltare e lasciare che siano loro a
trovare la propria identità. San Benedetto
racchiude l'intera Regola in una frase quando, come sue ultime volontà e
testamento spirituale, scrive alla fine della Regola:
«Prevenitevi l'un l'altro nell'onorarvi, sopportando con molta pazienza le
reciproche infermità, sia del corpo sia del carattere; fate a gara
nell'obbedirvi a vicenda, vivete castamente l'amore fraterno, temete Dio con
amore; amatevi l'un l'altro» (RB 72, 4-
10).
Bisogna
ascoltare molto per riuscire a sentire le necessità di chi ci è intorno ancora
prima che questi le esprimano. Ma nessuna buona comunità può farne
a meno. L'ascolto e l'amore sono una cosa sola.
L'ascolto
benedettino non riguarda soltanto la frequentazione delle Scritture, la
preghiera e la sensibilità verso i bisogni degli altri, ma concerne anche la
ricerca di una saggia direzione. Una cosa è cercare di ascoltare chi è di fronte
a noi; un'altra è essere disposti ad esporre le nostre idee ad un cuore più
saggio dotato di voce critica.
Cercare una
saggia direzione - come fa il monaco vivendo nella comunità e fidandosi dei
fratelli più anziani, dei più saggi, dei più santi e dei più semplici - è
fondamentale per la crescita personale. Le mogli si comportano così con i
mariti; i mariti con le mogli; i genitori con i figli; gli avvocati con i
clienti; i datori di lavoro con i dipendenti. Dobbiamo tutti imparare ad
ascoltare le verità di chi ci circonda. Siamo povere ombre di cuori che
ascoltano se pensiamo che l'ascolto abbia qualcosa a che fare con il semplice
prendere ordini. No, l'ascolto ha a che fare con l'essere disposti a cambiare se
stessi e il proprio mondo. L'ascolto è una disciplina religiosa di primaria
importanza che poggia sul rispetto e porta alla conversione.
È un aspetto
che molto spesso dimentichiamo. Rannicchiarsi nel grembo del rituale religioso
non sostituisce l'autentica spiritualità. Essa non è un esercizio di cieca
obbedienza, ma un impegno a riflettere su tutto nella luce divina. Le campane
suonano attorno a un monastero per avvertire la gente che vive lì accanto che
stiamo ascoltando la Parola di Dio, per informare il mondo che possiamo essere
diversi adesso, per avvertire l'universo che stiamo cercando di ascoltare più
chiaramente il sussurro di Dio nelle leggere brezze della vita.
La Parola di
Dio non è mai stata fine a se stessa. La Parola di Dio è sempre stata un
incitamento. Essa ha spinto Abramo e Mosè e Maria e Maria Maddalena verso
livelli di impegno e di coscienza completamente nuovi. E la Parola di Dio ha
richiesto
gradi di impegno e di coscienza non meno forti quando
ha raggiunto Ester attraverso Mardocheo, Elia attraverso Samuele, Zaccaria
attraverso Elisabetta. Quando iniziamo ad ascoltare la Parola di Dio, o le
persone che ci circondano, o chi ha un cuore saggio e un'anima provata, la vita
cambia: da arida e indipendente diventa compassionevole e piena di significato.
Quando iniziamo ad ascoltare la Parola di Dio, le persone acquistano il diritto
di aspettarsi qualcosa di nuovo da noi.
Ma la
spiritualità benedettina dell'ascolto ci pone su un terreno pericoloso. Se
ascoltassimo veramente i Vangeli, dovremmo mettere in discussione uno stile di
vita che senza posa consuma, ammassa ed è cieco verso chi non ha casa e
indifferente verso chi non è all'altezza della situazione. Come è possibile
ascoltare la Scrittura che ci parla del giovane ricco, o del povero lebbroso, o
della vedova afflitta, e non sapere che in questo secolo tutti i miracoli per i
poveri, gli esiliati e gli storpi dipendono da noi? Se ascoltassimo veramente la
gente con cui viviamo, potremmo sopportare la vista dei bambini trascurati e
abbandonati, o dei collaboratori non rispettati o dei vicini respinti? Se
esaminassimo veramente i pensieri del nostro cuore e le speranze della nostra
vita alla luce di quanti sono più saggi e più santi, come potremmo tollerare
situazioni che sarebbero dovute cessare prima che iniziassero a divorare la
parte migliore di noi?
La Regola ci
insegna ad ascoltare le circostanze della nostra vita. Dobbiamo iniziare ad
affrontare ciò che il nostro modo di vivere ci potrebbe dire. Quando abbiamo
paura, quale messaggio si nasconde sotto la paura: orrore per il fallimento,
rifiuto della debolezza, panico al pensiero dell'imbarazzo in pubblico, senso di
una mancanza di valore che nasce dalla perdita dell'approvazione altrui? Quando
ci troviamo continuamente a combattere le stesse battaglie, che cosa significa
questo modo di vivere? Che inizio sempre qualcosa con grande entusiasmo per poi
abbandonarla prima che sia finita? Che sono sempre riluttante a cambiare, senza
considerare quanto questi cambiamenti potrebbero essere buoni per me? Che io
continuo a imporre ad ogni nuova persona che incontro rapporti insoddisfacenti
perché influenzato dal mio passato? Che nel profondo non mi sono
mai dedicato ad alcunché eccetto che a me stesso: non ai miei amici, non al mio
lavoro, non alla mia vocazione?
Finché non
imparo ad ascoltare - le Scritture, chi vive attorno a me, i messaggi profondi
della mia vita, la saggezza di chi ha già abilmente gestito con successo i
pericoli di una vita non motivata e senza significato - io stesso non avrò
niente da dire a proposito della vita.
Vivere
senza ascoltare significa non vivere affatto; significa semplicemente andare
alla deriva nella mia acqua stagnante.
Oltre ad essere
un valore fondamentale della spiritualità, l'ascolto benedettino significa
vivere la vita «in stereo». Tutti vivono ascoltando qualcosa, ma pochissimi
vivono una vita intonata ad ogni livello. La spiritualità benedettina non
ammette una percezione selettiva; insiste sull'ampiezza, su un ascolto ad ampio
raggio, su un'attenzione totale. Dobbiamo imparare ad ascoltare
contemporaneamente tutti gli aspetti della vita per diventare veramente persone
complete. Il problema è che la maggior parte di noi è sorda almeno da un
orecchio.
Dobbiamo
imparare ad ascoltare la Scrittura. E dobbiamo imparare ad ascoltare la vita
attorno a noi.
La Regola
insiste nel dire che la Scrittura dev'essere letta quotidianamente. Come
possiamo sentire la voce di Dio se non ci è familiare? Come possiamo riconoscere
i modi in cui Dio opera se non li abbiamo mai visti? Come possiamo scoprire la
volontà di Dio sulla nostra vita se non ne abbiamo mai rintracciato il cammino
chiaro, ma tortuoso, nella vita dei deboli che sono stati scelti da Dio prima di
noi? La Scrittura è fondamentale nella vita benedettina, ma è altrettanto
importante ascoltare la voce di Dio nel mondo attorno a noi. E in questo, forse,
consiste la vera prova di un cuore che ascolta. Non ci vuole molto ad ascoltare
nella nostra lingua. La vera santità presume la capacità di ascoltare nella
lingua dell'altro.
Ø
Le persone che occupano posizioni di
autorità sanno che non verranno mai ascoltate se gli uomini che cercano di
controllare trasformano qualsiasi conversazione in una lotta da adolescenti
contro i fantasmi dei propri genitori.
Ø
I poveri sanno che i ricchi non li
possono ascoltare perché il successo li ha resi sordi. I ricchi non sentono le
voci di chi non riesce a trovare lavoro nelle pulizie, o come scavatore, o come
lavapiatti, mansioni che le generazioni passate davano per scontate nella
propria scalata al successo.
Ø
Le donne sanno che gli uomini non
ascoltano o non prendono sul serio le loro preoccupazioni per i figli o per
l'educazione o per l'indipendenza o per l'uguaglianza dei salari e per scelte
pienamente umane.
Ø
I vecchi soli sanno che il potere usa la
parola e che ciò non appartiene più a loro.
Ø
Le famiglie ben presto scoprono quale
voce abbia peso, quale volontà sia sacra in casa, chi non ascolta e chi non vuol
rispondere.
Ø
Chi è solo sa che nessuno ascolta il suo
bisogno di amore e di allegria.
Ø
La Chiesa sa
che il culto è diventato per alcuni un dovere più che un dialogo, per altri una
terapia più che una profezia.
Tutta la nostra
generazione è diventata sorda. La Scrittura, la saggezza, i rapporti relazionali
e l'esperienza personale vengono ignorate. In più, siamo una generazione che ha
visto quattro guerre e il più alto accumulo di armi nella storia del mondo, in
un cosiddetto periodo di pace. Siamo una generazione di grande povertà in mezzo
a una grande ricchezza, di grande solitudine nel cuore di grandi comunità, di
gravi fallimenti personali di fronte a
uno
sviluppo sociale senza eguali, di un forte tedio spirituale mentre pretendiamo a
gran voce di essere un Paese timorato di Dio.
Nel bel mezzo
di questa indistinguibile cacofonia della vita, dal campanile di ogni monastero
benedettino risuona: «Ascoltate».
Ascoltate con il cuore di Cristo. Ascoltate con il cuore di chi ama. Ascoltate
nel vostro cuore il suono della verità, quel genere di suono prodotto da un
prezioso cristallo colpito da una bacchetta di metallo.
Il problema
consiste, forse, nel fatto che la maggior parte di noi non sa neppure che cosa
comporti l'ascolto. Ma la Regola ce lo dice con chiarezza.
In primo luogo,
San Benedetto chiede che qualunque cosa sia compiuta con il consiglio di tutti.
Nella spiritualità benedettina non c'è spazio per l'arroganza innalzata a
livello d'ispirazione. Per coltivare una mentalità monastica, dobbiamo chiedere
consiglio, ricercare il parere, ascoltare le opinioni degli altri su argomenti
che ci stanno a cuore. La riflessione diventa una parte integrante del processo
di crescita e un fondamento del nostro modo di agire. L'impulsività diventa
sospetta perfino quando la decisione impulsiva si trasforma in qualcosa di
giusto. Perché? Perché la verità è un mosaico del volto di Dio. Perché la voce
di Dio proviene spesso da dove meno ce lo aspettiamo, come da un roveto ardente
o da uno straniero o da un messaggero che viene da lontano o da un profeta di
corte. E noi lo dobbiamo stare ad ascoltare.
In secondo
luogo, Benedetto insegna che la vita è un processo di apprendimento. Anche se la
cultura occidentale e la sua enfasi sulle lauree universitarie hanno alquanto
soffocato questa verità. Abbiamo reso quasi sinonimi «diploma» ed «educazione».
Misuriamo la realizzazione personale in «promozione agli esami».
Teniamo in poca considerazione l'esperienza, la
profondità e il fallimento. Crediamo nell'azione, nel risultato, nei prodotti,
nel profitto e nella gioventù, cosicché finiamo col considerare i più anziani
essenzialmente inutili.
Ma, in fondo,
quel genere di realizzazione non è altro che deserto spirituale se, lungo il
cammino, non siamo stati attratti dalla scoperta della verità, la cura del bello
e il discernimento di quelli che sono i veri insegnamenti della vita.
La spiritualità
benedettina è, quindi, la spiritualità dell'apertura del cuore. Una
disponibilità ad
essere toccati. Il senso dell'alterità. Qui non c'è
spazio per una grandezza isolata o per l'autarchia. Qui tutta la vita diventa la
nostra maestra e noi i suoi allievi. Qui il solo diploma scolastico non vale
come requisito. Chi ascolta può sempre imparare, cambiare e ricominciare da
capo. Ciò che è aperto può sempre essere riempito. Il vero discepolo può sempre
venire sorpreso da Dio. La Regola insegna: «Ascolta con l'orecchio del cuore»
(RB Prologo, 1).
Ma una volta
che io divento il mio messaggio, non c'è altro da ascoltare. Nessuna possibilità
di crescere, nessuna occasione per cambiare. Nient'altro che l'eco della mia
voce.
In un certo
momento della mia vita monastica, ero certa che la conoscenza della Regola e la
messa in pratica delle sue norme fossero il segreto per condurre una vita santa.
Adesso so che la conoscenza di questo documento non sarà mai sufficiente per
poter ascoltare la voce di Dio, ovunque questa si possa trovare. Non spero più
di riuscire un giorno ad accumulare abbastanza ascolto da non avere altre
domande sulle pratiche di devozione che si possono imparare facilmente. Adesso
mi impegno con ardore soltanto per quelle qualità della vita spirituale che
devono essere imparate perché io cresca.
«C'era una volta», narra un antico racconto, «un uomo in ricerca che aveva
sentito parlare del frutto del cielo e lo desiderava ardentemente.
Egli chiese al maestro: "Come posso trovare quest'albero, così da raggiungere la
conoscenza immediata?"
"Sarebbe molto giudizioso da parte tua metterti a studiare con me", disse il
maestro. "Se non lo farai, dovrai viaggiare per il mondo con risolutezza e a
volte senza riposo".
"Di sicuro", pensò l'uomo, "c'è un modo più efficace di questo". E così egli
lasciò quel maestro e ne trovò un altro e un altro e un altro e altri ancora.
Impiegò trent'anni nella sua ricerca. Finalmente arrivò in un giardino. Là, nel
centro, c'era l'Albero del Cielo e, dai suoi rami, pendeva lo splendente Frutto
del Cielo.
E lì, in piedi accanto all'Albero, c'era il primo maestro.
"Perché non mi hai detto che proprio tu eri il Guardiano dell'Albero del Cielo
la prima volta che ci siamo incontrati?", chiese l'uomo.
"Perché", disse il maestro, "allora non mi avresti creduto. E, inoltre,
quest'Albero fa frutto solo
una volta ogni trent'anni e trenta giorni"».
Non esiste un
modo veloce e facile per rendere vita di Dio la nostra vita. Ci vogliono anni di
letture sacre, anni passati ad imparare ad ascoltare attraverso il filtro di ciò
che abbiamo letto. Una generazione di merendine e cioccolata istantanea, pasti
precotti, calcoli fatti al computer e fotocopie in serie, non ci prepara al
compito lento e tedioso di ascoltare e di apprendere, più e più volte, giorno
dopo giorno, fino a quando riusciremo finalmente a sentire le persone che
amiamo, ad amare le persone che abbiamo imparato a detestare, fino a che la
nostra crescita ci farà capire che la santità per noi è «qui» e «adesso». Ma un
giorno, forse fra trent'anni e trenta giorni, potremo avere ascoltato abbastanza
da essere pronti, prima o poi, a raccogliere finalmente il frutto di anni
passati a imparare Cristo o, almeno, secondo le parole della Regola di San
Benedetto, avremo compiuto «un buon inizio».
Fino ad allora,
le campane del monastero suoneranno pazientemente, per ricordarci pazientemente
di ascoltare. Soltanto ascoltare. Continuare ad ascoltare.
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21 luglio 2017
a cura di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net