Regola di S. Benedetto

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere (estratti): 

Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno.


Tratto da" Come  loro
(La vita religiosa dei Piccoli Fratelli di Padre de Faucauld)
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di R. Voillaume -Edizioni Paoline

L'ASCESI DELLE FRATERNITA'

Piccoli Fratelli di Gesù, la vostra vita sarà difficile ed è per questo che sarà bella e grande, se lo vorrete. Bisognerà vedere nelle difficoltà e negli ostacoli solo un impegno ad essere più forti nell'amore ed a superare voi stessi. «Non si deve misurare il lavoro con la nostra debolezza, ma commisurare i nostri sforzi al nostro lavoro» (Massima di S. Giovanni della Croce citata da Padre de Foucauld). La vostra vita religiosa non sarà messa al riparo: al contrario essa consisterà nel realizzare, nel rischio ed in ragione di esso, una donazione sempre più completa a Gesù.

Dovrete condurre una vita dura in fabbrica, nel cantiere, sul mare, presso gli Arabi, i negri, i lebbrosi o altrove: sarete spesso affaticati e dovrete conservare il vostro cuore dato a Dio nello slancio di una fede sempre giovane. Sarete circondati dal chiasso, dal movimento, talvolta dalla volgarità e dovrete conservare un cuore silenzioso e puro per la preghiera. Sarete sommersi dai problemi mondiali agitati intorno a voi, nei giornali e per le strade; la vostra curiosità sarà sollecitata in ogni senso dalle conversazioni e dalla scoperta di un'anima estranea che amerete, e dovrete conservare in cuore l'unica passione del Cristo sanguinante e crocifisso. Sarete stanchi, in certe ore scoraggiati dal peso della giornata, dalla malattia, la mancanza di lavoro, un malinteso con un fratello, e dovrete resistere per amore di Gesù. Vi saranno giornate sovraccariche durante le quali dovrete conservare in voi la nostalgia dell'unione solitaria con Colui che amate, e trovare il coraggio per una preghiera notturna ai piedi dell'Ostia. E ci sarà ancora il vuoto delle giornate senza lavoro, il rilassarsi della volontà e la noia dello spirito in cui dovrete trovare la forza d'animo per restare in preghiera. Infine ci sarà il peso di tutta questa vita senza rilievo, senza splendore, senza efficacia né interesse umano, da accettare ogni giorno sino alla morte, con la fede di un amore unico, senza stancarsi, nello slancio di un sacrificio rinnovato ogni mattina. In ogni circostanza dovrete essere pronti a tutto, ad essere inviati in nome di Cristo in capo al mondo, a saper morire martiri se sarà necessario, perché i Piccoli Fratelli andranno di preferenza là dove l'umanità soffre di più, là dove gli uomini sono perseguitati ed oppressi. Bisognerà vigilare per conservare nella castità un cuore amante ed umano che dovrà allargarsi alla misura del mondo da amare invece di restringersi con l'età. Per questo dovrete lottare, lottare ogni giorno contro voi stessi nella fede alla vostra vocazione. Dovrete forse lottare contro l'influsso di un ambiente dato all'attivismo, dovrete credere alla vostra vocazione di preghiera, all'efficacia suprema della vostra vita offerta per amore e come la Piccola Teresa e Padre de Foucauld conservare «l'infinità del desiderio nella totale impotenza » (Padre Daniélou definisce così esattamente la via dell'infanzia spirituale di S. Teresa del Bambino Gesù).

Per essere un vero Piccolo Fratello di Gesù dovrete accettare serenamente questa lotta di ogni giorno e dovrete prepararvi ad essa con l'ascesi che vi è assolutamente necessaria. Avrete bisogno di dominarvi, di possedervi, di essere totalmente distaccati da voi stessi e da tutte le cose, per restare senza illusioni e realmente di Cristo.

Credo che non avrete bisogno di una lunga esperienza di vita, se già non l'avete, per rendervi conto che l'ideale di amore che avete in cuore, a contatto delle realtà di ogni istante, si appesantisce di tutto il peso degli ostacoli che incontra in voi stessi per passare all'atto. Il nostro amore non riesce ad esprimersi come desidera, perché è costantemente ostacolato dalla nostra inclinazione al male, dall'egoismo, dalle nostre tendenze alla violenza, o alla pigrizia, o alla dissipazione. Sentiamo in noi delle rigidezze, degli impeti di collera o delle inerzie che ci paralizzano. e non facciamo ciò che vorremmo né sul piano della preghiera, né in quello del servizio del prossimo. Ad ogni istante e nella più banale delle nostre azioni, sentiamo sorgere la deviazione, malgrado l'intenzione retta che avevamo iniziandola. Non bisogna né credere che questo andrà a posto da solo, né stupirsene od allarmarsene. Bisogna accettare di lavorare su noi stessi e fare sforzi perseveranti e metodici, per trasformarci in un docile strumento della carità del Cristo. Questo è il compito dell'ascesi.

Per ben misurarne la necessità, la esatta portata, ed insieme l'importanza ed i limiti è utilissimo avere un'idea precisa di ciò che siamo, creatura nello stesso tempo complessa ed una, anima e corpo, segnata dal disordine della prima colpa. Dobbiamo aver preso coscienza del posto che il corpo occupa nell'unità della persona umana come strumento indispensabile ed insieme ostacolo allo spirito che lo anima. Niente è più deleterio del volersi costringere ad agire come puro spirito, mentre siamo un essere perfettamente uno e di cui il corpo è parte essenziale. Il modo con cui concepiamo la lotta contro le deviazioni della nostra natura dipende dall'idea che ci saremo fatti di noi stessi su questo punto. Non ho affatto intenzione di studiare qui questa questione in se stessa: mi basta rinviarvi a due opere che dovrete leggere: Les sens chrétien de l'homme di Jean Mouroux e Problèmes de vie spirituelle del P. de Montcheuil, in cui il capitolo sull'ascesi cristiana tratta la questione in modo così chiaro e completo che non ho nulla da aggiungere. Mi basterà precisare alcuni aspetti relativi alla nostra vita.

Come vorrei in primo luogo arrivare a convincervi tutti ed ognuno in particolare, che lo stato di lotta interiore è uno stato normale! E’ l'assenza di lotta che è anormale ed è spesso segno di rinuncia allo sforzo di superamento di sé ed al progresso nell'amore. In ogni caso, il riposo e la calma non possono essere che passeggeri. La pace di cui parla Gesù non è l'assenza di lotta, ma è nel sentimento dell'ordine che suppone precisamente uno sforzo pesante e penoso di correzione. Gesù non ha avuto paura di parlare di violenza, di amputazione, di guerra, di contraddizione. E’ importante l'aver ben capito questo ed aver accettato, come principio, la lotta come nostro stato normale sino alla morte.

La lotta non ci sminuisce, al contrario ci realizza pienamente sia come persone umane che come figli di Dio. Non meravigliamoci dunque di sentire in noi il disordine e la contraddizione:, bisogna considerare questa prospettiva nella pace e nella gioia di essere ciò che Dio ha permesso che siamo. Per noi la lotta sarà ancora più specialmente uno stato normale, per il fatto che la nostra vocazione non ci mette al riparo come lo fanno le osservanze monastiche. La nostra ascesi assumerà un aspetto diverso da quella del monaco claustrale. Le nostre cattive abitudini, le nostre deviazioni saranno forse alle prese con le sollecitazioni esterne più spesso ed in modo diverso. E' possibile che la nostra tendenza alla dissipazione trovi maggior alimento nei contatti con gli uomini, nelle conversazioni ascoltate, nella lettura dei giornali, di quanto succeda per il certosino totalmente separato dal mondo dalle mura della sua cella o del suo monastero. Tuttavia egli ha altri motivi di lotta, e forse per restare un contemplativo autentico, è contro una certa tendenza all'egoismo che dovrà reagire violentemente nella sua solitudine. E' dunque normale che una energica ascesi di lotta tenga, per noi, il posto di quello che le osservanze sono per il monaco, nel lavoro di rettificazione della nostra natura e di repressione delle nostre tendenze cattive. Non si deve credere che sia subito facile usare delle cose di questo mondo senza abusarne, e non arriveremo a correggere certe deviazioni senza aver attuato, per un certo periodo di tempo, o ad intervalli più o meno brevi, delle soppressioni di atti in sé legittimi. Questa spiritualità, a base di lotta perseverante, serena ma coraggiosa ed energica, non è affatto incompatibile, anzi al contrario, con lo svolgimento di una vita di preghiera e di semplicità interiore. Padre de Foucauld ce ne è garante. Si deve tuttavia sottolineare la differenza dei mezzi usati, sul piano ascetico, nei due diversi stati di vita. Per questo sarebbe errato ed inefficace voler trasportare nella nostra vita di Piccoli Fratelli la spiritualità e la forma di ascesi di un ordine claustrale. Quest'errore non è forse sempre stato evitato a sufficienza. Infatti la spiritualità dei monaco si articola sull'ambiente creato dal monastero e dalle regole che agiscono già per se stesse, obbligando ad una certa ascesi continua. Ma forse soprattutto la carità di un claustrale non deve esercitarsi nello stesso modo di quella del religioso che vive fuori del recinto di un monastero e che non ha le medesime occupazioni. La lunga salmodia in coro, la monotonia delle giornate di perpetuo silenzio l'orizzonte limitato della cella o del monastero, permettono al religioso di esprimere il suo amore per Dio con atti a direzione determinata e costante. Quanto al Piccolo Fratello, il suo lavoro, le sue adorazioni di giorno e di notte, le relazioni con gli uomini lo obbligano a vivere il suo amore per Gesù attraverso atti sovente imprevisti, molto diversi da quelli del claustrale. Le cattive tendenze della nostra natura avranno, è vero, qualche volta maggiormente occasione di manifestarsi, ci saranno forse più debolezze, perché ci sarà più lotta, ma ci saranno pure, come contropartita, più occasioni di sforzo d'amore e di rinuncia a se stessi. La vostra fondamentale disposizione interiore mi pare debba essere una totale diffidenza di voi stessi, che andrà accentuandosi via via che sperimenterete la vostra impotenza nelle sconfitte e nelle difficoltà, ed insieme un fermo coraggio nella lotta, coraggio che troverà la sua unica sorgente nella vostra fede fiduciosa in Gesù Cristo e nelle sue promesse: « Tutto è possibile a colui che crede ». Ancora una volta vi riporto alla via d'infanza di S. Teresa (« In un'epoca in cui gli uomini si esauriscono in vani sforzi, in cui una immensa stanchezza invade l'umanità, Teresa, piccola rabdomante, ha riscoperte le sorgenti nascoste dell'infanzia spirituale di cui il nostro inondo, invecchiato nel peccato aveva perduto le tracce.

L'infanzia spirituale è l'infinito del desiderio nella totale impotenza. Ed è questo il gran segreto della preghiera e della vita missionaria. E’ il segreto che Teresa ci ha svelato ed in cui tentiamo di avanzare. E' l'infinito del desiderio, perchè il bimbo, non ancora deluso dalla vita, crede tutto possibile. Così Teresa, all'inizio della sua vita spirituale, s'incammina nelle vie della santità e vuole partire alla conquista delle anime. «La potenza è solo nell'infinito del desiderio», diceva il Cristo a Caterina da Siena. Ma Teresa ha sperimentato i suoi limiti: vuole tutto e scopre che non può nulla. Questa scoperta che potrebbe spezzarla, capisce che è invece una grande luce. Volere tutto e non potere nulla è dunque contare soltanto sull'amore di Dio. Questo è il messaggio liberatore che Teresa ci porta» -Estratto dal Bulletin du Cercle Saint‑Baptiste, dicembre 1947). Leggete pure tutto ciò che scrive Padre de Foucauld sulla necessità del coraggio; deve essere un carattere distintivo del Piccolo Fratello l'avere un coraggio umile, sereno, ma invincibile, nella lotta, per far posto in lui al regno dell'Amore.

 

Un senso esatto dell'uomo vi farà capire lo scopo vero dell'ascesi, e vi permetterà di evitare sia gli eccessi di coloro che pretendono farne a meno perché ammettono solo l'influenza progressiva del nostro organismo interiore di grazia e di virtù infuse per la correzione delle nostre cattive tendenze, sia l'errore opposto di coloro che agiscono come se le pratiche ascetiche fossero l'essenziale della nostra vocazione di figli di Dio. Abbisogniamo dunque di un'ascetica e questa deve essere non solo perfettamente adatta alla nostra natura di uomini, ma anche al nostro temperamento personale. Un nervoso cerebrale, un sanguigno portato all'esuberanza ed all'ira, o un linfatico negligente e silenzioso, per conquistarsi, dovranno fare appello a metodi totalmente diversi.

La prima condizione di una ascesi efficace è dunque una chiara conoscenza di se stessi. Si tratta, per amore del Cristo e dei nostri fratelli, e perché la grazia possa realmente trasformare tutto l'uomo che siamo in un vero figlio di Dio, di sapere con esattezza quali ostacoli troverà in noi l'amore nel suo svilupparsi, in quale maniera particolare si traduce in noi il peso del corpo e il disordine del peccato originale, che forma assume in noi l'orgoglio dello spirito, l'egoismo, la sensualità. Vi sono inoltre dei difetti di temperamento che, senza portare direttamente al male, sono tuttavia un ostacolo alla libera espansione della carità: la sensibilità, la timidezza, la taciturnità, l'esuberanza, la leggerezza. Vi sono abitudini di pensiero, di giudizio, di sentimento che sono frutto essenzialmente del nostro ambiente familiare e dell'educazione ricevuta. Queste abitudini, benché in se stesse siano spesso una perfezione della persona, ci limitano perché ci specializzano e ci pongono in opposizione con gli altri. Se non vengono dominate, possono essere causa di ristrettezza di giudizio, forse anche ostacolo ad una visione obiettiva della verità, ed in ogni caso ci rendono più difficile la comunione con gli altri nell'amore. Vi sono inoltre delle bizzarrie o delle manie, che pur assolutamente innocenti in sé stesse, se non sono combattute rischiano di renderci insopportabili agli altri. Tutto questo bisogna saperlo chiaramente. In generale scopriremo rapidamente ed ammetteremo con facilità le nostre imperfezioni esterne. Ma bisogna andare più a fondo nella conoscenza di sé, poiché le nostre cattive tendenze e le nostre deviazioni, in generale, hanno una radice comune, talvolta poco appariscente, e che è il nostro difetto dominante. Facciamo spesso molta più fatica a scoprirlo e ad ammetterlo, per strano che questo possa sembrare, e non sempre vi arriviamo senza l'aiuto altrui. Bisogna essere pronti in questo campo ad accettare ogni osservazione umilmente e nella verità.

Se siete giovani, non dimenticate soprattutto che l'uomo, pur rinnovandosi e progredendo sia insensibilmente che talvolta con salti successivi rapidi, resta essenzialmente sé stesso. Avrete per tutta la vita lo stesso temperamento e lo stesso difetto dominante da combattere. Il che non vuol dire che non potrete fare dei grandissimi progressi né giungere a pacificare veramente i vostri istinti cattivi: si può ottenere molto più di quanto non si pensi mediante la volontà e con un'ascesi metodica e generosa. Ma voglio dire che la vostra lotta avrà sempre il medesimo senso, che si eserciterà sempre nella stessa direzione: non si cambia il temperamento o il difetto dominante ma si può dominarli.

Non dimenticate inoltre che con l'età i difetti di carattere tendono a irrigidirsi ed a divenire più tirannici. Un tale che a vent'anni era abbastanza socievole, diviene insopportabile a 45 anni se ha trascurato di conquistarsi con una lotta energica. E’ quindi importante essere molto esigenti con sé stessi dall'inizio e non prendere alla leggera un difetto che più tardi potrà divenire un vero ostacolo ponendo come una barriera al crescere della carità in noi. Bisogna saper accettare la realtà come è, e non meravigliarsi che la violenza e la lotta siano parte normale della vostra vita di figli di Dio e di Piccoli Fratelli di Gesù: « Sforzatevi d'entrare per la porta stretta... » (Lc 12, 24). Ed è nella gioia che dovete iniziare questa bella conquista di voi stessi poiché essa traccerà una via all'Amore di Gesù che vuol prendervi interamente. Sarebbe illusione l'immaginarsi che la via dell'abbandono all'Amore, che è la nostra al seguito di S. Teresa di Lisieux, non supponga un totale e generoso impiego di tutte le forze della nostra volontà. Normalmente lo Spirito Santo non supplirà in voi, in modo diretto, a ciò che avreste potuto fare con uno sforzo generoso della vostra volontà di figli di Dio.

Questo lavoro di conoscenza di sé stesso e di ricerca degli ostacoli che in noi si oppongono alla carità trova il suo normale complemento nell'elaborazione di un piano di attacco, di un programma ascetico. Questo è uno degli scopi del noviziato. E notate che questo sforzo di scoperta di voi stessi non sarà necessario rifarlo continuamente. Noi restiamo noi stessi. Credetelo anche se l'abitudine o l'oscurarsi momentaneo del vostro sguardo interiore vi farà credere, in certi momenti, il contrario. Uno degli effetti del ritiro annuale sarà di rimettere ciò bene in chiaro, e di riadattare il vostro metodo di lotta in accordo all'evoluzione della situazione; poiché questa può sempre evolversi sia in bene che in male.

Ma bisogna soprattutto sottolineare l'ufficio che deve svolgere, in questo campo, la revisione quotidiana di vita, con il doppio sforzo di apertura e di correzione fraterna che esige da noi. L'aiuto che il monaco claustrale chiede alle regole del suo monastero, noi lo troviamo in altri mezzi offertici dalla vita delle nostre Fraternità: uno di questi è la revisione quotidiana della vita. Essa può essere per ognuno un aiuto insostituibile a mantenere la piena conoscenza di sé stesso ed a sostenere la generosità dello sforzo. Questa revisione in comune sarà ciò che vale la nostra vita fraterna, di cui è, in definitiva, l'espressione esterna. Se volete trarre tutto il profitto possibile dalla vostra vita nella Fraternità, dovete credere innanzi tutto nella sua efficacia soprannaturale, e darvi ad essa con piena fede nella parola del Salvatore: « In verità vi dico... dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro » (Mt 18, 20). Sarà in mezzo ad essi: è pur qualche cosa questa realtà di presenza ad un titolo particolare! Bisogna credervi e ripetercelo incessantemente, poiché è proprio in nome di Gesù che viviamo insieme, e soprattutto che ci riuniamo per aiutarci a meglio realizzare il suo amore ed a meglio praticare i suoi precetti.

Senza parlare di altri vantaggi, la « revisione di vita », se fatta generosamente ed umilmente, sarà un aiuto costante a conoscere voi stessi. Come ogni tentativo di comunione tra uomini, sarà talvolta difficile e spinoso. Ci vorrà un po' di coraggio per restare aperti con semplice franchezza ed umiltà, e ce ne vorrà quasi altrettanto per non esitare a segnalare con dolcezza e senza esagerazione ad uno dei fratelli un rilassamento visibile su un dato punto. Gli altri, soprattutto se vivono con noi, vedono più rapidamente di noi i risultati di uno sforzo o, al contrario, un inizio di rilassamento specie di ciò che riguarda il difetto dominante. Questo mettere in comune, fatto bene, ha dunque per scopo di aiutarvi reciprocamente a mantenervi in stato di lotta attiva contro il vostro difetto dominante o contro qualsiasi altro ostacolo all'amore di Gesù in voi. Si tratta anche qui di un precetto del Signore: « Se tuo fratello ha commesso un fallo, riprendilo, e se si pente, perdonagli. E se avrà peccato contro di te sette volte al giorno, e sette volte al giorno ritorna a te dicendo: me ne pento, tu perdonagli» (Lc 17, 3-4).

Lavorare a stabilire in noi questa totale semplicità - e non lo si fa senza sforzo - è proprio nello spirito del Cristo, e deve essere la caratteristica delle Fraternità. Ci vuole per questo non solo l'umiltà e tutte le qualità che deve avere l'amore fraterno, ma qualcosa di più, e cioè l'aver accettato francamente di farsi aiutare dai propri fratelli nel proprio sforzo interiore di carità. Noi ci confidiamo veramente gli uni agli altri con la speranza di essere sempre aiutati. Bisogna volere veramente che i nostri fratelli ci aiutino a far meglio in tutto. Si tratta di un vero mettere in comune, che, se è fatto con sincerità e dolcezza e se parte da un vero affetto reciproco, è forse la più forte garanzia di perseveranza e di progresso che ci offre la vita delle Fraternità, ed uno degli aspetti più caratteristici della sua fisionomia. Deve essere per noi un tesoro, una sorgente di gioia purissima ma, in certe ore, non scevra di austerità né di lotta.

Mi permetto, incidentalmente, qualche osservazione a proposito del modo di aiutarsi reciprocamente. In primo luogo evitate sempre di essere assoluti e totali nei vostri rimproveri. Se volete essere perfettamente veri e giusti, non dimenticate che bisogna tener conto del fatto che l'intenzione è assai spesso migliore di quello che il comportamento esterno farebbe supporre. Bisogna aiutare, non scoraggiare né opprimere. Quando un vostro fratello lotta veramente e fa il possibile, è inutile ritornare sull'argomento anche se i risultati sono mediocri. Bisogna invece richiamare l'attenzione quando c'è dimenticanza, negligenza o abbandono della lotta. Agite in modo e con tanta pace ed umiltà che l'atmosfera creata favorisca l'apertura di un timido o di coloro che, per temperamento, tendono a ripiegarsi su se stessi. Dovete veramente avere in voi il senso della responsabilità dei vostri fratelli ed accettare la preoccupazione che questo vi procura. E' tutto un programma che, per realizzarsi, necessita di un'atmosfera di intimità, di mutua fiducia e di gioia fraterna.

Il nostro sforzo ascetico non deve essere solo adatto al nostro temperamento personale, ma deve mirare anche a correggere le tendenze che, in noi, si oppongono alla realizzazione della nostra vocazione. Dobbiamo dunque in modo particolare lavorare a correggere ciò che è di ostacolo alla preghiera e alla carità fraterna verso tutti gli uomini, che sono i due poli della nostra vita. Parleremo tra poco della preghiera. Per quanto riguarda la carità fraterna, non si dovrà esitare a segnalare ad ognuno le imperfezioni ed i difetti che gliela rendono difficile: tendenza alla discussione, attaccamento alle proprie idee, silenzio troppo ostentato, ecc... Uno degli scopi della riunione serale dovrà essere il mantenere questo sforzo costante verso una vita sempre più fraterna. Ciò non si farà senza urti e senza insuccessi; questi sono inevitabili, ma, ogni volta, possono e debbono essere il punto di partenza di una ripresa più generosa.

 

Di fronte alle persone ed alle cose che sollecitano le nostre tendenze sregolate e rischiano di portarci al male o semplicemente di ritardare il nostro avanzamento nell'amore, possono essere adottati tre atteggiamenti: la completa soppressione, l'uso regolato e infine la libertà dominatrice. Essi corrispondono a tre tappe della vita ascetica che, in un'anima in progresso, tende a divenire inutile benché l'ultimo stadio sia raggiunto pienamente assai di rado. Un minimo di ascesi, soprattutto in certi campi, sembra sempre indispensabile. Ci occuperemo dunque delle due forme principali che può assumere l'ascetica: la soppressione e l'uso regolato.

Per distruggere in noi le attrattive malvagie e rettificare delle tendenze traviate, bisognerà spesso imporsi l'astensione da atti che in sé non sono peccato. Questo giustifica la necessità di operare certe soppressioni o di mantenere determinate astensioni. Queste soppressioni possono essere definitive, come per esempio la clausura del religioso claustrale che realizza per sempre la separazione dal mondo, e la rinuncia al diritto di possesso con il voto di povertà. Ma possono anche essere temporanee o periodiche allo scopo di condurre a poco a poco ad un uso regolato: così certe pratiche di noviziato relative alla clausura e, all'astensione da certi rapporti.E’ anche in questo spirito che la Chiesa ha disposto l'obbligo periodico del digiuno lungo l'anno. Bisogna capire bene il senso esatto e la vera portata di queste soppressioni, se non si rischia di disprezzarle come inutili o di servirsene inconsideratamente, andando persino contro ciò che richiede la carità che esse hanno tuttavia il compito di stabilire in noi. Per ciò che concerne certe rinunzie imposte all'entrata in noviziato, si sbaglierebbe considerandole come essenziali alla vita religiosa; bisogna vederle come pratiche eminentemente utili per condurre alla conoscenza di sé stessi, per far prender coscienza dell'esistenza in sé di molti legami che costituiscono ostacolo alla libertà dell'amore e che non si conoscevano. Queste soppressioni non solo ci rivelano tutta una zona del nostro essere che non conoscevamo, ma ci fanno anche misurare al loro giusto valore le esigenze quasi infinite di Dio nell'ordine del distacco da tutto il creato. Non credo che, senza questa soppressione radicale, si possa giungere a farne prendere coscienza tanto rapidamente. Qui sta tutta la ragione d'essere di queste pratiche ed essa basta a giustificarle. Bisogna considerarle così, e allora esse conservano tutto il loro vero significato anche a fianco delle grandi realtà dolorose della vita umana ch'esse ci preparano ad affrontare con un cuore più libero e più comprensivo.

Per noi alcune di queste soppressioni sono definitive e sono quelle consacrate con voti: la castità, l'obbedienza, la rinuncia all'esercizio della proprietà ed al nostro istinto di possesso. Ritorneremo su queste tre grandi rinunce che un'ascetica vigilante deve custodire in mezzo a un pullulare di tendenze e di legami diversi. L'emissione del voto non ci guarisce di colpo dalle deviazioni del nostro amor proprio né dai mille attacchi ridicoli nei quali l'istinto di proprietà cerca di rincantucciarsi per riprenderci: si tratterà di una camicia a cui si tiene, o di una stilografica da cui non si vorrà separarsi. Si cesserà di essere generosi e pronti al prestito per divenire meschini ed avari. Questo succede con il tempo se non ci si fa attenzione. Piccole cose, dirette: ma che sono sufficienti, purtroppo, ad incatenare un'anima impedendole di essere grande nei suoi desideri e libera nella sua consacrazione a Cristo.

L'ascetica sotto forma di soppressione radicale ci serve di avvio all'inizio e periodicamente deve intervenire per aiutarci ad entrare in possesso di noi stessi. Ma ciò che deve caratterizzare il nostro modo di vivere è l'uso regolato di tutte le cose, con una parte di iniziativa personale per intervenire, al momento opportuno, quando si avverte che un attaccamento si ristabilisce o che inizia una deviazione, con un taglio od un'astensione totale temporanea; è il caso di ricordarsi della violenza raccomandata a questo proposito dal Cristo: « Se il tuo occhio destro ti è di scandalo, devi strapparlo e gettarlo lontano da te... se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala via e gettala lungi da te... » (Mt 5, 29-30).

Un altro carattere del nostro sforzo di spogliazione è quello di apparire al di fuori il meno possibile: deve essere tanto più energico interiormente. Il nostro regime alimentare non prescrive nulla di speciale, il che non impedisce che se prendessimo troppo gusto a bere del vino dovremmo imporci una restrizione od una astensione temporanea. Così non ci è proibito il fumare di quando in quando, ma siamo obbligati a non prenderne l'abitudine sia per povertà che per restare liberi: questo implicherà, per alcuni più deboli su questo punto, un'astensione totale. Si deve essere fermi e vigilanti. Leggerete i giornali per trovarvi le notizie importanti e conservare il contatto con i problemi umani, ma dovrete sapervi dominare e non perdervi, per vana curiosità, del tempo che potreste passare in preghiera o in utili letture. Se vi lasciate trascinare, una breve astensione rimetterà a posto le cose. E lo stesso per il cibo. Di quando in quando una brusca frenata per verificare il funzionamento dei freni e restare padroni della velocità.

La nostra ascesi deve dunque essere viva e duttile. Essa saprà utilizzare la disciplina che il lavoro ed il servizio del prossimo impongono, e che, ben compresa e praticata con generosità, diverrà la pratica ascetica più efficace. Vigilanza, iniziativa, energia e duttilità devono dunque essere le qualità che dovete dare alla lotta per conquistare la vostra libertà.

Questa ascetica deve esercitarsi in diversi campi che non si devono trascurare: vi è un'ascetica del corpo, una dello spirito, dei cuore, dell'immaginazione. Dobbiamo dire qui qualche parola su alcune delle pratiche utilizzabili per noi. Parleremo dell'ascetica dello spirito trattando del lavoro intellettuale, e di quella del cuore a proposito della castità.

A riguardo dell'ascetica del corpo troverete facilmente il suo campo di esercizio: vi è l'energia nell'alzarvi al mattino, vi è soprattutto il coraggio nel lavoro manuale e nel sopportare la fatica, vi è la correttezza e la virilità nel contegno anche quando si è soli, soprattutto in cappella, vi sono le adorazioni notturne. Credo che si potrebbe anche parlare, a questo proposito, della ginnastica che può perfettamente contribuire ad equilibrare ed a dominare certe tendenze del corpo, soprattutto quando si fa vita di studio o sedentaria.

 

Sarebbe opportuno parlare di quella parte dell'ascetica che riguarda più particolarmente la preghiera, intendo con ciò l'insieme delle pratiche che aiutano l'anima a mettersi in orazione, nella misura in cui queste pratiche, disciplinando il corpo, l'immaginazione e la mente, concorrono a scartare ciò che è di ostacolo alla preghiera. Si può dire qui che un metodo d'orazione dipende sino ad un certo punto dall'ascetica nella misura in cui questa è lo strumento di cui ci si serve per calmare l'immaginazione, e far tacere in noi la curiosità e le tendenze disordinate verso le cose esterne.

Il silenzio si presenta come uno degli agenti più importanti dell'ascetica della preghiera. Si può anzi dire che, se esso è ascetica nella misura in cui contribuisce a riformare le nostre tendenze alla dissipazione e al « divertissement » nel senso pascaliano del termine, è ancora più di questo: è come l'atmosfera normale dell'unione dell'anima a Dio nell'atto della preghiera. Il silenzio interiore è indispensabile, e quello esterno lo è pure nella misura in cui è necessario per stabilire il silenzio interiore. La nostra vita fusa con il lavoro degli uomini ci ha permesso di meglio misurare questa necessità.

Essa ci ha fatto prender coscienza in primo luogo dell'importanza del silenzio interiore, e del fatto che questo può esistere anche in mezzo al rumore ed alle conversazioni. Esso è uno stato interiore di calma delle passioni, nella libertà da ogni attaccamento disordinato e consentito a sé stessi ed a ciò che ci distoglierebbe dallo sguardo di fede sulla presenza divina.

Questo silenzio ci è sempre necessario e dobbiamo sforzarci di stabilirlo in noi in permanenza, e di portarlo dappertutto: al lavoro, nella strada, nei nostri rapporti con tutti.

Colui che possiede in sé questo silenzio saprà giudicare la qualità del silenzio esterno, che consiste essenzialmente nell'astenersi dalle parole per isolarsi, separarsi e può essere cosa buonissima o pessima. Questo silenzio è cattivo se è la conseguenza di un temperamento chiuso, se soddisfa ad un bisogno egoistico di riposo, se è pretesto per l'assenza di sforzo nel vincere il proprio individualismo, se nasconde un broncio od un rancore, se è dissimulazione o mancanza di sincerità, se arresta sulle nostre labbra una parola di perdono, se lascia nell'angoscia un fratello che ha bisogno d'aiuto. Il silenzio è buono quando è ricercato come condizione per una distensione necessaria, per permettere il lavoro intellettuale o la riflessione nel momento opportuno, e per ristabilire nell'intimo dell'anima invasa da mille preoccupazioni il vero silenzio interiore.

Il silenzio è soprattutto eccellente quando è ricercato per pregare Dio.

Nessuna regola potrebbe prevedere per noi, in anticipo, i momenti più opportuni per tacere o parlare, prendere contatti o ritirarsi: in definitiva noi soli siamo giudici delle nostre intenzioni.

Degli intervalli di silenzio sono tuttavia indispensabili in ogni giornata, ogni settimana, ogni mese e secondo un ritmo ancora più ampio, per permettere la preghiera e controllare la realtà del nostro silenzio interiore. Ho parlato altrove (Cfr. il cap. IV della parte I: la preghiera della povera gente.) dell'essenziale ritmo di riposo necessario alla vita dello spirito: il silenzio ne è uno degli elementi insostituibili, ed è anzi il fondamento del tempo dedicato al riposo in questo ritmo.

Se la nostra vita ci espone a perdere l'abitudine del silenzio esterno ci permette invece di evitare più facilmente i silenzi vuoti, i falsi silenzi, i silenzi cattivi di cui abbiamo parlato. Ogni silenzio deve veramente essere voluto come altro aspetto della presenza di Dio. Vi sono parole che non rompono il silenzio; vi sono silenzi esterni che spezzano il divino silenzio dell'anima.

Il silenzio buono non deve mai generare un'atmosfera pesante o triste, ma deve portare frutti di raccoglimento e di pace nelle anime.

Vi sono momenti nelle Fraternità in cui dobbiamo fare silenzio: sono le ore destinate alla preghiera, i ritiri mensili, i ritiri più lunghi annuali; e le Fraternità di adorazione vi si consacreranno maggiormente. Ma non bisognerà stupirsi del fatto che, in una piccola Fraternità operaia dove c'è poco spazio, sia difficile stabilire una regola di silenzio esterno che soddisfi pienamente e simultaneamente le esigenze della preghiera, della reciproca apertura e dell'ospitalità fraterna. L'essenziale è fare lo sforzo, sentire in sé il desiderio del silenzio e non aver paura di rimettere ogni tanto tutto in questione senza impazientirsi delle involontarie deficienze e delle imperfezioni della realizzazione. Si cercherà dunque la soluzione molto meno in un regolamento esterno che in un'esigenza di carità e di spirito di preghiera costantemente rimessa in esame.

All'ascetica del silenzio deve unirsi nella preghiera quella più umile ma non meno necessaria del corpo. Il corpo ha infatti la sua parte nella preghiera e molto più importante di quanto si pensa di solito. Non so impedirmi di citare semplicemente qui un passo di Mouroux, che mette bene in luce questo punto. « Se il corpo è l'immagine della preghiera è perché ne è il mezzo. Esso la sostiene perché si esprime in una formula recitata che rende sicuro e definito lo slancio spirituale ed in un atteggiamento che sottolinea e solleva il movimento interiore. Il corpo rafforza la preghiera: quando l'uomo pronuncia le parole dell'invocazione, canta la sua fede, s'inginocchia umilmente, egli si mette tutto intiero alla ricerca di Dio, trascina l'anima mediante il corpo ed approfondisce la sua supplica. Talvolta persino il corpo realizza la preghiera. Distratta e vagabonda, oppressa, triste e senza presa sul suo Dio, l'anima, in certe ore, sembra tramortita o sparita: il corpo sarà allora il mezzo reale ed efficace della preghiera. La mia anima è distratta? Prendo il Rosario, trascino la mia volontà mediante le labbra e le dita, e la mia preghiera si svolge dinanzi a Dio con i miei Ave. La mia anima è oppressa? Dico a Dio ciò che posso! Come Nostro Signore che ripeteva: « Sia fatta la vostra volontà », ripeto anch'io: «Mio Dio, abbi pietà di me»; e quest'umile ripresa è l'atto di una preghiera mirabile. La mia anima è come sepolta, non so più se credo ancora in Dio? Ebbene, eccomi; non ho più l'anima per pregare ma ho sempre il mio corpo: lo do a Dio, l'inginocchio, lo mantengo fedele ai piedi del suo Signore: Attraverso il mio corpo la mia anima testimonierà la sua presenza a Dio; Dio mi guarda e mi dice: « Figlio mio, va in pace ». Il corpo è così strumento della comunione con Dio ed è questa la sua funzione più elevata: « Il corpo non è per il peccato ma è per il Signore » (Jean Mouroux, Sens Chrétien de l'Homme, pag. 57.5)

Di qui l'importanza di fare bene le proprie preghiere vocali. Insisto sempre molto su questo perché è il primo passo della preghiera, sempre alla nostra portata e spesso trascurato come secondario. Ci si immagina a torto che si arriverà ad una vera preghiera interiore senza preoccuparsi dell'esterno. E’ falso, soprattutto in una vita in cui l'ambiente della preghiera può trovarsi solo in cappella. Le preghiere della Messa, dell'Ufficio, devono essere recitate con fede.

Di qui l'importanza di non trascurare la disciplina dell'immaginazione e della mente mediante un metodo semplice e concreto. Dobbiamo dare a Dio nella fede tutto il nostro essere. Questa fede si esprimerà con la semplicità delle immagini e dei concetti del Vangelo che saranno oggetto di una instancabile fede da fanciullo, fino al momento in cui Dio giudicherà opportuno semplificare ogni cosa in un atto di adesione a Lui, che sorpasserà ogni modo umano d'espressione. Poiché è sempre vero che, quando progrediamo verso Dio con la preghiera, viene un momento in cui le nostre facoltà sono come disarticolate, sopraffatte da una vita dello spirito che la comunione con il divino ha portato fuori dalla misura del normale esercizio di queste facoltà. Fino a questo punto, siamo semplici nella nostra fede, pur agendo con un metodo personale al fine di operare, all'inizio della preghiera, la pacificazione delle passioni e la quiete dell'immaginazione. Scegliamo un metodo semplice che metta in gioco sia l'immaginazione, sia piuttosto l'intelligenza a seconda dell'attuale dominante del nostro temperamento e della natura delle distrazioni contro le quali dobbiamo lottare. Tutti i metodi sono buoni nella misura in cui riescono, ed il più semplice è sempre il migliore. Il più adatto per noi sembra sia quello raccomandato da Padre de Foucauld e seguito da lui stesso: egli parte semplicemente dalla presenza di Gesù nel Vangelo o nell'Eucarestia, per intavolare un colloquio con il Maestro durante il quale adora, ringrazia, domanda, supplica, ripara, ma soprattutto ascolta Gesù che parla.

 

Bisogna notare ancora un aspetto della disciplina ascetica propria di Padre de Foucauld: egli, sin dall'inizio, ne fa un'opera d'amore centrata sulla Croce. Normalmente l'ascesi è uno sforzo di rinuncia volontario, metodico, per correggere le deviazioni. Solo quando l'amore del Cristo ha preso in noi uno sviluppo sufficiente, a poco a poco, l'amore della Croce si sovrappone ed infine si sostituisce allo sforzo propriamente ascetico. E’ la follia della Croce che opera in noi un mistero di morte e di rinuncia, non più allo scopo di reprimere le nostre cattive tendenze, ma semplicemente per amore di Gesù, perché Gesù ha sofferto e perché vi è ancora una misura di sofferenza da colmare nel Corpo Mistico per il completamento della redenzione dei nostri fratelli. Questo porta molto più lontano e perciò l'opera di rinuncia e di sofferenza volontaria si continuerà al di là delle esigenze dell'ascesi, mediante l'amore, e nella libertà dell'uso di tutte le cose utili. E’ il termine a cui dobbiamo giungere al seguito di Padre de Foucauld. Ma ciò che fin dall'inizio della sua conversione caratterizza il suo sforzo ascetico è ch'egli vi sovrappone immediatamente l'amore della Croce di Gesù.

E' ciò che dobbiamo fare noi pure, dando alla minima rinuncia volontaria, alla minima pratica disciplinare, non solo un valore. di ascesi, ma soprattutto un valore di amore, riferendole esplicitamente alla Croce di Gesù ed alle anime che attendono il nostro sforzo redentivo.

 

E’ sufficiente un anno di noviziato per preparare i Piccoli Fratelli alla difficile vita che è la loro, e che suppone forzatamente, per essere vissuta in pienezza, una padronanza di sé ed un'abitudine alla preghiera che non si può acquistare senza lunghi anni di fedeltà? Va aggiunto che una tale vita può essere condotta generosamente solo da un religioso confermato nell'unione a Dio.

E' vero che per condurre in perfezione una vita di preghiera nella fatica del lavoro o nella dispersione del rumore della città, bisognerebbe godere almeno del primo grado dell'orazione infusa. Ma questo non è forse vero allo stesso modo per un missionario, per un parroco di sobborgo o per un certosino? La perfezione della santità esige, in ogni stato di vita, l'intervento più o meno intenso dei doni dello Spirito Santo, e l'azione diretta di Dio riveste una forma adatta ad ogni caso. Come un Certosino non ancora giunto alla vera unione a Dio ma che semplicemente si sforza del suo meglio a pregare generosamente nel suo stato di vita, adempie perfettamente la sua vocazione, così succede per il Piccolo Fratello che fatica nel fare orazione, ma mantiene coraggiosamente la sua vita centrata sulla preghiera eucaristica, malgrado la stanchezza, le difficoltà e gli insuccessi che sono per lui non altro che un'occasione di ripresa. Questo Piccolo Fratello è in pieno nella sua vocazione e conduce nella sua vita la battaglia dell'amore Dio, quando lo giudicherà opportuno, potrà agire in lui mediante il suo Spirito per perfezionare la sua orazione e nulla gli impedirà di farlo. Il Piccolo Fratello deve tendere costantemente a realizzare una preghiera redentrice che non può arrivare alla sua perfezione senza l'intervento dei doni dello Spirito Santo, ma quanto a lui può sforzarsi generosamente in questo senso ed è tutto ciò che gli è richiesto. Ho la certezza che, se è fedele, i doni dello Spirito Santo non mancheranno a lui nella sua vocazione come non mancano ad ogni uomo che compie la volontà del Padre secondo lo stato di vita assegnatogli dalla Provvidenza.

Un anno di noviziato è evidentemente insufficiente per formare un Piccolo Fratello: sarebbe puerile il pensare di educare in dodici mesi ciò che può essere solo il frutto di tutta una vita di sforzi. Tuttavia l'educazione consiste nel dirigere, nell'orientare la formazione di un soggetto in modo da insegnargli a dirigersi da solo. L'educazione deve porre le basi, inculcare dei principi, contribuire a dare le abitudini iniziali necessarie, rischiarare decisamente la via da percorrere, ed insegnare al soggetto a dirigersi ed a prendersi la responsabilità di se stesso. Ogni educatore deve mirare a rendersi inutile, ma è necessario per un certo tempo. Deve ricordarsi che tocca una libertà a cui deve insegnare ad amare. Il noviziato non può che iniziare quest'opera di formazione: esso ha soprattutto lo scopo di far scoprire l'ideale, di porre le basi di una vita di fede con il Cristo, d'insegnare a pregare: inizia inoltre ad una vera conoscenza di sé stessi, ed indica quale lavoro di ascesa e di distacco è necessario per lasciare agire il Cristo in noi. Ma dopo bisogna porre il religioso di fronte alle difficoltà stesse della sua vita per insegnargli a superarle. E’ qui ch'egli sperimenterà veramente la sua debolezza e che sarà chiamato ad impegnarsi a fondo ed a vivere, non senza lotta, la sua vita di « permanente della preghiera ». L'educazione può e deve servirsi del rischio, della difficoltà per forgiare i caratteri, educare alla forza d'animo, al coraggio nella pratica della carità e dell'orazione. Un tale risultato non si otterrebbe con altrettanta efficacia prolungando semplicemente oltre l'anno il noviziato propriamente detto. Vi è d'altronde vantaggio, come sottolineeremo tra poco, nello sviluppare la vita di fede del Piccolo Fratello nell'ambiente che sarà, più tardi, quello della sua vita normale, allo scopo di evitare il disequilibrio di un inadattamento al suo mezzo naturale di vita. Un secondo noviziato di parecchi mesi si ha prima della professione perpetua che permette di fare le rettifiche necessarie e di completare la formazione religiosa nella maturità dell'uomo.

 

El Abiodh Sidi - Sceikh,

24 febbraio 1948.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net