LA SPIRITUALITÀ

DELLE ORAZIONI E MEDITAZIONI

DI SANT’ANSELMO D’AOSTA

 

di Benedicta Ward SLG (Community of the Sisters of the Love of God)

Estratto da "Anselmo d'Aosta - Orazioni e Meditazioni",

a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Jaca Book 1997.

 

È stato di fondamentale importanza per i moderni studi su Anselmo l’aver definito all’inizio del nostro secolo il canone delle sue opere autentiche; un’ulteriore tappa fu segnata dall’aver reso stabili i testi fissandoli in un’edizione.

Nel corso del medioevo, infatti, gli scritti di Anselmo furono subissati da tutta una serie di aggiunte spurie con cui si mischiarono. Questa confusione fu perpetuata poi nel 1675 dall’edizione maurina di Dom Gabriel Gerberon e nel 1883 da quella del Migne che nella Patrologia Latina ripropose il testo del Gerberon. Fatto oggetto di considerazione, questo groviglio si sciolse solo nel 1923, quando Dom André Wilmart cominciò un sistematico lavoro di discriminazione tra le opere genuine e le spurie. I suoi studi hanno costituito il basamento per la successiva fase rappresentata dall’edizione critica del testo che Dom Franciscus Salesius Schmitt stabilì e pubblicò nell’Opera Omnia apparsa in sei volumi tra il 1938e il l961.A complemento di questa impresa nel 1969 si aggiunsero i Memorials of St. Anselm a cura dello stesso Dom Schmitt e di Sir Richard Southern: essi presentano un Anselmo di minore rilevanza e di meno certa autenticità - come si dice nell’introduzione - , «un Anselmo parziale, un Anselmo come fu ascoltato dagli altri o come gli altri credettero di ascoltare» [1]. Ugualmente importante per una corretta valutazione dell’opera di Anselmo è stata l’edizione critica curata da Sir Richard Southern nel 1962 della Vita Sancti Anselmi di Eadmero [2]: documento indispensabile per la luce che proietta su Anselmo, ma anche perché in esso troviamo fedelmente registrate dal biografo Eadmero le circostanze in cui la maggior parte degli scritti di Anselmo vennero composti. Ciò è particolarmente importante per l’Anselmo autore di opere devozionali, come le Orazioni e Meditazioni, che proprio perché furono le più imitate finirono per rendere oscura la tradizione di ciò che Anselmo aveva realmente scritto.

Le preghiere autenticamente anselmiane vennero distinte da quelle dei suoi imitatori a lui inferiori da Dom André Wilmart [3]. Si tratta di un corpus relativamente esiguo di cui, grazie alla cura con cui Anselmo le scrisse e pubblicò, non è difficile interpretare la tradizione manoscritta.

Ogni preghiera è in sé compiuta, benché correlata ad altre opere di Anselmo, il quale intraprendeva nuove piste senza mai dimenticare ciò che aveva già scritto: scriveva in modo molto controllato, sapendo esattamente quello che voleva dire, che cosa voleva conservare e in quale ordine. Dom Wilmart ha preso in esame le diverse redazioni superstiti di una delle sue orazioni alla Vergine Maria (Or vii), le quali rivelano l’estrema, meticolosa attenzione, che Anselmo dedicava alle parole, alle frasi e all’esatto equilibrio dell’insieme [4]. Le sue Orazioni e Meditazioni sono personali, intime, e possono perciò servire a illuminare la personalità di Anselmo, ma è anche importante considerarle come un momento chiave della tradizione spirituale cristiana, e in particolare come riflesso dell’insegnamento spirituale propriamente anselmiano.

Anselmo è stato descritto come «persona di grandissima umanità» [5]. E il giudizio che si ricava da Eadmero quando nella Vita Sancti Anselmi ci riferisce qual era l’impressione che suscitava nei suoi amici più intimi, dal ricordo del suo modo conversare, da alcune sue lettere scritte ad amici, ma soprattutto dalle sue Orazioni. Ciò che colpiva i suoi contemporanei era sì la sua vasta cultura sempre centrata su Dio, ma anche la semplicità con cui era capace di comunicare il proprio sapere. Eadmero scrive di lui:

 

Costantemente e solo dedito a Dio e all’apprendimento dei divini insegnamenti ottenne di raggiungere vertici di speculazione teologica così elevati da riuscire con l’aiuto dell’illuminazione di Dio ad affrontare e a risolvere questioni particolarmente oscure riguardanti la natura di Dio e la nostra fede che prima di lui non erano mai state risolte, provando come le verità che affermava sulla base del puro ragionamento fossero anche verità cattoliche [6].

 

Era uomo molto sapiente, ma ciò che impressionava di più Eadmero era la sua disponibilità e l’attitudine a comunicare questo sapere. Anselmo era una persona alla mano, lo si poteva facilmente avvicinare, stava affabilmente con gli altri; la conversazione con lui era gradita non solo a monaci e chierici, ma anche a donne di rango come Matilde di Canossa o ai nobili normanni d’Inghilterra fino ad arrivare allo stesso Guglielmo il Conquistatore e al temibile conte Ugo di Chester. Grande monaco, esteta, studioso - tutte prerogative ammirate in Anselmo, che però era apprezzato anche come amico, buon compagno, e semplicemente come uomo buono.

Queste capacità di amore, di relazioni umane, di attenzione agli altri sono attestate dal modo con cui cominciò a circolare la raccolta delle Orazioni e Meditazioni. Nonostante fossero preghiere personali, intime, che rivelano colui che le scrive e lo rendono vulnerabile ai lettori [7], Anselmo si mostrò disposto a inviarle a chi gliene facesse richiesta, elargendo anche consigli sulla loro utilizzazione. Non si preoccupava di sé, né della sua fama di scrittore o di studioso; voleva solo che i destinatari si servissero di quelle preghiere in modo da poter crescere nell’amore di Dio, come lui stesso aveva fatto. Nel testo della preghiera «per gli amici» leggiamo il fondamento stesso di questo affetto che consiste piuttosto in un’unione di cuori entro la condivisione dell’amore per Cristo che non nella simpatia tra uomini. È suprema dimostrazione d’amicizia condividere l’esperienza spirituale in questo modo, non come lo farebbe un insegnante o un maestro spirituale, ma come un compagno di viaggio sui percorsi della tribolazione e della gloria.

Anselmo frequentava le corti dei re ma frequentava anche la corte dei cieli. Qui aveva come amici i santi, ai quali nelle preghiere si rivolgeva con confidenza da amico. Erano i suoi amici a corte, i grandi che godevano dell’amicizia del Re dei re nella quale anch’egli desiderava essere accolto. In molte preghiere parlava loro con familiarità, anche rimproverando a Pietro il suo tradimento del Signore [8], insistendo per avere i buoni uffici di Giovanni, il più intimo tra gli amici di Cristo [9], ed immaginando, con sensibilità e profondità di intuito, le emozioni di Maria Maddalena nell’incontro con Cristo dopo la risurrezione [10].

Anselmo nelle sue preghiere si rivela buon amico e uomo buono, ma non uomo nato buono. In Anselmo c’è un tipo di trasparenza, una sorta di fondamentale autocoscienza che lo manteneva libero da illusioni e pretenziosità. Nella Vita Eadmero dice di avere appreso molto dei primi anni della vita di Anselmo dalla bocca stessa del santo:

 

...anche mentre parlava d’altro, con parole semplici e quasi per scherzo, soleva raccontare episodi della sua infanzia, della sua giovinezza, della vita trascorsa prima di vestire l’abito monastico [11].

 

Sembra probabile che in questi racconti fosse compreso quello riportato da Eadmero relativo alla scelta della vita monastica da parte di Anselmo. In esso non troviamo in alcun modo la storia edificante che ci aspetteremmo. Il fatto che sia stato narrato, è molto eloquente tanto dell’assenza in Anselmo di immodestia e illusione, quanto dell’onestà di Eadmero che ce l’ha riferita. Fra i particolari sulla sua vita prima di diventare monaco che rivelava agli amici c’era anche un sogno avuto a cinque anni che ricordava nei minimi dettagli. In esso si ritrovano tutti i principali temi delle sue successive orazioni [12], compreso quell’acuto senso del peccato che delle orazioni sarebbe stato uno dei nuclei essenziali. Qui Anselmo parlava della propria esperienza. Le sue lunghe e complesse orazioni per la preghiera privata si proponevano all’uso degli altri, ma non vi è dubbio che quello fosse innanzitutto il suo modo di pregare; non erano puri e semplici esercizi letterari, esprimevano soprattutto il reale modo con cui Anselmo comprendeva se stesso. In esse sono tutte le esclamazioni e i gemiti di dolore di un uomo che aveva pregato in quel modo:

 

Vae...Vae hinc et vae illinc... O miserrima et plus quam miserrima commutatio... Heu... Heu... Parce ergo, tu bone Domine... parce peccatrici animae meae

(Ah... Guai di qua e guai di là!... Ah, scambio miserabile, infinitamente miserabile!... Ahimè... Ahimè... Pietà dunque, Signore buono... pietà dell'anima mia peccatrice.) [13].

 

Nello spirito se non nell’esecuzione le Orazioni e Meditazioni possono essere paragonate al manoscritto delle preces privatae del vescovo anglicano del XVII secolo Lancelot Andrewes (che in larga misura subì l’influsso delle orazioni anselmiane) di cui si è detto che sono «felici nella loro gloriosa deformità, gualcite dalle sue mani pie e dilavate dalle sue lacrime di pentimento» [14].

L’insistenza su peccato e pentimento che caratterizza la prima parte di ciascuna delle orazioni e delle meditazioni è all’origine anche dei commenti anselmiani più austeri e tecnici sul medesimo tema. Il senso del peccato, per Anselmo, non si confina in una percezione psicologica del male personalmente compiuto, è invece verità teologica che riguarda il rapporto tra l’uomo e Dio. Nel dialogo Cur Deus homo dove delineò la propria dottrina del peccato, che poi traspose in orazione nella Meditazione sulla redenzione umana, scrisse:

 

Se fosse necessario, piuttosto che commettere un così piccolo atto contro la volontà di Dio saresti disposto ad accettare che il mondo intero e tutto ciò che non è Dio perisca riducendosi al nulla? [15].

 

e altrove scrisse: «Quando mai è cosa da poco disonorare Dio?» [16]. Nelle orazioni questa verità dottrinale assume un’intensità personale e appassionata:

 

La mia vita mi fa paura. Vagliata attentamente, quasi tutta la mia vita mi appare o peccato o sterilità [17].

Egli è la somma giustizia e io ingiusto oltre modo: come sentirà il mio grido [18]?

È una colpa sconfinata, la colpa contro Dio!, i miei peccati gridano contro di me [19].

 

Questa umiliazione di sé potrebbe sembrare eccessiva se la si considera come manifestazione dell’autocoscienza della colpa di peccati specifici. In Anselmo però essa era piuttosto l’espressione drammatica della sua teologia della condizione umana, alla quale apparteneva; inoltre, per lui il primo passo da compiere per ottenerne il mutamento consisteva proprio nel riconoscere e nell’esprimere questo stato.

La prima e la seconda meditazione contengono lamentazioni per il peccato forse più intense di quelle contenute nelle orazioni, anche se di sicuro niente può superare la completezza di questa, tratta dall’ Orazione a san Nicola:

 

son destinato a essere sepolto in un altro abisso:

guai e guai ancora!

Timore su timore, dolore su dolore [20]!

 

Nella prima meditazione il senso di fallimento e sconfitta di Anselmo era espresso in un linguaggio che prorompeva in orrore manifesto nella descrizione del giudizio, resa con le parole del profeta Sofonia che sarebbero diventate consuete in seguito nella martellante scansione delle frasi del Dies irae:

 

Viene il giorno del giudizio. È alle porte il gran giorno del Signore, è alle porte ed è velocissimo. Giorno d’ira quel giorno, giorno di tribolazione e d’angoscia, giorno di sventura e di miseria [21]...

 

La seconda meditazione intitolata Lamento sulla verginità perduta - una delle prime della raccolta - era per intero un lamento per il peccato, che solo alla fine contiene una mezza frase di speranza. Tra le orazioni è la più elaborata sul piano stilistico, e anche quella che per il lettore moderno sembra forse più contagiata di isterismi. Non c’è ragione per non credere che Anselmo intenda in questa preghiera esattamente ciò che dice:

 

anima mia... volentieri ti sei vista sprofondare miseramente dalla vetta della verginità al baratro della fornicazione [22].

 

D’altro lato la «perdita della verginità» non deve evocare immagini come quelle de La carriera di un libertino (Igor Stravinskij) attraverso la Normandia fino al chiostro del Bec: data la sensibilità anselmiana per il peccato, la sua concezione di adulterio era probabilmente qualcosa di meno pittoresco.

In Anselmo studioso, monaco, abate e arcivescovo c’era una chiara coscienza del peccato, del giudizio e dell’inferno; eppure il timore raggiungendo il suo apice si rigirava come la cresta di un’onda, mostrando l’altro volto delle orazioni di Anselmo: una fede colma di fiducia:

 

è proprio Lui stesso, Gesù; è Lui quello stesso Giudice tra le cui mani tremo [23].

 

A questo punto è ben visibile in Anselmo il passaggio alla confidenza nella misericordia divina; e col senso del peccato si coniuga una capacità di gioia altrettanto intensa. Tanto nella vita quanto nella preghiera Anselmo era capace di gioire come di piangere; sull’altro piatto di questa bilancia nelle orazioni c’è il paradiso e la gioia di essere con Dio che costituisce la ricapitolazione di ogni orazione; alla fine v’è la solidale letizia degli amici che vivono della vita di Dio, che «riposano nella gioia e gioiscono nel riposo», come dice alla fine del Proslogion:

 

...in quella perfetta carità di innumerevoli angeli e uomini beati, dove ognuno amerà l’altro non meno di se stesso, ciascuno godrà per ognuno degli altri non diversamente che per se stesso... godranno con tutto il cuore, tutto lo spirito, tutta l’anima, così che il loro cuore, il loro spirito, la loro anima tutta intera non basti alla pienezza del gaudio [24].

 

Che cosa si colloca tra l’inferno di sé e il paradiso dell’amore condiviso? Il desiderio, una nostalgia di Dio concentrata sulla passione di Cristo. Il coinvolgimento personale nei particolari dell’angoscia e della sofferenza di Cristo era per Anselmo un modo naturale di pregare. Riteneva che le pene di Cristo fossero il prezzo della redenzione ed esprimeva questa convinzione teologica nelle formulazioni attente del Cur Deus homo; nella Meditazione sulla redenzione umana (Me III), che è versione orante del più esteso trattato, questa teoria divenne rapporto personale:

 

Tu, o Signore, tu che hai accettato di morire perché io vivessi [25].

 

Questo coinvolgimento personale con la kenosi di Cristo nei particolari della sua sofferenza era intesa a provocare la compunzione, il coinvolgimento del cuore che, nella tradizione classica della preghiera cristiana, porta dal peccato alla salvezza. Il contributo di Anselmo a questa tradizione è duplice: in primo luogo, offre materiali nuovi in alternativa ai Salmi [26]; e in secondo, presenta un coinvolgimento nella dottrina e nell’evento sacro che comincia con l’emozione invece che con lo sforzo della volontà; era un punto di partenza nuovo che avrebbe influenzato profondamente l’intera devozione medievale. Analogo segno nella tradizione devozionale è visibile nell’arte figurativa con il mutamento dall’austero Cristo incoronato nel suo trionfo sulla croce alla figura umana e sofferente dell’uomo dei dolori.

 

L’orazione a Cristo riflette con estrema chiarezza le emozioni della nuova spiritualità; qui il Cristo non è visto isolatamente: oltre al Cristo in croce Anselmo raffigura «la Vergine purissima, la santissima madre sua»; c’è anche il «fortunato Giuseppe» (d’Arimatea) che depone il Signore dalla croce; ci sono gli angeli della risurrezione con il loro messaggio: «Non temete, voi cercate Gesù crocifisso: è risorto, non è qui!» [27]. La maggior parte delle orazioni sono rivolte a singoli santi - a Giovanni il Battista, a Pietro e Paolo, a Giovanni l’Evangelista, così come a Maria santissima e, meno prevedibilmente, a Nicola di Bari o di Mira - e, per la loro mediazione, a Cristo. Alla base vi è il bisogno di un intercessore, di un amico a corte, che metta una buona parola al Signore, ma ciò è anche in stretta relazione con le più sobrie espressioni della teologia anselmiana. La redenzione, dal punto di vista di Anselmo, era necessaria, ma non era né semplicemente una questione individuale e neppure una cosa facile. Si dovevano infatti connettere misericordia e giustizia, e l’immagine di un gran re circondato dalle persone della sua corte che potevano chiedergli favori era un modo per mostrare quella connessione. La tendenza della religiosità popolare del tardo medioevo ad attribuire la misericordia alla Madre di Dio e a lasciare la giustizia a suo Figlio fu una corruzione del pensiero di Anselmo, anche se essa può sembrare derivata da letture come quella della grande scena di corte che troviamo nella seconda orazione a Maria santissima:

 

Colpevole contro il Dio giusto, fuggi dunque

dalla madre buona del Dio misericordioso...

Madre buona, riconcilia il tuo servo con tuo figlio [28].

 

Nelle orazioni, poi, si può vedere Anselmo come egli stesso si vedeva: peccatore, solo, lontano da Dio, colpevole di fronte al proprio Redentore, bisognoso di misericordia e desideroso, con tutto il cuore, di appartenere a Dio nella comunione dei santi. Avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere questo fine, ed era anche disposto a godere di questo fine quando l’avesse raggiunto: non era una sorta di nevrotico ansioso che avrebbe continuato a sentirsi colpevole e indegno anche in paradiso, era capace di accogliere la gioia come un dono.

 

Inoltre, in queste orazioni eminentemente personali c’è un metodo di preghiera che ebbe un effetto immenso sulla devozione medievale e che per questo è stato chiamato «rivoluzione anselmiana» (AB, p. 42). Vita e preghiera per Anselmo erano una cosa sola, e queste orazioni esercitarono un tale richiamo forse proprio perché emergevano realmente dal bisogno profondo e autentico di pregare in quel modo. Non erano costruzioni artificiali - Anselmo, prima di scriverne, sperimentò in sé il bisogno di Dio, il torpore, il senso di alienazione e di atonia spirituali. La prima premessa in questo suo modo di pregare fu quella che l’uomo è alienato da Dio ed è quindi indifferente a lui. Per ritornare a Dio, l’uomo deve coltivare il desiderio di rispondergli e deve essere preparato prima di provarvi - in primo luogo trovando il tempo e il luogo per stare nella pace e nel silenzio; deve anche scuotere l’apatia, e Anselmo usò ogni mezzo (parole e immagini) per ottenere questo risultato. Dalla sua stessa esperienza di compunzione e dal turbamento del suo cuore per il dolore del peccato, si generò il desiderio di Dio e la nostalgia per la patria celeste; le parole e le immagini esprimevano e approfondivano ulteriormente il suo desiderio, che, come ci riferisce Eadmero, accompagnò tutta la sua vita: «Costantemente e solo dedito a Dio e all’apprendimento dei divini insegnamenti» [29].

 

Vita e preghiera di Anselmo erano una cosa sola e in molti modi ci si può avvicinare alla teologia di Anselmo anche attraverso le sue orazioni. Questo è vero, ad esempio, per la sua teologia della vita monastica, sulla quale non scrisse alcun trattato, ma che può essere ricavata da lettere e sermoni, e che prende vita nelle orazioni. L’intensa fedeltà al valore della tradizione, la passione per obbedienza e stabilità, la sua preoccupazione nell’osservare e mantenere ogni particolare della vita monastica, specialmente il significato che attribuiva all’abito, sono confermati dalla sua preghiera a san Benedetto:

 

Io faccio pubblica professione di vita monastica, l’ho promessa col nome e con l’abito.

Ma la mia stessa coscienza mi attesta

che mentisco a Dio, agli angeli e agli uomini [30].

 

Anselmo non aveva recriminazioni per lo stile di vita monastico; non si trattava di un’istituzione umana, ma di un modo di piacere «a Dio, agli angeli e agli uomini»; egli stesso aveva promesso di seguirlo e di farsi convertire da esso; quindi ciò che lamentava non era il fatto di essere monaco, ma di non essere un monaco migliore: «come posso osare chiamarmi soldato di Cristo e discepolo di san Benedetto?», scrisse; e la sua orazione a san Benedetto consisteva nel chiedere aiuto per fare un uso migliore della Regola e della tradizione, che, a loro volta, lo avrebbero purificato dal peccato; per essere monaco doveva infatti diventare monaco. Nella sua orazione «per un abate o per un vescovo», c’era la concezione anselmiana delle responsabilità dell’autorità e la sofferta esperienza della sua stessa posizione di abate e di vescovo [31]. Anche le orazioni a Maria santissima, specialmente la terza, non solo mettono in luce la dottrina anselmiana sulla Madre di Dio, che non è elaborata specificamente da nessun’altra parte, ma contribuiscono a chiarire l’intera sua teoria dell’incarnazione, accendendo e rendendo concrete le stringate espressioni della Epistola de Incarnatione Verbi. Nell’Orazione a san Paolo Anselmo si mostra come uno dei primi teologi che inaugurano il concetto di «Gesù nostra madre», usando la metafora materna per illustrare l’opera di Cristo. L’esempio più eloquente di questo rimando tra preghiera e dottrina è naturalmente dato dalla terza meditazione, Sull’umana redenzione, che è una ricapitolazione in forma di preghiera del Cur Deus homo. Qui, gli argomenti sulla soddisfazione diventavano una dimostrazione dell’atto redentivo di Dio in Cristo, un incontro personale con ciò che era stato definito:

 

Considera nuovamente dove stia e quale sia la potenza che ti ha salvato.

Esercitati a meditarla,

gustane la contemplazione...

Assapora la bontà del tuo Redentore,

accenditi d’amore per chi ti ha salvato [32].

 

L’intimo sentire di quanto comprendeva con l’intelletto sulla soddisfazione (qui usa la parola «assapora», altrove «mastica», «succhia», «morsica», «ingoia») conduceva direttamente Anselmo ad atti oranti di adorazione, di pentimento, di ringraziamento e di impetrazione, seguiti da atti oranti di affidamento a Cristo - «attirami a te nella pienezza dell’amore, sono interamente tuo per creazione, fammi tutto tuo anche nell’amore».

Presentando le proprie orazioni agli altri, Anselmo diede indicazioni sulla loro utilizzazione, facendone una fonte per la meditazione. Per aiutare chi desidera pregare a passare dall’apatia a un’orazione vigile e gratificante, Anselmo ricorse ad ogni possibilità della lingua latina. Si è spesso osservato che, essendo grammatico, aveva - quasi passaggio obbligato di ogni monaco medievale - una particolare cura per il linguaggio e le parole, annettendovi un valore non meramente utilitario nello scambio delle idee. Specialmente nelle Orazioni e Meditazioni, Anselmo fece un uso ben calibrato delle risorse linguistiche per esprimere e rappresentare l’esperienza che intendeva comunicare. Nelle orazioni abbondano rime, assonanze, antitesi, parallelismi nei costrutti grammaticali: talvolta hanno un’eccessiva elaborazione, talvolta assumono una formulazione un po’ infantile, ma molto spesso sono essenziali per una corretta comprensione del significato. Le orazioni erano sottili, complesse e bisognose di attenzione costante e pensosa; in esse tanto le parole quanto le immagini erano usate per richiamare un atteggiamento che poteva essere di umiliazione, di pentimento, di piacere, di contrizione, di adorazione, ecc. Da questo punto di vista rappresentano una sfida particolarmente difficile per il traduttore.

Lo studio del piccolo corpus delle opere autenticamente scritte da Anselmo a fini devozionali, che ora è diventato possibile, può fornire una nuova rappresentazione del ruolo che Anselmo ha assunto nella spiritualità e nella teologia cristiane. Esse presentano l’unità di pensiero e sentimento, di dottrina e devozione, laboriosamente raggiunta da Anselmo. Molte valutazioni, più o meno critiche, sulla sua opera di scrittore spirituale, furono di fatto emesse non sulle sue opere autentiche, ma su quelle dei suoi imitatori. Le Orazioni e Meditazioni di Anselmo segnano un punto di svolta nella storia della devozione e sono anche un valido modo di pregare per chiunque le voglia usare.

 



- Si veda sotto la tabella con le abbreviazioni utilizzate nelle note -

[1] Memorials, p. 2.

[2] VA.

[3] Cfr. Wilmart 1923.

[4] Cfr. Wilmart 1930.

[5] D. Knowles, Saints and Scholars, Cambridge 1961, p. 32: «a very great human being».

[6] VA I, VII, p. 12 (cfr. tr. it. p. 44).

[7] Cfr. Southern 1990, pp. 91-137; Ward 1973, pp. 27-82.

[8] Or IX (A san Pietro), 142 e 189.

[9] Or XI (A san Giovanni Evangelista), 3ss.

[10] Or XVI (A santa Maria Maddalena), 132ss.

[11] VA II, LXXI, p. 149 (cfr. tr. it. p, 163).

[12] Cfr. Ward 1989. Il racconto si trova in VA I, II, pp. 4-5 (cfr. tr. it. pp. 36-37).

[13] Me II, 26,51,73, passim, 229-231.

[14] R. Drake, A Manual of the Private Devotions and Meditations of... Lancelot Andrewes, London 1648, prefazione, p. 4.

[15] CDh I, 21 (p. 89, 1-3): «Ne te diutius protraham: quid si necesse esset aut totum mundum et quidquid Deus non est perire et in nihilum redigi, aut te facere tam parvam rem contra voluntatem Dei?»; cfr. Me III, 135-137: «Si enim peccare est Deum exhonorare, et hoc homo facere non deberet, etiam si necesse esset quidquid est quod Deus non est perire».

[16] Me I, 74-75: «Quod ergo peccatum audebit peccator dicere parvum? Deum enim exhonorare quando est parvum?».

[17] Me I, 1-4.

[18] Or XIV (A san Nicola), 15-17.

[19] Or XI (A san Giovanni Evangelista), 40: «O reatus immoderatus, reatus contra Deum»; cfr. ibid., 32: «quam contrarie promittunt mihi mea delieta!».

[20] Or XIV (A san Nicola), 294-295.

[21] Sof 1, 14-15, cit. in Me I (Per suscitare il timore), 45-50.

[22] Me II (Lamento sulla verginità perduta), 56ss.

[23] Me I (Per suscitare il timore), 168-169.

[24] Pros XXV (p. 120, 9-11 e 19-20), tr. it. in Vanni 1969, p. 107.

[25] Me III (Sulla redenzione umana), 224-225.

[26] Cfr. B. Ward, Bede and the Psalter, Jarrow Lecture 1991 [ora in Bede and his World: Jarrow Lectures, 1958-1993, vol. Il, Variorum Ashgate Publishing, Aldershot 1994, pp. 871-902].

[27] Or II (A Cristo), 85-86; 106; 120-122.

[28] Or VI (Alla Vergine Maria), 102-103, 111.

[29] VA I, VII, p. 12 (cfr. tr. it. p. 44).

[30] Or XV (A san Benedetto), 21-24.

[31] Or XVII (Di un vescovo o di un abate), infra, pp. 396-405. Ho analizzato questa preghiera in relazione ad Anselmo come arcivescovo di Canterbury in «Canterbury Chronicle» (1994) 16-23.

[32] Me III (Sull’umana redenzione), 7-14.


Abbreviazione utilizzate nelle note

AFE

AA.V.V., Anselmo d’Aosta figura europea, Atti del Convegno di studi, Aosta 1-2 marzo 1988, a cura di I. Biffi e C. Marabelli, (Biblioteca di Cultura Medievale) Jaca Book, Milano 1989.

AO

S. Anselmi Cantuariensis Archiepiscopi Opera Omnia, ad fidem codicum recensuit Franciscus Salesius Schmitt, apud Th. Nelson, Edinburgi 1946-1961, voll. 6 [ripr. anastat. presso Friedrich Frommann Verlag (Günther Holzboog), Stuttgart-Bad Cannstatt 19681,19842: raccoglie in due tomi i precedenti 6 volumi (tomus primus: voll. 1-2; tomus secundus: voll. 3-6) lasciando inalterata la loro numerazione delle pagine e premettendo al vol. 1 nel tomo 1 dei Prolegomena seu ratio editionis, pp. 1*- 244*].

CDh

Cur Deus homo, in AO vol. II., pp. 39-133.

Eadmero VA o VA

Eadmeri, Vita Sancti Anselmi, ed. R.W. Southern, in The Life of St. Anselm, Archbishop of Canterbury by Eadmer, with introduction, notes and translation by R.W. Southern, (Nelson’s Medieval Texts) Th. Nelson and Sons, Edinburgh 1962, rist. da The Oxford University Press, Oxford 1972 [tr. it. Eadmero di Canterbury. Vita di Sant’Anselmo, a cura di S. Gavinelli, (Biblioteca di Cultura Medievale) Jaca Book, Milano 1987].

Me

Meditatio... [in OrMe].

Memorials

Memorials of St. Anselm, edited by R.W. Southern and F.S. Schmitt, (Auctores Britannici Medii Aevi) The Oxford University Press for the British Academy, London 1969.

Or

Oratio... [in OrMe].

OrMe

Orationes sive Meditationes, in Opere, 1997 (ed. critica in AO vol. III, pp. 1-91).

Pros

Proslogion, in AO vol. I, pp. 93-124 (Sumptum ex eodem libello, pp. 123-124).

Southern 1990

R.W. Southern, St. Anselm: a Portrait in a Landscape, Cambridge University Press, Cambridge 1990.

VA

Si veda: Eadmero VA

Vanni 1969

Anselmo d’Aosta, Opere filosofiche, traduzione, introduzione e note a cura di S. Vanni Rovighi, (Filosofi antichi e medievali) Editori Laterza, Bari 1969.

Ward 1973

B. Ward, in The Prayers and Meditations of St Anselm (with the Proslogion), translated and with an introduction by B. Ward (pp. 17-86), with a foreword by R.W. Southern (pp. 9-15), Penguin Books, Harmondsworth 1973, 19792, 19843, 19864.

Ward 1989

B. Ward, Le «Orazioni e Meditazioni» di sant’Anselmo, in AFE, pp. 93-101.

Wilmart 1923

A. Wilmart, Le recueil des prières de saint Anselme, in Méditations et Prières de saint Anselme, traduites par D.A. Castel, (Collection «Pax» 11) Lethielleux-Desclée de Brouwer, Paris-Maredsous 1923, pp. I-LXII.

Wilmart 1930

A. Wilmart, Les propres corrections de S. Anselme dans sa grande prière à la Vierge Marie, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale» 2 (1930) 189-204.


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17 luglio 2021                a cura di Alberto da Cormano        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net