LA SPIRITUALITÀ
DELLE ORAZIONI E MEDITAZIONI
DI SANT’ANSELMO D’AOSTA
di
Benedicta Ward SLG
(Community of the Sisters of the Love of God)
Estratto da "Anselmo d'Aosta - Orazioni e
Meditazioni",
a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Jaca Book 1997.
È stato di fondamentale importanza per i moderni studi su Anselmo l’aver
definito all’inizio del nostro secolo il canone delle sue opere autentiche;
un’ulteriore tappa fu segnata dall’aver reso stabili i testi fissandoli in
un’edizione.
Nel corso del medioevo, infatti, gli scritti di Anselmo furono subissati da
tutta una serie di aggiunte spurie con cui si mischiarono. Questa confusione fu
perpetuata poi nel 1675 dall’edizione maurina di Dom Gabriel Gerberon e nel 1883
da quella del Migne che nella
Patrologia Latina ripropose il testo del Gerberon. Fatto oggetto
di considerazione, questo groviglio si sciolse solo nel 1923, quando Dom André
Wilmart cominciò un sistematico lavoro di discriminazione tra le opere genuine e
le spurie. I suoi studi hanno costituito il basamento per la successiva fase
rappresentata dall’edizione critica del testo che Dom Franciscus Salesius
Schmitt stabilì e pubblicò nell’Opera
Omnia apparsa in sei volumi tra il
1938e il l961.A complemento di questa impresa nel 1969 si
aggiunsero i
Memorials of St. Anselm a cura dello stesso Dom Schmitt e di Sir
Richard Southern: essi presentano un Anselmo di minore rilevanza e di meno certa
autenticità - come si dice nell’introduzione - , «un Anselmo parziale, un
Anselmo come fu ascoltato dagli altri o come gli altri credettero di ascoltare»
[1]. Ugualmente importante per una
corretta valutazione dell’opera di Anselmo è stata l’edizione critica curata da
Sir Richard Southern nel 1962 della
Vita Sancti Anselmi di Eadmero
[2]: documento indispensabile per la
luce che proietta su Anselmo, ma anche perché in esso troviamo fedelmente
registrate dal biografo Eadmero le circostanze in cui la
maggior parte degli scritti di Anselmo vennero composti. Ciò è particolarmente
importante per l’Anselmo autore di opere devozionali, come le
Orazioni e Meditazioni, che proprio perché furono le più imitate
finirono per rendere oscura la tradizione di ciò che Anselmo aveva realmente
scritto.
Le preghiere autenticamente anselmiane vennero distinte da quelle dei suoi
imitatori a lui inferiori da Dom André Wilmart
[3]. Si tratta di un
corpus relativamente esiguo di cui, grazie alla cura con cui
Anselmo le scrisse e pubblicò, non è difficile interpretare la tradizione
manoscritta.
Ogni preghiera è in sé compiuta, benché correlata ad altre opere di Anselmo, il
quale intraprendeva nuove piste senza mai dimenticare ciò che aveva già scritto:
scriveva in modo molto controllato, sapendo esattamente quello che voleva dire,
che cosa voleva conservare e in quale ordine. Dom Wilmart ha preso in esame le
diverse redazioni superstiti di una delle sue orazioni alla Vergine Maria
(Or
vii), le quali rivelano l’estrema, meticolosa attenzione, che
Anselmo dedicava alle parole, alle frasi e all’esatto equilibrio dell’insieme
[4]. Le sue
Orazioni e Meditazioni sono personali, intime, e possono perciò
servire a illuminare la personalità di Anselmo, ma è anche importante
considerarle come un momento chiave della tradizione spirituale cristiana, e in
particolare come riflesso dell’insegnamento spirituale propriamente anselmiano.
Anselmo è stato descritto come «persona di grandissima umanità»
[5]. E il giudizio che si ricava da
Eadmero quando nella
Vita Sancti Anselmi ci riferisce qual era l’impressione che
suscitava nei suoi amici più intimi, dal ricordo del suo modo conversare, da
alcune sue lettere scritte ad amici, ma soprattutto dalle sue
Orazioni. Ciò che colpiva i suoi contemporanei era sì la sua vasta
cultura sempre centrata su Dio, ma anche la semplicità con cui era capace di
comunicare il proprio sapere. Eadmero scrive di lui:
Costantemente e solo dedito a Dio e all’apprendimento dei divini insegnamenti
ottenne di raggiungere vertici di speculazione teologica così elevati da
riuscire con l’aiuto dell’illuminazione di Dio ad affrontare e a risolvere
questioni particolarmente oscure riguardanti la natura di Dio e la nostra fede
che prima di lui non erano mai state risolte, provando come le verità che
affermava sulla base del puro ragionamento fossero anche verità cattoliche
[6].
Era uomo molto sapiente, ma ciò che impressionava di più Eadmero era la sua
disponibilità e l’attitudine a comunicare questo sapere. Anselmo era una persona
alla mano, lo si poteva facilmente avvicinare, stava affabilmente con gli altri;
la conversazione con lui era gradita non solo a monaci e chierici, ma anche a
donne di rango come Matilde di Canossa o ai nobili normanni d’Inghilterra fino
ad arrivare allo stesso Guglielmo il Conquistatore e al temibile conte Ugo di
Chester. Grande monaco, esteta, studioso - tutte prerogative ammirate in
Anselmo, che però era apprezzato anche come amico, buon compagno, e
semplicemente come uomo buono.
Queste capacità di amore, di relazioni umane, di attenzione agli altri sono
attestate dal modo con cui cominciò a circolare la raccolta delle
Orazioni e Meditazioni. Nonostante fossero preghiere personali,
intime, che rivelano colui che le scrive e lo rendono vulnerabile ai lettori
[7], Anselmo si mostrò disposto a
inviarle a chi gliene facesse richiesta, elargendo anche consigli sulla loro
utilizzazione. Non si preoccupava di sé, né della sua fama di scrittore o di
studioso; voleva solo che i destinatari si servissero di quelle preghiere in
modo da poter crescere nell’amore di Dio, come lui stesso aveva fatto. Nel testo
della preghiera «per gli amici» leggiamo il fondamento stesso di questo affetto
che consiste piuttosto in un’unione di cuori entro la condivisione dell’amore
per Cristo che non nella simpatia tra uomini. È suprema dimostrazione d’amicizia
condividere l’esperienza spirituale in questo modo, non come lo farebbe un
insegnante o un maestro spirituale, ma come un compagno di viaggio sui percorsi
della tribolazione e della gloria.
Anselmo frequentava le corti dei re ma frequentava anche la corte dei cieli. Qui
aveva come amici i santi, ai quali nelle preghiere si rivolgeva con confidenza
da amico. Erano i suoi amici a corte, i grandi che godevano dell’amicizia del Re
dei re nella quale anch’egli desiderava essere accolto. In molte preghiere
parlava loro con familiarità, anche rimproverando a Pietro il suo tradimento del
Signore
[8], insistendo per avere i buoni uffici
di Giovanni, il più intimo tra gli amici di Cristo
[9], ed immaginando, con sensibilità e
profondità di intuito, le emozioni di Maria Maddalena nell’incontro con Cristo
dopo la risurrezione
[10].
Anselmo nelle sue preghiere si rivela buon amico e uomo buono, ma non uomo nato
buono. In Anselmo c’è un tipo di trasparenza, una sorta di fondamentale
autocoscienza che lo manteneva libero da illusioni e pretenziosità. Nella
Vita Eadmero dice di avere appreso molto dei primi anni della vita
di Anselmo dalla bocca stessa del santo:
...anche mentre parlava d’altro, con parole semplici e quasi per scherzo, soleva
raccontare episodi della sua infanzia, della sua giovinezza, della vita
trascorsa prima di vestire l’abito monastico
[11].
Sembra probabile che in questi racconti fosse compreso quello riportato da
Eadmero relativo alla scelta della vita monastica da parte di Anselmo. In esso
non troviamo in alcun modo la storia edificante che ci aspetteremmo. Il fatto
che sia stato narrato, è molto eloquente tanto dell’assenza in Anselmo di
immodestia e illusione, quanto dell’onestà di Eadmero che ce l’ha riferita. Fra
i particolari sulla sua vita prima di diventare monaco che rivelava agli amici
c’era anche un sogno avuto a cinque anni che ricordava nei minimi dettagli. In
esso si ritrovano tutti i principali temi delle sue successive orazioni
[12], compreso quell’acuto senso del peccato
che delle orazioni sarebbe stato uno dei nuclei essenziali. Qui Anselmo parlava
della propria esperienza. Le sue lunghe e complesse orazioni per la preghiera
privata si proponevano all’uso degli altri, ma non vi è dubbio che quello fosse
innanzitutto il suo modo di pregare; non erano puri e semplici esercizi
letterari, esprimevano soprattutto il reale modo con cui Anselmo comprendeva se
stesso. In esse sono tutte le esclamazioni e i gemiti di dolore di un uomo che
aveva pregato in quel modo:
Vae...Vae hinc et vae illinc...
O miserrima et plus quam miserrima commutatio...
Heu... Heu... Parce ergo, tu bone Domine... parce peccatrici animae meae
(Ah... Guai di qua e guai di là!... Ah, scambio miserabile, infinitamente
miserabile!... Ahimè... Ahimè... Pietà dunque, Signore buono... pietà dell'anima
mia peccatrice.)
[13].
Nello spirito se non nell’esecuzione le
Orazioni e Meditazioni possono essere paragonate al manoscritto
delle
preces privatae del vescovo anglicano del XVII secolo Lancelot
Andrewes (che in larga misura subì l’influsso delle orazioni anselmiane) di cui
si è detto che sono «felici nella loro gloriosa deformità, gualcite dalle sue
mani pie e dilavate dalle sue lacrime di pentimento»
[14].
L’insistenza su peccato e pentimento che caratterizza la prima parte di ciascuna
delle orazioni e delle meditazioni è all’origine anche dei commenti anselmiani
più austeri e tecnici sul medesimo tema. Il senso del peccato, per Anselmo, non
si confina in una percezione psicologica del male personalmente compiuto, è
invece verità teologica che riguarda il rapporto tra l’uomo e Dio. Nel dialogo
Cur Deus homo dove delineò la propria dottrina del peccato, che
poi traspose in orazione nella
Meditazione sulla redenzione umana, scrisse:
Se
fosse necessario, piuttosto che commettere un così piccolo atto contro la
volontà di Dio saresti disposto ad accettare che il mondo intero e tutto ciò che
non è Dio perisca riducendosi al nulla?
[15].
e altrove scrisse: «Quando mai è cosa da poco disonorare Dio?»
[16]. Nelle orazioni questa verità
dottrinale assume un’intensità personale e appassionata:
La
mia vita mi fa paura. Vagliata attentamente, quasi tutta la mia vita mi appare o
peccato o sterilità
[17].
Egli è la somma giustizia e io ingiusto oltre modo: come sentirà il mio grido
[18]?
È
una colpa sconfinata, la colpa contro Dio!, i miei peccati gridano contro di me
[19].
Questa umiliazione di sé potrebbe sembrare eccessiva se la si considera come
manifestazione dell’autocoscienza della colpa di peccati specifici. In Anselmo
però essa era piuttosto l’espressione drammatica della sua teologia della
condizione umana, alla quale apparteneva; inoltre, per lui il primo passo da
compiere per ottenerne il mutamento consisteva proprio nel riconoscere e
nell’esprimere questo stato.
La prima e la seconda meditazione contengono lamentazioni per il peccato forse
più intense di quelle contenute nelle orazioni, anche se di sicuro niente può
superare la completezza di questa, tratta dall’
Orazione a san Nicola:
son
destinato a essere sepolto in un altro abisso:
guai e guai ancora!
Timore su timore, dolore su dolore
[20]!
Nella prima meditazione il senso di fallimento e sconfitta di Anselmo era
espresso in un linguaggio che prorompeva in orrore manifesto nella descrizione
del giudizio, resa con le parole del profeta Sofonia che sarebbero diventate
consuete in seguito nella martellante scansione delle frasi del
Dies irae:
Viene il giorno del giudizio. È alle porte il gran giorno del Signore, è alle
porte ed è velocissimo. Giorno d’ira quel giorno, giorno di tribolazione e
d’angoscia, giorno di sventura e di miseria
[21]...
La seconda meditazione intitolata
Lamento sulla verginità perduta - una delle prime della raccolta -
era per intero un lamento per il peccato, che solo alla fine contiene una mezza
frase di speranza. Tra le orazioni è la più elaborata sul piano stilistico, e
anche quella che per il lettore moderno sembra forse più contagiata di
isterismi. Non c’è ragione per non credere che Anselmo intenda in questa
preghiera esattamente ciò che dice:
anima mia... volentieri ti sei vista sprofondare miseramente dalla vetta della
verginità al baratro della fornicazione
[22].
D’altro lato la «perdita della verginità» non deve evocare immagini come quelle
de
La carriera di un libertino (Igor Stravinskij) attraverso la
Normandia fino al chiostro del Bec: data la sensibilità anselmiana per il
peccato, la sua concezione di adulterio era probabilmente qualcosa di meno
pittoresco.
In Anselmo studioso, monaco, abate e arcivescovo c’era una chiara coscienza del
peccato, del giudizio e dell’inferno; eppure il timore raggiungendo il suo apice
si rigirava come la cresta di un’onda, mostrando l’altro volto delle orazioni di
Anselmo: una fede colma di fiducia:
è proprio Lui stesso, Gesù; è Lui quello stesso Giudice tra le cui mani tremo
[23].
A questo punto è ben visibile in Anselmo il passaggio alla confidenza nella
misericordia divina; e col senso del peccato si coniuga una capacità di gioia
altrettanto intensa. Tanto nella vita quanto nella preghiera Anselmo era capace
di gioire come di piangere; sull’altro piatto di questa bilancia nelle orazioni
c’è il paradiso e la gioia di essere con Dio che costituisce la ricapitolazione
di ogni orazione; alla fine v’è la solidale letizia degli amici che vivono della
vita di Dio, che «riposano nella gioia e gioiscono nel riposo», come dice alla
fine del
Proslogion:
...in quella perfetta carità di innumerevoli angeli e uomini beati, dove ognuno
amerà l’altro non meno di se stesso, ciascuno godrà per ognuno degli altri non
diversamente che per se stesso... godranno con tutto il cuore, tutto lo spirito,
tutta l’anima, così che il loro cuore, il loro spirito, la loro anima tutta
intera non basti alla pienezza del gaudio
[24].
Che cosa si colloca tra l’inferno di sé e il paradiso dell’amore condiviso? Il
desiderio, una nostalgia di Dio concentrata sulla passione di Cristo. Il
coinvolgimento personale nei particolari dell’angoscia e della sofferenza di
Cristo era per Anselmo un modo naturale di pregare. Riteneva che le pene di
Cristo fossero il prezzo della redenzione ed esprimeva questa convinzione
teologica nelle formulazioni attente del
Cur Deus homo; nella
Meditazione sulla redenzione umana (Me III), che è versione orante
del più esteso trattato, questa teoria divenne rapporto personale:
Tu, o Signore, tu che hai accettato di morire perché io vivessi
[25].
Questo coinvolgimento personale con la
kenosi di Cristo nei particolari della sua sofferenza era intesa a
provocare la compunzione, il coinvolgimento del cuore che, nella tradizione
classica della preghiera cristiana, porta dal peccato alla salvezza. Il
contributo di Anselmo a questa tradizione è duplice: in primo luogo, offre
materiali nuovi in alternativa ai Salmi
[26]; e in secondo, presenta un
coinvolgimento nella dottrina e nell’evento sacro che comincia con l’emozione
invece che con lo sforzo della volontà; era un punto di partenza nuovo che
avrebbe influenzato profondamente l’intera devozione medievale. Analogo segno
nella tradizione devozionale è visibile nell’arte figurativa con il mutamento
dall’austero Cristo incoronato nel suo trionfo sulla croce alla figura umana e
sofferente dell’uomo dei dolori.
L’orazione a Cristo riflette con estrema chiarezza le emozioni della nuova
spiritualità; qui il Cristo non è visto isolatamente: oltre al Cristo in croce
Anselmo raffigura «la Vergine purissima, la santissima madre sua»; c’è anche il
«fortunato Giuseppe» (d’Arimatea) che depone il Signore dalla croce; ci sono gli
angeli della risurrezione con il loro messaggio: «Non temete, voi cercate Gesù
crocifisso: è risorto, non è qui!»
[27]. La maggior parte delle orazioni sono
rivolte a singoli santi - a Giovanni il Battista, a Pietro e Paolo, a Giovanni
l’Evangelista, così come a Maria santissima e, meno prevedibilmente, a Nicola di
Bari o di Mira - e, per la loro mediazione, a Cristo. Alla base vi è il bisogno
di un intercessore, di un amico a corte, che metta una buona parola al Signore,
ma ciò è anche in stretta relazione con le più sobrie espressioni della teologia
anselmiana. La redenzione, dal punto di vista di Anselmo, era necessaria, ma non
era né semplicemente una questione individuale e neppure una cosa facile. Si
dovevano infatti connettere misericordia e giustizia, e l’immagine di un gran re
circondato dalle persone della sua corte che potevano chiedergli favori era un
modo per mostrare quella connessione. La tendenza della religiosità popolare del
tardo medioevo ad attribuire la misericordia alla Madre di Dio e a lasciare la
giustizia a suo Figlio fu una corruzione del pensiero di Anselmo, anche se essa
può sembrare derivata da letture come quella della grande scena di corte che
troviamo nella seconda orazione a Maria santissima:
Colpevole contro il Dio giusto, fuggi dunque
dalla madre buona del Dio misericordioso...
Madre buona, riconcilia il tuo servo con tuo figlio
[28].
Nelle orazioni, poi, si può vedere Anselmo come egli stesso si vedeva:
peccatore, solo, lontano da Dio, colpevole di fronte al proprio Redentore,
bisognoso di misericordia e desideroso, con tutto il cuore, di appartenere a Dio
nella comunione dei santi. Avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere
questo fine, ed era anche disposto a godere di questo fine quando l’avesse
raggiunto: non era una sorta di nevrotico ansioso che avrebbe continuato a
sentirsi colpevole e indegno anche in paradiso, era capace di accogliere la
gioia come un dono.
Inoltre, in queste orazioni eminentemente personali c’è un metodo di preghiera
che ebbe un effetto immenso sulla devozione medievale e che per questo è stato
chiamato «rivoluzione anselmiana»
(AB, p. 42). Vita e preghiera per Anselmo erano una cosa sola, e
queste orazioni esercitarono un tale richiamo forse proprio perché emergevano
realmente dal bisogno profondo e autentico di pregare in quel modo. Non erano
costruzioni artificiali - Anselmo, prima di scriverne, sperimentò in sé il
bisogno di Dio, il torpore, il senso di alienazione e di atonia spirituali. La
prima premessa in questo suo modo di pregare fu quella che l’uomo è alienato da
Dio ed è quindi indifferente a lui. Per ritornare a Dio, l’uomo deve coltivare
il desiderio di rispondergli e deve essere preparato prima di provarvi - in
primo luogo trovando il tempo e il luogo per stare nella pace e nel silenzio;
deve anche scuotere l’apatia, e Anselmo usò ogni mezzo (parole e immagini) per
ottenere questo risultato. Dalla sua stessa esperienza di compunzione e dal
turbamento del suo cuore per il dolore del peccato, si generò il desiderio di
Dio e la nostalgia per la patria celeste; le parole e le immagini esprimevano e
approfondivano ulteriormente il suo desiderio, che, come ci riferisce Eadmero,
accompagnò tutta la sua vita: «Costantemente e solo dedito a Dio e
all’apprendimento dei divini insegnamenti»
[29].
Vita e preghiera di Anselmo erano una cosa sola e in molti modi ci si può
avvicinare alla teologia di Anselmo anche attraverso le sue orazioni. Questo è
vero, ad esempio, per la sua teologia della vita monastica, sulla quale non
scrisse alcun trattato, ma che può essere ricavata da lettere e sermoni, e che
prende vita nelle orazioni. L’intensa fedeltà al valore della tradizione, la
passione per obbedienza e stabilità, la sua preoccupazione nell’osservare e
mantenere ogni particolare della vita monastica, specialmente il significato che
attribuiva all’abito, sono confermati dalla sua preghiera a san Benedetto:
Io
faccio pubblica professione di vita monastica, l’ho promessa col nome e con
l’abito.
Ma
la mia stessa coscienza mi attesta
che
mentisco a Dio, agli angeli e agli uomini
[30].
Anselmo non aveva recriminazioni per lo stile di vita monastico; non si trattava
di un’istituzione umana, ma di un modo di piacere «a Dio, agli angeli e agli
uomini»; egli stesso aveva promesso di seguirlo e di farsi convertire da esso;
quindi ciò che lamentava non era il fatto di essere monaco, ma di non essere un
monaco migliore: «come posso osare chiamarmi soldato di Cristo e discepolo di
san Benedetto?», scrisse; e la sua orazione a san Benedetto consisteva nel
chiedere aiuto per fare un uso migliore della
Regola e della tradizione, che, a loro volta, lo avrebbero
purificato dal peccato; per essere monaco doveva infatti diventare monaco. Nella
sua orazione «per un abate o per un vescovo», c’era la concezione anselmiana
delle responsabilità dell’autorità e la sofferta esperienza della sua stessa
posizione di abate e di vescovo
[31]. Anche le orazioni a Maria
santissima, specialmente la terza, non solo mettono in luce la dottrina
anselmiana sulla Madre di Dio, che non è elaborata specificamente da
nessun’altra parte, ma contribuiscono a chiarire l’intera sua teoria
dell’incarnazione, accendendo e rendendo concrete le stringate espressioni della
Epistola de Incarnatione Verbi. Nell’Orazione
a san Paolo Anselmo si mostra come uno dei primi teologi che
inaugurano il concetto di «Gesù nostra madre», usando la metafora materna per
illustrare l’opera di Cristo. L’esempio più eloquente di questo rimando tra
preghiera e dottrina è naturalmente dato dalla terza meditazione,
Sull’umana redenzione, che è una ricapitolazione in forma di
preghiera del
Cur Deus homo. Qui, gli argomenti sulla soddisfazione diventavano
una dimostrazione dell’atto redentivo di Dio in Cristo, un incontro personale
con ciò che era stato definito:
Considera nuovamente dove stia e quale sia la potenza che ti ha salvato.
Esercitati a meditarla,
gustane la contemplazione...
Assapora la bontà del tuo Redentore,
accenditi d’amore per chi ti ha salvato
[32].
L’intimo sentire di quanto comprendeva con l’intelletto sulla soddisfazione (qui
usa la parola «assapora», altrove «mastica», «succhia», «morsica», «ingoia»)
conduceva direttamente Anselmo ad atti oranti di adorazione, di pentimento, di
ringraziamento e di impetrazione, seguiti da atti oranti di affidamento a Cristo
- «attirami a te nella pienezza dell’amore, sono interamente tuo per creazione,
fammi tutto tuo anche nell’amore».
Presentando le proprie orazioni agli altri, Anselmo diede indicazioni sulla loro
utilizzazione, facendone una fonte per la meditazione. Per aiutare chi desidera
pregare a passare dall’apatia a un’orazione vigile e gratificante, Anselmo
ricorse ad ogni possibilità della lingua latina. Si è spesso osservato che,
essendo grammatico, aveva - quasi passaggio obbligato di ogni monaco medievale -
una particolare cura per il linguaggio e le parole, annettendovi un valore non
meramente utilitario nello scambio delle idee. Specialmente nelle
Orazioni e Meditazioni, Anselmo fece un uso ben calibrato delle
risorse linguistiche per esprimere e rappresentare l’esperienza che intendeva
comunicare. Nelle orazioni abbondano rime, assonanze, antitesi, parallelismi nei
costrutti grammaticali: talvolta hanno un’eccessiva elaborazione, talvolta
assumono una formulazione un po’ infantile, ma molto spesso sono essenziali per
una corretta comprensione del significato. Le orazioni erano sottili, complesse
e bisognose di attenzione costante e pensosa; in esse tanto le parole quanto le
immagini erano usate per richiamare un atteggiamento che poteva essere di
umiliazione, di pentimento, di piacere, di contrizione, di adorazione, ecc. Da
questo punto di vista rappresentano una sfida particolarmente difficile per il
traduttore.
Lo studio del piccolo
corpus delle opere autenticamente scritte da Anselmo a fini
devozionali, che ora è diventato possibile, può fornire una nuova
rappresentazione del ruolo che Anselmo ha assunto nella spiritualità e nella
teologia cristiane. Esse presentano l’unità di pensiero e sentimento, di
dottrina e devozione, laboriosamente raggiunta da Anselmo. Molte valutazioni,
più o meno critiche, sulla sua opera di scrittore spirituale, furono di fatto
emesse non sulle sue opere autentiche, ma su quelle dei suoi imitatori. Le
Orazioni e Meditazioni di Anselmo segnano un punto di svolta nella
storia della devozione e sono anche un valido modo di pregare per chiunque le
voglia usare.
- Si veda sotto la tabella con le abbreviazioni utilizzate nelle note -
[1]
Memorials,
p. 2.
[2]
VA.
[3]
Cfr. Wilmart 1923.
[4]
Cfr. Wilmart 1930.
[5]
D. Knowles,
Saints and Scholars, Cambridge 1961, p. 32: «a very great human
being».
[6]
VA I, VII, p. 12 (cfr. tr.
it. p. 44).
[7]
Cfr. Southern 1990, pp. 91-137; Ward 1973, pp. 27-82.
[8]
Or IX (A san Pietro), 142 e
189.
[9]
Or XI (A san Giovanni
Evangelista), 3ss.
[10]
Or
XVI (A santa Maria Maddalena), 132ss.
[11]
VA II, LXXI, p. 149 (cfr. tr.
it. p, 163).
[12]
Cfr. Ward 1989. Il racconto si trova in
VA I, II, pp. 4-5 (cfr. tr.
it. pp. 36-37).
[13]
Me
II, 26,51,73, passim, 229-231.
[14]
R. Drake, A
Manual of the Private Devotions and Meditations of...
Lancelot Andrewes, London
1648, prefazione, p. 4.
[15]
CDh
I, 21 (p. 89, 1-3): «Ne te diutius
protraham: quid si necesse esset aut totum mundum et quidquid Deus non
est perire et in nihilum redigi, aut te facere tam parvam rem contra
voluntatem Dei?»; cfr.
Me III, 135-137: «Si enim peccare est Deum exhonorare, et
hoc homo facere non deberet, etiam si necesse esset quidquid est quod
Deus non est perire».
[16]
Me I, 74-75: «Quod ergo peccatum audebit peccator dicere
parvum? Deum enim exhonorare quando est parvum?».
[17]
Me I, 1-4.
[18]
Or
XIV
(A san Nicola), 15-17.
[19]
Or
XI
(A san Giovanni Evangelista), 40: «O reatus immoderatus,
reatus contra Deum»; cfr.
ibid., 32: «quam contrarie promittunt mihi mea delieta!».
[20]
Or
XIV (A san Nicola), 294-295.
[21]
Sof 1, 14-15, cit. in
Me I (Per suscitare il timore), 45-50.
[22]
Me II (Lamento sulla verginità perduta), 56ss.
[23]
Me I (Per suscitare il timore), 168-169.
[24]
Pros XXV (p. 120, 9-11 e 19-20), tr. it. in Vanni 1969, p. 107.
[25]
Me III (Sulla redenzione umana), 224-225.
[26]
Cfr. B. Ward,
Bede and the Psalter, Jarrow Lecture 1991 [ora in
Bede and his World: Jarrow
Lectures, 1958-1993, vol. Il, Variorum Ashgate Publishing, Aldershot
1994, pp. 871-902].
[27]
Or
II (A Cristo), 85-86; 106; 120-122.
[28]
Or VI (Alla Vergine Maria),
102-103, 111.
[29]
VA
I, VII,
p. 12 (cfr. tr. it. p. 44).
[30]
Or
XV
(A san Benedetto), 21-24.
[31]
Or
XVII
(Di un vescovo o di un abate),
infra, pp. 396-405. Ho analizzato questa preghiera in
relazione ad Anselmo come arcivescovo di Canterbury in «Canterbury
Chronicle» (1994) 16-23.
Abbreviazione utilizzate
nelle note
AFE
AA.V.V.,
Anselmo d’Aosta figura europea,
Atti del
Convegno di studi, Aosta 1-2 marzo 1988, a cura di I. Biffi e C.
Marabelli, (Biblioteca di Cultura Medievale) Jaca Book, Milano 1989.
AO
S. Anselmi Cantuariensis Archiepiscopi Opera Omnia,
ad
fidem codicum recensuit Franciscus Salesius Schmitt, apud Th. Nelson,
Edinburgi 1946-1961, voll. 6 [ripr. anastat. presso Friedrich Frommann
Verlag (Günther Holzboog), Stuttgart-Bad Cannstatt 19681,19842:
raccoglie in due tomi i precedenti 6 volumi (tomus primus: voll. 1-2;
tomus secundus: voll. 3-6) lasciando inalterata la loro numerazione
delle pagine e premettendo al vol. 1 nel tomo 1 dei
Prolegomena seu ratio editionis,
pp. 1*- 244*].
CDh
Cur Deus homo,
in
AO vol. II., pp. 39-133.
Eadmero
VA o VA
Eadmeri,
Vita Sancti Anselmi, ed.
R.W. Southern, in The Life of St. Anselm, Archbishop of Canterbury
by
Eadmer, with introduction, notes and
translation by R.W. Southern, (Nelson’s Medieval Texts) Th. Nelson and
Sons, Edinburgh 1962, rist. da The Oxford University Press, Oxford 1972
[tr. it.
Eadmero di Canterbury. Vita di
Sant’Anselmo,
a cura di S. Gavinelli, (Biblioteca di Cultura Medievale) Jaca Book,
Milano 1987].
Me
Meditatio...
[in
OrMe].
Memorials
Memorials of St. Anselm,
edited by R.W. Southern and F.S. Schmitt, (Auctores Britannici
Medii Aevi) The Oxford University Press for the British Academy, London
1969.
Or
Oratio...
[in
OrMe].
OrMe
Orationes sive Meditationes,
in
Opere,
1997 (ed. critica
in
AO vol. III, pp. 1-91).
Pros
Proslogion, in
AO vol.
I,
pp. 93-124
(Sumptum ex eodem libello, pp.
123-124).
Southern
1990
R.W. Southern,
St. Anselm: a Portrait in a Landscape, Cambridge University Press, Cambridge 1990.
VA
Si veda:
Eadmero
VA
Vanni 1969
Ward
1973
B. Ward, in
The Prayers and Meditations of St Anselm
(with the Proslogion),
translated and with an introduction by B. Ward (pp. 17-86), with a
foreword by R.W. Southern (pp. 9-15), Penguin Books, Harmondsworth 1973,
19792, 19843, 19864.
Ward 1989
B. Ward,
Le «Orazioni e Meditazioni» di sant’Anselmo,
in
AFE, pp.
93-101.
Wilmart 1923
A. Wilmart,
Le recueil des prières de saint
Anselme, in
Méditations et Prières de saint Anselme, traduites par D.A. Castel, (Collection «Pax» 11)
Lethielleux-Desclée de Brouwer, Paris-Maredsous 1923, pp.
I-LXII.
Wilmart
1930
A. Wilmart,
Les propres corrections de S. Anselme
dans
sa grande
prière à la Vierge Marie, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale» 2 (1930) 189-204.
Anselmo d’Aosta, Opere filosofiche, traduzione, introduzione e
note a cura di S. Vanni Rovighi, (Filosofi antichi e medievali) Editori
Laterza, Bari 1969.
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17 luglio 2021 a cura di Alberto da Cormano alberto@ora-et-labora.net