Anselmo d’Aosta
PROSLOGION
Estratto da “Anselmo d’Aosta – Opere
filosofiche”, a cura di
Sofia Vanni Rovighi,
Editori Laterza - Bari 1969
Proemio
Dietro le preghiere insistenti di alcuni confratelli, scrissi un opuscolo[1]
come esempio di meditazione sulle ragioni della fede, in veste di uno che,
ragionando tacitamente fra sé, indaga ciò che ignora; ma poi, considerando che
lo scritto era costituito dalla concatenazione di molti argomenti, cominciai a
chiedermi se non si potesse trovare un unico argomento che dimostrasse da solo,
senza bisogno di nessun altro, che Dio esiste veramente e che è il sommo bene,
che non ha bisogno di nulla e di cui tutto il resto ha bisogno per essere e per
aver valore, e bastasse pure a dimostrare le altre verità che crediamo della
sostanza divina. Ci pensavo spesso e con impegno, e talora mi pareva di
afferrare quello che cercavo, talora l’argomento sfuggiva del tutto all’acume
del mio pensiero; sicché alla fine, disperando di trovarlo, mi proposi di
smettere la ricerca di una cosa che si presentava impossibile. Ma quando volli
scacciare da me quel pensiero, affinché, occupando invano la mia mente, non mi
distogliesse da altri argomenti nei quali potessi raggiungere qualche risultato,
proprio allora cominciò ad assillarmi, sebbene non ne volessi sapere e mi
difendessi da esso. Mentre, dunque, un giorno facevo ogni sforzo per resistere
alla sua importunità, nello stesso conflitto di pensieri, mi balzò alla mente
ciò che ormai disperavo di trovare, sì che afferrai con ogni impegno quel
pensiero che prima mi sforzavo tanto di allontanare.
E ritenendo che quello che ero lieto di aver trovato sarebbe forse piaciuto a
qualche lettore, se lo avessi scritto, scrissi questo opuscolo intorno a
quell’argomento e ad alcune altre cose, in veste di uno che si sforza di elevare
il suo spirito a contemplare Dio e cerca di capire ciò che crede
[2]. E poiché non ritenevo degno del
nome di libro né questo né quello che ho ricordato sopra
[3], né credevo valesse la pena di
premettervi il nome dell’autore, e tuttavia non mi pareva di poterli pubblicare
senza un titolo col quale invitassero in certo modo a leggerli chi li avesse
avuti tra le mani, diedi a ciascuno il suo titolo e intitolai il primo:
Esempio
di meditazione sulle ragioni della fede
e il secondo :
La fede che cerca l’intelligenza.
Ma quando ormai l’uno e l’altro erano stati trascritti da molti con questi
titoli, molti, e specialmente il reverendo Arcivescovo di Lione, Ugo, Legato
apostolico in Francia, che me lo comandò con apostolica autorità, insistettero
perché scrivessi il mio nome su questi opuscoli. E, per farlo nel modo migliore,
intitolai il primo opuscolo
Monologion,
cioè soliloquio, e questo
Proslogion,
cioè colloquio.
I. Esortazione della mente a contemplare
Dio.
Orsù, omiciattolo, fuggi per un poco le tue occupazioni, sottraiti un poco ai
tuoi tumultuosi pensieri. Liberati un momento dalle pesanti cure e lascia da
parte le tue laboriose distrazioni. Dedicati per un poco a Dio e riposati in
lui. « Entra nell’intimo » del tuo spirito, escludi da esso tutto all’infuori di
Dio e di ciò che ti giova a cercarlo, e, « dopo aver chiuso l’uscio » (Matth.,
VI, 60) cerca lui. Di’ ora, o mio cuore tutto intero, di’ a Dio: « Io cerco il
tuo volto, ricerco il tuo volto, Signore »
(Ps.,
XXVI, 8).
E ora tu, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come possa cercarti, dove
e come possa trovarti. Signore, se non sei qui, dove potrei trovarti assente ? E
se sei dovunque, perché non ti vedo presente ? Ma certo tu abiti una luce
inaccessibile. E dov’è la luce inaccessibile ? O come mi avvicinerò a una tale
luce ? O chi mi condurrà e mi introdurrà in essa, affinché in essa io ti veda ?
E poi, in base a quali tracce, a quale immagine ti cercherò ? Non ti ho mai
visto, o Signore Dio mio, non conosco il tuo volto. Che farò, altissimo Signore,
che farà questo esule lontano ? Che farà il tuo servo ansioso del tuo amore e
gettato lontano dal tuo volto ? Anela di vederti, e troppo è lontano dal tuo
volto. Desidera di avvicinarsi a te, e il luogo dove abiti gli è inaccessibile.
Brama di trovarti, e non conosce dove tu stia. Si sforza di cercarti, e ignora
il tuo volto. Signore, tu sei il mio Dio e il mio Signore, e non ti ho mai
visto. Tu mi hai creato e ricreato[4],
e mi hai dato tutto quel che ho di bene, e non ti conosco ancora. Infine, sono
fatto per conoscerti, e non feci ancora ciò per cui sono fatto.
O misera sorte dell’uomo, che ha perduto ciò per cui era stato creato. O dura e
crudele caduta la sua! Quanto ha mai perduto e quanto poco ha trovato, quanto ha
lasciato e cosa gli è rimasto! Ha perduto la beatitudine per la quale era stato
creato, e ha trovato una miseria per la quale non era fatto. Ha lasciato ciò
senza cui nessuno è felice e gli è rimasto ciò che per sé
è
soltanto misero. Allora l’uomo mangiava il pane degli angeli di cui ora ha fame,
ora mangia il pane di dolore che allora ignorava
(Ps.,
XVII, 25). O lutto di tutti gli uomini, universale pianto dei figli di Adamo !
Egli era pieno a sazietà, noi moriamo di fame. Egli era nell’abbondanza, e noi
mendichiamo. Egli possedeva felicemente, e miseramente abbandonò quello che
possedeva, noi infelici siamo nel bisogno e miseramente desideriamo e, ohimè,
restiamo a mani vuote. Perché, potendolo fare facilmente, non ci conservò quello
di cui avremmo sentito così gravemente la mancanza ? Perché ci tolse la luce e
ci condusse nelle tenebre ? Perché ci tolse la vita e ci inflisse la morte ?
Donde siamo stati cacciati, pieni di affanni, e dove siamo stati spinti! Donde
siamo precipitati, e dove siamo rovinati! Siamo stati cacciati dalla patria
all’esilio, dalla visione di Dio alla nostra cecità; dalla letizia
dell’immortalità all’amarezza e all’orrore della morte. Che infelice mutamento!
Da quanto bene in quanto male! Grave danno, grave dolore, grave lutto.
Ma io, infelice[5],
io che sono uno degli infelici figli di Eva lontani da Dio, che cosa ho
cominciato, e a che sono riuscito ?
A
che cosa tendevo, e a che sono giunto ? A che cosa aspiravo,
e
di cosa sospiro ? Cercavo
il
bene, ed ecco
il
turbamento !
(Ps.,
CXXI, 9) Tendevo a Dio, e mi imbattei in me stesso. Cercavo pace nel mio cuore,
e trovai tribolazione e dolore
(Ps.,
CXIV,
3)
nel mio intimo. Volevo ridere di gioia, e son costretto a ruggire gemendo nel
mio cuore
(Ps.,
XXXVII, 9). Speravo la letizia, e mi si addensano i sospiri! E tu, Signore, fino
a quando ? « Fino a quando, o Signore, ti dimenticherai di noi e volgerai
lontano da noi la tua faccia ? »
(Ps.,
XII, 1). Quando volgerai lo sguardo verso di noi e ci esaudirai? Quando
illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai il tuo volto ? Quando ti restituirai a
noi ? Guardaci, Signore, esaudiscici, illuminaci, e mostraci te stesso. Donaci
di nuovo te stesso affinché stiamo bene, poiché senza te stiamo tanto male. Abbi
pietà delle nostre fatiche e dei nostri sforzi verso di
te,
poiché senza te non possiamo nulla. Poiché ci inviti, aiutaci.
Ti
prego, Signore, che io non disperi sospirando, ma sia sollevato dalla speranza.
Il mio cuore è amareggiato dalla desolazione, addolciscilo con la tua
consolazione. Ho cominciato a cercarti affamato, o Signore, fa’ che io non
smetta digiuno. Mi sono avvicinato famelico, fa’ che non mi allontani senza aver
ricevuto il cibo. Povero, son venuto al ricco, misero al misericordioso: fa’ che
non ritorni a mani vuote e disprezzato. E se sospiro prima di mangiare, fa’ che
dopo aver sospirato io trovi da mangiare. Incurvato, non posso guardare altro
che in basso: o Signore, rialzami affinché possa guardare in alto. « Le mie
iniquità, più alte del mio capo » mi circondano, « e pesano su me come un grave
carico »
(Ps.,
XXXVII, 5). Scioglimi, liberami, affinché il pozzo dei miei peccati non apra la
sua bocca sotto di me. Mi sia concesso di guardare la tua luce, anche da
lontano, anche dal profondo. Insegnami a cercarti, e mostrati a me che ti cerco;
poiché non ti potrei neppure cercare se tu non me lo insegnassi, né potrei
trovarti se tu non ti mostrassi. Che io ti cerchi col mio desiderio, ti desideri
con la mia ricerca, ti trovi col mio amore, e ti ami col mio trovarti.
Riconosco, o Signore, e te ne ringrazio, che hai creato in me questa tua
immagine, affinché, memore, ti pensi e ti ami. Ma l’immagine è così cancellata
dall’attrito dei vizi, e così offuscata dal fumo dei peccati, che non può fare
ciò che dovrebbe, se tu non la rinnovi e la riformi. Non tento, o Signore, di
penetrare
la
tua profondità, poiché non posso neppur da lontano paragonarle
il
mio intelletto ; ma desidero intendere
[6] almeno fino
a
un certo punto
la
tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti
di
capire per credere, ma credo per capire. Poiché credo anche questo : che « se
non avrò creduto non potrò capire »
(Is.,
VII, 9).
II. Dio
esiste veramente.
Dunque, o Signore, che dai l’intelligenza della fede, concedimi di capire, per
quanto sai che possa giovarmi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che
crediamo.
Ora noi crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande. O
forse non esiste una tale natura, poiché « lo stolto disse in cuor suo: Dio non
esiste »
(Ps.,
XIII, 1, e LII, 1) ? Ma certo quel medesimo stolto, quando ode ciò che dico, e
cioè la frase « qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande », intende quello
che ode; e ciò che egli intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende
che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa sia nell’intelletto, altro
è intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che
dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua, ma non intende ancora che
esista quell’opera che egli ancora non ha fatto. Quando invece l’ha già dipinta,
non solo l’ha nell’intelletto, ma intende pure che l’opera fatta esiste. Anche
lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa
della quale nulla può pensarsi più grande, poiché egli intende questa frase
quando la ode, e tutto ciò che si intende è nell’intelletto.
Ma certamente ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo
nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare
che esistesse anche nella realtà, e questo[7]
sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste
solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si
può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio
qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella
realtà.
III. Dio
non può esser pensato non esistente.
E questo ente esiste in modo così vero che non può neppure essere pensato non
esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere
pensato non esistente; e questo
è
maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Onde se ciò di cui non si
può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà più ciò
di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di
cui non si può pensare il maggiore esiste in modo così vero, che non può neppure
essere pensato non esistente.
E questo sei tu, o Signore Dio nostro. Dunque esisti così veramente, o Signore
Dio mio, che non puoi neppure essere pensato non esistente. E a ragione. Se
infatti una mente potesse pensare qualcosa di meglio di te, la creatura
ascenderebbe sopra il creatore, e giudicherebbe il creatore, il che è assurdo.
Invero tutto ciò che è altro da te può essere pensato non esistente. Tu solo
dunque hai l’essere nel modo più vero, e quindi più di ogni altra cosa, poiché
ogni altra cosa non esiste in modo così vero, e perciò ha meno essere.
Perché dunque « disse lo stolto in cuor suo : Dio non esiste », quando è così
evidente alla mente razionale che tu sei più di ogni altra cosa? Perché, se non
perché è stolto e insipiente?
IV. Come lo stolto disse in cuor suo ciò che non può essere pensato.
Ma come disse in cuor suo ciò che non poté pensare ? O come non poté pensare ciò
che disse in cuor suo, quando è la stessa cosa dire nel proprio cuore e pensare?
E se pensò veramente, anzi poiché pensò veramente ciò che disse in cuor suo, e
non disse in cuor suo poiché non poteva pensarlo, vuol dire che non c’è un modo
solo di dire nel proprio cuore o di pensare. In altro modo infatti si pensa una
cosa quando si pensa la parola che la significa, e in altro modo quando si pensa
ciò che è la cosa. Ora, nel primo modo si può pensare che Dio non esista, nel
secondo modo no. Nessuno infatti che intenda ciò che è Dio può pensare che Dio
non esista, anche se dice in cuor suo queste parole, o senza dar loro
significato o dando loro un significato diverso. Dio infatti è ciò di cui non si
può pensare il maggiore. Ora chi intende bene questo, capisce che egli esiste in
tal modo da non poter neppure essere pensato non esistente. Chi dunque capisce
che Dio è tale, non può pensare che egli non esista.
E ti ringrazio, buon Signore, ti ringrazio, poiché quel che prima ho creduto per
tuo dono, ora lo intendo grazie al tuo lume, sì che anche se non volessi credere
che tu esisti, non potrei non capirlo con l’intelligenza.
V. Dio è tutto ciò che è meglio essere
che non essere; è il solo che esista per sé e crea tutte le altre cose dal nulla.
Che cosa sei dunque, Signore Iddio, tu
di
cui nulla può essere pensato più grande ? Che cosa sei se non il sommo ente,
il
solo che esista per se stesso, colui che fece tutte le altre cose
dal
nulla ? Tutto ciò infatti che non è tale è inferiore a ciò che
può
essere pensato
[8]. Ma questo non si può pensare di te.
Tu sei dunque giusto, verace, beato, e tutto ciò che è meglio essere che non
essere. Meglio è infatti esser giusto che non giusto e beato che non beato.
VI. In che modo Dio sia sensibile, non essendo corpo.
Ma, poiché è meglio essere sensibile, onnipotente, misericordioso, impassibile,
che non essere tale, come puoi tu essere sensibile se non sei corpo, come puoi
essere onnipotente se non puoi tutto, o misericordioso e insieme impassibile ?
Se infatti solo le realtà corporee sono sensibili, poiché i sensi hanno per
oggetto il corpo e sono nel corpo, in che modo puoi essere sensibile non essendo
corpo, essendo anzi il sommo spirito, che è meglio del corpo ?
Ma se il sentire non è altro che conoscere, o in funzione del conoscere (chi
sente, infatti, conosce secondo le proprietà dei sensi, per esempio i colori con
la vista, i sapori col gusto), non è sbagliato
dire che in certo modo
sente chi in certo modo conosce. Dunque,
o Signore, sebbene
tu non sia corpo, sei tuttavia veramente
e
sommamente sensibile
in quanto conosci sommamente tutto,
e non nel modo in cui
l’animale conosce col senso corporeo.
VII. In
che modo sia onnipotente, mentre non può molte cose.
Ma come sei onnipotente, se non puoi tutto ? Se non puoi corromperti né mentire
né fare che il vero sia falso, per esempio che ciò che è avvenuto non sia
avvenuto, e altre cose simili, come puoi tutto ?
O forse il
poter
queste cose non è potenza, ma impotenza ?
[9] Chi infatti può queste cose, può
fare ciò che non gli giova e che non deve. E quanto più può farle, tanto più
possono in lui l’avversità e la perversione[10],
e tanto meno egli può contro di esse. Chi dunque può far queste cose, non può
farle per una potenza, ma per impotenza. Non si dice infatti che
può
perché in lui ci sia un potere, ma perché la sua impotenza fa sì che un’altra
cosa abbia “potere su di lui, o con un altro modo di parlare, come si dicono
impropriamente molte cose. Per esempio, quando mettiamo « essere » al posto di «
non essere », e « fare » al posto di « non fare » o di « non far nulla ».
Diciamo infatti spesso a colui che nega resistenza di una cosa:
«È
così come dici», mentre più propriamente dovrebbe dirsi : «
Non è,
come dici che non è ». Diciamo pure : « Quello siede come fa l’altro » o : «
Quello sta fermo come fa l’altro », mentre il « sedere » è un non fare e lo «
star fermo » è un non far nulla. Così, dunque, quando si dice che uno ha il
potere di fare o di patire ciò che non gli giova o ciò che non deve, col termine
di
potere
si intende in realtà una impotenza; perché quanto più uno ha questo « potere »,
tanto più possono in lui l’avversità e la perversione, e tanto più egli è
impotente contro di esse. Dunque, Signore Iddio, tu sei più veracemente
onnipotente proprio perché non puoi nulla di ciò che è indice di impotenza e
nulla ha potere contro di te.
VIII.
Come
Dio
sia misericordioso e impassibile.
Ma come puoi essere insieme misericordioso e impassibile ? Se infatti sei
impassibile, non compatisci; e se non compatisci non hai il cuore misero per
compassione verso l’infelice, nel che consiste la misericordia. Ma se non sei
misericordioso, donde viene agli infelici tanta consolazione ?
Come dunque sei e non sei misericordioso, Signore, se non perché sei
misericordioso secondo noi, e non sei misericordioso secondo te ? Sei
misericordioso secondo il nostro modo di sentire e non sei misericordioso
secondo il tuo. Quando infatti tu volgi lo sguardo a noi, miseri, noi sentiamo
l’effetto di un misericordioso, ma tu non sei affetto da un sentimento. Sei
dunque misericordioso, perché salvi i miseri e perdoni a chi pecca contro di te,
e tuttavia non sei misericordioso perché non sei affetto da nessun patimento per
la miseria.
IX. In che modo colui che è totalmente e sommamente giusto perdona ai cattivi; e
giustamente ha misericordia dei cattivi.
Ma in che modo perdoni, se sei totalmente e sommamente giusto ? Come infatti chi
è totalmente e sommamente giusto può fare qualcosa di non giusto ? Che giustizia
è quella di dare la vita eterna a chi merita eterna morte ? Da che dipende,
dunque, buon Dio, buono verso i buoni e verso i cattivi, da che dipende che tu
salvi i cattivi, se non è giusto e se tu non fai nulla che non sia giusto ?
Forse il motivo è nascosto nella luce inaccessibile in cui
abiti,
poiché la tua bontà è incomprensibile?
Sì,
la fonte dalla quale deriva il fiume della tua misericordia è nascosta in ciò
che
vi è
di
più
profondo e segreto nella tua bontà. Infatti, pur essendo tu totalmente e
sommamente giusto, sei benigno anche verso i cattivi perché sei totalmente e
sommamente buono. Saresti infatti meno buono se non fossi benigno verso i
cattivi, poiché è migliore colui che è buono verso i buoni e i cattivi che non
colui che è buono solo coi buoni. E migliore è colui che è buono coi cattivi sia
punendoli sia perdonando loro, che non colui che è buono solo nel punirli. Tu
sei dunque misericordioso perché sei totalmente e sommamente buono. E sebbene si
possa forse capire perché tu retribuisca bene ai buoni e male ai cattivi, certo
stupisce che tu, totalmente giusto, tu che non hai bisogno di nessuno
[11], dia bene ai cattivi e ai colpevoli
dei tuoi sudditi. Quanto è profonda la tua bontà, Dio! Si può vedere perché sei
misericordioso, ma non si vede fino in fondo. Si vede donde viene il fiume, ma
non si scorge la fonte donde nasce. Viene infatti dalla pienezza della tua bontà
che tu sia pietoso verso chi pecca contro te, ma è nascosto nella profondità
della tua bontà il motivo per cui sei tale. Sebbene infatti per tua bontà tu
retribuisca bene ai buoni e male ai cattivi, si vede che ciò esige un motivo di
giustizia. Ma quando dai bene ai cattivi, si sa che ha voluto far così colui che
è sommamente buono, ma ci si domanda perché poté volerlo colui che è sommamente
giusto.
O misericordia! Da quale opulenta dolcezza e da quale dolce opulenza tu sgorghi
per noi! O immensa bontà di Dio, con quanto affetto devi essere amata dai
peccatori ? Tu salvi infatti i giusti con giustizia, ma liberi i peccatori che
la giustizia condannerebbe. Salvi quelli che sono aiutati dai loro meriti, e
questi contro i loro meriti. Salvi quelli guardando al bene che desti loro, e
questi non badando al male che odii. O bontà immensa, che superi ogni
intelletto, venga su di me quella misericordia che deriva da così grande
ricchezza tua. Influisca su di me la misericordia che sgorga da te! Perdonami
per la tua clemenza e non punirmi con la tua giustizia! Infatti, anche se è
difficile capire in che modo la tua misericordia non sia senza giustizia, è
tuttavia necessario credere che non può in alcun modo opporsi alla giustizia ciò
che deriva da quella bontà che non può esserci senza giustizia, e che anzi
concorda veramente con la giustizia. Se infatti tu sei misericordioso perché sei
sommamente buono, e non sei sommamente buono se non perché sei sommamente
giusto, veramente sei misericordioso proprio perché sei sommamente giusto.
Aiutami, o Dio giusto e misericordioso, di cui cerco la luce, aiutami a capire
quello che dico. Veramente, dunque, tu sei misericordioso perché sei giusto.
La tua misericordia nasce dunque dalla tua giustizia ? Perdoni forse ai cattivi
per giustizia ? Se è così, Signore, se è così, insegnami come può essere. Forse
perché è giusto che tu sia così buono' da non poter essere migliore, e che tu
operi così potente- mente da non poter esser pensato più potente ? Cosa vi è
infatti di più giusto di questo ? Non sarebbe così, infatti, se tu fossi buono
solo retribuendo e non perdonando e se facessi buoni solo coloro che non erano
tali e non rendessi buoni anche coloro che erano cattivi. In questo senso è
giusto che tu perdoni ai cattivi è che da cattivi li renda buoni.
Infine, ciò che non è giusto non deve esser fatto, e ciò che non
deve
esser fatto è fatto ingiustamente. Se dunque tu non avessi giustamente
misericordia dei cattivi, non dovresti averla; e se non dovessi averla,
ingiustamente avresti misericordia. Ma poiché il dir questo sarebbe empietà, è
lecito credere che tu hai giustamente misericordia dei cattivi.
X. In che modo Dio punisca giustamente e giustamente perdoni.
Ma è pure giusto che tu punisca i cattivi. Cosa vi è infatti di più giusto di
questo : che i buoni ricevano bene e i cattivi male? Come dunque può esser
giusto che tu punisca i cattivi e giusto che tu li perdoni ?
O forse in modo diversamente giusto punisci e perdoni i cattivi ?
Quando infatti punisci i cattivi, è giusto perché corrisponde
a
ciò che meritano; quando invece perdoni i cattivi, è giusto perché sta bene alla
tua bontà. Perdonando i cattivi, infatti, sei giusto secondo te e non secondo
noi; così come sei misericordioso secondo noi e non secondo te, poiché salvando
noi, che giustamente danneresti, come sei misericordioso non perché tu senta una
passione, ma perché noi sentiamo un effetto della tua azione, così sei giusto
non perché tu ci renda ciò che ci è dovuto, ma perché fai ciò che sta bene a te
sommamente buono. Così, dunque, senza contraddizione punisci giustamente e
giustamente perdoni.
XI. Come «tutte le vie del Signore siano misericordia e verità»,
e tuttavia «il signore sia giusto in tutte le sue vie».
Ma forse che non è anche giusto, secondo te, Signore, che tu punisca i cattivi ?
È giusto infatti che tu sia così giusto che non si possa pensare uno più giusto
di te. Ora non saresti tale se rendessi solo bene per bene e non male per male.
È più giusto infatti colui che retribuisce i meriti dei buoni e dei cattivi che
non colui che retribuisce solo quelli dei buoni. È dunque giusto secondo te, Dio
giusto e benigno, che tu punisca e che tu perdoni. Veramente dunque « tutte le
vie del Signore sono misericordia e verità », eppure « il Signore è giusto in
tutte le sue vie » (Ps.,
XXIV, 10). E questo senza contraddizione ; perché quelli che vuoi punire non è
giusto che si salvino e quelli ai quali vuoi perdonare non è giusto che si
dannino. È giusto infatti solo quello che tu vuoi e non è giusto quello che tu
non vuoi[12].
Così dalla tua giustizia nasce la tua misericordia, poiché è giusto che tu sia
buono così da essere buono anche perdonando. E questo è forse il motivo per cui
il sommamente giusto può voler bene ai cattivi. Ma, se si può in qualche modo
capire perché tu possa voler salvare i cattivi, quello che non si può capire in
nessun modo è il perché, fra cattivi simili, tu salvi piuttosto questi che
quelli, con somma bontà, e tu danni piuttosto quelli che questi, con somma
giustizia.
Così dunque tu sei veramente sensibile, onnipotente, misericordioso e
impassibile, come sei vivente, sapiente, buono, beato, eterno, e tutto ciò che è
meglio essere che non essere.
XII. Dio
è la stessa vita di cui vive, e così degli altri attributi.
Ma certo tutto ciò che sei lo sei per te stesso e non per altro. Tu sei dunque
la stessa vita di cui vivi e la sapienza per cui sai, e la bontà per cui sei
buono coi buoni e coi cattivi, e così degli altri attributi.
XIII. In
che modo tu solo sei illimitato ed eterno, mentre gli altri spiriti sono pure
illimitati ed eterni.
Ma tutto ciò che è limitato in qualche modo nello spazio e nel tempo è minore di
ciò che non è stretto da nessun limite di spazio e di tempo. Poiché dunque nulla
è più grande di te, nessun luogo o tempo ti delimita, ma tu sei dovunque e
sempre. E poiché questo si può dire di te solo, tu solo sei illimitato ed
eterno. In che modo dunque gli altri spiriti sono illimitati ed eterni ?
Intanto, tu solo sei eterno perché, unico fra tutti gli enti, come non hai fine,
neppure hai inizio. Ma in che modo tu solo
sei
illimitato nello spazio ? Forse perché lo spirito creato è limitato in confronto
con te, ma illimitato rispetto al corpo ? Infatti
è
totalmente limitato ciò che, essendo tutto in un luogo, non può
contemporaneamente essere altrove ; e questo si avvera solo per le realtà
corporee. È illimitato invece ciò che nello stesso tempo può essere tutto
dovunque; e questo è vero solo di te. È limitato e illimitato insieme ciò che,
pur essendo tutto in un luogo, può essere contemporaneamente tutto in un altro
luogo, ma non dappertutto; il che si avvera per gli spiriti creati. Se infatti
fiamma non fosse tutta nelle singole membra del suo corpo, non sentirebbe tutta
in ogni membro. Tu dunque, Signore, sei illimitato ed eterno in modo singolare,
sebbene anche gli altri spiriti siano illimitati ed eterni.
XIV. In che modo e perché Dio si vede e non si vede da chi lo cerca
[13].
Hai trovato, anima mia, quello che cercavi? Cercavi Dio e hai trovato che Dio è
la realtà suprema, di cui nulla può esser pensato migliore; che è la stessa
vita, luce, sapienza, bontà, eterna beatitudine e beata eternità ; che è
dovunque e sempre.
Se infatti non hai trovato il tuo Dio, come potrebbe egli essere ciò che hai
trovato e che hai conosciuto con una verità così certa e così vera certezza ? E
se lo hai trovato, come mai non senti ciò che hai trovato ? Perché l’anima mia
non ti sente, Signore Iddio, se ti ha trovato ?
Non ha forse trovato colui che ha dimostrato essere luce e verità ? E come
potrebbe aver inteso questo, se non vedendo la luce e la verità ? O ha mai
potuto intendere qualcosa di te se non per la tua luce e la tua verità ?
(Ps.,
XLII, 3) Se dunque ha visto la luce e la verità, ha visto te; e se non ha visto
te, non ha visto la luce né la verità. O forse è verità e luce ciò che essa ha
visto, e tuttavia non ha ancora visto te, perché ti ha visto sotto un certo
aspetto, ma non ti ha visto come sei in te stesso ?
Signore Dio mio, che mi hai formato e restaurato, di’ all’anima mia che lo
desidera che altro sei oltre a ciò che essa ha veduto, perché possa vedere
nitidamente ciò che desidera. Si sforza di vedere di più, e non vede nulla oltre
ciò che ha veduto, nulla se non tenebre; anzi non vede tenebre, perché in te non
ce ne sono, ma si rende conto che non può veder di più a cagione delle proprie
tenebre. Perché, Signore, perché? Il suo occhio è ottenebrato dalla sua
debolezza o è abbagliato dal tuo fulgore? Ma certo è ottenebrato da sé ed è
abbagliato da te. È oscurato dalla cortezza della sua vista ed è schiacciato
dalla tua immensità. È stretto dalla sua angustia e vinto dalla tua grandezza.
Quanto grande infatti è quella luce dalla quale splende ogni verità che si
manifesta alla mente razionale ? Quanto vasta quella verità che contiene tutto
ciò che è vero e fuor della quale non vi è che il nulla e il falso ! Quanto
immensa è lei che vede con un solo sguardo e le cose create e colui dal quale e
per il quale sono state create e come sono state create dal nulla ! Quanta
purezza, quanta semplicità, quanta certezza e splendore c’è in lei ? Certo più
di quanto possa esser capito da una creatura.
XV. Dio
è più grande di tutto ciò che possa essere pensato.
Dunque, Signore, tu sei non solo colui di cui non può pensarsi il maggiore, ma
sei anche qualcosa di più grande di tutto ciò
che può
esser pensato. Poiché infatti si può pensare che esista una tale realtà, se tu
non fossi questa realtà, si potrebbe pensare qualcosa di più grande di te. E ciò
non è possibile.
XVI. Questa è la luce inaccessibile che
Dio
abita.
Davvero, Signore, questa è la luce inaccessibile dove abiti (I.
Tim.,
VI, 16), poiché veramente non vi è nessun’altra realtà che possa penetrarla e in
cui possa vederti fino in fondo. Davvero io non la vedo perché è troppo grande
per me; e tuttavia tutto quello che vedo lo vedo per quella luce, come l’occhio
debole vede quello che vede per quella luce del sole che non può vedere nel sole
stesso. Il mio intelletto non può arrivare fino a lei. Splende troppo : l’occhio
non l’afferra, né l’occhio dell’anima mia sopporta di fissarsi a lungo in lei. È
abbagliato dal fulgore,
è
vinto dalla grandezza, è schiacciato dalla immensità, è confuso dalla ampiezza
di quella luce. O luce somma e inaccessibile, verità piena e beata, quanto sei
lontana da me che pur ti son tanto vicino! Quanto sei remota dal mio sguardo, da
me che pur sono così presente al tuo sguardo! Tu sei presente ovunque e non ti
vedo. In te mi muovo, in te sono
(Act. Ap.,
XVIII, 26), e non posso avvicinarmi a te. Sei dentro di me e intorno a me, e non
ti sento.
XVII. In Dio
è armonia, odore, sapore, dolcezza, bellezza, in un modo ineffabile.
Sei ancora nascosto, Signore, all’anima mia, nella tua luce e nella tua
beatitudine, e per questo l’anima mia è ancora immersa nelle tenebre e nella sua
infelicità. Si guarda intorno, infatti, e non vede la tua bellezza. Ascolta, e
non ode la tua armonia. Annusa e non percepisce il tuo odore. Gusta, e non sente
il tuo sapore. Palpa, e non sente la tua morbidezza. Hai, infatti, Signore,
queste qualità in un certo tuo modo ineffabile, poiché le hai date alle cose
create nel loro modo sensibile ; ma i sensi dell’anima mia sono induriti,
ottusi, otturati dalla vecchia malattia del peccato.
XVIII. In Dio
e nella sua eternità, che si identifica con lui, non vi sono parti.
Ed ecco un nuovo turbamento, nuovo dolore e pianto a me che cerco la gioia e la
letizia! L’anima mia sperava la sazietà ed è di nuovo oppressa dall’indigenza!
Speravo già di cibarmi e comincio ad aver più fame! Mi sforzavo di ascendere
alla luce di Dio e son ricaduto nelle mie tenebre. Anzi, non solo vi son caduto,
ma mi sento avvolto da esse. Son caduto prima ancora che mia madre mi concepisse
(Ps.,
L, 7). Certo sono stato concepito nelle tenebre e avvolto in esse sono nato.
Certo una volta siamo tutti caduti in colui nel quale tutti abbiamo peccato (Rom.,
V, 12)[14].
In lui tutti abbiamo perduto: in lui che avrebbe potuto facilmente conservare e
che perdette malamente per sé e per noi quello che non sappiamo quando vogliamo
cercarlo, che non troviamo quando lo cerchiamo, e quando lo troviamo non è
quello che cercavamo. Aiutami, Signore, per la tua bontà. « Ho cercato il tuo
volto, lo cercherò sempre; non voltare la tua faccia da me »
(Ps.,
XXIV, 7). Sollevami da me verso di te. Monda, guarisci, rendi acuto, illumina
l’occhio dell’anima mia perché possa vederti. L’anima mia raccolga le sue forze
e con tutta la sua intelligenza tenda verso te, Signore.
Chi sei tu, Signore, cosa capirà di te il mio cuore ? Certo tu sei vita, sei
sapienza, sei verità, sei bontà, sei beatitudine, sei ogni vero bene. Son tante,
queste cose, e il mio angusto intelletto non può vederle tutte con uno sguardo
solo per godere di tutte insieme. In che modo, dunque, Signore, sei tutte queste
cose ? Sono forse tue parti, o piuttosto ognuno di questi attributi è tutto ciò
che tu sei ? Tutto ciò che è composto di parti, infatti, non è totalmente uno,
ma è in certo modo molteplice e diverso da sé, e può essere dissolto o in realtà
o col pensiero; tutte cose aliene da te, di cui nulla può esser pensato
migliore. Dunque in te non vi sono parti, Signore, né tu sei molteplice, ma sei
così uno e identico a te stesso che in nulla sei dissimile da te; anzi sei la
stessa unità, non divisibile neppure dall’intelletto. Dunque la vita, la
sapienza e gli altri attributi non sono parti di te, ma tutti costituiscono una
cosa sola, e ciascuno di essi si identifica con tutto te stesso e con gli altri
attributi. Poiché dunque né tu hai parti, né le ha la tua eternità, che si
identifica con te, in nessun luogo e in nessun tempo vi è una parte di te o
della tua eternità, ma tu sei tutto ovunque, e la tua eternità è tutta sempre.
XIX. Dio
non è nello spazio e nel tempo, ma piuttosto tutto è in lui.
Ma se, per la tua eternità, sei stato, sei e sarai; e l’essere stato non è
l’essere futuro, l’essere non è l’essere stato o Tesser futuro, in che modo la
tua eternità è tutta sempre?
O
forse della tua eternità non passa nulla, sì da non esser più, e nessun momento
è futuro sì da non essere ancora ? Tu non sei dunque stato ieri, e sarai domani,
ma sei ieri e oggi e domani. Anzi non sei né ieri, né oggi né domani, ma sei
assolutamente, fuori di ogni tempo. Ieri, oggi, domani, infatti, non sono altro
che un essere nel tempo; tu invece, anche se nulla può essere senza di te, non
sei tuttavia nello spazio o nel tempo, ma ogni cosa è in te; poiché nulla ti
contiene e tu contieni tutto.
XX. Dio
è
prima e oltre ogni cosa, anche oltre le realtà eterne.
Tu dunque riempi e abbracci ogni cosa, tu sei prima e oltre ogni cosa. Sei prima
di ogni cosa perché sei prima che le cose cominciassero a essere. Ma come sei
oltre ogni cosa ? Come puoi essere oltre le cose che non avranno fine ?
Forse perché quelle non possono in nessun modo essere senza di te, mentre tu non
diminuiresti di nulla anche se quelle fossero annientate ? Così, infatti, sei
già in certo modo oltre quelle. O anche perché si può pensare che quelle
finiscano, mentre non può pensarsi in alcun modo di te ? Anche così, infatti,
quelle in certo modo hanno fine, tu invece in nessun modo. E certamente ciò che
in
nessun modo può aver fine è oltre ciò che
in qualche
modo
può
finire.
O
forse anche per questo superi
ogni cosa,
anche
le
eterne : perché hai tutta presente la tua e la
loro
eternità, mentre quelle non hanno ancora
ciò
che della loro eternità
deve
venire, come non hanno più ciò che ne è passato ? Così sei sempre oltre quelle:
poiché sei sempre presente a quello — o ti è sempre presente quello — a cui esse
non sono ancora pervenute.
XXI. Se
voglian dir questo le espressioni «il secolo dei secoli»
o «i secoli dei secoli».
Vuol dir questo dunque « il secolo dei secoli » o « i secoli dei secoli » ?[15]
Come infatti il secolo dei tempi contiene tutte le cose temporali, così la tua
eternità contiene anche i secoli dei tempi. La tua eternità è secolo per la sua
indivisibile unità; è secoli, al plurale, per la sua interminabile immensità. E
sebbene tu sia così grande, Signore, che tutte le cose son piene di te e sono in
te, sei tuttavia senza spazio, sì che non vi è in te né mezzo né metà né parte
alcuna.
XXII. Dio solo è quello che è e colui che
è.
Tu solo, dunque, Signore, sei quello che sei, e tu sei colui che è[16].
Ciò che, infatti, è diverso nel tutto e nelle parti, e in cui vi è qualcosa di
mutevole, non è pienamente quello che è. E ciò che ha inizio dal nulla e può
esser pensato non esistente, e torna al non essere se non è sostenuto da altro,
che ha un passato che non è più e un futuro che non è ancora : quello non è
propriamente e assolutamente. Tu invece sei quello che sei, perché sei
totalmente e sempre tutto ciò che sei in un certo momento o in un certo modo.
E tu sei colui che
è
propriamente e assolutamente, perché non hai un essere passato o futuro, ma solo
un essere presente; né si può pensare che un momento tu non sia stato. Sei vita,
luce, sapienza, beatitudine, eternità e molti altri simili beni, e tuttavia sei
un solo e sommo bene, pienamente bastevole a te; tu non hai bisogno di nessuno e
di te hanno bisogno tutte le cose per essere e per aver bene.
XXIII. Questo bene è ugualmente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; questo è
il solo necessario che comprende ogni bene, è il solo bene e il bene totale.
Questo bene sei tu, Dio Padre; questo è il tuo Verbo, cioè il tuo Figlio. Nel
verbo col quale tu esprimi te stesso, infatti, non ci può essere altro da quello
che tu sei, né più né meno; perché il tuo verbo è vero come tu sei verace, e
perciò è la stessa verità, come te, non diversa da te; e tu sei così semplice
che da te non può nascere altro da quello che sei tu. Questo stesso è l’unico
amore comune a te e al Figlio, cioè lo Spirito Santo che procede da voi due.
Tale amore infatti non è impari a te o al tuo Figlio, poiché tu ami tanto te
stesso e lui, ed egli ama tanto te e se stesso per quanto grande sei tu ed è
lui; né può essere diverso da te e dal verbo quello che è grande quanto te e il
verbo; né dalla somma semplicità può procedere una realtà diversa da quella
dalla quale procede. Ma ciò che è ognuno dei tre è identico a ciò che è tutta la
Trinità insieme: Padre, Figlio e Spirito Santo; poiché ognuno non è altro che
l’unità sommamente semplice e la semplicità sommamente una, che non può essere
moltiplicata né può essere in sé diversa.
« Una cosa sola è necessaria »
{Lue.,
X, 42). Questo è l’unico necessario in cui è ogni bene, anzi che è tutto il
bene, l’unico bene, il bene solo e totale.
XXIV.
Tentativo di congetturare quale e quanto sia questo bene.
Ora, anima mia, scuoti e innalza il tuo intelletto e sforzati di pensare quale e
quanto sia quel bene. Se infatti ogni bene dà gioia, pensa quanta gioia darà
quel bene che contiene la letizia di tutti i beni ; e non la gioia che abbiamo
provato nelle cose create, ma una gioia differente quanto il creatore differisce
dalla creatura. Se infatti è bene la vita creata, quanto buona sarà la vita
creatrice ? Se è gradevole la salute creata, quanto gradevole sarà la salute che
crea ogni altra salute ? Se è amabile la sapienza che si trova nella conoscenza
delle cose create, quanto sarà amabile la sapienza che ha creato ogni cosa dal
nulla ? E infine, se molte e grandi sono le gioie che si trovano nelle cose
piacevoli, quale e quanto grande sarà la gioia che si trova in colui che ha
fatto le cose piacevoli ?
XXV.
Quali e quanto grandi siano i beni di coloro che godono di lui.
Oh, chi gode di questo bene, che cosa avrà e che cosa non avrà! Avrà tutto
quello che vuole e non avrà quello che non vuole. Avrà i beni del corpo e
dell’anima, beni che « né l’occhio ha mai visto, né l’orecchio ha mai udito né
cuore umano ha mai pensato » (I.
Cor.,
II, 9). Perché dunque, omiciattolo, vai vagando per tante cose, alla ricerca dei
beni dell’anima e del corpo ? Ama l’unico bene in cui si trovano tutti i beni, e
ti basterà. Desidera quel bene semplice che è tutto il bene e sarai soddisfatto.
Che cosa ami infatti, o mia carne, e che cosa desideri, anima mia ? È lì, è lì
tutto ciò che amate e desiderate.
Se ti piace la bellezza, pensa che « i giusti splenderanno come il sole » (Matth.,
XIII, 43). Se ti piace la velocità o la fortezza o la libertà del corpo senza
ostacoli, pensa che «saranno simili agli angeli di Dio»
(ibid.,
XXII, 30); pensa che «è seminato un corpo animale, e risorgerà un corpo
spirituale»
(I. Cor.,
XV, 44): un corpo spirituale per il suo potere, non per natura. Se ti piace una
vita lunga e salubre, pensa che in Dio è una eternità di salute e una salute
eterna, poiché i giusti vivranno sempre e la salvezza dei giusti viene dal
Signore (Ps.,
XXXVI, 49). Se desideri la sazietà, pensa al « saranno saziati quando si
manifesterà la gloria di Dio »
(Ps.,
XVI, 15). Se ti piace l’ebbrezza, pensa al «saranno inebriati dall’abbondanza
della casa di Dio»
(Ps.,
XXXV, 9). Se ti piace la musica, pensa che là i cori degli angeli cantano a Dio
senza fine. Se ti attrae ogni puro e non immondo piacere, pensa che Dio « li
disseterà col torrente della sua voluttà »
(Ps.,
XXXV, 9).
Se ti piace la sapienza, pensa che la sapienza di Dio si mostrerà a loro. Se
l’amicizia, pensa che i giusti ameranno Dio più
di
se stessi, e si ameranno fra loro come se stessi, e Dio li amerà
più
di quanto essi non amino se stessi, poiché essi ameranno sé
e
si ameranno fra loro e ameranno Dio per Dio, ed egli ama sé e loro per se
stesso. Se ti piace la concordia, pensa che tutti avranno un solo volere, perché
la loro volontà sarà la volontà di Dio. Se ti piace il potere, pensa che
potranno tutto con la loro volontà, come Dio con la sua. Infatti come Dio può
ciò che vuole per se stesso, così i giusti potranno ciò che vorranno per lui,
poiché come essi non vorranno altro che quel che vuole lui, così Dio vorrà tutto
ciò che essi vorranno; e tutto ciò che Dio vuole non può non essere. Se ti
piacciono gli onori e le ricchezze, pensa che Dio metterà i suoi servi buoni e
fedeli a capo di molte cose, anzi, saranno chiamati figli di Dio e dei
(Matth.,
XXV, 21 e 23) e lo saranno; e dove sarà il Figlio, ivi saranno anche loro, «
eredi di Dio e coeredi di Cristo »
(Rotti.,
Vili, 17). Se ti piace la vera sicurezza, pensa che saranno certi che non
verranno loro mai meno questi beni, anzi quel bene, come sono certi che non io
perderanno per loro volontà; né Dio, che li ama, lo porterà via a loro che lo
amano, né alcuna cosa più potente di Dio li separerà mai, contro la loro
volontà, da Dio.
Ma quale e quanto sarà il gaudio dove è tale e tanto bene ? Cuore umano, cuore
assetato, cuore che hai sperimentato l’affanno, anzi sei pieno di affanni,
quanta gioia avresti se abbondassi di tutte queste cose? Interroga il tuo intimo
e chiediti se potrebbe contenere la sua gioia per tanta beatitudine. E certo se
un altro che tu amassi come te stesso avesse la medesima beatitudine, la tua
gioia sarebbe raddoppiata, perché godresti per lui come per te. Se poi
l’avessero due o tre o molti di più, godresti per ognuno di loro quanto per te
stesso, se tu amassi come te stesso ciascuno di loro. Dunque in quella perfetta
carità di innumerevoli angeli e uomini beati, dove ognuno amerà l’altro non meno
di se stesso, ciascuno godrà per ognuno degli altri non diversamente che per se
stesso. Se dunque il cuore dell’uomo per un così gran bene suo potrebbe a mala
pena contenere la sua gioia, come sarà capace di tante e così grandi gioie ? E
poiché ognuno gode del bene di un altro in proporzione alla misura dell’amore
che ha per lui, come ognuno, in quella perfetta felicità amerà senza paragone
più Dio che se stesso e tutti gli altri con sé, così senza paragone godrà più
della felicità di Dio che della sua e dì quella di tutti gli altri insieme. Ma
se ameranno Dio così, con tutto il cuore, tutto lo spirito, tutta l’anima, e
tuttavia in modo tale che il cuore, lo spirito, l’anima tutti interi non bastino
alla dignità di questo amore, i beati godranno con tutto il cuore, tutto lo
spirito, tutta l’anima, così che il loro cuore, il loro spirito, la loro anima
tutta intera non basti alla pienezza del gaudio.
XXVI.
Se questo sia il gaudio
[17]
pieno che il Signore promette.
Dio mio e Signore mio, mia speranza e gioia del mio cuore, di’ all’anima mia se
è questa la gioia della quale dici a noi per bocca del tuo Figlio: «Chiedete e
riceverete, affinché la vostra gioia sia piena » (Joh.,
XVI, 24). Ho trovato infatti dove sia una gioia piena, e più che piena. Quando
infatti siano pieni di quella gioia il cuore, lo spirito, l’anima, l’uomo
intero, la gioia sovrabbonderà ancora oltre misura. Dunque non tutta quella
gioia entrerà in chi ne gode, ma tutti coloro che ne godranno entreranno
totalmente in quel gaudio. Di’, o Signore, di’ al tuo servo, diglielo dentro al
suo cuore, se è questo il gaudio nel quale entreranno i tuoi servi, quelli che «
entreranno nel gaudio del
loro
Signore»
(Matth.,
XXV, 21). Ma «né occhio mai vide, né orecchio udì, né entrò nel cuore dell’uomo
» (I.
Cor.,
II, 9) quel gaudio pieno di cui godranno i tuoi eletti. Dunque non ho ancora
detto né pensato, Signore, quanta gioia avranno i tuoi eletti. Ne avranno tanta
quanto sarà il loro amore, e tanto il loro amore quanta la loro conoscenza.
Quanto ti conosceranno allora, Signore, e quanto ti ameranno ? Certo « né occhio
vide né orecchio udì, né entrò nel cuore dell’uomo », in questa vita, quanto ti
conosceranno e ameranno nell’altra vita.
Ti prego, Signore: che io ti conosca, ti ami, per godere di te. E se non lo
posso pienamente in questa vita, fa’ che almeno io progredisca ogni giorno
finché venga quello della pienezza. Qui sulla terra progredisca in me la
conoscenza di te, e là si adempia; cresca l’amore per te, e là si adempia, sì
che la mia gioia sia grande, qui nella speranza, là nella pienezza reale. O
Signore, per mezzo del tuo Figlio tu ci comandi, o piuttosto ci consigli di
domandare e prometti che riceveremo, perché la nostra gioia sia piena (Joh.,
XVI, 24). Ti chiedo, Signore, quello che ci consigli per mezzo del nostro
mirabile consigliere[18]
(Is.,
IX, 6); riceverò quello che tu ci prometti per bocca della tua verità[19]
affinché la mia gioia sia piena. E intanto il mio spirito vi mediti e la
mia lingua ne parli. L’ami il mio cuore e ne discorra la mia bocca. Ne abbia
fame la mia anima, ne abbia sete la mia carne, la desideri tutto il mio essere,
finché io non entri nel gaudio del mio Signore
(Matth.,
XXV,
21) che è Dio uno e trino benedetto nei secoli. Amen.
(Rom.,
I, 25)
[1]
II
Monologion.
[2]
Si noti il diverso atteggiamento, rispetto a quello, indicato sopra, del
Monologion.
[3]
II
Monologion.
[4]
Con la Redenzione.
[5]
Fin qui S. Anselmo ha parlato della infelicità umana, propria di ogni
uomo dopo il peccato originale, ora parla della sua miseria personale.
[6]
Intelligere. Mi riservo però di tradurre anche in altri
modi (talora con
capire) Questo verbo così difficile da rendere in
italiano.
[7]
Ciò che esistesse anche in realtà.
[8]
Ossia: se ne può pensare uno più grande di lui.
[9]
Questo problema è stato ripreso varie volte da S. Anselmo: nel cap. Vili
del
De ventate, nel
De casti diaboli, cap. XII, nel
Cur Deus homo, Lib. II, cap. XVII. All’analisi dei
concetti di
potestas, necessitas, volantas e altri Anselmo aveva
dedicato uno scritto rimasto incompiuto, i cui frammenti sono pubblicati
da
F. S. Schmitt,
Ein neues unvollendetes Werk des hl. Anselm von Canterbury,
Aschendorff, Miinster 1936.
[10]
Adversitas et perversitas, che corrispondono a
quod non expedit (ciò che non gli giova) e a
quod non debet (ciò che non deve).: il poter fare ciò che
non gli giova crea in lui un contrasto, una
adversitas; il poter fare ciò che non deve lo perverte,
ossia lo corrompe moralmente.
[11]
Si può infatti capire che chi ha bisogno degli altri sopporti da loro un
torto senza punirli, perché pensa che domani può aver bisogno di loro,
ma stupisce che chi è interamente libero non punisca chi lo merita.
[12]
Contro una interpretazione di questa frase nel senso di un assoluto
arbitrarismo divino stanno queste parole del
Cur Deus homo, Lib. I, cap. XII : « Quod autem dicitur
quia quod [Deus] vult iustum est, et quod non vult non est iustum, non
ita intelligendum est ut, si Deus velit quodlibet inconveniens, iustum
sit, quia ipse vult. Non enim sequitur: si Deus vult mentiri, iustum
esse mentiri; sed potius Deum illuni non esse ». Cfr.
De concordia, n. 14.
[13]
Si veda su questo capitolo H.
de Lubac,
Sur le chapitre XIV du Proslogion,
in
Spicilegium Beccense,
I, Vrin, Paris 1959, pp. 295-312.
[14]
Cioè in Adamo, per il peccato originale.
[15]
Espressioni frequenti nella Bibbia, come annota F. S. Schmitt.
[16]
Allusione all’espressione del cap. III
dell’Esodo nella quale, a Mosè che gli domanda: « Se i
figli d’Israele mi chiederanno qual è il tuo nome, cosa risponderò ? »,
Dio risponde : « Sono quello che sono ». Nella
Vulgata : « Ego sum qui sum »
(Ex., III, 14).
[17]
Tradurrò
gaudium ora con
gioia ora con
gaudio.
[18]
Cioè del Verbo incarnato, Gesù.
[19]
Si tratta sempre del Verbo incarnato.
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23 aprile 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net