Anselmo d’Aosta

Meditazione sulla redenzione dell'uomo

 


Estratto da “IL CRISTO” Volume III, a cura di Claudio Leonardi

Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editore 2001

Breve introduzione

L’insieme delle 19 preghiere e delle 3 meditationes, raccolto da Anselmo stesso (e che in alcuni codici porta un prologo, in altri una lettera di dedica a Matilde di Canossa), lascia intendere uno scopo spirituale piuttosto che dottrinale, «Orationes sive meditationes... ad excitandam legentis mentem ad dei amorem vel timorem, seu ad suimet discussionem editae sunt» (Prologus, in S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi Opera omnia, ed. F.S. Schmitt, II, Stuttgart-Bad Cannstatt 1968, p. 3). Le ricerche filologiche Fondamentali sulle Orationes e sulle Meditationes sono in epoca moderna quelle di A. Wilmart, La tradition de prières de saint Anselme, «Revue bénédictine» 36 (1924), pp. 32-71, e vari saggi raccolti poi in Auteurs spirituels et textes de vots du Moyen Age latin, Paris 1932; e quelle di H. Barre, Prières anciennes de l’Occident à la Mère du Sauveur. Des origines à saint Anselme, Paris 1963. Cfr. anche F.S. Schmitt, op. cit., pp. 132*-130* (e anche p. 41*). Prendiamo il testo dall’ed. Schmitt, III, pp. 6-9.

La Meditatio redemptionis humanae (così intitolata nei codici di maggiore fede) è l'ultima delle tre attribuite ad Anselmo, e viene datata agli anni 1099-1100, quindi dopo la stesura definitiva del Cur Deus homo, che affronta il medesimo argomento. Il nostro testo è tratto dalla edizione citata di F.S. Schmitt, III, pp. 84-91.


 

O anima cristiana, anima resuscitata da una morte crudele, anima redenta e liberata mediante il sangue di Dio da una schiavitù infame, desta il tuo animo, ricordati che sei rinata, rifletti alla tua redenzione e liberazione. Riconsidera in che consista e quale sia la forza che ti ha salvato, soffermati nella meditazione di essa, rallegrati nella sua contemplazione. Scaccia il tedio che ti ha preso, fai violenza al tuo cuore, indirizza a ciò il tuo animo. Assapora la bontà del tuo Redentore, accenditi d’amore per chi ti ha salvato. Mangia il favo pieno del miele delle sue parole, succhia la leccornia che ha un sapore più dolce del miele, inghiotti questa salvifica dolcezza. Mangia e rifletti, succhia e comprendi, inghiotti, ama e godi. Rallegrati mentre mangi, ringrazia mentre succhi, abbi piacere mentre inghiotti.

In cosa consiste e qual è dunque la forza capace di salvarti? Senza dubbio è il Cristo ad averti resuscitato. Quel buon Samaritano ti ha guarito (cfr. Ev. Luc. 10, 33-5), quell’amico buono ti ha redento e liberato mediante la sua anima, Cristo voglio dire. La forza che ti ha salvato è la forza di Cristo.

In cosa consiste la forza di Cristo? «I bracci gli appartengono, e qui è nascosta la sua forza» (Abac. 3, 4). I bracci gli appartengono perché le sue mani sono state confitte ai bracci della croce. E quale forza ci può essere in così grande debolezza? Quale grandezza in un’umiltà così grande? C’è qualcosa di venerando in un così grande dispregio? Questo qualcosa è senza dubbio nascosto, perché è raccolto nell’umiltà; è occultato, perché unito al dispregio. O forza nascosta: che un uomo appeso ad una croce possa sospendere la morte eterna che sovrasta il genere umano; che un uomo conficcato in un legno possa sconfiggere il mondo stretto nella morte eterna! O celato potere: che un uomo condannato assieme a dei ladroni (cfr. Ev. Matth. 27, 38; Ev. Marc. 15, 27; Ev. Luc. 23, 33) possa salvare gli uomini condannati assieme ai demoni; che un uomo steso sul patibolo possa riferire a sé tutte le cose (cfr. Ev. Io. 12, 32)! O forza occultata: che una sola anima uscita dal corpo tra i tormenti possa tirarne fuori molte dall’inferno; che un uomo possa sostenere la morte del corpo e annientare la morte delle anime!

Perché, Signore buono, pietoso Redentore, potente Salvatore, perché hai compiuto una cosa così grande con tanta umiltà? Forse per ingannare il diavolo, colui che con l’inganno era riuscito a far cacciare l’uomo dal paradiso? Ma la verità non inganna certamente nessuno. Chi non vuole conoscere la verità e non le crede, costui si inganna. Chi vede la verità, e la odia o disprezza, costui si inganna. La verità non inganna nessuno. O forse lo hai fatto appunto per questo: che il diavolo stesso si ingannasse? Ma come la verità non inganna mai nessuno, così non mira a che qualcuno si inganni (benché si dica lo faccia quando lo permette). Tu hai assunto l’uomo non per occultare te stesso, che sei già conosciuto, ma per manifestare ciò che non è conosciuto. Tu ti sei detto vero Dio e vero uomo, e tale ti sei mostrato nelle tue opere. Questa realtà era di per sé velata, non occultata di proposito. Non era fatta per essere nascosta, ma perché arrivasse nel suo ordine a compimento; non per ingannare qualcuno, ma perché arrivasse ad essere ciò che era opportuno diventasse. E quando si dice che questa realtà era nascosta, lo si dice solo nel senso che non a tutti è stata rivelata. La verità infatti non si nega a nessuno anche se non si manifesta a tutti. Dunque, o Signore, hai fatto quello che hai fatto non per ingannare qualcuno o perché qualcuno si ingannasse, ma per fare nei dovuti modi ciò che si doveva fare: sei rimasto fedele alla verità in tutto. Per questo chi si è ingannato stando nella tua verità, si lamentò della propria falsità e non di te.

Forse che il diavolo aveva qualche giusto motivo per essere contro Dio o contro l’uomo, perché Dio dovesse agire contro il diavolo a favore dell’uomo nel modo detto, cioè secondo giustizia, prima di manifestarsi nella sua potenza, in modo che il diavolo, poiché uccideva ingiustamente un uomo giusto, perdesse il potere che giustamente aveva sugli uomini ingiusti? Ma Dio non doveva al diavolo altro che la punizione, e l’uomo ‘non gli doveva altro che il ricambio di quanto gli aveva fatto, in modo che come permise di essere da lui facilmente vinto con il peccato, così lo vincesse conservando intatta la giustizia persino nella difficoltà posta dalla morte. Ma anche questo l'uomo lo doveva solo a Dio. L’uomo non aveva infatti peccato contro il diavolo ma contro Dio; e l’uomo non era del diavolo, ma l’uomo e il diavolo erano di Dio. Se poi il diavolo tormenta l’uomo, lo fa per malizia, non per zelo di giustizia; e lo fa senza l’ordine di Dio, ma solo con il suo permesso, e poiché lo richiede la giustizia di Dio, non quella del diavolo. Nulla era dunque nel diavolo perché Dio contro di lui dovesse celare o rinviare di manifestare la sua potenza al fine di salvare l’uomo.

O forse qualche altra necessità costrinse l’altissimo Iddio a umiliarsi e l’Onnipotente a soffrire a tal punto per ottenere qualcosa? Ogni necessità e tutto l’impossibile sono al di sotto della sua volontà: ciò che egli vuole è necessario che sia e ciò che egli non vuole è impossibile che sia. Dunque egli ha fatto questo solamente perché lo voleva, e poiché la sua volontà è sempre buona, lo ha fatto solo per bontà.

Dio non aveva bisogno di salvare l’uomo in questo modo, ma era la natura umana ad avere bisogno che Dio venisse soddisfatto in questo modo: Dio non aveva bisogno di sopportare tanti dolori, ma era l’uomo ad avere bisogno di essere in questo modo riconciliato con Dio. Dio non aveva bisogno di essere così umiliato, ma era l’uomo ad avere bisogno di essere tirato fuori in questo modo dalle profondità dell’inferno. La natura divina non aveva bisogno e non poteva essere umiliata o soffrire: necessario era che la natura umana si umiliasse e soffrisse, per essere riportata al fine per cui era stata creata. Ma essa, come qualunque cosa non fosse Dio medesimo, non poteva bastare allo scopo. L’uomo non viene ricondotto a ciò per cui è stato creato se non viene innalzato a un livello simile a quello degli angeli, in cui non c’è nessun peccato. Ma questo è impossibile che accada se non dopo la piena remissione di tutti i peccati, che si verifica solo mediante la piena loro soddisfazione.

E questa soddisfazione deve essere tale per cui il peccatore o qualcuno per lui dia a Dio qualcosa di suo, che non sia dovuto, che sia più grande di tutto ciò che Dio non è. Infatti se peccare significa disonorare Dio, proprio questo l’uomo non dovrebbe fare, anche se fosse per ciò necessario che venisse a morte tutto ciò che non è Dio: la verità, che è immutabile, e la ragione, quando è schietta, questo esigono, che chi pecca renda a Dio, per l’onore che peccando gli ha tolto, qualcosa di più grande di quello che gli avrebbe dovuto se non lo avesse disonorato.

Ma poiché la natura umana non poteva da sola fare questo e dunque non poteva riconciliarsi con Dio mediante la soddisfazione dovuta, per far sì che la giustizia di Dio non dovesse permettere il disordine del peccato nel suo regno, intervenne la bontà divina, e il figlio di Dio assunse nella sua persona la natura umana, per essere, in questa persona, uomo-Dio; in tal modo egli aveva in sé qualcosa che andava non solo oltre ogni essenza che Dio non è, ma anche oltre ogni debito dovuto dai peccatori, e tutto questo egli lo offriva agli altri, che non avevano la possibilità di restituire quello che dovevano restituire mentre egli non aveva nessun dovere riguardo a sé stesso.

La vita di quell’uomo è invero più preziosa di tutto quello che Dio non è, ed è più grande di ogni debito dovuto dai peccatori per i loro peccati. Infatti se l'uccisione di quell’uomo supera la moltitudine e l’enormità del peccato, che si può pensare al di fuori della persona di Dio, è evidente che la sua vita è un bene maggiore di tutta la malvagità del peccato, che è al di fuori della persona divina. Ora quell’uomo, che non avrebbe dovuto morire per assolvere un debito dal momento che non era peccatore, diede spontaneamente questa vita per onorare il Padre; permise che questa vita gli venisse tolta a causa della giustizia, per dare a tutti gli altri l’esempio che la giustizia di Dio andava mantenuta anche di fronte alla morte, come talvolta capita loro di dover fare, dal momento che egli, che non aveva la necessità di morire e che poteva evitare la morte senza andar contro la giustizia, sostenne invece di sua volontà la morte a cui per causa della giustizia era stato condannato. In quell'uomo la natura umana ha dato a Dio ciò che era suo, spontaneamente, non perché era dovuto, per redimere sé stessa negli altri, nei quali ciò che era dovuto non era possibile restituirlo.

La natura divina non è stata umiliata da tutto questo, è invece la natura umana ad essere stata esaltata. Quella non è stata diminuita, questa è stata con misericordia aiutata. E la natura umana non ha sofferto nulla in quell’uomo per costrizione, ma per sola libera volontà. Egli non si è sottoposto alla violenza di nessuno; solo per sua spontanea bontà, ad onore di Dio e per l’utilità degli altri uomini, ha sostenuto con sua lode e per la sua misericordia ciò che gli era stato imposto con cattiva volontà; ma l’ha sostenuto senza che nessuno glielo imponesse per obbedienza, ma con una sapienza che tutto potentemente dispone.

Non è stato infatti il Padre a costringere quell’uomo ordinandogli di morire, è stato lui a comprendere che ciò sarebbe piaciuto al Padre e avrebbe giovato agli uomini, e per questo l’ha fatto di sua volontà. Il Padre non poteva per altro costringerlo a questo, perché non aveva niente da esigere da lui; ma al Padre non poteva non piacere un dono così grande, quale il Figlio gli offriva di sua volontà, del tutto spontaneamente. Così egli presentò ai Padre insieme obbedienza e libertà, dal momento che compì di sua volontà ciò che sapeva al Padre sarebbe piaciuto. E poiché il Padre gli aveva dato questa buona volontà pur lasciandolo libero, si dice senza sbagliare che egli ha accettato quella volontà come un ordine del Padre; in questo senso egli fu «obbediente» al Padre «fino alla morte» (Ep. Phil. 2, 8); e fece «quello che il Padre gli aveva comandato» (Ev. Io. 14, 31), e bevve «il calice che il Padre» gli «aveva dato» (Ev. Io. 18, 11). Questa è l’obbedienza perfetta e del tutto libera della natura umana: quando sottomette spontaneamente alla volontà di Dio la sua libera volontà, e quando porta a compimento, con libera spontaneità, senza nulla richiedere, quella buona volontà che ha accettato di avere.

Così quell’uomo ha redento tutti gli altri: ciò che ha dato spontaneamente a Dio viene infatti computato per il debito che essi dovevano a Dio. E con questo prezzo l’uomo è redento non una volta soltanto dalle sue colpe, ma tutte le volte che egli abbia i sentimenti della penitenza dovuta; ma questa penitenza non è assicurata a chi pecca. Poiché tutto questo si è fatto sulla croce, è per la croce che il nostro Cristo ci ha redenti; per questo chi desidera accedere a questa grazia, se ha la conveniente disposizione, è salvato; chi invece la dispregia, e perciò non restituisce il debito dovuto, è giustamente condannato.

Ecco, anima cristiana, qui sta la forza che ti dà la salvezza, questa è la causa della tua libertà, questo il prezzo della tua redenzione. Eri in prigione, ma in questo modo sei stata riscattata. Eri schiava, e così sei stata liberata (cfr. Ep. Gal. 4, 31). Così tu che eri nell’esilio sei stata richiamata in patria, tu che eri perduta hai ripreso la condizione di prima, tu che eri morta sei stata resuscitata. Il tuo cuore, uomo, imponga a sé stesso questo fatto, ci rifletta, se ne nutra come se lo succhiasse e inghiottisse, quando la tua bocca riceve la carne e il sangue del tuo Redentore. Fa’ che nella vita terrena questo sia il tuo pane quotidiano (cfr. Ev. Luc. 11, 3), il tuo nutrimento, il tuo viatico, perché per suo mezzo e solamente per suo mezzo tu rimarrai in Cristo e Cristo in te, e la tua gioia sarà piena nella vita futura (cfr. Ev. Io. 6, 57; 16, 24).

Ma tu, o Signore, che hai sopportata la morte perché io vivessi, come potrò rallegrarmi della mia libertà, che so essere dovuta alla tua prigionia? Come potrò congratularmi per la mia salvezza, che so dovuta alle tue sofferenze? Come potrò godere della mia vita, che so dovuta alla tua morte? Posso forse godere per ciò che hai sofferto, e per la crudeltà di coloro che ti hanno fatto soffrire, perché se non lo avessero fatto tu non avresti sofferto, e se tu non avessi sofferto, io non avrei i beni che ho? Se devo invece dolermene, come potrò godete dei beni per ottenere i quali hai sofferto e che non esisterebbero senza la tua sofferenza? La cattiveria degli uomini non poteva certamente ottenere nulla se tu non lo avessi permesso di tua spontanea volontà, e tu hai sofferto solo perché misericordiosamente lo hai voluto. Per questo devo da parte mia detestare la loro crudeltà, e imitare soffrendo con te la tua morte e i tuoi dolori, amare e ringraziare la tua volontà misericordiosa, e cosi gioire schiettamente dei beni che ho ricevuto.

Lascia la loro crudeltà, tu che sei uomo, al giudizio di Dio, e pensa a ciò che devi a chi ti ha salvato. Prendi in esame quello che tu eri e quello che ti è stato fatto, rifletti da chi hai avuto tutto questo e di quale amore egli sia degno. Considera in quali necessità ti trovavi e quale sia stata la sua bontà, vedi quali ringraziamenti tu gli debba fare e quanto tu debba al suo amore; tu eri nelle tenebre, eri nel fango, caduto in basso, sopra il caos fatale dell’inferno. E ti tirava giù un peso attaccato al tuo collo, enorme, come di piombo; al di sopra ci premeva un carico insopportabile; e nemici invisibili ti colpivano con tutte le loro forze. Così tu eri senza l’aiuto di nessuno, e non sapevi di essere stato concepito e di essere nato in questa condizione. Cosa ti era allora accaduto? A che scopo tutte queste cose ti colpivano? Spaventati mentre le ricordi, trema mentre ci pensi.

O Cristo Gesù, che sei buono, che sei il Signore, mentre ero in questa condizione, senza che io lo chiedessi o vi pensassi, tu mi hai dato la luce come la dà il sole, e mi hai manifestato in che modo ero ridotto. Hai tolto il piombo che mi tirava in basso; hai levato il carico che mi premeva da sopra; hai respinto quelli che mi colpivano e hai preso il mio posto di fronte a loro. Mi hai chiamato con un nome nuovo (cfr. Apoc. 2, 17), e me lo hai dato prendendolo dal tuo; ero tutto incurvato, e tu mi hai alzato così che ti potessi vedere, e mi hai detto: «Abbi fiducia, io ti ho redento; ho dato la mia vita per te. Se ti unisci a me, fuggirai il male in cui sei finito e non cadrai nel profondo in cui ormai precipitavi. Io ci condurrò nel mio regno, ti farò erede di Dio e mio coerede». Da questo momento tu mi hai preso sotto la tua protezione in modo che nulla potesse nuocere alla mia anima contro la sua volontà. Ed ecco, sebbene io non mi fossi ancora pienamente unito a te, come mi avevi chiesto, tuttavia tu non hai più permesso che io cadessi nell’inferno; e tu attendi ancora che io mi unisca pienamente a te per compiere quello che mi hai promesso.

Senza dubbio, Signore, io ero in queste condizioni e tu mi hai fatto tutto questo. Ero nelle tenebre, perché non conoscevo niente, neppure me stesso; ero nel fango, perché debole e fragile cadevo nel peccato; ero sulla china del caos infernale, perché già per colpa dei primi progenitori ero passato dalla giustizia all’ingiustizia che porta giù all’inferno, e dalla felicità all'infelicità terrena, che conduce a quella eterna. Era il peso del peccato originale a tirarmi in basso, ed era il carico insopportabile del giudizio divino a opprimermi, e i miei nemici erano i diavoli che volendo rendermi con altri peccati ancora più condannabile, mi colpivano con tutta la violenza di cui erano capaci.

Stavo così privato di ogni possibile aiuto, quando tu mi sei apparso nel tuo splendore, e mi hai fatto vedere in che condizione ero; ma poiché io non potevo ancora rendermene conto, tu hai insegnato tutto questo ad altri che prendessero il mio posto, ma poi hai insegnato tutto anche a me, prima che io lo chiedessi. Mi hai liberato dal piombo che mi trascinava in basso, dal carico che mi pesava, dai nemici che mi attaccavano: tu infatti hai allontanato da me il peccato, in cui ero nato ed ero stato concepito, e con il peccato la condanna, e hai impedito che gli spiriti maligni usassero violenza alla mia anima. Mi hai fatto chiamare cristiano usando il tuo stesso nome, e per questo nome e io professo e tu mi riconosci tra coloro che tu hai redento; così tu mi hai elevato e innalzato in modo da poterti conoscere e da poterti amare. Hai fatto sì ch’io potessi sperare nella salvezza della mia anima, per la quale tu hai dato la tua; e mi hai promesso la tua stessa gloria, se ti avessi seguito. Ed ecco, ancora io non ti seguivo, come mi avevi chiesto, anzi facevo molti peccati che mi avevi proibito, ma tu ancora attendi che io ti segua per darmi ciò che mi hai promesso.

Considera, o anima mia, poni mente, o mio più profondo essere, a come tutto ciò che tu sei, tu lo debba a lui! Senza dubbio, Signore, poiché tu mi hai creato, io devo al tuo amore tutto me stesso; e poiché mi hai redento, io devo a ce tutto me stesso; e tutto me stesso io devo perché mi hai promesso realtà così grandi. Anzi io devo al tuo amore più che tutto me stesso, tanto quanto tu sei più grande di me, e tu per me hai dato te stesso, e a me hai promesso te stesso. Te ne prego, o Signore, fa’ che io possa assaporare con l’amore quello che assaporo con la conoscenza; che io possa sentire con l’affetto ciò che sento con l’intelletto. Io devo a te - è vero - più che tutto me stesso, ma io non posseggo questo «più» e nemmeno posso restituirti con le mie forze questo «tutto me stesso»; porta tu, o Signore, dentro il tuo amore anche questo «tutto me stesso». Tutto quello che io sono è tuo per natura, rendilo tutto tuo per amore.

Ecco che il mio cuore, o Signore, è al tuo cospetto. Egli tenta, ma da solo non ne ha la forza; fai tu ciò che esso non è in grado di fare. Ammettimi tu nella stanza del tuo amore (cfr. Cant. 3, 4). Te lo chiedo, questo desidero, per questo busso alla tua porta. Tu che mi fai chiedere, fa’ ch’io possa ricevere ciò che chiedo; tu che mi fai desiderare, fammi trovare; tu che mi insegni a bussare, apri a chi bussa. A chi darai, se neghi a chi chiede? Chi troverai, se chi chiede viene deluso? A chi aprirai, se chiudi a chi bussa? Cosa darai a chi non ti supplica, se neghi il tuo amore a chi ti supplica? Da te ho avuto la possibilità di desiderare, che abbia da te la possibilità di ottenere ciò che desidero. Unisciti a lui, anima mia, non avere riguardi. Non respingerla, Signore buono; essa langue perché ha fame del tuo amore; nutrila tu. Il tuo amore la sazi; il tuo affetto la impingui; il tuo amore la pienifichi. Mi occupi totalmente e totalmente mi possegga, perché tu sei con il Padre e lo Spirito santo un solo Dio benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.

 


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23 aprile 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net