Anselmo d’Aosta – Vita
Estratto da
“Anselmo d’Aosta, Meditazioni”,
a cura di Calogero Allegro, Città Nuova Editrice 1973
Tre
città si contendono il nome prestigioso di Anselmo: Aosta, per
avergli dato i natali, Bec, per averlo avuto priore e abate, Canterbury, per
averlo avuto arcivescovo. Tre nomi, dunque, e tre paesi, ma anche tre periodi di
quella distinzione che s’impone a chi voglia parlare della vita di Anselmo. Non
possiamo qui dilungarci nella narrazione della vita di questo grande santo e
grande filosofo: ne daremo quindi solo degli accenni per ricordare i momenti più
significativi della vita di quest'uomo che riempie di sé l’XI secolo. Anselmo
nacque ad Aosta, presumibilmente nel 1033, da Gandulfo e da Ermemberga.
Gandulfo, della famiglia longobarda dei Gisliberti, era un uomo burbero, senza o
con poca fede, e soprattutto dedito ai piaceri della vita, per i quali dissipava
i beni della famiglia; chiuderà però i suoi giorni in un convento. Al contrario,
Ermemberga, aostana e imparentata, forse, coi marchesi di Torino, era una donna
mite e virtuosa. Come Agostino, Anselmo si trovò ben presto fra la pietà e
l’impietà, la virtù e il vizio. Da una parte la madre, dolce, virtuosa,
dall'altra il padre, violento e turpe. Anselmo si tenne vicino alla madre, che
lo iniziò all'amore di Dio. L'insegnamento materno fruttificò nella sua mente
tanto che il piccolo Anselmo giunse a desiderare di parlare col suo Dio, che lui
credeva abitasse le alte e inaccessibili vette delle Alpi: una notte sognò di
essere introdotto nella casa dell'Altissimo, dove, dopo un colloquio affabile,
si nutrì di un pane bianco. Chi potrà mai dire quale influsso hanno esercitato
nell’animo del piccolo Anselmo quelle montagne che inghirlandano Aosta? Forse fu
contemplando quelle vette irraggiungibili che nacque in lui l’idea di un Dio
quo majus nihil, e che
abita una luce inaccessibile.
Ancora adolescente la madre lo affidò ai benedettini di Aosta, dipendenti
dell'abbazia di Fruttuaria, perché lo educassero alla religione. A quindici anni
cosi Anselmo chiedeva d’entrare nell’ordine di san Benedetto, poiché aveva
capito che solo in un monastero avrebbe potuto vivere la vita
« secundum Deum
». L'abate, al quale si era rivolto, conoscendo l'opposizione
inflessibile del padre, si rifiutò di assecondare il suo desiderio. Il rancore
di Anselmo contro il padre, se pur non era già nato nel suo giovane cuore,
nacque e si fortificò. La via del monastero gli era preclusa: ne soffri tanto
che giunse ad ammalarsi fin quasi alla morte; e sul letto di morte implorò
l'abito di monaco, che ancora una volta gli fu negato dall'intransigenza
paterna.
Anselmo non mori: ben presto morì invece la madre, la
« nave del suo cuore », e lui rimase in balia dei flutti della
vita. Inizia così per Anselmo il periodo della dissipazione, finché, rompendo
definitivamente i suoi rapporti col padre, che ormai odiava, soprattutto per la
sua vita corrotta, scappò in Francia. Per tre anni vagò attraverso la Borgogna e
la Francia centrale, esercitando il mestiere di
magister artium, ma soprattutto studiando. Si recò poi in
Normandia, ad Avranches, dove conobbe, e ne divenne amico, Ugo detto il Lupo. Ma
in Normandia fu ben presto attratto dalla fama d’un celebre maestro di
dialettica, l'italiano Lanfranco da Pavia, priore a Bec della recente abbazia
fatta costruire da un ex soldato, Erluino. Fu così che Anselmo venne a Bec e
divenne discepolo di Lanfranco. E si diede allo studio con accanimento:
« Occupatur die noctuque in litterarum studio, non solum quae
volebant a Lanfranco legendo, sed et alios quae rogabatur studiose docendo
»
(PL 158,52).
E fu così che in lui rinacque l'antica vocazione, e, confortato dai consigli di
Maurilio, arcivescovo di Rouen, e approvato da Lanfranco, entrò nell'ordine di
san Benedetto, nell'abbazia di Bec; era il 1060 ed aveva allora ventisette anni.
E quando Lanfranco lascerà Bec per assumere la carica di abate a Caen
nell’abbazia di Santo Stefano, Anselmo, a soli trent'anni, venne eletto priore.
Il priorato di Anselmo a Bec va dal 1063 al 1078, e sono certo questi gli anni
migliori dell'attività intellettuale di Anselmo. In questo periodo scrisse
infatti molte orazioni e meditazioni, il
De veritate,
il
De libero arbitrio, il
De grammatico, il
De casu diaboli, e soprattutto il
Monologio e il
Proslogio. È in questo periodo che la fama di Anselmo supera i
confini della Normandia e della stessa Francia. Da molte parti ormai si guarda a
lui come a un maestro di pensiero e ad un educatore. Celebre è una pagina
lasciataci da Eadmero, il suo primo e più fedele biografo:
« Un giorno, un abate che era in opinione di grande santità,
ragionando con sant’Anselmo intorno al governo monastico e, tra le altre cose,
parlando di fanciulli che erano allevati nel convento, disse:
" Ditemi di grazia, o padre Anselmo, che faremo mai di costoro che
sono perversi e incorreggibili? Giorno e notte noi non cessiamo mai di batterli
ed essi invece si fanno di giorno e di notte sempre più cattivi ”. Allora
Anselmo, mostrando di ciò qualche meraviglia, rispose:
" Voi dite che non cessate di batterli? Ma, e quando sono grandi
come vi riescono? ”.
" Stupidi ”, rispose l’altro,
" e bestiali. E sant’Anselmo: " Oh, impiegate bene il vostro
nutrimento nel fare di uomini bestie! ”. L’abate gli replicò: n Che
ci possiamo fare noi? Cerchiamo in tutti i modi di costringerli a far profitto
nel bene e non veniamo a capo di nulla ”. Anselmo allora soggiunse: "Li
costringete? Ma ditemi, caro abate, se voi mettete una pianta nel vostro
giardino e subito la rinchiudete tutta all’intorno in modo che essa non possa
distendere i suoi rami, se dopo un anno andate a toglierla da quella strettura,
che tipo di albero vi troverete? Certamente con i rami storti, intricati e
rivolti. E la colpa di ciò, di chi sarebbe se non vostra che lo richiudeste così
senza alcuna regola? Ora voi fate lo stesso ai vostri allievi... Per l’amore del
Signore, ditemi, caro abate, per quale motivo voi siete tanto spietati verso di
loro? Non sono forse uomini? non sono forse della vostra stessa natura? Al loro
posto, vi piacerebbe essere trattati in questo modo? Non siete stati anche voi,
come loro sono adesso? Ne sono sicuro. Sia pure, come voi dite, che voi con
queste asprezze non abbiate altra intenzione che di farli diventar buoni, ma
avete mai visto un orefice formare su una piastra d'oro o d'argento una bella
figura soltanto col darvi colpi tremendi? "
»
[1].
Se era indulgente con gli altri, a se stesso non risparmiava rigore e penitenze:
« Sanctis meditationibus insistebat ex contemplatione summae beatitudinis et
desiderio vitae perennis immensos lacrymarum imbres effundebat.
Huius vitae miserias suas, si quae erant peccata et aliorum amarissime flebat,
et vix parum ante vigilias nocturnas saepeque nihil somni capiebat
»
(PL
158, 56.).
La sapienza, la dolcezza e la santità, dopo un periodo di opposizione, d'invidia
e di rancore contro di lui che era stato eletto priore a trent'anni e che aveva
portato nel monastero una grande novità di pensiero e di metodi educativi, gli
acquistarono la stima e l'affetto di tutti i tempi, cosicché, quando nel 1078
mori Erluino, venne eletto abate all'unanimità, nonostante la sua riluttanza.
Con Lanfranco, che nel 1070 era stato eletto arcivescovo di Canterbury, non
aveva rotto i suoi rapporti: a lui, come a maestro, si rivolgeva per consigli e
per sottoporgli le sue opere per averne l'approvazione. Ma ormai Anselmo era
tanto andato avanti nel suo programma di razionalizzazione della fede che il suo
Monologio apparve troppo ardito anche ad un dialettico come
Lanfranco. Tuttavia questo non valse ad inquinare l'amicizia fra il maestro e il
discepolo, ché anzi questi a quello, impegnato nella difficile riorganizzazione
della Chiesa d'Inghilterra dopo la conquista normanna, dava preziosi consigli. E
in Inghilterra Anselmo cominciò ad inviare alcuni di quei monaci che egli stesso
aveva formato e temprato a Bec.
Fu così che a Saint-Sauveur di Canterbury si costituì una comunità di monaci
dipendenti da Anselmo. Eletto abate, Anselmo si recò dunque in Inghilterra per
visitare i suoi monaci ed incontrarsi col maestro ed amico. E lì incontrò
Eadmero, colui che sarebbe divenuto il suo fedele accompagnatore, segretario e
biografo. Anche in Inghilterra Anselmo si accattivò la simpatia e l’ammirazione
di tutti, anche del mondo aristocratico. Introdotto a corte, divenne amico di
Guglielmo il Conquistatore, che nel 1087, prossimo a morire, fece chiamare il
monaco di Bec per ricevere da lui i sacramenti; ma in quel tempo anche Anselmo
era ammalato e non poté essere vicino al re che con la preghiera. Ma ormai la
reputazione di Anselmo in Inghilterra era tale e tanta che, quando nel 1089 mori
Lanfranco, si guardò a lui come al più degno successore della carica di
arcivescovo di Canterbury. Alla nomina si opposero i monaci di Bec, che non
volevano perdere l’amato maestro, e si oppose lo stesso Anselmo che non voleva
addossarsi quella tremenda responsabilità. Ma il nuovo re d’Inghilterra,
Guglielmo il Rosso con l’appoggio del clero riuscì a farlo nominare: era il
marzo del 1093. Narra Eadmero:
« Acclamatur ab universis, edictum regis laudat clerus et populus
omnis, nec resonat ibi ulta contradictio cuiuslibet hominis. Audit hoc ille et
fere usque ad exanimationem sui contradicit, reluctatur et obsistit: praevalet
tamen Ecclesiae Dei conventus.
Rapitur ergo, et violenter in vicinam Ecclesiam cum hymnis et laudibus portatur
magis quam ducitur
»
(PL 158,81).
Proprio nella sua elezione Anselmo vedeva il grave stato di crisi in cui versava
la Chiesa d’Inghilterra: infatti a nominarlo non erano stati i vescovi, ma il
re. Anselmo non sopportò a lungo la cosa, perché sarebbe stato proprio un
riconoscere la dipendenza della Chiesa dal potere temporale e, in definitiva, la
sopraffazione del potere religioso da parte del potere laico. Chiese così al re
di revocare la sua nomina: il re fu irremovibile, e Anselmo, che riteneva nulla
la nomina impostagli da Guglielmo, fu consacrato dai vescovi d'Inghilterra, nel
dicembre del 1093. Ebbe così inizio il contrasto fra Anselmo e il re
d’Inghilterra. Dapprima il contrasto fu alimentato da ragioni economiche: il re
infatti pretendeva la restituzione dei beni ecclesiastici di Canterbury. Anselmo
si oppose, ma mite e conciliante, offri al re 500 libbre d’argento. Ma quando
Guglielmo, per favorire lo scisma d’Inghilterra, pretese di poter decidere fra
l’antipapa Clemente III e Urbano II, Anselmo fu inflessibile e quello che era
solo un contrasto fra l’arcivescovo e il sovrano divenne lotta aperta. Avuto un
rifiuto dal re di lasciarlo partire per Roma, Anselmo, pur se abbandonato dai
vescovi fedeli a Guglielmo, a Rochingam, nel 1095, con coraggio quasi temerario
proclamò l’indipendenza del potere religioso da quello temporale. Nel 1098, poté
finalmente venire a Roma dove fu benevolmente accolto da Urbano II. Nell’ottobre
dello stesso anno Anselmo partecipò al concilio di Bari, indetto proprio per
difendere l’unità della Chiesa contro lo scisma della Chiesa greca operato da
Michele Cerulario. A Bari, ma soprattutto in un nuovo concilio tenutosi a Roma,
il papa Urbano II ribadì la separazione del potere ecclesiastico da quello laico
e sancì dure pene contro coloro che davano o accettavano le investiture laiche:
Anselmo dovette supplicare in ginocchio (flexis genibus exorat) il papa per
salvare Guglielmo il Rosso dalla scomunica
(PL 158,133-134).
Nonostante ciò il re gli impedì il ritorno in Inghilterra, e Anselmo dovette
fermarsi in Francia, a Lione, per tre anni. Succeduto a Guglielmo il fratello
Enrico il « bel chierico
», nel 1100, Anselmo poté tornare in Inghilterra. Ma dopo tre
anni, nel 1103, ancora una volta dovette abbandonare la sua sede per contrasti
con Enrico che voleva imporgli la sua investitura. Sebbene ormai vecchio,
Anselmo rivenne a Roma per avere l’approvazione e il conforto del papa, Pasquale
II, succeduto ad Urbano II. E ancora una volta Anselmo fu accolto a Roma con
benevolenza, ancora una volta fu riconfermata la condanna e la scomunica contro
le investiture laiche, ma ancora una volta al vecchio arcivescovo fu dal re
impedito il ritorno nella sua sede. E Anselmo trascorse così un nuovo esilio di
tre anni in Francia. Finalmente nel 1106, abbandonate Enrico le sue pretese,
Anselmo poté tornare a Canterbury. E in Canterbury, il 21 aprile del 1109,
all’età di 76 anni, si spense Anselmo, dopo aver ripreso benché vecchio e
stremato, la sua opera di pastore e di moralizzatore del clero. Qualche anno
prima, quando più ferveva la lotta, a Pasquale II, aveva scritto: « Non temo né
l’esilio, né la povertà, né le torture, né la morte, poiché a tutte queste cose
è pronto il mio animo, con l’aiuto di Dio, per serbare obbedienza alla sede
apostolica e per difendere la libertà della Chiesa di Cristo, mia madre »
(PL 159,3).
San Tommaso Becket chiese la sua canonizzazione; nel 1492 fu accordata a
Canterbury l’autorizzazione del culto di Anselmo dal papa Alessandro VI, su
richiesta del re d’Inghilterra Enrico VII; il 21 gennaio del 1690 Alessandro
VIII estese il suo culto alla Chiesa universale; l’8 febbraio 1720 Clemente XI,
su istanza di Giacomo III d’Inghilterra, lo proclamò Dottore della Chiesa;
infine, Pio X, in occasione dell’ottavo centenario della sua morte, lo onorò con
una enciclica, la
Communium rerum.
[1]
PL 158, 67-68;
cf. anche P.
Riché,
Dall’educ. antica all'educ. cavalleresca, Mursia, 1970,
pp. 101-102.
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7 luglio 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net