Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere:
1 Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; 2 poi il prossimo come se stesso... 31 amare i nemici, 32 non ricambiare le ingiurie e le calunnie, ma piuttosto rispondere con la benevolenza verso i nostri offensori,... 72 pregare per i nemici nell'amore di Cristo, 73 nell'eventualità di un contrasto con un fratello, stabilire la pace prima del tramonto del sole.
AMORE PER I PROPRI NEMICI
Benoît Standaert, O.S.B.
Estratto e
tradotto da "Spirituality: an art of
living: a monk’s alphabet of spiritual practices"
Collegeville, Minnesota : Liturgical Press, 2018
L'amore per i propri nemici è un tema centrale nel Vangelo di Gesù. Anche in
Paolo e nella Prima Lettera di Pietro, come pure nel breve testo ecclesiastico
antico detto la
Didaché,
viene annunciato con
forza il messaggio: Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi
perseguitano, benedite quelli che vi maledicono, ed anche " digiunate per i
vostri persecutori», [1] in cui «digiunate» denota una forma ancora più
intensa di preghiera e di intercessione.
Quando guardiamo dove viene proposta questa istruzione e come è inquadrata,
dobbiamo ammettere che non è solo un piccolo capitolo in più nell'insegnamento
di Gesù o degli apostoli. Ha un posto centrale nel Grande Discorso di Luca (Lc
6, 20-49) e, nel Discorso della Montagna di Matteo, occupa per così dire il
vertice della scala arrivando alla fine dei cinque opposti e proprio prima della
chiamata alla perfezione: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste» (Mt 5,48)
[2].
Nella
Didaché,
o
Dottrina dei Dodici Apostoli,
questi imperativi sono posti proprio all'inizio, come principi fondamentali per
lo stile di vita cristiano. Quindi nessuno può semplicemente metterli da parte e
dire: sì, va bene per le élite, per i "perfetti", ma non sono io e non è
qualcosa di cui devo preoccuparmi troppo. Siamo di fronte a qualcosa di
fondamentale. Chi sorvola su questo punto ignora il nucleo della nostra sapienza
cristiana.
Questo è ben compreso nella letteratura monastica: l'amore per i propri nemici è
uno dei suoi temi preferiti. È spesso chiamato la vera pietra di paragone della
nostra fede; finché siamo incapaci di quel tipo di amore, non abbiamo nulla da
mostrare per la nostra libertà spirituale o per il nostro vero amore per il
prossimo. Forse siamo sorpresi: i monasteri non sono luoghi di pace e di
amicizia? Perché è proprio lì che si parla tanto e così insistentemente di
"amore per i propri nemici"? In Grecia, anche sul sacro Monte Athos il russo
Starets Saint Silouan
(Ndr: 1866 – 1938, monaco
ortodosso orientale di origine russa. Si veda anche la nota 8)
ha scritto molte pagine su quell'amore! Quindi sembra che proprio lì debba aver
avuto qualche esperienza di inimicizia.
Chi si trova in stato di odio, di inimicizia, di disprezzo o di oppressione non
può fare i conti con quella parola di Gesù: il nemico è riuscito ad esaurire le
ultime riserve di benevolenza e di amabilità. La prima cosa che dobbiamo notare
è che l'amore per i propri nemici è un'impossibilità morale. Ma qui Gesù non sta
parlando di moralità. Chiede un'altra cosa: dobbiamo dare quello che non
abbiamo. Noi siamo immersi nel campo del misticismo.
Amare il proprio nemico pone un doloroso paradosso. Ma Gesù ha già scandagliato
l'altro lato del paradosso quando ha rivolto ai suoi discepoli il comando:
«Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44). «egli fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni», senza distinzione (Mt 5,45). "Ed
[egli] fa piovere sui giusti e sugli ingiusti", indipendentemente dalle
differenze (Matteo 5,45). "Poiché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi"
(Lc 6,35).
Gesù vede che Dio è indifferente a tutte le differenze che conosciamo o
avanziamo per distinguerci dagli altri. Il suo sguardo, segnato dall'abbondante
generosità di Dio, gli permette di coniare questi nuovi paradossi: ama chi ti
odia, prega per chi ti perseguita, benedici chi vuole maledirti. Perché Dio è
Dio e noi vogliamo essere suoi degni figli!
Poiché il più grande nemico risiede spesso nel nostro stesso cuore, può essere
utile costruire, secondo la veneranda tradizione, una piccola scala a cinque
gradini che ci porti al gradino più alto: il vero amore per il nemico. Matteo ci
ha mostrato come farlo in una serie di opposte costruzioni. Inizia in basso con
l'elementare "Non ucciderai" e termina in alto con "Amate i vostri nemici" (Mt
5,21-44).
Primo gradino: "Occhio per occhio, dente per dente" (Es 21,24)
Nel nostro ambiente cristiano spesso riteniamo primitivo e disumano questo
antico principio giuridico biblico. Ma in realtà sappiamo a malapena di cosa si
tratta. Altrimenti, dovremmo ammettere che noi stessi non ci avviciniamo alla
pratica di ciò che è scritto qui. Questo perché il modo di procedere del
principio presuppone tre condizioni:
a) Per rispettare la regola ci deve essere una terza persona, un giudice. In
altre parole, non ti appoggerai mai alla legge per strappare un dente a qualcuno
che ha strappato uno dei tuoi. Non è così che funziona il principio!
b) La terza persona, il giudice, determina a nome della collettività l'entità
del danno e poi infligge al colpevole una pena per risarcire il danneggiato.
c) Appena pagata la pena, il conto è saldato: nessuno serba più rancore; le
persone coinvolte, invece, possono ora guardarsi negli occhi.
Ogni gradino richiede maturità ed obiettività da parte di tutte e tre le persone
coinvolte. Rispettiamo questa procedura operativa fin dall'infanzia: essa andrà
a beneficio di tutti.
Secondo gradino: "E amerai il tuo prossimo come te stesso:
Io sono il Signore
"
Io sono il Signore.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello;
rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di
un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo
popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso.
Io sono il Signore.
(Lv 19,16-18)
Questo testo è incorniciato da un doppio "Io sono il
Signore".
Così il paragrafo
costituisce un'unità. L'intero capitolo inizia con: "Siate santi, perché io, il
Signore, vostro Dio, sono santo"
(Lv 19,2). Questa è un'applicazione del Codice di Santità del Levitico, il cuore
del libro, ed anche il cuore dei cinque libri della Torah di Mosè. Non c'è da
stupirsi che Gesù abbia scelto esattamente questa frase per raffigurare il
nucleo della Torah!
Nel testo sopra citato le frasi si susseguono: l'ascoltatore passa da una
all'altra frase. Ed il testo termina con l’esito ed il risultato finale, "e tu
amerai". Nella vostra riflessione potete aggiungere la seguente sottigliezza:
solo allora, dopo aver compiuto le cose precedenti, sarete in grado di amare il
vostro prossimo come voi stessi. Nota che "il prossimo" riceve nomi diversi:
"tuo fratello" e "i figli del tuo popolo". La relazione cresce e si adatta ad
ogni nuovo gradino.
a) Inizia con
l'odio.
Dobbiamo essere in grado di nominarlo, non negarlo o sopprimerlo. Se l'odio
sgorga nel tuo cuore, non nutrirlo contro tuo fratello. Non portare odio.
Nell'ambiente cristiano, l'odio è spesso soppresso troppo in fretta. Non abbiamo
imparato a riconoscerlo nel nostro cuore ed a lavorare con esso.
b) Rimprovera il tuo prossimo.
Ciò presuppone che siamo corresponsabili all'interno di una famiglia o di una
nazione,
e
che lo facciamo solo dopo
aver imparato a scacciare l'odio dal nostro stesso cuore. Inoltre, se non
eseguiamo questa riprovazione, siamo complici e ci carichiamo delle
trasgressioni altrui.
c) Non ti vendicherai e non serberai rancore.
Qui accade qualcos'altro oltre al puro odio: qualcuno è stato insultato da un
altro, ha subíto un'ingiustizia per mano di un altro. Il senso di vendetta si
risveglia nel corpo. Ebbene, dice il legislatore, non vendicarti e non serbare
rancore. Così, in questa massima saggia e ponderata, impari a distinguere nel
tuo cuore l'odio dalla vendetta. Ti dà la possibilità di sperimentare ciò che
questo senso sta suscitando in te, così come l'intera gamma di sentimenti che ne
derivano. E poi impara a liberarti da ogni idea di vendetta e, certamente, a non
nutrire mai la vendetta nutrendola.
d) Ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il
Signore.
Questo amore è il frutto maturo di un intero processo, qui sottolineato dalla
congiunzione "ma amerai". L'amore a cui qui si fa riferimento è, infatti, una
forma pienamente attualizzata dell'«amore per i nemici» di cui parla Gesù nel
Vangelo. Vale a dire, ami colui per il quale hai provato odio spontaneo od un
impulso di vendetta perché quella persona ti aveva ferito od insultato. Questo
non è un caso unico nell'Antico Testamento. Altrove si raccomanda l'amore per i
propri nemici, ma forse non ci siamo mai soffermati a considerarlo. Così, la
legge di Mosè insegna: "
Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai
ricondurre" (Es 23,4; cfr. Dt 22,1-4; Pr 25,21, " Se il tuo nemico ha fame,
dagli pane da mangiare”).
Terzo gradino: "La vendetta è Mia"
In effetti, accadono cose che reclamano vendetta. Le abbiamo già incontrate nel
gradino precedente del capitolo 19 del Levitico. Paolo scrive nella sua Lettera
ai Romani: «Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare
all’ira divina. Sta scritto infatti:
Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore» (Rm
12,19; si veda Dt 32,35).
La vendetta è di Dio, quando la vuole, come la vuole. Chi soffre innocentemente
rinuncia alla vendetta, non afferra la spada, ma la lascia a Dio. La nostra fede
basata sulla Bibbia ci dice che Egli non tollera che un uomo o una donna poveri
siano oppressi e sfruttati. Tutto il libro dei Salmi stimola il cuore umano a
invocare con coraggio la giustizia salvifica di Dio. Se non possiamo
aspettarcelo da Dio, che cosa succede allora? In che mondo vivremmo? "
Può essere tuo alleato un tribunale iniquo, che in nome della legge provoca
oppressioni?" (Sal 94 (93),20). No, non può essere.
Quando nel Vangelo Gesù racconta la storia della povera vedova che continua a
far valere i suoi diritti davanti al giudice iniquo, dà per scontato che abbia
senso rivolgersi a Dio con altrettanta franchezza, anche per importunarlo. Nella
sua fede è convinta che Dio non tarderà a concedere giustizia (cfr. Lc 18,1-6).
Paolo deve anche affrontare imprevisti che richiedono vendetta. Li menziona
nelle lettere, avverte gli altri della minaccia di falsi fratelli, ma lascia a
Dio il giudizio e la rivalsa. Chiede persino che non se ne tenga conto contro di
loro. Il seguente brano ne è un perfetto esempio:
Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni: il Signore gli renderà
secondo le sue opere (cfr. Sal 62 (61),12). Anche tu guardati da lui, perché si
è accanito contro la nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale
nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se
ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io
potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo
ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone (cfr. Sal 22 (21),14).
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo
regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. (2 Tm 4,14-18).
Negli incontri difficili, conflittuali e persino malvagi, il cuore dell'apostolo
prega vivamente con i versi dei Salmi; affida tutto al giudizio ed al castigo di
Dio. Alla fine, le uniche cose che regnano sono il regno e la gloria di Dio.
Quarto gradino: "Non rendete male per male..., ma...
rispondete augurando il bene" (1Pt 3,9)
Pregare, benedire, digiunare e supplicare per il benessere altrui a proprie
spese: questo ci nobilita nel profondo. Come disse il carolingio Rabàno Mauro
(Ndr: 780 circa – 856 - erudito carolingio, abate di Fulda, arcivescovo di
Magonza),
"L'amore per i nostri nemici purifica il cuore e cancella i nostri peccati
quotidiani".
A questo gradino della scala si può scoprire molto nel proprio cuore, vale a
dire come trattare positivamente un'altra persona nonostante l'atteggiamento
negativo di quella persona. "Sviluppa in te stesso le propensioni del tuo
nemico", scrive il domenicano francese Padre Sertillanges
(Ndr: Antonin-Dalmace Sertillanges, 1863 – 1948, filosofo e teologo francese),
"Ama le sue buone caratteristiche… Scopri tutto ciò che tu e lui potete fare
insieme, ama ciò che lui – in modo del tutto appropriato – ama, oppure valorizza
quell'aspetto della verità a cui è attaccato".
Agostino (354-430), che più volte affronta esplicitamente questo tema, dice a
proposito della preghiera: «Per quanto ti riguarda, prega perché tu riesca ad
amare i tuoi nemici. Per quanto riguarda l'altro, non pregare perché lui ama
Dio, ma affinché lui possa amare Dio»
[3].
Il lavoro su me stesso può essere realizzato guardando in profondità l'altro,
che vivo come mio nemico od avversario. La spiritualità orientale e occidentale
ci mostra diversi possibili paradigmi. Consideriamo i seguenti tre:
a) "Considera il tuo nemico come il tuo maestro." Un antico sutra, citato dal
Dalai Lama
(Ndr. Tenzin Gyatso –
nato a Taktser, 6 luglio 1935 - è un monaco buddhista tibetano, nonché il XIV e
attuale Dalai Lama del Tibet), afferma: "Se ho aiutato qualcuno al meglio
delle mie capacità, e se quella persona mi insulta nel più scandaloso dei modi,
posso allora considerare quella persona come il mio più grande maestro". Nel suo
commento, il Dalai Lama spiega così il testo: "Se ai nostri amici piace la
nostra compagnia e ci sono vicini, niente può renderci consapevoli dei nostri
sentimenti o pensieri negativi. Solo se qualcuno ci osteggia e ci critica,
possiamo avere accesso alla vera conoscenza di noi stessi e possiamo discernere
la qualità del nostro amore. In questo, i nostri nemici sono i nostri più grandi
insegnanti. Ci forniscono l'opportunità di mettere alla prova la nostra
capacità, la nostra tolleranza, il nostro rispetto per gli altri. Quando noi,
invece di nutrire odio per i nostri nemici, li amiamo di più, allora non siamo
lontani dal raggiungere lo stato di Buddha, la coscienza
illuminata, che è la meta cui tendono tutte le religioni.
[4]
b) "Considera il tuo nemico come il tuo medico ed il tuo benefattore", dice Abba
Zosimo nella Palestina del sesto secolo. Insegna: "Il nemico? Mi è stato mandato
da Gesù per guarire la mia carne malata, per liberare dalla vanagloria la mia
anima malata e per bruciarla con il ferro rovente. Grazie al nemico è diventato
impossibile non guardare in faccia il nostro orgoglio o non scoprire la nostra
aggressività, il nostro impulso di vendetta, il nostro odio... Grazie a lui
impariamo a nominare una ad una tutte le passioni che abitano in noi e che ci
consumano... Loro, i nostri nemici — sono i nostri veri benefattori: ci
assicurano il Regno dei cieli». Tutta la vita dell'abate Zosimo gira quasi
costantemente attorno all'unico tema di fare buon uso di quel nemico
invincibile: chi lo fa con successo sarà condotto alla vera dolcezza ed umiltà
di cuore di Gesù. "Accetta che lui sia il tuo medico e permettigli con
gratitudine di guarirti."
[5]
c) "Considera il tuo nemico tuo fratello e vedilo come il tuo futuro compagno in
cielo". Considera il tuo nemico come tuo fratello, dice più volte Agostino nei
suoi commenti alla Scrittura
(Discorso (Sermo)
56 e
Commento alla prima lettera di san Giovanni, Omelia 8, cap. 4;
10-11). Tutta la tradizione ricorda l'esempio
per
eccellenza
di Stefano morente, per la conversione di Saulo di Tarso. «Sostenuto dalla forza
della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, e meritò di avere compagno
in cielo colui che ebbe in terra persecutore.» (dai “Discorsi” di Fulgenzio di Ruspe
(Ndr: Fulgenzio di Ruspe (468 circa – 533) è stato un vescovo e santo berbero,
vescovo di Ruspe in Tunisia all'epoca occupata dai Vandali),
omelia per la festa di santo Stefano, nel breviario del 26 dicembre).
Tommaso Moro
(Ndr. Sir Thomas More, latinizzato in Thomas Morus e poi italianizzato in
Tommaso Moro (1478 – 1535), è stato un santo, umanista, scrittore e politico
cattolico inglese)
aveva riflettuto profondamente sull'esempio di Stefano quando venne a conoscenza
della sentenza inflittagli dal re d'Inghilterra, Enrico VIII. Tommaso Moro fu
condannato al patibolo. In uno dei suoi ultimissimi discorsi ai suoi giudici,
avrebbe detto:
No, signori, non ho più niente da aggiungere se non che - come si legge negli
Atti degli Apostoli - San Paolo era presente e consenziente alla morte di santo
Stefano ed ebbe in custodia le vesti di coloro che lo lapidavano: eppure ora
sono entrambi santi in Paradiso, e lassù saranno amici per sempre. Così, io
fermamente confido - e con tutto il cuore lo chiederò nelle mie preghiere -che,
benché voi, monsignori, siate qui in terra i giudici della mia condanna,
possiamo un giorno ritrovarci tutti insieme nella gioia del Paradiso, per la
nostra eterna salvezza. E allo stesso modo io prego Dio Onnipotente di
proteggere e difendere la Maestà del re e di concedergli il suo buon consiglio.
[6]
Qualche secolo prima di Tommaso Moro, Anselmo di Canterbury (Ndr.
Anselmo d'Aosta, noto anche come Anselmo di Canterbury o Anselmo di Le Bec
(Aosta, 1033 o 1034 – Canterbury, 21 aprile 1109), è stato un teologo, filosofo
e arcivescovo cattolico franco)
scrisse una lunga
preghiera sull'amore per i propri nemici. Vorremmo citare alcune righe di questa
famosa preghiera. Visto dalla prospettiva di Dio, il nemico è ugualmente un
compagno di servizio, destinato alla gloria quanto noi e, da questo stesso alto
punto di vista, non siamo meno compagni peccatori di quello che ora vediamo come
nostro avversario o nemico. Chi tiene lo sguardo fisso su Dio e attende solo la
sua gloria trova parole e pensieri che parlano dolcemente e sinceramente anche
degli altri, anche se quegli altri sono nemici personali:
Il tuo servo ti supplica per questi tuoi co-servitori affinché smettano di
insultare la bontà di un Signore così grande e amoroso per causa mia
(propter me),
ma che, per causa tua
(propter te),
si riconcilino con Te e
si dichiarino in accordo
con me
secondo la tua volontà. Questa è la vendetta
(vindicta)
che il mio intimo cuore desidera: che, per quanto riguarda questi nemici, come
me servi e peccatori
(conservi, conpeccatores),
noi unanimi, con amore quale nostro maestro, seguiamo il nostro Signore di tutti
per il bene comune.
[7]
Forse potremo almeno tenere nel cuore questo pensiero dei padri la prossima
volta che ci troveremo in un feroce litigio: ricordiamoci della festa promessa e
non malediciamo mai un altro, con i pensieri o con le parole, come se non
volessimo vedere quella persona seduta al futuro tavolo del banchetto che verrà.
Altrimenti corriamo il grande rischio di non essere invitati a sederci noi
stessi a quel tavolo.
Quinto gradino: "Pregate per i vostri nemici per amore di Cristo"
Il nostro padre Benedetto scrive nella sua Regola che dobbiamo pregare per i
nostri nemici
in Christi amore,
per amore di Cristo, e non altrimenti (RB 4,72). Starets Silouan
(Ndr. Si veda la nota 8)
ripete costantemente: "Non siamo in grado di amare i nostri nemici se non
attraverso la grazia dello Spirito Santo". Questa non è opera umana. Qui stiamo
arrivando al vero momento mistico di quell'amore. Non siamo noi ad amare i
nostri nemici, ma Cristo in noi, per opera dello Spirito Santo, che ha riversato
nei nostri cuori l'amore di Dio (Rm 5,5; cfr. anche Gal 2,20: «Non vivo più io,
ma Cristo vive in me").
Negli scritti di questo santo russo del Monte Athos leggiamo altre catechesi
sull'amore intenzionale per i propri nemici. Giovanni Crisostomo
(Ndr. Giovanni Crisostomo (Antiochia di Siria, 344/354 – Comana Pontica, 14
settembre 407) è stato un vescovo e teologo greco antico)
osserva da qualche parte che "amare i nemici ci rende simili a Cristo". Tutta la
tradizione concorda. Consentiamo a Starets Silouan del Monte Athos di fornire
qualche spiegazione aggiuntiva:
Abba Paissio
[8] pregò per uno dei suoi discepoli che aveva rinnegato
Cristo e, mentre stava pregando, il Signore gli apparve e disse:
"Paissio, per chi preghi? Non
sai che questo discepolo mi ha sconfessato?" Ma il santo continuò a provare
compassione per il discepolo ed allora il Signore gli disse: "Paissio, con il
tuo amore sei diventato simile a Me!" Solo così troveremo la pace; Non c'è altro
modo. Se qualcuno prega molto e digiuna spesso, ma non ha amore per i suoi
nemici, non può possedere la pace del cuore. Ed io stesso non avrei potuto
parlare di ciò se quell'amore non mi fosse stato rivelato dallo Spirito Santo.
[9]
Isacco il Siro (VII secolo), una fonte lontana che alimentò anche Starets
Silouan, annotò in modo simile:
[Un cuore misericordioso] è l'ardore del cuore che
brucia per il bene dell'intera creazione... Esso offre continuamente lacrime di
preghiera anche per gli animali irragionevoli, per i nemici della verità e per
coloro che gli fanno del male, affinché possano essere protetti e ricevere
misericordia. Ed allo stesso modo prega addirittura per la famiglia dei rettili
per la grande compassione che arde senza misura nel suo cuore, a somiglianza di
Dio.
[10]
Questi sono i precetti, disposti sotto forma di scala. Nell'intimo del nostro
cuore sentiamo che Gesù ci sta dicendo qualcosa che tocca la nostra più intima
libertà e che affonda le sue radici che nel cuore di Dio. Nessuna morale è qui
proclamata, solo una lezione mistica. Come ci insegnano i santi, senza lo
Spirito Santo, senza l'interiorizzazione di Cristo, una persona non riuscirà ad
amare i suoi nemici. La somiglianza del nostro amore con quello di Dio avviene
nel e per mezzo del fuoco della sua grazia. Allo stesso modo, Padre Christian de
Chergé, il priore del monastero trappista di Tibhirine nelle montagne
dell'Atlante (in Algeria) assassinato nel 1996
(Ndr. assieme a sei
confratelli),
ci comunica, in una lettera testamentaria, (anticipando il suo assassinio) dove
spera di essere condotto dal comune Dio e da Allah:
Venuto il momento, vorrei
avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di
Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con
tutto il cuore chi mi avesse colpito...
[11]
Padre Christian de Chergé conclude pregando che, a Dio piacendo, lui ed il suo
assassino possano "ritrovarsi, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre
nostro, di tutti e due".
[1] La Didaché, disponibile su
https://ora-et-labora.net/regoladidacheindice.html.
[2] Ndr: Le citazioni bibliche sono state tradotte tramite la
Bibbia CEI ed. 2008.
[3]
Ndr. Nel testo
di Agostino “Commento alla Lettera di Giovanni” - cap. 10, non ho
trovato la citazione esatta, ma solo questa frase che richiama il testo:
“Tu non ami in lui ciò che è, ma ciò che desideri che sia (non
enim amas in illo quod est; sed quod vis ut sit).
[4]
Jean-Yves Leloup, "Un maître spirituel, le Dalai Lama", Vie Spirituelle, n. 134 (1980):
368.
[5]
Cfr. Zosima, Colloqui, in Parole del deserto. Detti inediti di
Iperechio, Stefano di Tebe e Zosima (Magnano: Ed. Qiqajon, 1992),
101-24.
[6]
Estratto da "San Tommaso Moro", a
cura di Giuseppe Petrilli - Ed. A. Martello 1972.
[7]
J.P. Migne, Patrologiae Latinae cursus completus Vol. 158: 908-910 -
Anselmo di Canterbury -
Orazione XXIV - A Cristo -
A favore dei nemici.
[8] Padre Paisios (Pharasa, 1924 – Souroti, 1994) è stato un
monaco greco cristiano della Chiesa ortodossa. Particolarmente venerato
in Grecia, è stato monaco del Monte Athos. Il 13 gennaio 2015 padre
Paisios è stato iscritto nel registro dei santi della Chiesa ortodossa
su approvazione del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico di
Costantinopoli. (Fonte Wikipedia)
[9]
Archimandrita Sophrony, Starets Silouane, Moine du Mont Athos. Vie, doctrine,
écrits (Sisteron, ed. Presence,
1989), 292.
[10]
Il testo inglese (qui tradotto liberamente in italiano) è tratto da “The Ascetical
Homilies of Saint Isaac the Syrian” (Omelie ascetiche di sant'Isacco il Siro), 344.
[11]
“Testamento spirituale del Padre Christian de
Chergé”
tratto dal sito
https://ora-et-labora.net/ecumenismotibhirine1994.html.
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18 marzo 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net