Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere (estratti):
1 Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; 2 poi il prossimo come se stesso... 8 onorare tutti gli uomini, 9 e non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi... 41 Riporre in Dio la propria speranza, 42 attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi, 43 ma essere consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità.... 63 Adempiere quotidianamente i comandamenti di Dio... 74 E non disperare mai della misericordia di Dio.
sant’Agostino, vescovo |
David Maria Turoldo |
S
ant’Agostino, vescovo
Dai «Trattati su Giovanni» (Tratt. 17, 7-9; CCL 36, 174-175)
Estratto da: "L'ora dell'ascolto" a cura dell'Unione Monastica Italiana per la
Liturgia, UMIL, Edizioni Piemme 1997;
È venuto il Signore, maestro di carità, pieno egli stesso di carità, a
ricapitolare la parola sulla terra (cfr. Rm 9, 28 volg.), come di lui fu
predetto, e ha mostrato che la Legge e i Profeti si fondano sui due precetti
dell’amore. Ricordiamo insieme, fratelli, quali sono questi due precetti. Essi
devono esservi ben noti e non solo venirvi in mente quando ve li richiamiamo:
non si devono mai cancellare dai vostri cuori. Sempre in ogni istante abbiate
presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta
l’anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22, 37. 39).
Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare. L’amore
di Dio è il primo come comandamento, ma l’amore del prossimo è primo come
attuazione pratica. Colui che ti dà il comando dell’amore in questi due precetti
non ti insegna prima l’amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa.
Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito
di vederlo; amando il prossimo purifichi l’occhio per poter vedere Dio, come
chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare
Dio che non vedi? (cfr. 1 Gv 4, 20). Se sentendoti esortare ad amare Dio,
tu mi dicessi: Mostrami colui che devo amare, io non potrei che risponderti con
Giovanni: Nessuno mai vide Dio (cfr. Gv 1, 18). Ma perché tu non ti creda
escluso totalmente dalla possibilità di vedere Dio, lo stesso Giovanni dice:
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio» (1 Gv 4, 16).
Tu dunque ama il prossimo e guardando dentro di te donde nasca quest’amore,
vedrai, per quanto ti è possibile, Dio.
Comincia quindi ad amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame,
introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo, e non disprezzare
quelli della tua stirpe (cfr. Is 58, 7). Facendo questo che cosa
otterrai? «Allora la tua luce sorgerà come l’aurora» (Is 58, 8). La tua
luce è il tuo Dio, egli è per te la luce mattutina, perché verrà dopo la notte
di questo mondo: egli non sorge né tramonta, risplende sempre.
Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il
cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con
tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il
prossimo l’abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque, il prossimo con il quale
cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere.
Responsorio
1 Gv 4,19. 10-11. 16
R Dio ci ha amato per primo, e ha mandato il suo Figlio come vittima per i
nostri peccati. *Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli
altri.
V Abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi.
R Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
(Estratto da: "Amare" - Edizioni San Paolo, 1986 (ed.
2001)).
«E volgendosi ai
discepoli, in disparte, disse:
“Beati gli occhi che
vedono ciò che voi vedete.
Vi dico che molti
profeti e re hanno
desiderato vedere ciò che
voi vedete,
ma non lo videro,
e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono”.
Un dottore
della legge si alzò
per metterlo alla prova:
“Maestro, che cosa devo
fare per ereditare la vita eterna?”.
Gesù gli disse: “Che
cosa sta scritto nella Legge?
Che cosa vi leggi?”. Costui
rispose:
“Amerai il Signore Dio
tuo con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima,
con tutta la tua forza
e con tutta la tua
mente,
e il prossimo tuo come
te stesso”.
E Gesù: “Hai risposto
bene; fa’ questo e vivrai”.
Ma quegli, volendo
giustificarsi,
disse a Gesù: “E chi è
il prossimo mio?”.
E Gesù rispose:
“Un uomo scendeva da
Gerusalemme a Gerico…” ».
(Lc 10,23-30a)
Un
uomo scendeva
Alla fine, è bene incentrare ogni attenzione sul Vangelo. Sappiamo
tutti che è in gioco la stessa vita eterna. «Maestro, che debbo
fare?».
Senza Vangelo non avrebbe senso che stessimo a leggere nessuna pagina della Bibbia: tranne che per motivi di bellezza letteraria: perché per essere bella è bella. Ma questo non basta. Il Vangelo è la nostra sola regola di fede: quel Vangelo che san Francesco proponeva ai suoi frati come unica norma «sine glossa». Anche se poi le cose sono andate molto diversamente, povero Francesco! È il Vangelo lo statuto fondante tanto la vita di ogni cristiano, come quella di ogni comunità. Ed è il Vangelo a riassorbire tutta la Scrittura. Di questo, dalle parole che ora vogliamo meditare, ne avremo una conferma. La cosa più grande è l’unità e la continuità di Dio dalla Genesi all’Apocalisse, l’unità e la continuità del messaggio. E Cristo, com’è pienezza della divinità, così è il riassunto di tutta la rivelazione: «Cosa sta scritto nella Legge?».
La risposta che è
stata data a questa domanda già mi fa pensare, come dicevo, alle tante
regole e costituzioni degli ordini religiosi e monastici. Cose meravigliose
certo, sapienza dei secoli, inventiva dello Spirito Santo e creatività
sempre inesausta della Chiesa. Ma la risposta è sempre una, la quale
attraversa tutta la storia santa: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la
forza…». Mi viene in mente la mia regola monastica, quella di sant’Agostino,
che cominciava così: «Prima di tutto e sopra ogni cosa si ami Iddio e poi il
prossimo: questo è l’essenziale a noi comandato». Ricordo come il mio
superiore generale (che brutta parola!) mi richiamò una volta un punto molto
avanzato delle costituzioni, punto che allora io non riuscivo ad osservare -
forse il 79 o l’80, non so -; allora con tutta apprensione gli dissi: «Ma
come? lei, padre, mi vuole già al punto 79, quando io mi sento ancora fermo
al primo?
A quell’ “ante omnia, fratres carissimi, diligatur Deus deinde proximus!…”
(prima di tutto, fratelli carissimi, si ami Iddio e poi il prossimo)». Sì,
ero fermo a quel comma! Ed è il comma che ancora mi sbarra la strada; è qui
che ho i miei dubbi, sia per me che per la mia comunità: per la famiglia,
per la società… Perché da qui dipende ogni legge e profezia, dipende tutta
la storia: e dipende la salvezza eterna. Religione di un solo comando e non
dei diecimila precetti; fede liberatrice; Chiesa come paese della fraternità
e dell’amore; perciò figura del regno che deve venire. Altrimenti è figura
di niente. Ed è sempre l’unico e medesimo comandamento.
Anche il Dio dell’Antico Testamento è amore.
«Andate a vedere cosa vuol dire “io voglio amore e non sacrificio”. Solo
nella misura in cui questo si fa anima della storia, ci sarà vera
liberazione dell’uomo; e si farà giustizia; e ci sarà pace, e armonia e
bellezza di vivere. Solo nella misura in cui questo si avveri, ecco che la
storia si realizza secondo l’unico piano di salvezza; e l’umanità cresce e
avrà un progresso e tutti avranno il gusto del bene. Perché non c’è altro,
non c’è altro da fare.
Questo è detto dal Vangelo del samaritano, prima di aprirsi sulla
parabola. Così, in fatto di proposte e di programma, ora si raggiunge
il culmine e si propone la sintesi. Tutto è contenuto in questo
Vangelo.
Il racconto è uno dei più piccoli di tutta la letteratura del mondo, appena undici righe, forse quindici, conforme le edizioni; quindici righe in cui è raccolta la possibile soluzione della storia, il dramma dell’uomo singolo come quello della società. Ed è qui che è riassunta, come dicevo, tutta la Bibbia; e la futura storia della Chiesa; e la mia e la tua storia.
Da questo comando nessuno può dirsi dispensato o interdetto mai. Ricordo un
incontro con il cardinale Montini, allora vescovo di Milano. Io ero appena
stato allontanato da Nomadelfia: mille e trecento fra bambini e i pochi
adulti da assistere, allora, in quelle condizioni! L’ordine era di
abbandonare tutto e di non interessarci più noi sacerdoti; anzi, ordine di
non incontrarci neppure e di partire per l’estero… Ma quei bambini dovevano
pur mangiare e soprattutto essere amati com’erano amati. Continuare dunque o
no? Era la questione che sottoposi allora al vescovo Montini. La sua
risposta - la ricorderò sempre - mi venne chiara, decisa, fermissima,
appunto evangelica: «Non c’è nessuna legge al mondo che possa proibire la
carità». Un ricordo che mi ha consolato in quei duri e lunghi anni, e perciò
gli conservo ancora gratitudine. Non c’è altro, non c’è altro da fare.
È anche per queste esperienze e per questa convinzione che ho esposto le
cose che ho scritto circa l’unica umanità possibile. Ecco come tutto
ritorna.
Dunque: un dottore della legge si alzò per mettere Gesù alla prova. Non
tutti e non sempre abbiamo il cuore puro per accostarci, come si deve, a
Cristo. Non sempre le intenzioni di chi gli sta vicino sono giuste: Dio ce
ne liberi! Ma la verità si fa strada comunque.
E gli chiese: «Maestro, cosa devo fare per la vita eterna?». «Cosa sta scritto nella Legge? cosa vi leggi?». Era un avvocato e il codice lo doveva sapere, perciò rispose quello che rispose: «Amerai Dio e il prossimo con tutta la tua anima…». Sant’Agostino, l’autore della mia regola monastica, diceva che «qui c’è tutto l’uomo». Tutto dipende da questo. Ripetiamo all’infinito: non ci sono né altri progetti d’umanità, né altre leggi salvatrici. Senza amore si muore. Una società senza amore è impensabile. Una Chiesa senza amore è assurda; anzi diabolica; il diavolo è il principio di ogni divisione. Mentre la Chiesa deve essere «il sacramento dell’unità e della pace di tutto l’universo». Neppure una qualsiasi famiglia è pensabile. Qui si riassume la sorte del mondo e il destino di ognuno. Infatti Gesù rispose: «Hai detto bene, fa’ questo e vivrai». Fa’ questo, solo questo! non altro; non c’è bisogno di altro! E vivrai: cioè avrai realizzato la tua vita nel tempo e avrai la vita eterna che è Dio. Solo l’amore vince la morte. Chi ama non muore, perché si dona! E vive nell’altro. O meglio, vive in Dio, per sempre.
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse: «E chi è il mio prossimo?».
Perché giustificarsi? Aveva forse bisogno di scuse, di attenuanti?
forse in quanto sapeva ma non
praticava? Già, è grande e grave e intrecciata la problematica!…
«Il prossimo»: parola difficile! Prossimo, più prossimo, meno
prossimo; prossimo nel sangue o nello spirito! … E poi… «lo amerai
come te stesso». Allora è giusto che prima cominci da me! Proprio così
«charitas incipit ab egone» (la carità comincia da me stesso): prima
io e poi gli altri. E se non ne avanza per gli altri? Quando mai c’è
una fine per l’egoismo? Se prima viene l’io e poi il tu, è chiaro che
prima vince l’egoismo e poi l’altruismo. Eppure è scientifico che non
ce n’è mai d’avanzo per l’egoista. Non esiste neppure per l’America
un’economia del superfluo. «Ego, egonis, egoni, egonem, egone»: si è
declinato l’indeclinabile e si è posto l’ego in tutti i casi. Perciò
il dottore volendosi giustificare - e ne aveva ben donde! -
disse: «E chi è il mio prossimo?». Gesù, sempre accondiscendente
nonostante tutto, rispose: «Un uomo scendeva…».
Notiamo subito i personaggi della parabola: un uomo, una banda (una
società di ladri come direbbe Santi Romano, un classico del diritto);
un prete, un levita, un samaritano, un oste che incassa… Forse ci
siamo tutti.
Sulla medesima strada
Prima un uomo. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico». Chi era?
anzi, chi è? Non ha nome, non c’è una carta d’identità (tanto
meno il samaritano gli chiederà documenti). Non un segno per sapere
chi fosse, anzi chi sia. Poteva essere, o meglio, può essere
un ebreo o un arabo; un giovane o un vecchio, un povero o un ricco
(sì, anche un ricco, dal momento che è finalmente derubato anche lui),
un onesto, un disonesto (sì, anche un disonesto, dal momento che è
carico di ferite); può essere un bianco, un nero, un europeo, un
americano; un maoista, un bolscevico, un anarchico; può essere un
cattolico, un protestante, un musulmano… Può essere perfino un
contestatore; un brigante anche lui; un assassino… Infatti è sempre un
rischio fermarsi non ad aiutare ma perfino a guardare. Oggi poi!
Ma si sa almeno chi è significato. È un uomo in viaggio, un uomo in
cammino; ed è sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico; non da
Gerico a Gerusalemme; non c’è nulla di inutile nei Vangeli; e attenti
a tutti i particolari, che sono particolari sottolineati da Cristo. Se
andava a Gerusalemme, si poteva pensare a un pellegrino, a un uomo
«che saliva al tempio per pregare». Invece può essere un pellegrino di
ritorno, già dimesso dalla Chiesa; o addirittura uno che volta le
spalle alla religione, almeno a quella religione. Potrebbe
essere un operaio che andava a cercar lavoro nella piana ubertosa di
Gerico, non trovandolo nella capitale santa. Perché è certo che il
Vangelo segna almeno una rivoluzione di carattere religioso, come
vedremo anche da questa parabola.
È un uomo che «incappò in una banda di briganti»; ed ora è spogliato e percosso; e poi è lasciato solo, mezzo morto, carico di ferite, ai margini della strada. Ma non si sa il nome e il cognome, ma in compenso si hanno molti particolari; un incalzare di note, una più grave dell’altra: spogliato, percosso, abbandonato, emarginato (ecco da dove deriva questa parola: dal margine della strada al margine della vita). È il Vangelo a dire «mezzo morto», non mezzo vivo; un Vangelo che tende al peggio, questa volta; pessimismo o semplicemente realismo evangelico?
Strano che qui sia il povero malcapitato a non
avere nome; invece nella parabola dell’epulone è il ricco che non ha nome;
anzi, là il ricco non è detto neppure uomo; infatti è scritto «dives
quidam», un certo ricco. Il ricco non è neppure un uomo secondo il Vangelo?
Certo non è un uomo perché ricco! Mentre subito è scritto che c’era anche un
povero di nome Lazzaro. Là, nella parabola del ricco, il povero ha un nome:
davanti a Dio il povero ha un nome, si chiama Lazzaro; mentre non sappiamo
chi sia il ricco. Cosa conta il ricco davanti a Dio? Avrà mai un nome? E
però un ricco di cui si sanno tante cose; si sa «che vestiva di porpora e
bisso»; si sa «che banchettava ogni giorno», mentre al suo portone… Appunto,
si sa che abitava nel palazzo, ecc… E dunque, qui è il povero che non ha
nome per gli uomini, là il ricco non ha il nome per Iddio. Ma, chi sarà
questo povero?
Non c’è dubbio circa chi significhi questo uomo: un qualsiasi uomo,
spogliato, percosso, umiliato, emarginato. Anche se fosse un
delinquente; almeno dal momento che uno è caricato di ferite; fosse
anche Caino. Dio è anche dalla parte di Caino dal momento che Caino
può essere braccato: «Guai a chi uccide Caino! Costui sarà ucciso
sette volte…».
Un uomo: quest’oceano di uomini spogliati, percossi, umiliati,
sfruttati, offesi, morenti, abbandonati ai margini della cosiddetta
civiltà, ai margini delle grandi arterie della vita,
dell’organizzazione, dell’industria, del commercio; abbandonati al
limitare del deserto; o ricacciati indietro come cavallette nella
giungla. Un uomo, molti uomini; centinaia di milioni di indiani,
milioni di africani, di asiatici, di cinesi. Sacche di umanità per
ogni continente: sacche di disoccupati, ingrumati fino nelle piazze
centrali del sistema. E andrà ancora peggio. Tutti caduti in mano ai
briganti? E chi può essere questa società di briganti? Quando uno vive
in un sistema dove l’uomo non conta niente, perché conta il profitto
avanti tutto; conta l’efficienza, la potenza, il denaro, quest’ultimo
cosa deve dire? Quando uno pensa a quante di queste ricchezze, che
fondano il nostro orgoglio e il nostro strapotere, provengono dal
paese dei poveri e dal loro sfruttamento; e noi diventiamo sempre più
ricchi e loro sempre più poveri - come sostiene la Populorum
progressio - quest’uomo cosa deve rispondere? Pensiamo alla
provenienza della maggior parte dell’oro del mondo e dei diamanti e di
tanta parte dell’energia; pensiamo ai capitali dell’America Latina che
sono per due terzi in mani straniere; pensiamo alla vicenda del Cile,
del Nicaragua, della Cambogia, dell’Indonesia… Altro che un uomo mezzo
morto, ai margini della civiltà: Potranno mai rialzarsi e continuare
il loro cammino queste turbe immense di infelici? Ed ora c’è un terzo
mondo, e poi ci sarà un quarto mondo, e poi ci sarà un quinto mondo…
Le inutili lotte che dovranno sostenere e il sangue che dovranno
versare, per avere almeno il diritto a una dignità, per essere appunto
uomini anche loro!
Pensiamo al Sud Africa, all’Asia… pensiamo alle multinazionali…
Invece dice il Signore: «Guai a voi che aggiungete casa a casa, vigna
a vigna, come se foste voi soli a vivere e fosse vostra la terra!». Un
santo dice che, quando uno si arricchisce, lo fa sulla vita di cento
poveri. «Guai a voi che divorate il mio povero come se fosse un
boccone di pane!». Credo che non ci sia una sola affermazione del
Signore, dove il ricco non sia trattato da ladro. Può essere benedetta
la ricchezza che è di tutti, perché è di Dio; ma il ricco,
specialmente del Vangelo, è per definizione un maledetto: «Beati voi
poveri, maledetti voi ricchi». Per Cristo il ricco è più che un ladro:
è un idolatra. E per il profeta significa uno che succhia il sangue
della povera gente, servendosi perfino della morale e della religione.
Secondo la Rerum Novarum l’operaio non è forse, un comperato o
un venduto? il solo elemento dice l’enciclica, che esce dalla fabbrica
defraudato dalla dignità, quando perfino la materia esce nobilitata.
Per sant’Ambrogio, un ricco è sempre o iniquo o erede di iniqui.
E va bene: è il sistema. E con questo? Che almeno si possa dire che il
Vangelo non ha niente a che fare con il sistema. «Padre ti prego: che
essi siano nel sistema, ma che non siano del sistema».
Poi sarà quel che sarà. Almeno una scelta di campo se non altro.
«Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada…». E chi è
questo sacerdote? È sufficiente dire che è un prete? Ma io conosco
tanti preti che si sono fermati. Questo sia detto come premessa.
Tuttavia c’è uno indicato senza ambiguità, con riferimento preciso
alla sua condizione: un prete! E parliamone pure senza complessi:
tanto più che c’è di tutto tra i molti di una qualsiasi professione.
Ma perché Cristo ti fa passare per primo un prete?
Intanto, notiamo quel «per caso». Come se Cristo credesse al caso: quando
invece qui erompe già la rivelazione sugli intrecci misteriosi dei destini
umani: come se tutto sia legato; e come siano osservati da
Qualcuno tutti i particolari delle
mosse degli uomini: come appunto nulla avvenga per caso; e quanto non sia un
caso che anche il prete «scendeva». Nessuno può dirsi estraneo alle sorti
dell’uomo; nessuno può dire: «Io non c’entro». Siamo tutti sulla medesima
strada, nella medesima storia; e non c’è dubbio che ci salveremo e ci
perderemo tutti insieme.
Il primo dunque a passare di lì è un sacerdote: perché? Lo avesse messo per
ultimo, o non lo avesse neppure nominato! Un prete, e per primo! È naturale.
Se non si mette in testa a tutti un prete a salvare l’uomo; un prete che si
fermi dove c’è un uomo in pericolo, qualcuno che è spogliato, oppresso,
umiliato; se non si ferma un prete davanti ad un uomo carico di ferite e
depredato perfino della sua dignità, chiunque egli sia, chi deve fermarsi
per primo? Se una religione o meglio una fede (e quale fede!) non si propone
per prima cosa la salvezza dell’uomo, una salvezza che sia concreta,
tempestiva, operante perfino dentro la cronaca più nera; se una religione
non ha come scelta la partecipazione umana - Cristo che si fa uomo - e
questa non sia una scelta primaria, partecipazione alla sorte dell’uomo più
emarginato e colpito, che religione e fede saranno mai? Un prete cosa ha di
più importante da fare? Fossero anche dei pontificali, dei congressi
eucaristici: cose santissime! Dio sa che non mentisco. Ma se sono avulsi
dalla storia quotidiana dell’uomo di oppressione, a che servono? Fossero
anche le dolci quaranta ore di silenzio e di orazione davanti al Dio che si
dona, quando non fossero insieme una condivisione delle quaranta ore
dell’operaio in fabbrica, o delle molte ore di fame delle masse indiane,
cosa potrebbero significare e come potrebbero essere credute? «Smettete di
presentare offerte inutili… Perché quando stendete le mani io volto altrove
la faccia; anche se moltiplicate le preghiere, io non vi ascolto…» (Is
1,11ss).
Questo è il problema: cosa rappresenta una religione, cosa vuol dire
credere; cosa ha di più importante un prete… Infatti dove andava quel
prete sulla strada di Gerico? Che programma più urgente aveva? Se pure
aveva un programma…
Da notare che «quando lo vide», quando vide quell’uomo, «passò oltre
dall’altra parte». Perché? Lo ha riconosciuto forse? e quindi lo avrà
giudicato? Comunque ha creduto bene di andarsene e lo ha anche
scansato. E dove se n’è andato? «Oltre!».
Cosa c’è più oltre. L’inutilità di una religione, in due righe! Una religione che non si ferma
davanti all’uomo è una religione inutile. Come devono
essere suonate quelle parole nelle orecchie dei preti di quel tempo!
Infatti fra poco sarà quella «religione inutile» a decidere di
ammazzarlo.
Il nuovo decalogo
Un uomo… una società di ladri…un prete. Ma il prete era passato oltre;
l’aveva persino scansato. Ma si può scansare la sorte di quell’uomo?
Quando siamo tutti intrecciati, e non per caso, tutti su una
medesima strada: non ci sono evasioni, e ogni cosa si paga.
Nella medesima direzione: non ci sono tante storie: c’è una storia
sola. E non è che non si sappia «lo vide». Tutti sanno! Si sa
benissimo come sono le cose. Lo sa il prete… Anzi, se non ne ha
coscienza il prete per primo, chi la può avere?
La sorte dell’uomo è un fatto
religioso prima che politico. Dimmi cosa credi e ti dirò
cosa farai!
Il
prete, pur avendolo visto, cioè pur sapendo, ritrattosi dall’altra
parte, passò oltre. Certo, qui vuol dire che si è formata un’altra
mentalità, un’altra cultura; un modo diverso di concepire il prete da
quello che dovrebbe essere dal racconto di Gesù. Ma lasciamolo andare.
«Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre». Per il
levita il Signore è più sbrigativo: meno di due righe. E non è detto
che andasse nella stessa direzione: «Giunto in quel luogo», potrebbe
significare tanto lo scendere che il salire verso Gerusalemme. Infatti
certa gente non si sa mai in che direzione vada. Ma chi è questa
gente? Chi è questo Levita?
Anche lui pare capitato la per
caso, e invece non è a caso. È il secondo che passa
sulla scena; il palco è sempre la medesima strada. Nel Vangelo è tanto
spesso richiamata la strada che sembra tutto accada o debba risolversi
su una strada, o almeno all’aperto: sulla strada il cieco di Gerico;
sulla strada l’incontro con la samaritana; sulla strada i discepoli di
Emmaus; sulla piazza l’evento di Pentecoste, ecc… Qui, sulla strada,
il giudizio su chi cammina sulla via di Dio e chi no.
Ma
chi è questo levita? È certo un uomo dell’ordine, qualcuno della
classe dirigente. Nella società teocratica del tempo, il levita era
l’addetto al tempio; la tribù, quella di Levi, forniva le nuove
reclute per il servizio al tempio: quindi un rappresentante del
governo?
Anche per noi bastino due parole e non perdiamo tempo. Spesso anche
noi non sappiamo dove vada un governo, né sappiamo che rapporti
intrattenga con la gente che veramente ha bisogno. E poi, è già detto
tutto su questi nostri governi, detto e risaputo; e non c’è rimedio,
non si vede da molto nessun segno di resipiscenza, di decisione
d’intervento nel senso giusto. Si vede che va bene così, per molti,
perché non si prevede una possibilità di ricambio. A parlare, si parla
a vuoto e si rischia molto per nulla.
Il
Vangelo dice che anche il levita «vide»: anche lui sa, come il prete,
come tutti. Non sapessero, sarebbero scusati. Invece sanno! Anzi, si
fanno tanti studi, tanti convegni, tante richieste! … Lo stato
«studia» sempre, lo stato fa sempre progetti: leggi, leggine,
inquisisce, progetta e intanto l’ammalato muore. E così anche il
levita passa oltre. Come reagire all’inutilità di uno stato?
«Invece un samaritano, che era in viaggio…». Qui bisogna che andiamo
adagio; qui pare che perfino il testo cambi stile. Infatti non dice
che scendeva o che saliva, ma dice che gli «passava accanto»; e lo
dice al gerundio; come per significare un comportamento sempre in
atto, quasi una persistente disponibilità.
Proprio un samaritano: questo Cristo che non finisce di provocare! Almeno avesse fatto passare di là un galileo («anche tu sei un galileo»), o una della Decapoli, sarebbe già stato uno scandalo; invece ti va a prendere ancora un samaritano! «Abbiamo detto noi che sei un samaritano, e che hai un demonio addosso!». E Lui che ti riempie il Vangelo di samaritani. Si sa benissimo che i samaritani erano per gli ebrei razzisti, quello che gli ebrei erano per gli hitleriani: gente da campo di concentramento. E lui invece che va a confidare proprio a una samaritana che egli è il messia: «Donna, se tu sapessi il dono di Dio!». E tra i dieci lebbrosi guariti ti fa tornare indietro a ringraziare solo uno, «e questi era un samaritano». È da ammazzare. E facile dire oggi queste cose (cioè non è facile neanche oggi), ma allora! …
E per di più in bocca a Cristo, a colui «che doveva venire». Ora è
proprio l’Unto di Dio, che ti presenta questo eretico e scomunicato
quale un essere di cui non ci sarà l’eguale sulla terra, tranne lui
stesso, disceso dai cieli per fasciare tutte le ferite del mondo, e
versarci sopra l’olio e il vino dei suoi sacramenti. Un samaritano, un
lontano, un maledetto, uno che è fuori dalla vera religione!
Ed ecco che appena costui «lo vide ne ebbe compassione». Alcune
versioni dicono «si mosse a pietà», ma è lo stesso: sono tutti a due
termini di una carica infinita, bellissimi; due parole che stanno nel
cuore di tutta la storia della salvezza; parole che fondano la stessa
umanità. Non c’è umanità senza compassione e senza pietà. Per dire i
rapporti fra uomo e Dio non abbiamo di meglio che il termine di pietà.
Uomo pio è colui che porta tutta la creazione a Dio, mentre l’empio è
colui che la distacca e la profana. E però tu hai un modo per
verificare questi rapporti con Dio, se senti pietà verso l’uomo. Non
c’è altro criterio di certezza. Tu non puoi dire di amare Dio che non
vedi, e non ami il prossimo che vedi… Il termine è unico, come unico è
il culto: un Dio adorato nell’uomo. Non c’è altra religione che ti
salvi diversamente. Perciò questo samaritano sarà sempre uno scandalo,
un tormento, un rimprovero per tutte le religioni inutili sulla terra.
E Gesù che va a dire queste cose mentre è in viaggio verso
Gerusalemme…
Ed ecco che «gli si avvicinò». Altre versioni dicono che «si curvò su
di lui» … Ma è lo stesso. Certamente è disceso da cavallo. È uno che
«scende». Sì, bisogna scendere almeno dai palazzi, farsi vicini,
curvarsi, andare incontro, sentire compassione; lasciarsi muovere o
portare, o trasportare dalla pietà. Altrimenti non è pietà. Potrebbe
essere una terra piena di templi, ma sarebbe sempre un mondo senza
pietà.
Bisogna discendere! ...
«Gli fasciò le ferite, gli versò dell’olio e del vino»: impossibile
non pensare ai sacramenti. Splendidi sacramenti che mi ristorano dal
male che a volte è la stessa esistenza; mi rimarginano le ferite più
segrete e più profonde. E fra essi, il più dolce di tutti è questo: il
sacramento dell’amore e della «compassione», della pietà e
dell’amicizia, il sacramento che ci rende umani…
«E lo caricò sopra il suo giumento». Non lo carica sopra il giumento
di un altro, cioè non lo scarica su altri. Questi poveri «scaricati»
sui giumenti di tutte le «opere pie» della terra; e che a volte devono
fare il giro del mondo per trovare un po’ di conforto, o un asilo
amabile; e non si sa se sia più grande lo sforzo di chi «aiuta» o di
chi è aiutato, lo sforzo del povero che deve «sopportare». Invece lui
lo prende sulle sue braccia,
lo carica sul suo giumento,
lo porta nella sua locanda
dove alberga lui, non in una «dependence»! … E si prende cura di lui.
Cioè è lui che si prende cura e, finché può, lo assiste lui. Solo «il
giorno dopo», quando lui non può non andare, lo affida ad altri, e
però sotto la sua personale responsabilità.
Abbiamo capito che uno solo è questo samaritano apparso sulla terra.
C’è quasi da scoraggiarsi, se non pensassimo che appunto abbiamo a che
fare con un… samaritano: questo Dio che ama per primo, che ama sempre!
… «Non siamo noi che abbiamo amato Dio, ma Dio ha amato noi». Credo
che sia una verità tutta e solo cristiana.
È Dio che si curva sull’uomo. E lo ama così com’è. E può
essere un delinquente. E non gli chiede neppure i documenti. Cosicché
può essere anche un suo nemico.
L’amore non fa mai inchieste sui poveri.
Invece noi quante inchieste prima di aprire il
pugno in un gesto di stentata elemosina, quando non è ostentata! E
sempre inchieste sulla miseria, mai che si facciano inchieste sulle
ricchezze dei ricchi. Capisco, sono inevitabili: sono così
pochi i mezzi della carità! E quello dei bisogni non è neppure un
mare, ma è un oceano. E poi questi poveri, che te ne inventano tante
da superare tutte le fantasie. No, non si può fare a meno delle
inchieste. E poi: «Padre, un po’ di prudenza: il vizio…». Che Dio ci
perdoni! Prima di noi lo sa Cristo quanto sia difficile amare:
un’impresa che è solo da Dio!
Da
notare, alla fine, il seguirsi di tutti i verbi, l’incalzare dei gesti
e del loro numero:
1)
lo vide;
2)
si mosse a pietà;
3)
si curvò su di lui;
4)
gli fasciò le ferite;
5)
gli versò olio e vino;
6)
lo caricò sul suo giumento;
7)
lo portò nell’albergo;
8)
si prese cura di lui;
9)
pagò per lui;
10) ritornò indietro a pagare.
È
il nuovo decalogo? «È stato detto: non uccidere, ma io vi dico…».
Così la terra non sarà distrutta…
E dunque: non c’è che tornare al samaritano. Un uomo capitato in una
banda di ladri: come ce ne sono tanti, da sempre, il sistema stesso li
alimenta; un prete che passa sulla medesima strada; poi un levita, uno
della classe dirigente, un responsabile… Vedono e vanno oltre: nel
nulla, secondo il Vangelo.
Invece un samaritano… Arrivati al decalogo dell’amore, non abbiamo
certo finito di commentarlo, neppure di scoprirlo. L’amore è un
mistero più grande della vita e della morte. La parola di Dio è senza
fine. Passeranno i cieli e la terra ma questa parola… Anche fra
migliaia d’anni gli uomini avranno bisogno di questa parola,
altrimenti moriranno.
«Si prese cura di lui». Come Dio si è sempre preso cura di me, di te,
dell’uomo, dell’ultimo di tutti gli uomini. Uno che sta per morire,
che è carico di ferite (in quanti modi quest’uomo è carico di
ferite!); che è solo, che è scartato. Chiunque egli sia, è sempre
l’ultimo di tutti, quello che ferma Dio sulla sua strada; l’ultimo che
per Dio diventa il più importante; il soggetto del suo amore e delle
sue operazioni divine; le sole operazioni che segnano la comparsa
dell’umano e lo caratterizzano. Ecco che gli ultimi saranno i primi.
«Il giorno seguente…». Va bene: è lui che paga: e torna indietro a
pagare. «Crucifixus etiam pro nobis» (crocifisso anche per noi). È la
legge della sostituzione: lui che si sostituisce a noi. E continua.
Mentre sono tanti che ci guadagnano, proprio sull’amore. Non c’è nulla
che «renda» quanto le opere di carità, in tutti i sensi. Anche la
santità «rende molto: un’economia che è sempre attiva. Così «estrasse
due denari e li diede all’albergatore». Ecco l’oste che incassa. Ma
chi è questo oste, questo locandiere? Due denari erano tanti! Sulla
cifra si possono fare due considerazioni: una che il ferito era
veramente grave, ciò è detto all’inizio del racconto; l’altra, che
sicuramente anche l’oste deve aver tenuto su il conto, il preventivo.
Infatti la carità costa! Quasi quasi per certi amministratori della
carità e dell’assistenza e della previdenza e delle assicurazioni, non
ce n’è mai abbastanza.
Due denari: «e ciò che spenderai di più te lo rifonderò al mio
ritorno». Dove si vede che hanno discusso; e che l’oste voleva di più,
forse. Ma perché non hanno fatto metà e metà? Perché questo apostolo
dell’ospitalità non si è offerto, pure lui, a fare qualcosa?
Non è un dovere di tutti l’amore? È un dovere di tutti, ma
non tutti hanno il dono di amare: mentre coloro che hanno quello di
incassare sull’amore sono una moltitudine.
Un
giorno - ormai sono parecchi anni - con don Gnocchi abbiamo fatto una
statistica e una verifica sulle forme e sugli istituti di assistenza
di qualsiasi tipo. Ebbene il risultato circa la distribuzione degli
incassi era questo: che l’80% andava all’istituto o all’iniziativa che
fosse, e solo il 20% andava agli interessati, cioè ai poveri o agli
assistiti. Così almeno avveniva una volta, tanti anni fa!
Quanti sono gli osti, quelli delle colonie marine o montane (non è
anche un colonialismo, dei più raffinati? si fa per dire!), quanti
sono coloro che si erano arricchiti sulle opere di una qualsiasi
beneficenza? … Non per questo il samaritano abbandona il suo progetto.
Quando uno ama, ritorna anche indietro a pagare. Non è che vinca
l’oste. È lui che vince.
«E quello che hai raccolto di chi sarà?». Perché
non c’è nulla che bruci come i beni rubati ai
poveri. Infatti un bel mondo questo nel quale viviamo! Che
forse non sia anche per questo che brucia? Questi «ordini» che si
chiamavano mendicanti… Appunto, che Dio ci perdoni tutti!
Ma
sono tanti, tanti, anche preti, che si sono fermati; e forse anche dei
leviti, anche qualche politico, forse; tanti, tanti che hanno dato
pure la vita… Perciò il mondo continua e va avanti.
«Chi di questi tre» … Lasciamo stare l’oste, i parassiti li avrete
sempre con voi. Solo che è detto dal Vangelo che quanti operano nella
carità - ecco di nuovo l’oste! - non sempre sono annoverati da Cristo
come «operatori dell’amore». Infatti non ha detto: chi di questi
quattro, il prete, il levita, il samaritano, l’oste; no, l’oste Cristo
non lo nomina più. Ha detto: «chi di questi primi tre…».
Va
bene. Qui c’è una svolta imprevista, un finale in sospeso. All’inizio
pareva che il prossimo fosse quell’uomo. Infatti il dottore della
legge per giustificarsi chiedeva: «Chi è il mio prossimo?». E Gesù
rispose: «Un uomo scendeva…». Nulla di più naturale che quello fosse
il prossimo. Ora invece è Gesù che domanda rovesciando le parti: «Chi
di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato
nei ladroni?».
Non lui prossimo a me, ma io prossimo a lui: sono io che devo farmi
prossimo a colui che è in disgrazia quanti sono nell’abbandono. Sono
io che devo scendere da cavallo, farmi vicino, curvarmi. Sono io, tu,
la Chiesa, chiunque. È Dio che scende dai cieli e si fa prossimo
all’uomo; Dio che serba per sé quale preda la sua divinità: che non ha
paura di compromettersi, di sporcarsi. Siamo noi che dobbiamo andare
verso l’uomo che è nel bisogno e fermarci!
Fermati, anche se hai fretta, anche se hai un tuo programma urgente.
Non c’è nessun programma più urgente di questo: nessun fine più
grande.
Il
prete non pare che avesse un programma, poteva andare anche in
vacanza, dicevamo; il levita non pare che avesse un programma. Il
prete non può avere altro programma; e così il levita. Sia per la
religione che per lo stato non ci possono essere altri programmi.
Mentre il samaritano è evidente che avesse un programma: aveva un
lungo viaggio da compiere; aveva con sé denaro e provviste. Aveva
anche fretta. Dunque un programma l’aveva. Ha dato al povero ciò che
gli serviva nel suo viaggio: tanto che ha tirato fuori due denari; e,
discutendo con l’oste, disse che il resto glielo avrebbe dato al suo
ritorno. Doveva andare subito, ma ciò non gli impedì di spendere un
giorno per quel povero. Ha interrotto il viaggio, ha versato il suo
olio e il suo vino, ha speso il suo denaro, ha «perduto» il suo tempo.
Certo, è tempo e denaro veramente perduto per queste nostre banche. È
così alla luce di chi accumula tesori per sé, non per chi arricchisce
davanti a Dio.
Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Altre versioni
dicono così: «Chi gli usò misericordia». Altro termine da recuperare
al vocabolario cristiano: «compassione, pietà, misericordia…». I
competenti dicono che misericordia indichi propriamente «amore che
trabocca», come l’acqua da un vaso colmo. «Misericordia di progenie in
progenie su coloro che lo temono»: come se fosse un’inondazione, un
fiume che va di balza in balza e invade i secoli. Questa sarebbe la
vera immagine dell’amore di Dio che si riversa sugli uomini. Pienezza
del dono di sé, amore che straripa. Non già briciole che cadono dalla
mensa del ricco. Non vorrei che la parola «misericordia» - che è della
stessa radice di «eleyson», cioè ancora misericordia - abbia avuto una
legittima origine da questo «traboccare», male applicato ad un
portafoglio gonfio: donde il dare al povero solo ciò che «trabocca»,
appunto gli spiccioli che di solito danno fastidio a chi li possiede.
Immaginarsi se non danno umiliazione al povero!
Così abbiamo rovinato una delle parole più belle del mondo e reso
falso il gesto più divino.
Ciò sia detto per coloro che pensano sia finito il tempo della carità,
e ti assalgono con la loro forsennata esigenza di giustizia.
D’accordo: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia»; fame
e sete, fino alla sofferenza, fino alla consunzione. E però
la prima giustizia è questa: amare.
Altrimenti tu non salvi l’uomo ma lo distruggi.
La giustizia da sola è impossibile. Perciò più vuoi la giustizia più
dovresti cercare l’amore. Perciò «Gesù gli disse: va’ e anche
tu fa’ lo stesso». Perché non c’è altro da fare. Diversamente l’uomo
non si salva. Né tu né lui. E il povero dovrà morire; e tu sarai
inutile. Quando non rischi di essere perfino dannoso: pur sognando di
cambiare il mondo e di fare la più grande rivoluzione.
All’inizio Gesù gli aveva detto: «Fa’ questo e vivrai». Solo questo.
Vivrai e farai vivere. Chissà quanti lo stanno facendo nel mondo,
per fortuna. E magari non lo sanno. Sono appunto i samaritani che si
fermano… Perciò la creazione continua. E la terra non sarà distrutta.
Speriamo.
|
Ora, lege et labora |
San Benedetto |
Santa Regola |
Attualità di San Benedetto
|
Storia del Monachesimo |
A Diogneto |
Imitazione di Cristo |
Sacra Bibbia |
3
gennaio 2023
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net