Capitolo XVI - La celebrazione dei divini Offici durante le ore del giorno: 1. "Sette volte al giorno ti ho lodato", dice il profeta. 2. Questo sacro numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta, 3. perché proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: "Sette volte al giorno ti ho lodato". 4. Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso profeta dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo per lodarti". 5. Dunque in queste ore innalziamo lodi al nostro Creatore "per le opere della sua giustizia" e cioè alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di notte alziamoci per celebrare la sua grandezza.
Capitolo XX - La riverenza nella preghiera: 1. Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, 2.quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione. 3. compunzione che strappa le lacrime. 4. Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina.
Come pregare
Sant'Agostino, vescovo
Dalla «Lettera a
Proba» (Lettera 130)
Estratto da “L'ora
dell'ascolto - Unione Monastica Italiana per la Liturgia” - Edizioni
Piemme 1997
(Ndr: Questo è l'inizio della lettera alla nobildonna romana Proba, vedova e madre di tre consoli: "Ricordandomi che tu mi hai chiesto e io ho promesso di scriverti qualcosa sul modo di pregare Dio, dato che adesso per grazia di Colui che noi invochiamo nella preghiera ci è concesso il tempo e la possibilità, era mio dovere saldare subito il mio debito e nella carità di Cristo accondiscendere al tuo pio desiderio. Non riesco poi a esprimere a parole quanta gioia mi abbia arrecato la tua richiesta, in cui ho notato quanta premura ti prendi d'una cosa così importante." Testo estratto dal sito augustinus.it, dove si trovano tutte le opere di san'Agostino.)
Le aspirazioni del cuore, anima
della preghiera
(Lett. 130, 8, 15. 17 - 9, 18; CSEL 44, 56-57. 59-60)
Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni,
cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a
pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una
cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del
Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore
e ammirare il suo, santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c'è
successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare.
L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano
presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni
appartengono, non conosce tramonto.
Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha
insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più
facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci
rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che
ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).
Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste
quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è
necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la
manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma
piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda
perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo
dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati
per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore!
Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14).
Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è
colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore
d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell'uomo deve
entrare. Lo riceviamo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà
la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro
desiderio.
Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con
desiderio ininterrotto. Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci
rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni,
possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo
progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a
intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più
ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole
dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non
questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla
quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?
I tempi fissi della preghiera
(Lett. 130, 9, 18 - 10, 20; CSEL
44, 60-63)
Manteniamo sempre vivo il desiderio della vita beata, che ci viene dal
Signore Dio e non cessiamo mai di pregare. Ma, a questo fine, è necessario
che stabiliamo certi tempi fissi per richiamare alla nostra mente il
dovere della preghiera, distogliendola da altre occupazioni o affari, che
in qualche modo raffreddano il nostro desiderio, ed eccitandoci con le
parole dell'orazione a concentrarci in ciò che desideriamo. Facendo così,
eviteremo che il desiderio, tendente a intiepidirsi, si raffreddi del
tutto o si estingua per mancanza di un frequente stimolo.
La raccomandazione dell'Apostolo: «In ogni necessità esponete a Dio le
vostre richieste» (Fil 4, 6) non si deve intendere nel senso che
dobbiamo portarle a conoscenza di Dio. Egli infatti le conosceva già prima
che fossero formulate. Esse devono divenire piuttosto maggiormente vive
nell'ambito della nostra coscienza. Esse, poi, devono contare su un
atteggiamento fatto di fiduciosa attesa dinanzi a Dio, più che ambire la
manifestazione reclamistica dinanzi agli uomini. Stando così le cose, non
è certo male o inutile pregare a lungo, quando si è liberi, cioè quando
non si è impediti dal dovere di occupazioni buone o necessarie. Però anche
in questo caso, come ho detto, si deve sempre pregare con quel desiderio.
Infatti il pregare a lungo non è, come qualcuno crede, lo stesso che
pregare con molte parole. Altro è un lungo discorso, altro uno stato
d'animo prolungato. Consideriamo come del Signore stesso sia scritto che
passava le notti in preghiera, e che nell'orto pregò a lungo. Ed in ciò,
che altro intendeva, se non darci l'esempio, egli che nel tempo è
l'intercessore propizio, mentre nell'eternità è, insieme al Padre, colui
che ci esaudisce?
Sappiamo che gli eremiti d'Egitto fanno preghiere frequenti, ma tutte
brevissime. Esse sono rapidi messaggi che partono all'indirizzo di Dio.
Così l'attenzione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane
sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessiva
dell'orazione. E in ciò essi mostrano anche abbastanza chiaramente che non
si deve voler insistere in un prolungato sforzo di concentrazione, quando
si vede che non può durare oltre un certo tempo, e d'altra parte non si
deve interrompere alla leggera o bruscamente la preghiera, quando si vede
che la presenza vigile della mente può continuare.
Lungi dunque dalla preghiera ogni verbosità, ma non si tralasci la
supplica insistente, se perdura il fervore e l'attenzione. Il servirsi di
molte parole nella preghiera equivale a trattare una cosa necessaria con
parole superflue.
Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con
insistente e devoto ardore del cuore.
Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le
parole, più con le lacrime, che con i discorsi. Dio, infatti, «pone
davanti al suo cospetto le nostre lacrime» (Sal 55, 9), e il nostro
gemito non rimane nascosto (cfr. Sal 37, 10) a lui che tutto ha
creato per mezzo del suo Verbo, e non cerca le parole degli uomini.
Il Padre nostro
(Lett. 130, 11, 21 - 12, 22; CSEL 44, 63-64)
A noi sono necessarie le parole per richiamarci alla mente e considerare
quello che chiediamo, ma non crediamo di dovere informare con esse il
Signore, o piegarlo ai nostri voleri.
Quando dunque diciamo: «Sia santificato il tuo nome», stimoliamo noi
stessi a desiderare che il suo nome, che è sempre santo, sia ritenuto
santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato. Cosa questa che
giova non a Dio, ma agli uomini.
Quando poi diciamo: «Venga il tuo regno» che, volere o no, certamente
verrà, eccitiamo la nostra aspirazione verso quel regno, perché venga per
noi e meritiamo di regnare in esso.
Quando diciamo: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»,
gli domandiamo la grazia dell'obbedienza, perché la sua volontà sia
adempiuta da noi, come in cielo viene eseguita dagli angeli.
Dicendo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», con la parola «oggi»
intendiamo nel tempo presente. Con il termine «pane» chiediamo tutto
quello che ci è necessario, indicandolo con quanto ci occorre maggiormente
per il sostentamento quotidiano. Domandiamo anche il sacramento dei
fedeli, necessario nella vita presente per conseguire la felicità, non
quella temporale, ma l'eterna.
Quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai
nostri debitori», richiamiamo alla memoria sia quello che dobbiamo
domandare, sia quello che dobbiamo fare per meritare di ricevere il
perdono.
Quando diciamo: «E non ci indurre in tentazione», siamo esortati a
chiedere l'aiuto indispensabile per non cedere alle tentazioni e per non
rimanere vinti dall'inganno o dal dolore.
Quando diciamo: «Liberaci dal male», ricordiamo a noi stessi che non siamo
ancora in possesso di quel bene nel quale non soffriremo più alcun male.
Questa domanda è l'ultima dell'orazione domenicale. Essa ha un significato
larghissimo. Perciò, in qualunque tribolazione si trovi il cristiano, con
essa esprima i suoi gemiti, con essa accompagni le sue lacrime, da essa
inizi la sua preghiera, in essa la prolunghi e con essa la termini.
Le espressioni che abbiamo passato in rassegna hanno il vantaggio di
ricordarci le realtà che esse significano. Tutte le altre formule
destinate o a suscitare o ad intensificare il fervore interiore, non
contengono nulla che non si trovi già nella preghiera del Signore, purché
naturalmente la recitiamo bene e con intelligenza. Chiunque prega con
parole che non hanno alcun rapporto con questa preghiera evangelica, forse
non fa una preghiera mal fatta, ma certo troppo umana e terrestre. Del
resto stenterei a capacitarmi che una tale preghiera si possa dire ancor
ben fatta per i cristiani. E la ragione è che, essendo essi rinati dallo
Spirito, devono pregare solo in modo spirituale.
Non troverai nulla che non sia
già contenuto in questa preghiera
(Lett. 130, 12, 22 - 13, 24; CSEL
44, 65-68)
Chi dice: «Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi, così
ai nostri occhi mostrati grande fra di loro» (Sir 36, 3) e: I tuoi
profeti siano degi di fede (Sir 36, 15), che altro dice se non:
«Sia santificato il tuo nome»?
Chi dice: «Rialzaci, Signore nostro Dio; fa’ risplendere il tuo volto e
noi saremo salvi» (Sal 79, 4), che altro dice se non: «Venga il tuo
regno»?
Chi dice: «Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non
prevalga il male» (Sal 118, 133), che altro dice se non: «Sia fatta
la tua volontà come in cielo così in terra»?
Chi dice: «Non darmi né povertà né ricchezza» (Prv 30, 8), che
altro dice se non: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano»?
Chi dice: «Ricordati, o Signore, di Davide, di tutte le sue prove» (Sal
131, 1) oppure: Signore, se così ho agito, se c'è iniquità nelle mie
mani, se ho reso male a coloro che mi facevano del male, salvami e
liberami (cfr. Sal 7, 1-4), che altro dice se non: «Rimetti a noi i
nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»?
Chi dice: «Liberami dai nemici, mio Dio, proteggimi dagli aggressori» (Sal
58, 2), che altro dice se non: «Liberaci dal male»?
E se passi in rassegna tutte le parole delle sante invocazioni contenute
nella Scrittura, non troverai nulla, a mio parere, che non sia contenuto e
compreso nel Padre nostro. Nel pregare, insomma, siamo liberi di servirci
di altre parole, pur domandando le medesime cose, ma non dobbiamo
permetterci di domandare cose diverse.
Queste cose dobbiamo domandarle nelle nostre preghiere per noi e per i
nostri cari, per gli estranei e, senza dubbio, anche per gli stessi
nemici, quantunque nel cuore di chi prega possa sorgere o prevalere un
sentimento differente per l'una o l'altra persona, a seconda del grado più
o meno stretto di parentela o di amicizia.
Eccoti così, a mio modo di pensare, non solo le disposizioni con le quali
devi pregare, ma anche che cosa devi chiedere.
Non perché te l'insegno io, ma perché ti viene detto da colui che si è
degnato di istruire noi tutti.
Si deve cercare la vita beata e chiederla al Signore Dio. In che consista
l'essere beato è stato discusso a lungo da molti con motivazioni diverse.
Ma non è necessario ricorrere a tanti autori e a tante trattazioni. Nella
Sacra Scrittura è stato detto tutto con poche parole e con piena verità:
«Beato il popolo il cui Dio è il Signore» (Sal 143, 15). Per
appartenere a questo popolo e arrivare a contemplare Dio e vivere
eternamente con lui, teniamo presente questo: Il fine del precetto è la
carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede
sincera (cfr. 1 Tm 1, 5).
Nella enumerazione di queste tre virtù invece di «coscienza» si trova
«speranza».
Risulta dunque che la fede, la speranza e la carità conducono a Dio colui
che prega. Chi crede, spera, desidera e considera attentamente che cosa
debba chiedere al Signore nell'orazione domenicale, arriva certamente fino
a Dio.
Non sappiamo che cosa sia
conveniente domandare
(Lett. 130, 14, 25-26; CSEL 44,
68-71)
Forse hai da farmi una domanda: Come mai l'Apostolo ha detto: «Noi non
sappiamo che cosa sia conveniente domandare»? (Rm 8, 26). Non
possiamo davvero supporre che colui che diceva ciò, o coloro ai quali egli
si rivolgeva, non conoscessero la preghiera del Signore.
Eppure da questa ignoranza non si dimostrò esente neppure l'Apostolo,
benché egli forse sapesse pregare convenientemente. Infatti, quando gli fu
conficcata una spina nella carne e un messo di satana fu incaricato di
schiaffeggiarlo, perché non montasse in superbia per la grandezza delle
rivelazioni, per ben tre volte pregò il Signore di liberarlo dalla prova.
E così dimostrò di non sapere in questo caso che cosa gli era più
conveniente domandare. Alla fine però sentì la risposta di Dio, che gli
spiegava perché non avveniva quello che un uomo così santo chiedeva, e
perché non conveniva che l'ottenesse: «Ti basta la mia grazia: la mia
potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9).
Pertanto nelle tribolazioni, che possono giovare come anche nuocere, non
sappiamo quello che ci conviene chiedere, e tuttavia, perché si tratta di
cose dure, moleste e contrarie all'inclinazione della natura, seguendo un
desiderio comune a tutti gli uomini, noi preghiamo che ci vengano tolte.
Dobbiamo però mostrare di fidarci del Signore. Se egli non allontana da
noi le prove, non per questo dobbiamo credere di esser da lui dimenticati,
ma piuttosto, con la santa sopportazione dei mali, dobbiamo sperare beni
maggiori. Così infatti «la potenza si manifesta pienamente nella
debolezza».
Questo è stato scritto perché nessuno si insuperbisca se viene esaudito
quando chiede con impazienza quanto gli sarebbe più utile non ottenere.
D'altra parte non si perda d'animo né disperi della divina misericordia se
non viene esaudito quando domanda un benessere, che, a conti fatti,
potrebbe amareggiarlo di più o mandarlo completamente in rovina. In queste
cose dunque non sappiamo davvero quello che ci conviene chiedere.
Perciò, se accade proprio il contrario di quanto abbiamo chiesto nella
preghiera, noi, sopportando pazientemente e rendendo grazie per ogni
evenienza, non dobbiamo affatto dubitare che era più conveniente per noi
quello che Dio ha voluto, che non quello che volevamo noi.
Ce ne dà la prova il nostro divino mediatore, il quale avendo detto:
«Padre, se è possibile, passi da me questo calice», subito dopo,
modificando la volontà umana, che aveva in sé dalla umanità assunta,
soggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu, o Padre» (Mt 26,
39). Ecco perché giustamente per l'obbedienza di uno solo tutti sono
costituiti giusti (Rm 5, 19).
Lo Spirito intercede per noi
(Lett.
130, 14, 27 - 15, 28; CSEL 44, 71-73)
Chiunque chiede al Signore un'unica cosa e quella sola cerca di ottenere (cfr.
Sal 26, 4), chiede con certezza e sicurezza e non teme che gli possa
nuocere quando l'ha ottenuta. Ma, senza di essa, nulla potrebbe giovargli
tutto ciò che avrà ottenuto, pregando come si conviene. Questa cosa è
l'unica e vera vita, la sola beata, perché in essa si godono le delizie
del Signore per l'eternità, dopo di essere divenuti immortali e
incorruttibili nel corpo e nell'anima. È la cosa alla quale va subordinata
la domanda di ogni altro dono, l'unica che non si sbaglierà mai a
chiedere. Chiunque avrà conseguito questa vita, avrà tutto ciò che vuole,
né potrà desiderare colà di avere cosa che non conviene.
In essa infatti si trova la sorgente della vita, di cui ora dobbiamo aver
sete quando preghiamo, finché viviamo nella speranza e non vediamo ancora
quello che speriamo di vedere quando saremo sotto la protezione delle sue
ali. Per ora poniamo dinanzi a lui ogni nostro desiderio di inebriarci
dell'abbondanza della sua casa e di dissetarci al torrente delle sue
delizie; perché presso di lui è la sorgente della vita e nella sua luce
vedremo la luce (cfr. Sal 35, 8-10). Quando poi il nostro desiderio
sarà saziato di beni, non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da
possedere con gioia.
Tuttavia siccome questa pace trascende ogni umana intelligenza, anche
quando la chiediamo nella preghiera, non sappiamo che cosa chiedere come
si conviene. Ciò che non possiamo infatti immaginare come è in realtà,
certo non possiamo dire di conoscerlo. Vi sono tante cose che noi
rigettiamo, rifiutiamo, disprezziamo, quando la loro immagine si affaccia
alla nostra mente. Sappiamo che non è ciò che cerchiamo, quantunque non
sappiamo ancora come sia realtà l'oggetto dei nostri desideri.
Vi è dunque in noi, per così dire, una dotta ignoranza, ma istruita dallo
Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Avendo infatti detto
l'Apostolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con
perseveranza», subito aggiunge: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene
in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia
conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per
noi con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i
desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i
disegni di Dio» (Rm 8, 25-27).
Non dobbiamo intendere però questo nel senso che lo Spirito Santo di Dio,
il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il Padre e il
Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia quello che è, cioè
Dio. In realtà è detto: «Intercede per i santi», perché muove i santi alla
preghiera. Allo stesso modo è scritto: «Il Signore vostro Dio vi mette
alla prova per sapere se lo amate» (Dt 13, 4), cioè per far
conoscere a voi stessi se lo amate.
Lo Spirito di Dio dunque muove i santi a pregare con gemiti inesprimibili,
ispirando loro il desiderio di una cosa tanto grande, ma ancora
sconosciuta, che noi aspettiamo mediante la speranza. Altrimenti come si
potrebbe descrivere nella preghiera un bene che si desidera senza
conoscerlo? In realtà se fosse del tutto sconosciuto non sarebbe oggetto
di desiderio, e se d'altra parte lo si vedesse, come realtà già posseduta,
non sarebbe né desiderato, né ricercato con gemiti.
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29 ottobre
2023
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net