REGOLA PER LE RECLUSE

DEL VENERABILE AELREDO, ABATE DI RIEVAULX

(Estratto e tradotto da Patrologia Latina PL 32, col. 1451-74. J. P. Migne 1841 [1])

Note in fase di elaborazione.

Elenco dei capitoli in italiano

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PROLOGO

1. Da molti anni, sorella mia, mi chiedi una regola che ti guidi nella vita che hai abbracciato per amore di Cristo, che fornisca direttive spirituali e formi le pratiche fondamentali della vita religiosa. Come vorrei che tu l'avessi cercata e ottenuta da qualcuno più saggio di me, qualcuno il cui insegnamento non si basava su semplici congetture, ma sull'esperienza personale. Eppure, per nascita e nello spirito, sono tuo fratello e non posso rifiutare qualsiasi tua richiesta. Farò allora ciò che mi chiederai, e mi sforzerò di redigere per te una regola precisa, scegliendo tra i vari regolamenti dei Padri quelli che sembrano più utili nella formazione dell'uomo esteriore. Aggiungerò alcuni dettagli adatti alle tue particolari circostanze di tempo e luogo e, dove sembra utile, unirò lo spirituale con il corporale.

 

Capitolo Primo: Motivo per cui si sceglie la vita eremitica

Devi prima capire le ragioni che motivarono i monaci dell'antichità quando istituirono e adottarono questa forma di vita. Vivere in mezzo alla folla significa rovina per alcune persone; per altri significa, se non rovina, almeno danno; altri ancora, indifferenti a qualsiasi apprensione, considerano semplicemente più fruttuoso vivere in solitudine. Gli antichi monaci scelsero allora di vivere da solitari per diversi motivi: per evitare la rovina, per sfuggire alle offese, per godere di una maggiore libertà nell'esprimere il loro ardente anelito all'abbraccio di Cristo. Alcuni vivevano soli nel deserto, sostenendosi con il lavoro delle loro mani, ma ve ne erano altri la cui fede era minata dalla stessa libertà inerente alla vita solitaria e dall'opportunità di vagabondare senza meta.

 

CAPITOLO II. La sola reclusione del corpo non è utile.

Ti è sembrato che fosse così, quando ti sei votata a questa forma di vita? Infatti molti sono ignoranti o indifferenti al vero significato di questa vita. Pensano che sia sufficiente confinare il corpo tra quattro mura; mentre la mente vaga a caso, diventa dissolta e distratta dalle preoccupazioni, inquieta da desideri impuri. Anche la lingua corre tutto il giorno per città e villaggi, mercati e piazze, occupandosi della vita e del comportamento di altre persone e di affari non solo oziosi ma spesso vergognosi.

 

CAPITOLO III. Le chiacchiere delle recluse con donne del mondo.

Quanto raramente al giorno d'oggi troverai una reclusa che sia sola. Alla sua finestra siederanno alcune vecchie chiacchierone che le gettano favole nelle orecchie, alimentandola di scandali e pettegolezzi; descrivendo dettagliatamente il volto, l'aspetto ed i modi ora di questo prete, ora di quel monaco o chierico; descrivendo anche il comportamento frivolo di una giovane ragazza; i modi liberi e disinvolti di una vedova che pensa che ciò che le piace sia giusto; i modi furbi di una moglie che tradisce il marito mentre soddisfa le sue passioni. La reclusa per tutto il tempo si dissolve in fragorose risate, ed il veleno che beve con tanta delizia si diffonde in tutto il suo corpo.

 

CAPITOLO IV. Quanto sia pernicioso chiacchierare con donne del mondo.

Quando l'ora si fa tardi e devono separarsi, entrambe sono ben appesantite, la vecchia di provviste, la reclusa di piaceri sensuali. Torna il silenzio, ma la povera disgraziata rigira nel suo cuore le fantasie nate dal suo ozioso ascolto; le sue riflessioni non fanno che ravvivare più ferocemente la fiamma accesa dalle sue chiacchiere. Come un ubriacone, vacilla nei salmi, brancola nella lettura, vacilla mentre prega. Quando cala l'oscurità, accoglie donne ancor meno rinomate; aggiungono nuovo combustibile alle fiamme e desistono solo quando l'hanno esposta, ormai del tutto irretita dalla sua stessa sensualità, allo scherno dei demoni. Ora parlano senza riserve, il loro scopo non è più di suscitare il desiderio, ma di gratificarlo; insieme discutono luogo e tempo, e l'uomo che acconsentirà ai suoi disegni. L'apertura della cella deve in qualche modo essere allargata per permettere a lei di passare o al suo amante di entrare; quella che era una cella ora è diventata un bordello. Ci sono abbondanti prove che disgrazie di questo tipo sono fin troppo comuni oggi, sia tra gli uomini che tra le donne.

 

CAPITOLO V. La cupidigia di certe recluse.

Altre recluse sono chiacchierone. Pur evitando ogni proposito di scorrettezza, costoro sono tuttavia costantemente in compagnia di altre chiacchierone. Trascorrono l'intera giornata assecondando la loro curiosità, spettegolando e ascoltando pettegolezzi, un vizio che oggi sta diventando sempre più diffuso tra i reclusi. Altre, forse più circospette in questo senso, sono tuttavia così ansiose di fare soldi o di aumentare le dimensioni dei loro greggi, sono così scrupolose e si sforzano così strenuamente che potrebbero benissimo essere scambiate per castellane piuttosto che per anacorete. Trovano pascoli per le loro greggi e pastori che le pascolano; chiedono una dichiarazione dei numeri, del peso e del valore dei prodotti annuali del gregge; seguono le fluttuazioni del mercato. Il loro denaro attira denaro, si accumula e dà loro sete di ricchezza. Lo spirito maligno le illude, le convince che tutto è utile e necessario,

Niente di tutto questo è per te. Hai lasciato tutto per l'amor di Cristo. Poveri con i poveri, è più conveniente accettare la carità che cercare altrove i mezzi per elargire la carità. È il segno di una grave mancanza di fede per un recluso essere in ansia per il domani, perché nostro Signore dice: "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Una reclusa deve stare attenta a mantenere la sua mente libera dall'ansia e dalla preoccupazione per i suoi bisogni materiali.

 

CAPITOLO VI. La reclusa non deve accumulare per i poveri o gli ospiti: si faccia aiutare da una servente sicura e non diventi una maestra di fanciulle.

 

Se è possibile viva del lavoro delle sue mani: questa è la via più perfetta. Ma se la salute cagionevole o una costituzione delicata lo impediscono dovrebbe, prima di rimanere rinchiusa nella sua cella, trovare qualcuno che le fornisca ciò che è necessario per ogni giorno. Può accettarlo umilmente, ma niente di più, anche per i poveri o gli ospiti: la sua cella non deve essere assediata da mendicanti, né da orfani e vedove che chiedono l'elemosina. Ma chi, tu chiedi, può prevenirli? Rimani ferma e non dire niente, aspetta. Quando si renderanno conto che non hai nulla, che non otterranno nulla da te, presto si stancheranno e se ne andranno. E tu esclami gemendo: questo è disumano! Ti dico, se hai più cibo e più vestiti di quelli che ti servono, non sei una monaca. Allora cosa hai da regalare? Si consiglia quindi alla reclusa, se guadagna con il proprio lavoro più di quanto è necessario per il suo mantenimento, di consegnarlo a qualche persona di fiducia che lo distribuirà ai poveri. Ma non voglio che le si avvicini nessuno che possa minare la sua modestia, per esempio una vecchietta, mischiata con i poveri, che le porta un pio pegno da qualche prete o monaco, sussurrandole parole lusinghiere all'orecchio e che, mentre le bacia la mano ricevendo l'elemosina, le inietta il suo veleno.

Inoltre la reclusa deve guardarsi dall’assumersi l'obbligo dell’ospitalità, anche verso le sue sorelle nella religione, perché insieme con quelle buone ce ne saranno molte del peggior tipo. Queste si installeranno alla sua finestra e, dopo alcune pie parole di presentazione, si metteranno a parlare di affari mondani, intervallati da racconti romantici. Così trascorreranno quasi tutta la notte senza dormire. Evita queste persone, fai attenzione a non essere mai costretta a sentire qualcosa che preferiresti non vedere, a vedere cose che ti fanno rabbrividire, perché le cose che sembrano così sgradevoli nel momento in cui le vedi e le senti, tuttavia sembrano dolci quando rifletti su di loro più tardi.

Se hai paura di scandalizzare la gente perché non fai l'elemosina ai poveri né ricevi ospiti, scoprirai che una volta che verranno a conoscenza della tua determinazione e di quanto sia completa la tua povertà, nessuno di loro ti censurerà.

Se infatti, nonostante le legittime pretese dell'elemosina e dell'ospitalità, hai scelto di essere povera, quanto più essenziale è limitare il numero dei tuoi attendenti. Scegli per te una donna anziana, non una persona litigiosa o instabile o dedita a pettegolezzi oziosi; una brava donna con una solida reputazione di virtù. Deve controllare la porta della tua cella e, come ritiene giusto, ammettere o rifiutare i visitatori; inoltre deve ricevere e custodire le provviste necessarie. Ella avrà sotto di sé una ragazza forte, capace di lavori pesanti, di andare a prendere legna e acqua, cucinare le verdure e, quando la malattia lo richiede, preparare cibi più nutrienti. Essa deve essere tenuta sotto stretta disciplina, affinché con il suo comportamento frivolo non profani la tua santa dimora e così disprezzi il nome di Dio e la tua stessa vocazione.

Non permettere mai ai bambini di accedere alla tua cella. Non è raro che una reclusa inizi a insegnare e trasformi la sua cella in una scuola. Ella si siede alla finestra, le fanciulle si sistemano nel portico e così le tiene tutte sotto controllo. Influenzata dalle loro indole infantili, ora è arrabbiata ed un attimo dopo sorride, ora è minacciosa, ora è lusinghiera, ora bacia una bamba ed ora schiaffeggia un’altra. Quando vede una di loro piangere dopo essere stato schiaffeggiata, la chiama vicina, le accarezza la guancia, le mette le braccia al collo e la tiene stretta, chiamandola: “Bambina mia, piccola mia”. Là davanti al suo stesso sguardo, anche se non cede ad esse, la reclusa ha tentazioni mondane e sensuali, ed in mezzo a tutto ciò che ne sarà del suo continuo ricordo di Dio? Tu, quindi, accontentati dei servizi e della conversazione delle tue due assistenti.

 

 CAPITOLO VII. La reclusa cerchi il silenzio e parli raramente e moderatamente.

Devo insistere sull'importanza del silenzio per una reclusa. In questo risiede una grande pace ed un grande profitto. “Il servizio della giustizia, ci dice Isaia, è silenzio;” (Cfr. Is 32,17) e Geremia dice: “È bene aspettare in silenzio la salvezza di Dio;” (Lam 3,26) ed ancora: "È bene per l'uomo portare un giogo della sua giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio" (Lam 3,27-28). Così sta scritto: Fa’ silenzio e ascolta, Israele!” (Dt 27,9). Allora devi fare come il Profeta: “Ho detto: «Vigilerò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; metterò il morso alla mia bocca” (Sal 39 (38),2). Così la reclusa, temendo di peccare con la sua lingua, che, secondo l'apostolo Giacomo, “nessuno la può domare” (Gc 3,8), deve mettere un freno alle sue labbra; deve sedersi da sola, imponendosi il silenzio sulla lingua affinché il suo spirito possa parlare; credendo che quando è sola non è mai sola, perché allora è con Cristo e lui non desidera stare con lei in mezzo alla folla.

Allora deve sedersi da sola, in silenzio, ad ascoltare Cristo e parlare con lui. Deve mettere un freno alle sue labbra. Deve preoccuparsi prima di tutto di parlare raramente, poi vigilare su ciò che dice ed infine considerare con chi parla ed in che modo. Parli solo di rado, ad orari determinati da stabilirsi in seguito; deve essere cauta in ciò che dice, limitandosi ai suoi bisogni fisici ed al benessere spirituale; stia attenta con chi parla, accontentandosi di parlare con coloro che le sono specificamente assegnati per questo scopo; e infine stia attenta ai suoi modi, parlando umilmente e con moderazione, non con toni acuti o forti, non essendo né sdolcinata, né irriverente. Se un tale comportamento ci si aspetta da un uomo perbene, quanto più conviene ad una donna, una vergine, ancor più ad una reclusa.

Siedi dunque in silenzio, sorella mia, e se i bisogni del corpo ed il bene della tua anima ti costringono a parlare, fallo brevemente, con umiltà e riserbo.

 

CAPITOLO VIII. Con chi è opportuno che parli la reclusa.

Ora ti indicherò le persone con cui devi parlare. Felice la reclusa che non vuole vedere o parlare con un uomo, che non ha mai neanche ammesso Martino [2] (Cfr. Sulpicio Severo, Dialoghi 2,12). Ma quante recluse seguono questo esempio? Oggi una reclusa è abbastanza soddisfatta se conserva la castità corporea, se non viene tolta incinta dalla sua cella, se nessun bambino tradisce la sua nascita con il suo pianto» (Cfr. Gerolamo, Epistola XXII, 13).

Poiché è impossibile imporre un divieto assoluto a tutte le conversazioni con gli uomini, vediamo con chi può legittimamente parlare la reclusa. Un sacerdote dovrebbe essere messo a disposizione, se possibile, dal vicino monastero o chiesa; dovrà essere un anziano di carattere maturo e di buona reputazione. Con lui la reclusa potrà parlare di rado e solo per scopi di confessione e direzione spirituale, ricevendo da lui consigli in caso di dubbio ed incoraggiamento quando sarà sconfortata. Non dovrà mai lasciargli toccare o accarezzare la mano, perché il male dentro i nostri stessi corpi è sempre da temere; esso può spesso risvegliare e distruggere anche l’uomo più anziano. Non ti dovrai preoccupare della magrezza del viso e delle braccia o alla ruvidità della pelle.

 

CAPITOLO IX. Ho scritto riguardo al modo di vivere delle recluse su richiesta di mia sorella.

Tu, sorella mia, non hai mai avuto bisogno, grazie a Dio, di rammentare queste cose. Eppure ho deciso di includerle perché non era solo per te che desideravi che scrivessi questa regola, ma anche per le giovani ragazze che, su tuo consiglio, sono desiderose di abbracciare una vita come la tua.

Se qualcuno ben noto e stimato, forse un abate o un priore, volesse parlarvi, lo faccia solo in presenza di una terza persona.

 

CAPITOLO X. Il colloquio con varie persone. Cosa deve osservare la reclusa.

Non voglio che tu riceva troppo spesso una persona, né che un visitatore così assiduo sia il destinatario delle tue confidenze. In questo modo una reclusa metterà certamente a repentaglio la sua reputazione e metterà in pericolo anche la sua tranquillità: più spesso tu vedrai lo stesso volto o ascolterai la stessa voce, più si inciderà indelebilmente nella tua memoria.

Quindi la reclusa dovrà sempre avere il viso velato quando parla con un uomo; dovrà evitare di guardarlo e dovrà ascoltarlo solo con timoroso riserbo. Ascoltare frequentemente la voce dello stesso uomo può essere causa di grande pericolo per molte persone.

Evita ogni conversazione con giovani uomini o con persone di carattere dubbioso; non permettere mai che ti parlino se non in caso di reale bisogno e solo in presenza del sacerdote che ti fa da padre spirituale. E, senza il suo permesso e il suo espresso comando, non dovresti parlare a nessuna persona di passaggio, tranne che si tratti di un vescovo, abate o priore ben noto. La difficoltà che costoro troveranno nel parlare con te ti garantiranno una maggiore dimensione di pace.

Non dovrai mai intrattenere comunicazioni con nessun uomo, qualunque sia il pretesto, sia per mostrargli gentilezza, per suscitare il suo fervore, o per cercare amicizia spirituale e intimità con lui. Non accettare mai lettere o piccoli regali da un uomo, né dovrai inviarli tu stessa. È ormai usanza comune inviare ad un giovane monaco o sacerdote una cintura, una borsa allegramente ricamata, o qualcosa del genere, ma questo favorisce solo affetti illeciti e può causare gravi danni.

 

CAPITOLO XI. La reclusa lavori con le mani e si orni di verecondia.

Metti piuttosto il tuo impegno in qualcosa di necessario o utile; il ricavato potrà essere utilizzato per le tue necessità o, se non ne hai, potrà essere donato, come ho già detto, alla chiesa o ai poveri.

Ogni tua parola e azione deve essere ornata di verecondia: è la verecondia che frena la lingua, calma l'umore rabbioso e previene i litigi. Poiché una reclusa deve già arrossire anche quando si tratta di parlare con giudizio, quanto più profondamente dovrà arrossire se permetterà al risentimento o alla rabbia di spingerla a parlare in modo avventato.

 

CAPITOLO XII. Come deve comportarsi la reclusa provocata con parole.

Quindi, se le persone cercano di litigare con te, non rispondere; se parlano di te con disprezzo, non vendicarti; e se ti provocano, non ribattere loro.

Non dare importanza a tutte le accuse ed alle insinuazioni, siano esse fatte pubblicamente o in segreto; dirai con l'Apostolo nella sicurezza di una coscienza pulita: “A me però importa assai poco di venire giudicato da voi” (1 Cor 4,3). Prima di tutto la reclusa deve custodire gelosamente la sua pace del cuore e la tranquillità dello spirito, così avrà sempre dimora nella sua anima il Signore di cui è scritto: “La sua dimora è nella pace” (Sal 76(75),3: Volg.). Altrove il Signore stesso dice attraverso il Profeta: "Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola." (Is 66,29. Questo santissimo stato d'animo, può essere distrutto non solo da chiacchiere stupide, ma anche dalle troppe chiacchiere. Vedi, non c'è niente che dovresti perseguire con tanta perseveranza come il silenzio.

 

CAPITOLO XIII. I tempi in cui parlare e tacere.

Ora distinguiamo i tempi per tacere ed i tempi per parlare (Cfr. Qo 3,7). Dall'Esaltazione della Santa Croce fino alla Quaresima la reclusa deve osservare il silenzio da dopo Compieta fino all'alba. Dopo Prima può, se lo desidera, dare alla sua assistente le indicazioni per la giornata; dovrà farlo il più brevemente possibile ed astenersi da ulteriori discorsi con chiunque fino a dopo Terza. Tra Terza e Nona può parlare, quando l'occasione lo richiede, con chi si presenta a lei e che può essere ammesso; inoltre può dare ulteriori indicazioni alla sua attendente. Dopo Nona, quando ha finito di cenare, deve rifuggire ogni conversazione ed ogni distrazione, temendo di essere condannata da quelle parole della Scrittura: "Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento" (Es 32,6). Dai Vespri fino al breve pasto della collazione può di nuovo discutere con la sua attendente a proposito di ogni cosa necessaria.

Durante la Quaresima la reclusa deve mantenere un silenzio ininterrotto. Poiché ciò è difficile, se non impossibile, può parlare, anche se meno spesso che altre volte, con il confessore e l'accompagnatore, ma con nessun altro, a meno che non arrivi inaspettatamente da lontano qualche visitatore importante.

Da Pasqua fino all'Esaltazione della Santa Croce osservi il silenzio da Compieta fino all'alba. Dopo la celebrazione dell'ufficio di Prima può parlare con la sua attendente; se ci sono visitatori con i quali deve necessariamente parlare, può farlo tra Nona e Vespri. Dopo i Vespri, può prendere di nuovo gli accordi necessari con le sue aiutanti fino al pasto della collazione”.

 

 CAPITOLO XIV. A cosa ci si debba dedicare dalla Calende di novembre fino a Quaresima.

Avendo stabilito ciò, ora determinerò le ore per il lavoro manuale, per la lettura e per la preghiera. L'ozio è davvero il nemico dell'anima, il nemico dal quale più di tutti gli altri la reclusa deve guardarsi. È la madre di tutti i mali, genera la passione, alimenta l'impulso a vagare ed alimenta il vizio; alimenta la stanchezza spirituale ed incoraggia la malinconia. È l'ozio che semina cattivi pensieri nella mente, che accende e infiamma desideri illeciti, che genera disgusto per la quiete e disgusto per la cella. Non lasciare mai che lo spirito malvagio ti trovi inattiva.

Ma siccome in questa vita siamo tutti preda dell'incostanza, poiché non rimaniamo mai a lungo nello stesso stato d'animo, eviteremo l'ozio alternando gli esercizi e salvaguardando la nostra pace variando le nostre occupazioni.

Dalle Calende di novembre fino alla Quaresima, quindi, la reclusa dorma, per quanto se la sente, fino a dopo la mezzanotte e, quando si alza, reciti le Vigilie come prescrive la Regola di san Benedetto con la massima devozione possibile. Dovrà seguire la preghiera e, come lo Spirito Santo l'assiste, la renderà breve o prolungata. Tuttavia dovrà badare che la preghiera prolungata non generi disgusto per la preghiera; è più vantaggioso pregare spesso e brevemente che troppo a lungo in una volta; a meno che non si prolunghi a causa di una devota ispirazione, senza che colei che prega neanche se ne accorga.

Seguirà l'ufficio in onore della Vergine e poi le commemorazioni dei santi. Non importi come obbligo la recita di un numero fisso di salmi; quando i salmi ti attirano usali, ma quando diventano un peso passa alla lettura; se quando leggi ti annoi alzati per la preghiera; quando sarai stanca di tutti questi esercizi dedicati al lavoro manuale. Con questa sana alternanza rinfrescherai il tuo spirito e bandirai la stanchezza spirituale

Dopo le commemorazioni – non dovrai mai fissare il numero per un voto o per obbligo, ma dovrai seguire la tua devota ispirazione - il tempo che rimane fino all'alba, la reclusa deve dedicarlo al lavoro manuale ed alla recita dei salmi. All'alba reciti le Lodi insieme agli inni di Prima. Nell'attesa dell'ora Terza, dividerà il suo tempo secondo la sua devozione, tra la lettura, la preghiera e la recita dei salmi. Da Terza a Nona si occuperà in lavori manuali. Dopo il pranzo e dopo aver reso grazie a Dio, ella di nuovo si alternerà, come prescritto, tra lavoro fisico ed esercizi spirituali fino ai Vespri. Lasciando un breve intervallo dopo i Vespri, legga in silenzio un poco delle Vite dei Padri, delle loro regole o dei loro miracoli; questo susciterà in lei un certo sentimento di compunzione e così, con fervore di spirito, dirà Compieta e si ritirerà a riposare con il suo cuore pieno d'amore.

Una reclusa che non sa leggere deve dedicarsi tanto più assiduamente al lavoro manuale. Dopo un breve periodo di lavoro deve alzarsi ed inginocchiarsi per qualche istante in preghiera a Dio, poi tornare subito al suo compito interrotto. Lo faccia durante il tempo destinato sia alla lettura che al lavoro, ripetendo spesso durante i suoi lavori la Preghiera del Signore e gli eventuali salmi che conosce.

 

CAPITOLO XV. Le occupazioni da Pasqua alle Calende di novembre.

Da Pasqua fino alle Calende di novembre la reclusa deve alzarsi per le Vigilie abbastanza presto, in modo che, terminati gli inni e le orazioni notturne, poco dopo inizi il Mattutino. Il tempo che rimane prima della piena luce del giorno deve essere lasciato libero per la preghiera e la salmodia. Quando ha recitato Prima, deve intraprendere il suo sacrificio del lavoro quotidiano fino al momento della recita di Terza. Dovrà quindi occuparsi della lettura fino a Sesta. Dopo l’ora Sesta e la cena potrà riposare sul letto fino a Nona, per poi riprendere il suo lavoro fino ai Vespri. Dopo i vespri si dedicherà alla preghiera ed ai salmi, essendo fissata l'ora del pasto della collazione in modo che si ritiri a letto prima del tramonto. Qualunque sia il periodo dell'anno, dovrà aver cura di andare a letto prima di notte, altrimenti sarà costretta a dormire quando invece dovrebbe stare a vegliare.

 

CAPITOLO XVI. Il digiuno quaresimale

Parlando ora della Quaresima devo anzitutto, credo, sottolinearne la preminenza. Ci sono molti digiuni osservati dai cristiani, ma il digiuno quaresimale li supera tutti poiché è imposto dall'autorità divina non a singoli individui, non ad una particolare classe di uomini, ma a tutti i cristiani. La prova della sua preminenza viene dalla Legge, dai Profeti e dal Vangelo. Mosè, servo di Dio, digiunò quaranta giorni e quaranta notti per essere degno di ricevere la Legge del Signore (Cfr. Es 24,18; 34,28). Elia il Profeta, dopo aver mangiato la focaccia e bevuto l'acqua fornita dall'angelo, digiunò quaranta giorni e quaranta notti; così divenne degno di ascoltare la voce del Signore (Cfr. 1 Re 19,8).

Anche il nostro Signore e Salvatore, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, sconfisse il tentatore, mentre gli angeli venivano e lo servivano (Cfr. Mt 4,1-11).

 

CAPITOLO XVII. Ancora a proposito della virtù del digiuno.

Il digiuno quindi è uno scudo che nessuna tentazione può trafiggere; è un pronto rifugio in ogni prova, un indefettibile sostegno alle nostre preghiere. Cristo stesso parlò dei grandi poteri del digiuno: quando i suoi discepoli gli chiesero perché non erano stati in grado di scacciare il demonio che possedeva il pazzo, disse loro: “Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21).

 

CAPITOLO XVIII. Il significato della Quaresima.

Il digiuno deve andare di pari passo con la vita religiosa poiché senza di esso la castità sarebbe costantemente esposta al pericolo. Ma questo digiuno quaresimale di quaranta giorni costituisce anche un grande sacramento: la nostra prima dimora fu il Paradiso; la nostra seconda dimora è in questo mondo ed è piena di difficoltà; la nostra terza dimora sarà in cielo con gli angeli. Ora questi quaranta giorni di Quaresima rappresentano l'intero arco di tempo dalla cacciata di Adamo dal Paradiso fino all'ultimo giorno, quando saremo finalmente liberati da questo nostro esilio.

Qui sulla terra viviamo nella paura, nella fatica e nel dolore, scacciati dalla presenza di Dio, espulsi dalle gioie del Paradiso e costretti al digiuno del nutrimento celeste. Sempre consapevoli della nostra afflizione, dobbiamo sempre addolorarci per essa e mostrare con le nostre azioni che non siamo che estranei e pellegrini in questo mondo. A causa della nostra fragilità ci è difficile farlo, così lo Spirito Santo ha stabilito un periodo preciso in cui dobbiamo farlo ed ha ordinato che la Chiesa osservi alcuni riti che ci aiutano a realizzare il suo significato. Per mostrarci, ad esempio, che siamo esuli e soggetti alla morte a causa del peccato, le stesse parole che Dio rivolse ad Adamo quando lo espulse dal Paradiso sono dette su di noi mentre riceviamo le ceneri: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai" (Gen 3,19). Per farci capire che mentre siamo in esilio ci viene negata la visione di Dio, un velo si stende tra noi ed il Santo dei Santi. Inoltre, per ricordarci quanto siamo lontani dalla società di coloro che la Scrittura descrive: " Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi " (Sal 84(83),5), omettiamo la nostra consueta espressione di lode: "Alleluia?". Il digiuno a cui siamo legati in questo tempo ci ricorda ancora una volta che in questa vita il nostro desiderio del pane celeste non potrà mai essere pienamente soddisfatto.

In questo tempo dunque ogni cristiano deve aggiungere qualcosa al suo consueto servizio ed essere più diligente, più fervente nel custodire il suo cuore e le sue labbra. Tanto più la reclusa comprende più chiaramente il significato della Quaresima in quanto tutta la sua vita ne è l'espressione. Desiderando solo di essere gradita a Cristo, in questi giorni sacri deve dedicarsi e consacrarsi interamente a Dio, deve negarsi ogni piacere ed astenersi da ogni conversazione. Consideri questa stagione come il giorno del suo matrimonio, poiché anela con tutto il suo ardore all'abbraccio di Cristo. Ella si applichi più spesso alla preghiera, si getti più spesso ai piedi di Gesù e, con la ripetizione frequente del suo dolce nome, induca lacrime di compunzione e scacci ogni distrazione dal suo cuore.

Deve trascorrere l'intervallo tra le Vigilie e le Lodi in preghiera e meditazione. Recitate le Lodi e Prima, si dedichi ai salmi ed alla lettura fino alla fine dell'ora Terza, e dopo Terza si dedichi coscienziosamente al lavoro manuale fino all'ora Nona (Cfr. Regola di san Benedetto (Regula Benedicti) RB 42), interrompendo di tanto in tanto il suo lavoro per brevi orazioni. Dopo aver detto i Vespri ed aver mangiato, reciti i salmi in attesa dell'ora della Compieta.

 

CAPITOLO XIX. La qualità e la quantità del cibo e delle bevande.

Per quanto riguarda la qualità e la quantità del tuo cibo e delle tue bevande, non è certamente necessario importi alcuna regola, sorella mia. Dalla tua stessa infanzia fino ad ora, quando l'età sta prendendo il sopravvento sul tuo corpo, hai a malapena preso cibo a sufficienza per mantenerti in vita. Cercherò comunque di formulare una regola per le altre e tu potrai decidere se sarà loro utile.

San Benedetto concede al monaco una libbra di pane e un'emina di vino (Cfr. RB 39,4 e 40,3). Non negherei queste quantità ad una reclusa malata o delicata, ma è molto meglio che una giovane e forte si astenga da qualsiasi tipo di vino. Anche il pane bianco ed i cibi prelibati devono essere evitati dalla reclusa, quasi fossero dei veleni per la sua purezza. La reclusa deve tener conto delle sue necessità: soddisfare la sua fame senza soddisfare il suo appetito. Coloro che non possono raggiungere l'astinenza completa devono accontentarsi di una libbra di pane e di un'emina di vino, sia che facciano due pasti o uno solo.

La reclusa abbia una porzione di verdure verdi o di legumi o di farinacei; l'aggiunta di un po' di olio, burro o latte eviterà che diventino a nausea. Questo sarà sufficiente anche nei giorni in cui la reclusa cenerà. La cena deve consistere in una piccolissima porzione di pesce o un piatto di latte, o qualsiasi cosa di questa natura che sia disponibile. Si deve accontentare di un piatto unico, al quale si possono aggiungere verdure fresche o frutta se disponibili; queste possono anche essere consumate prima del pasto principale nei giorni di un pasto.

Nelle vigilie dei santi, nei digiuni delle Quattro tempora [3] e nei mercoledì e venerdì fuori della Quaresima deve digiunare con una dieta quaresimale. In Quaresima deve bastare un pasto al giorno, e il venerdì, a meno che la malattia non glielo impedisca, digiuni a pane e acqua. Dall'Esaltazione della Santa Croce fino alla Quaresima la reclusa deve consumare un pasto al giorno all’ora Nona, mentre in Quaresima non deve interrompere il digiuno fino a dopo i Vespri. Da Pasqua a Pentecoste, fatta eccezione per le Rogazioni e alla vigilia di Pentecoste, prenda il pranzo dopo l’ora Sesta e ceni alla sera; questa deve essere la regola per tutta l'estate ad eccezione del mercoledì e del venerdì e dei digiuni solenni. In questi giorni di digiuno d'estate, invece del sonno pomeridiano, può concedersi un breve riposo tra Mattutino e Prima.

 

CAPITOLO XX. I vestiti e le calzature.

 L' abbigliamento deve essere sufficiente per allontanare il freddo. In inverno possono essere necessari indumenti più pesanti di pelle o pelliccia, in estate una sola veste, mentre durante tutto l'anno due camicie di stoppa o di lino grezzo. Il velo del capo non deve essere di stoffa fine o costosa ma di normalissima stoffa nera: se fosse colorato potrebbe sembrare che stia cercando di rendersi attraente. Deve anche avere le scarpe, i calzini e gli zoccoli di cui ha bisogno, ma deve custodire la sua povertà così gelosamente da avere sempre un po' meno di quanto le legittime necessità le possano consentire.

Tutto ciò che riguarda il comportamento esteriore l'ho scritto, mia carissima sorella, su tua insistenza. Tenendo presente non tanto il fervore dei tempi antichi quanto la tiepidezza dei nostri tempi, ti ho offerto una regola di vita che, mentre è attenuata nei confronti dei deboli, lascia ai forti ogni opportunità di avanzare verso una maggiore perfezione (Cfr. RB 64).

 

CAPITOLO XXI. Per conservare la verginità la solitudine è da preferire al consorzio umano.

 Ma ora, chiunque tu sia che hai rinunciato al mondo per scegliere questa vita di solitudine, desiderando di essere nascosta ed invisibile, di essere come morta al mondo e sepolta con Cristo nella sua tomba, ascolta le mie parole e comprendile. In primo luogo, considera attentamente perché dovresti preferire la solitudine alla compagnia degli uomini. “La vergine”, dice san Paolo, “si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito” (1 Cor 7,34). Questo è un sacrificio volontario, un’offerta spontanea: essa non è resa obbligatoria da nessuna legge, non c'è costrizione, nessun comandamento la impone. Perciò nostro Signore dice nel Vangelo: “Chi può capire, capisca” (Mt !9,12). E chi può? Certamente colui al quale il Signore ha ispirato questo desiderio ed al quale concede i mezzi per realizzarlo.

Affida prima dunque, o vergine, la tua buona intenzione con la massima devozione a colui che l'ha ispirata in te e pregalo con fervida preghiera che ciò che per natura ti è impossibile, ti diventi facile per grazia. Ricorda sempre quale prezioso tesoro tu porti in un vaso così fragile e quale ricompensa, quale gloria, quale corona ti porterà la conservazione della tua verginità. Inoltre ricorda incessantemente quale punizione, quale vergogna, quale condanna comporterà la sua perdita.

Cosa c'è di più prezioso del tesoro con cui si compra il cielo, che delizia il tuo angelo, che Cristo stesso brama, che lo invoglia ad amare ed a fare doni? Che cosa dona? Mi azzarderò a dire: se stesso e tutto ciò che ha. Così il nardo della tua verginità esala il suo profumo anche in cielo e fa desiderare al re la tua bellezza, lui che è il Signore Dio tuo. Guarda chi hai scelto come tuo Sposo, chi hai fatto tuo amico. Colui che “è il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 45(44),3), “più splendente anche del sole e delle stelle in tutta la loro bellezza” (Cfr. Sap 7,29). “Il suo spirito è più dolce del miele, la sua eredità supera il miglior favo di miele” (Cfr. Sir 24,27). “Lunghi giorni sono nella sua destra e nella sua sinistra ricchezza e onore” (Pr 3,16).

È lui che ti ha già scelto come sua sposa, ma non ti incoronerà finché non sarai stata messa alla prova. La Scrittura dice: "Chi non è tentato non è provato" (Cfr. Sir 34,9). La verginità è l'oro, la cella è il crogiolo, il diavolo è il fonditore, il fuoco è la tentazione. La carne della vergine è un vaso di terracotta in cui l'oro viene messo per essere messo alla prova. Se si rompe a causa dell'intensità del calore, l'oro si rovescia e nessun artigiano potrà rimettere insieme il vaso.

 

CAPITOLO XXII. Come deve essere custodito con devozione il proposito della verginità.

Pensando sempre a ciò, la vergine custodisca con la massima cura e la massima trepidazione il tesoro inestimabile della verginità che già possiede a suo vantaggio e che una volta perduto non può essere recuperato. Non smetta mai di riflettere per quale camera nuziale viene ornata, per quale abbraccio viene preparata. Tenga davanti agli occhi della sua mente l'Agnello che deve seguire ovunque vada. Contempli Maria Santissima che col tamburello della verginità guida la danza delle vergini e intona quel dolce canto che nessuno può cantare se non le vergini di entrambi i sessi, dei quali è scritto: “Questi sono coloro che non si sono contaminati con donne; sono vergini” (Ap 14,3-4). Non pensate che questo significhi che un uomo non può essere contaminato senza una donna o una donna senza un uomo, poiché quel peccato abominevole che infiamma un uomo di passione per un uomo o una donna per una donna incontra una condanna più accanita di qualsiasi altro crimine. Ma spesso la verginità si perde e la castità oltraggiata senza alcun rapporto carnale con l'altro, se la carne viene incendiata da un forte calore che soggioga la volontà e coglie di sorpresa le membra.

La vergine consideri sempre che tutte le sue membra sono consacrate a Dio, incorporate a Cristo, dedicate allo Spirito Santo. Deve vergognarsi di consegnare a Satana ciò che appartiene a Cristo; deve arrossire se le sue membra verginali sono macchiate anche dal minimo moto dei sensi.

 

CAPITOLO XXIII. Tema di perdere la castità in mensa e nei colloqui.

Tenda, quindi, tutto il suo animo e occupi i suoi pensieri per la conservazione della sua verginità, così che nella sua fame della perfezione di questa virtù considererà la mancanza di cibo un piacere e la povertà ricchezza. Nel cibo, nel bere, nel sonno, nel parlare, stia sempre in guardia contro una minaccia alla sua castità, affinché, concedendo alla carne più del dovuto, non aumenti la forza dell’avversario e non nutra il nemico nascosto.

Mentre si siede a tavola, poi mediti sulla bellezza della purezza; desiderando la sua perfezione non aspiri al cibo ed abbia disgusto per le bevande. Ciò che la necessità le impone, lo prenda con dolore e vergogna, a volte con lacrime. Se deve parlare con qualcuno, abbia sempre paura di sentire qualcosa che possa annebbiare anche minimamente i limpidi cieli della sua castità; non dubiti che sarà abbandonata dalla grazia se dovesse pronunciare una sola parola contro la purezza.

 

CAPITOLO XXIV. Prima del sonno faccia un esame di coscienza e si dolga dei peccati.

Quando sei distesa sul tuo letto affida a Dio la tua innocenza e così, armata del segno della Croce, esamina come hai vissuto quel giorno; se hai offeso gli occhi del tuo Signore con parole, azioni o desideri, se sei stata disattenta, oziosa o negligente, se hai superato i limiti della necessità appesantendoti con un po' troppo cibo o abbandonandoti al bere. Se scoprirai che sei stata sorpresa da una qualsiasi di queste cose sospira su di essa, battiti il petto, e così, riconciliata al tuo Sposo con questo sacrificio della sera, vai a dormire.

 

CAPITOLO XXV. Nel caso di impudiche tentazioni pensi alla storia della vergine Agnese.

Se ti svegli all'improvviso e, per effetto del sonno o per macchinazione del diavolo, provi un po' di calore corporeo; se il tuo astuto nemico invade il tuo sonno e turba la tua coscienza con cattivi pensieri di un tipo o dell'altro; se ti ricorda i piaceri e ti ispira l'orrore della tua vita dura, allora ricorda le vergini benedette che così spesso in tenera età hanno trionfato sul loro nemico empio. Pensa a Sant'Agnese, che considerava l'oro, l'argento, i vestiti costosi, le pietre preziose e tutto lo sfarzo della gloria mondana come tanto letame. Quando fu convocata al tribunale non si tirò indietro. Disprezzava le blandizie del giudice e rideva delle sue minacce, temendo più di essere risparmiata che di essere punita. Felice colei che trasformò un bordello in un oratorio, mentre l'angelo che entrava insieme a lei, vergine, inondava le tenebre di luce e puniva con la morte l'uomo che cercava di corromperla. Se poi anche tu preghi ed alzerai le braccia delle tue lacrime contro colui che ti incita all'impurità, puoi star certa che l'angelo che era presente nel bordello non sarà assente dalla tua casta cella. Non c'è da stupirsi che questo nostro fuoco materiale non poté bruciare Sant'Agnese; la fiamma della carne era spenta in lei, mentre era ben acceso il fuoco della carità.

Ogni volta che sarai turbata dal calore della passione, ogni volta che lo spirito malvagio ti suggerirà qualcosa di illecito, ricorda che colui che scruta i cuori e le reni (Cfr. Sal 7,10) è presente ed i suoi occhi fissano qualunque cosa tu stia facendo o pensando. Mostra quindi riverenza per l'angelo che, senza alcun dubbio, sta al tuo fianco e rispondi al tentatore: "Ho l'angelo di Dio come mio diletto ed egli veglia sul mio corpo con cura gelosa".

In questo difficili momenti un digiuno più severo fortifichi i tuoi sforzi, perché quando la carne è gravemente afflitta il piacere può essere solo poco o nullo.

 

CAPITOLO XXVI. In età giovanile la castità non rimane integra senza una grande contrizione del cuore e del corpo.

Nessuno si illuda, nessuno si soddisfi, nessuno si illuda: i giovani non ottengono né conservano la castità senza una grande contrizione del cuore ed una seria afflizione del corpo. Anche i malati e gli anziani non sono al riparo dal pericolo. È vero che la continenza è un dono di Dio e nessuno può essere continente se Dio non glielo concede. Questo è un dono che non è da attribuire a nessun nostro merito, ma alla sua grazia gratuita. Eppure Egli giudica indegni di un così grande dono coloro che rifiutano di sottoporsi a qualsiasi fatica per ottenerlo, aspettandosi di rimanere casti in mezzo ai piaceri, continenti mentre banchettano, liberi dalla tentazione mentre frequentano liberamente le giovani donne. Pensano di potersi caricare di umori immondi nei banchetti e nell'ubriachezza senza contaminarsi, di avvicinarsi col viso al fuoco e di sfuggire al fuoco. Una cosa difficile, od anche impossibile, come puoi comprendere.

 

CAPITOLO XXVII. A proposito di un monaco che non estinse per niente le tentazioni con la sola imposizione di dure mortificazioni carnali.

Ho conosciuto un monaco che, all'inizio della sua vita monastica, temeva le minacce alla sua castità dall’istinto della natura, dalla forza delle cattive abitudini e dai suggerimenti dell'astuto tentatore. Quindi dichiarò guerra a se stesso e, pieno di odio selvaggio verso la propria carne, non cercava altro che ciò che l'avrebbe afflitta. Di conseguenza indebolì il suo corpo con il digiuno e, privandolo della sua lecita necessità, soppresse anche i suoi più semplici impulsi. Ma quando fu costretto dalla debolezza a concedersi di più, la carne riprese vita e sconvolse la tranquillità che credeva di aver acquisito. Spesso si immergeva nell'acqua fredda e vi rimaneva per qualche tempo cantando salmi e pregando. Spesso, quando sentiva delle sensazioni proibite, si strofinava perfino il corpo con le ortiche e così, infiammando la sua carne nuda, sconfiggeva un incendio con un altro incendio.

Quando tutto ciò si rivelò inutile e lo spirito di fornicazione lo molestava ancora, applicò l'unico rimedio rimasto: prostrato ai piedi di Gesù, pregò, pianse, sospirò, implorò, supplicò, insistette perché o lo uccidesse o lo guarisse. Gridò ripetutamente: "Non andrò via, non starò zitto, “non ti lascerò se non mi avrai benedetto”" (Gen 32,27). Gli fu concesso un sollievo temporaneo, ma gli fu negata una sicura tranquillità. Perché mentre i movimenti irregolari della carne si attenuavano per un po', il suo cuore era assalito da sentimenti proibiti. Mio Dio, quali croci, quali tormenti sopportò allora quel misero uomo, finché alla fine giunse a trovare tale gioia nella castità da poter superare tutti i piaceri della carne che si possono sperimentare o immaginare; poi [il tentatore] si allontanò da lui. Ma solo per un certo tempo, ed ora che la malattia si aggiunge alla vecchiaia non può ancora lusingarsi di essere al sicuro.

 

CAPITOLO XXVIII. Contro quegli anziani che non vogliono privarsi della compagnia di concubine.

Com'è vergognosa dunque la sfrontatezza di alcuni che, invecchiati nell'impurità, non rinunciano nemmeno alla compagnia di persone sospette. Per quanto terribile sia il parlarne, condividono lo stesso letto con loro, le abbracciano e le baciano, e tuttavia dichiarano di non aver paura della loro castità perché il loro corpo si è raffreddato e le loro membra sono impotenti a commettere peccato. Sono infelici e più miseri di tutti gli uomini mortali. Sebbene non siano più in grado di compiere il male, hanno la volontà ancora attaccata alla stessa impudicizia. Il turpe desiderio non si placa, sebbene l’impotenza impedisca loro di compierlo. Vediamo se quello che dicono è vero, oppure è la malvagità che li porta a mentire, mostrando due peccati nel tentativo di nasconderne uno: perché uomini già decrepiti a volte soffrono di immaginazioni notturne e questo male che è in noi spesso può turbare anche una vecchiaia già stremata.

 

CAPITOLO XXIX. La vergine sempre timorosa [di cadere nelle tentazioni] rafforzi se stessa con la meditazione della parola di Dio.

Quanto a te, sorella, vorrei che tu non riposassi mai al sicuro, ma avessi sempre paura. Guardati dalla tua debolezza e, come la timida colomba, vai spesso ai corsi d'acqua dove, come in uno specchio, potrai vedere il riflesso del falco mentre vola su di te e starai in guardia. I corsi d'acqua sono le sentenze della Scrittura che sgorgano dalla limpida fonte della saggezza, ti rendono consapevole delle suggestioni del diavolo e ti insegnano a prendere le dovute precauzioni. Niente è meglio della meditazione della Parola di Dio per prevenire pensieri inutili o scacciare quelli impuri. La vergine deve rendere la meditazione così familiare da non poter occupare la sua mente con altro, anche quando lo desiderasse. Quando si addormenta, pensi alle Scritture. Quando si sveglia il primo pensiero sia un passo delle Scritture; mentre dorme i suoi sogni siano intervallati da qualche versetto delle Scritture che è rimasto fisso nella sua memoria.

 

CAPITOLO XXX. Contro coloro che non favoriscono il rigore dell’astinenza per non incorrere nella debolezza del corpo.

Ora vi sono alcuni che sono frenati nell'esercizio della virtù da un certo timore che il digiuno eccessivo o l'indebita mancanza di sonno possano privarli del vigore e renderli così un peso per gli altri e un dolore per se stessi: questa è una scusa per i nostri peccati. Quanto pochi sono oggi - sono proprio pochi - quelli che sono accesi da tanto fervore. Siamo tutti saggi, tutti prudenti, tutti discreti. Annusiamo la guerra da lontano ed abbiamo un tale terrore della malattia fisica prima che si faccia sentire che non prestiamo attenzione alla malattia spirituale che già ci affligge, come se la fiamma della libidine fosse più facile da sopportare dei disturbi dello stomaco; come se non fosse molto meglio evitare la lussuria con la sofferenza della carne, piuttosto che esservi sottomessi rimanendo in salute ed in forza. Che differenza fa se con il digiuno o con la malattia si reprime l'orgoglio della carne e si preserva la castità? Ma dobbiamo stare in guardia contro la debolezza, si dirà, per paura che col pretesto dell’infermità cadiamo nelle attrazioni del piacere. Ma puoi star certo che l'uomo che si sente debole, che è malato, le cui viscere gli si torcono, il cui stomaco è inaridito, considererà qualunque piacere più un peso che una gioia.

 

CAPITOLO XXXI. A proposito del giovane che si ravvide e vide Cristo nell’ora della morte.

Ho conosciuto un uomo che nella sua giovinezza non riusciva a contenersi, da tanto era attanagliato dalla forza di abitudine. Poi alla fine, tornando in se stesso, se ne vergognò enormemente. Immediatamente il suo cuore si accese dentro di lui e mentre rifletteva il fuoco divampò. Una sana rabbia contro di sé lo portò ad un feroce attacco contro se stesso; dichiarò guerra al suo corpo e lo privò anche di ciò che sembrava necessario. La leggerezza lasciò il posto alla serietà, la loquacità al silenzio. Dopo di che nessuno lo vide scherzare, nessuno lo vide ridere, nessuno sentì uscire dalla sua bocca una parola oziosa. Provava un tale disprezzo e ripugnanza per le consolazioni temporali e per tutto ciò che pensava potesse essere gradito alla carne, che non si concedeva alcun riposo o alcun conforto dal cibo e dalle bevande. Era così ansioso e così scrupoloso nei suoi pensieri che sembrava eccedere, ma solo a tal riguardo. In piedi, seduto e mentre camminava, teneva il viso così abbassato e gli occhi così rivolti a terra che sembrava stare in piedi impaurito e tremante davanti al tribunale divino. Con armi come queste ottenne un glorioso trionfo sul tiranno. Dopo aver sviluppato una grave malattia di stomaco e dopo lunghi stenti, mentre si avvicinava l'ora della sua morte, disse: "E sia! Ecco, Gesù viene".

 

CAPITOLO XXXII. La vera discrezione deve anteporre l’anima alla carne.

Non lo dico in disprezzo della discrezione, madre e nutrice di tutte le virtù. Ma dobbiamo tenere entro i dovuti limiti quelle cose che forniscono materia per il vizio: mangiare, dormire, rilassare il corpo, familiarità con donne e con uomini effeminati, e condividere la loro compagnia; spesso usiamo la discrezione come pretesto per mascherare la ricerca del piacere. La vera discrezione è anteporre l'anima al corpo e, dove entrambi sono minacciati e la salute dell'una può essere ottenuta solo a prezzo della sofferenza dell'altro, bisogna trascurare il corpo per amore dell'anima. Il mio scopo nel fare queste osservazioni è stato quello di renderti consapevole della sollecitudine che dovrai esercitare per preservare la tua castità. Sebbene essa sia il fiore e l'ornamento di tutte le virtù, appassisce e marcisce senza l’umiltà.

 

CAPITOLO XXXIII. La superbia e le sue specie.

L’umiltà è il fondamento sicuro e solido di tutte le virtù, e tutto ciò che non è costruito su di essa cadrà in rovina. L'inizio di ogni peccato è la superbia, che ha cacciato l’angelo dal cielo e l'uomo dal paradiso. Da questa radice malvagia scaturiscono molti rami, ma tutti divisi in due specie: la superbia carnale e la superbia spirituale. La superbia carnale consiste nel vantarsi delle cose della carne, la superbia spirituale consiste nel vantarsi delle cose dello spirito.

La superbia carnale, inoltre, si suddivide in due specie, la vanagloria e la vanità. È una questione di vanità se la serva di Cristo si vanta nei suoi pensieri di essere nata da genitori nobili; se si compiace di aver preferito la povertà alla ricchezza per amore di Cristo; se cerca di anteporre se stessa a quelle più povere e meno nobili di lei; se lei si ritiene ammirabile per aver realizzato qualcosa di grande nel disprezzare un ricco matrimonio.

 

CAPITOLO XXXIV. Una certa specie di vanità riguardo agli ornamenti della cella e dell’oratorio.

Un altro tipo di vanità consiste nel compiacersi delle decorazioni all'interno della cella: pareti ornate di dipinti o dorature, l'oratorio impreziosito da varie pitture e statue. Evita tutte queste cose in quanto contrarie alla tua professione.

 

CAPITOLO XXXV. In aggiunta anche una certa fatua gloria.

Come puoi osare di essere orgogliosa della ricchezza o della nobiltà quando cerchi di apparire come la sposa di colui che si è fatto povero sebbene fosse ricco e si è scelto una madre povera, una famiglia povera, una casetta povera ed anche lo squallore di una mangiatoia? Forse è per superbia che hai preferito il Figlio di Dio ai figli degli uomini, che hai disprezzato l'impurità della carne per la bellezza della verginità, che hai scambiato cose che diventeranno mero letame per le eterne ricchezze e delizie celesti?

 

CAPITOLO XXXVI. Come siano da preferire gli ornamenti delle virtù.

Se devi gloriarti, gloriati nel Signore e servilo con timore. Ma non vorrei che tu inseguissi, con il pretesto della devozione, la gloria che si esprime nei dipinti o nelle sculture, nei tendaggi decorati con uccelli o animali o immagini di fiori di ogni tipo. Lascia queste cose a persone che non hanno nulla in sé di cui gloriarsi e quindi devono cercare il loro piacere nelle cose esteriori.

Poiché tutta la gloria della figlia del re è interiore, vestita com'è di abiti ornati di orli d'oro (Cfr. Sal 45(44),14-15). Se anche tu sei già figlia del Re, poiché sei la sposa del Figlio del Re, ed hai udito la voce del Padre che dice: “Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio” (Sal 45(44),11), allora sia tutta la tua gloria interiore. Fa' che la tua gloria sia testimone della tua coscienza. Qui deve brillare la bellissima varietà delle virtù. I loro diversi colori si fondono così in armonia che l'uno può aumentare la bellezza dell'altro e ciò che per sua natura è meno brillante può risplendere più luminoso in contatto con un altro.

 

CAPITOLO XXXVII. Descrizione degli ornamenti delle virtù.

L'umiltà si unisca alla castità e niente potrà essere più splendido. La semplicità si aggiunga alla prudenza e niente potrà essere più abbagliante. La misericordia si unisca alla giustizia e nulla potrà essere più gradito. Aggiungi la modestia al coraggio e niente potrà essere più utile. Mantieni gli occhi della tua mente occupati in questa serie di virtù e sforzati di coltivarla nella tua anima. Se poi vi legherai delle bordure d'oro ti sarai fatto una veste dai mille colori, nella quale il tuo Sposo si compiacerà di vederti. Il bordo è la parte estrema, la fine per così dire di un indumento. Ma il compimento della Legge è la carità, proveniente da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. (Cfr. 1 Tm 1,5)

 

CAPITOLO XXXVIII. In che modo si costruiscono i buoni costumi, prendendo ad esempio il lino col quale si orna l'altare.

 Ecco ciò di cui ti devi gloriare e dove devi trovare la tua felicità; nelle realtà interiori, non quelle esteriori, nelle vere virtù, non nelle pitture e nelle statue.

Il tuo altare deve essere coperto con panni di lino bianco. Il loro candore sarà segno di castità e mostrerà la semplicità. Considera quale fatica, quanti colpi ci sono voluti per liberare il lino dal colore terreno in cui è cresciuto e per portarlo ad un tale candore da poter adornare un altare e coprire il corpo di Cristo. Tutti nasciamo con il colore della terra poiché: “Sono stato concepito nell'iniquità e nel peccato mi ha concepito mia madre” (Cfr. Sal 51(50).7). In primo luogo il lino viene immerso nell'acqua e nell'acqua del battesimo siamo sepolti insieme a Cristo (Cfr. Rm 6,3-4). Il peccato è distrutto, ma la nostra infermità non guarisce ancora. Ci viene dato un po' di candore dal perdono dei nostri peccati, ma a causa della nostra corruzione naturale, che rimane, non siamo ancora completamente liberati del nostro colore terreno. Quando lo si toglie dall'acqua il lino si asciuga; così dopo le acque del battesimo il corpo, macerato dall’astinenza, si svuota degli umori illeciti. Poi il lino viene battuto con i martelli e così la nostra carne è spossata da molte tentazioni. Dopo, questo lino viene lacerato con chiodi di ferro in modo che possa liberarsi del suo rivestimento superfluo; allo stesso modo noi veniamo spogliati dalle unghie della regolare osservanza e non ci rimane che il necessario. Poi il lino passa attraverso un processo di raffinamento più dolce per mezzo di punte più morbide; così anche noi, dopo aver vinto le peggiori passioni con grande fatica, siamo purificati dai peccati più leggeri e quotidiani con la semplice confessione e la soddisfazione. Poi il lino viene tirato in lunghi fili dai filatori; ed anche noi veniamo trascinati sempre più avanti con tranquilla perseveranza. Inoltre, affinché la sua bellezza sia perfetta, il lino subisce un trattamento con fuoco ed acqua; ed anche noi dobbiamo passare attraverso il fuoco delle tribolazioni e l'acqua della compunzione per arrivare al fresco refrigerio della castità (Cfr. Sal 66(65),12).

Siano questi i pensieri che ti suggeriscono gli arredi del tuo oratorio, invece di rallegrarti gli occhi con fantasie sconvenienti.

 

CAPITOLO XXXIX. Nell’oratorio delle monache è sufficiente che ci sia l’immagine del crocifisso e, collocati ai suoi lati, Maria e Giovanni.

Sul tuo altare ti sarà sufficiente avere una rappresentazione del nostro Salvatore appeso sulla Croce. Questa ti riporterà alla mente la sua passione che dovrai imitare. Le sue braccia aperte ti inviteranno ad abbracciarlo, il suo petto nudo ti nutrirà con il latte della dolcezza che sarà la tua grande consolazione.

Se vuoi, per farti conoscere l'eccellenza della verginità, un'immagine della Vergine Madre e una del vergine discepolo possono stare ai due lati della Croce, così che tu possa considerare quanto sia gradita a Cristo la verginità di entrambi i sessi, consacrata nella Madre e nel discepolo che amava più degli altri. Perciò, mentre pendeva dalla croce, li riunì in un'unione così stretta da donare lei al discepolo come madre e lui a sua Madre come figlio. Oh! quanto è beato Giovanni grazie a questa eredità: a te è dato, con tutta la solennità di un'ultima volontà, la perla di tutto il genere umano, la speranza del mondo, la gloria del cielo, il rifugio dei miseri, il conforto degli afflitti, la consolazione dei poveri, la salvezza dei disperati, la riconciliazione dei peccatori; in una parola la padrona del mondo e la regina del cielo.

Queste immagini servano ad aumentare la tua carità, non a dare spettacolo alla vanità. Tutte loro devono condurti all'unità, perché “di una sola cosa c’è bisogno” (Lc 10,42). Questa unità si trova solo nell'Uno, presso l'Uno, con l’Uno; “presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1,17). Chi si unisce a lui diventa con lui un solo spirito, trasportato in quell'Uno che è sempre lo stesso ed i cui anni non hanno fine (Cfr. Sal 102(101),28). Questa adesione è la carità, che è come la frangia ed il completamento della veste spirituale.

 

CAPITOLO XL. Sull’amore di Dio e del prossimo e come le (vergini) consacrate a Dio debbano esercitare ambedue.

In verità la veste nuziale, intessuta da tutta la schiera delle virtù, deve avere bordi d'oro, cioè deve essere ornata con lo splendore della carità. Deve contenere tutte le virtù e riunirle nell'unità, conferendo loro il proprio splendore in modo che diventino una cosa sola ed in modo che si uniscano all'Uno, affinché tutte insieme non costituiscano che una sola virtù.

Ora la carità si divide in due, nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo. Inoltre, l'amore del prossimo si suddivide in due, l'innocenza e la beneficenza, cioè non nuocere a nessuno e fare del bene a coloro ai quali lo si può fare. Sta scritto, infatti: “Ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso non farlo ad un altro” (Cfr. Tb 4,15); e questa è l'innocenza. Nostro Signore dice nel Vangelo: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12); e questa è la beneficenza.

Fai bene attenzione a come queste due cose ti riguardano. Prima non devi fare del male a nessuno, poi non devi desiderare di fare del male a nessuno. Il primo è facile per te, poiché è qualcosa che non è in tuo potere da fare, a meno che tu non infligga danno con la lingua. La seconda non sarà difficile se manterrai il tuo stile di vita ed amerai la povertà che hai promesso. Infatti non può esservi motivo di rancore verso alcuno quando non c'è cupidigia, quando non si ama nulla che ci possa essere tolto e se non ci può essere tolto nulla di ciò che amiamo.

In secondo luogo devi voler bene a tutti e metterti al servizio di coloro ai quali puoi farlo. “E com'è possibile,” tu mi dirai, ”dal momento che non mi è permesso possedere la minima cosa che potrei dare a chi è nel bisogno?”

 

CAPITOLO XLI. L’esempio di Maria e di Marta, la vita attiva e contemplativa.

 Riconosci lo stato in cui ti trovi, o carissima. C'erano due sorelle, Marta e Maria. L'una era occupata in lavori, l'altra se ne era liberata. L'una erogava, l'altra chiedeva. L'una era ansiosa di servire, l'altra nutriva i suoi affetti. Quest’ultima non andava in giro, né correva di qua e di là, non si occupava dell'accoglienza degli ospiti, non era distratta dalle preoccupazioni domestiche, non era occupata a rispondere alle grida dei poveri. Stava seduta ai piedi di Gesù ed ascoltava le sue parole. Questa è la tua parte, o carissima. Morta e sepolta al mondo, dovresti essere sorda a tutto ciò che appartiene al mondo ed incapace di parlarne. Non devi tenderti, ma distenderti, non devi svuotarti, ma riempirti. Lascia che Marta faccia la sua parte, che non è detto che non sia buona, ma la parte di Maria è dichiarata migliore. Maria invidiava Marta? Piuttosto era il contrario. Quindi, coloro che sembrano trarre il meglio dalla vita nel mondo invidino la tua vita; non sta a te invidiare la loro. A loro spetta elargire l'elemosina, dato che hanno beni terreni o sono stati incaricati dell'amministrazione dei beni della Chiesa.

 

CAPITOLO XLII. L’amministrazione dei beni ecclesiastici.

Infatti ciò che è stato donato alla Santa Chiesa dai fedeli viene consegnato a vescovi, sacerdoti e chierici per essere distribuito, non nascosto o sottratto, ma dato in elemosina. Tutto ciò che hanno appartiene ai poveri, alle vedove, agli orfani ed a coloro che prestano servizio all'altare e quindi hanno il diritto di vivere dell'altare. Anche i doni che si fanno ai monasteri per l'uso dei servi di Cristo devono essere amministrati da persone preposte allo scopo, in modo che ciò che rimane quando i bisogni dei fratelli sono stati soddisfatti non sia immagazzinato negli scrigni ma dato agli ospiti, ai pellegrini ed ai poveri.

 

CAPITOLO XLIII. Le recluse non devono essere distratte dalla preoccupazione per i poveri e gli ospiti.

Questa è la preoccupazione di coloro ai quali sono affidate le funzioni di Marta, non di coloro che con Maria sono lasciati liberi di godere di una quiete che gioverà proficuamente alle loro anime. Perciò i “claustrali” [4] non devono essere turbati da alcuna preoccupazione per i poveri o distratti dall'accoglienza degli ospiti; anzi non devono nemmeno preoccuparsi del domani (Cfr. Mt 6,34), non devono avere nessuna ansia per il cibo e le bevande. Si nutrano piuttosto di fiori di zafferano (Cfr. Lam 4,5) e si compiacciano delle delizie dello spirito. Coloro che sono poco stimati, e quindi nominati giudici (Cfr. 1 Cor 6,4), vadano a servirsi nel letamaio. Questi sono i buoi, il cui sterco sarà gettato sul pigro (Cfr. Sir 22,2 (Vulg.)) [5].

 

CAPITOLO XLIV. L’amministrazione dei beni temporali non conviene assolutamente ai cenobiti e molto meno alle vergini recluse.

Perché ci sono alcuni che si stancano delle cose spirituali come il popolo peccatore e provano disgusto per la manna dal cielo (Cfr. Nm 21,5). Quando vedono gli altri occupati nelle faccende temporali, li invidiano, li criticano, si lamentano di loro e, alla vista dello sterco che li insozza, sono colpiti da amara gelosia. Se dovesse essere loro affidato un incarico temporale si potrebbe ben dire: “Quelli che si nutrivano di fiori zafferano sono andati ad abbracciare il letame” (Cfr. Lam 4,5)

Se poi anche a coloro che vivono in comunità e hanno non poco in comune con Marta non è concesso di occuparsi di tante cose, quanto meno sarà concesso a te che ti sei ritirata completamente dal mondo e che non puoi non solo possedere, ma neanche vedere o sentire ciò che appartiene al mondo?

 

CAPITOLO XLV. Come le monache debbano distribuire ciò che è superfluo.

Poiché nessuno ti dà nulla da distribuire in elemosina, da dove prenderai qualcosa da donare?

Se il tuo lavoro produce qualcosa, donalo, ma non per mano tua, ma per mano di qualcun altro. Se il tuo cibo viene da fuori e tu hai diritto allo stretto necessario, come potrai donarne agli altri?

Che bene potrai fare allora al tuo prossimo in queste condizioni? “Niente è più ricco, ha detto un sant'uomo, di una buona volontà” (Gregorio Magno, Omelia V sui Vangeli, 3). Questa sia la tua offerta. Cosa c'è di più utile della preghiera? Questa sia la tua generosità. Cosa c'è di più umano della pietà? Questa sia la tua elemosina.

 

CAPITOLO XLVI. Quale tipo di elemosina conviene fare da parte delle monache.

Quindi abbraccia il mondo intero con le braccia del tuo amore ed in quell'atto considera i buoni ed i malvagi, gioisci sugli uni e piangi per gli altri. In quell'atto guarda gli afflitti e gli oppressi e prova compassione per loro. In quell'atto ricorda la miseria dei poveri, i gemiti degli orfani, l'abbandono delle vedove, la tristezza degli afflitti, le necessità dei viandanti, le aspirazioni delle vergini, i pericoli dei marittimi, le tentazioni dei monaci, le responsabilità dei prelati, le pene di coloro che sono in guerra. Nel tuo amore apri a tutti il tuo cuore, piangi su di loro, offri le tue preghiere per loro. Questa elemosina sarà più gradita a Dio, più accetta a Cristo, più conforme alla tua professione, più feconda per chi la riceve. L'attuazione di opere buone come queste ti aiuta a vivere la tua vocazione, invece di turbarla; accresce l'amore che hai per il prossimo invece di diminuirlo; è una salvaguardia, non un ostacolo alla tranquillità della mente.

Che dire di più, quando “i santi, per amare perfettamente il prossimo, si preoccuparono di non avere nulla in questo mondo, di non desiderare nulla e nemmeno di possedere cose, anche se il desiderio di possesso si era già spento”. Tu riconoscerai le parole: vengono da san Gregorio (Omelia V sui Vangeli, 4). Vedi anche come siano tanti coloro che pensano il contrario. Infatti, per compiere la legge della carità, cercano di avere qualcosa da donare, mentre san Gregorio assegna la perfezione della carità a coloro che si sono risolti a non avere nulla, a nulla desiderare, a non possedere nulla, anche se il desiderio di possesso si fosse già spento.

 

CAPITOLO XLVII. L’amore di Dio viene destato nella meditazione dei misteri di Cristo.

Dopo queste considerazioni sull'amore del prossimo aggiungerò alcune parole sull'amore di Dio.

Infatti, entrambe le sorelle amavano Dio e il prossimo; Marta si preoccupava soprattutto del servizio del prossimo, mentre Maria beveva alla fonte dell'amore divino. Ci sono due principi nell'amore di Dio; l’affetto dell’anima e l’effetto dell’azione. Il secondo principio consiste nella pratica delle virtù, il primo nella dolcezza gustata dallo spirito. La pratica delle virtù è questione di regola di vita, di digiuni, di veglie, di lavoro, di lettura, di preghiera, di povertà e simili, mentre l’affetto si nutrono di sana meditazione. Quindi, se quel dolce amore di Gesù deve crescere nel tuo affetto, hai bisogno di una triplice meditazione, sul passato, sul presente e sul futuro, vale a dire, devi ricordare ciò che è successo tanto tempo fa, fare esperienza del presente e tenere in considerazione il futuro.

Quando la tua mente è stata purificata dalla pratica delle virtù da tutti i pensieri che la inquinavano, rivolgi i tuoi occhi, purificati come lo sono ora, al passato. Entra prima nella stanza della beata Maria e leggi con lei i libri che profetizzano la nascita verginale e la venuta di Cristo. Aspetta là l'arrivo dell'angelo, per vederlo entrare, ascoltarlo mentre pronuncia il suo saluto e così, pieno di stupore e rapito da te stesso, saluta insieme all'angelo la tua dolcissima Signora. Grida a gran voce: “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne” (Cfr. Lc 1,28). Ripeti più volte e considera che cos'è questa pienezza di grazia che ha condiviso col mondo intero quando “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;... pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Ammira come il Signore, che riempie terra e il cielo, resti chiuso dentro il grembo di una fanciulla che il Padre ha santificato, il Figlio fecondato e lo Spirito Santo ha coperto con la sua ombra.

O dolce Signora, con quale dolcezza fosti inebriata, con quale fuoco d'amore fosti infiammata, quando sentisti nella tua mente e nel tuo grembo la presenza della maestà, quando prese carne dalla tua carne e dalle tue membra prese le membra nelle quali avrebbe abitato corporalmente tutta la pienezza della divinità. Tutto questo è avvenuto per te, o vergine, affinché tu contempli attentamente la Vergine che hai deciso di imitare ed il Figlio della Vergine a cui ti sei donata come sposa.

Ma ora, insieme alla tua dolcissima Signora, sali sui monti e contempla la sterile e la vergine mentre si abbracciano e si scambiano quel saluto in cui il piccolo servo riconobbe e salutò con indicibile gioia il suo Signore, l'araldo riconobbe il giudice, la voce la Parola, l'uno racchiuso nel grembo della sua anziana madre, l'altro confinato nel grembo della Vergine. Beati i grembi da cui trae origine la salvezza del mondo intero e, allontanata la cupa tristezza, l'eterna gioia viene preannunciata. Che fai, o vergine? Corri, ti prego, corri e partecipa a tanta gioia, prostrati ai piedi di entrambe, nel grembo dell'una abbraccia il tuo Sposo, nel grembo dell'altra rendi onore all'amico dello Sposo.

Accompagna poi con tutta la tua devozione la Madre nel suo cammino verso Betlemme. Rifugiati con lei nella locanda, sii presente e soccorrila mentre partorisce e, quando il bambino è deposto nella mangiatoia, prorompi in parole di gioia esultante insieme a Isaia e grida: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5). Abbraccia quel dolce presepe, lascia che l'amore vinca la tua riluttanza, l'affetto scacci il timore. Metti le tue labbra su quei santissimi piedi e baciali più volte.

Contempla poi la veglia dei pastori, ammira l'esercito degli Angeli, contribuisci con la tua voce alla loro celeste melodia, cantando con il cuore e con le labbra: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” (Lc 2,14).

 

CAPITOLO XLVIII. L’adorazione dei Magi, la fuga di Cristo in Egitto ed il ladrone sulla croce alla destra di Gesù.

Non tralasciare i Magi ed i loro doni dalla tua meditazione e non lasciare il Bambino senza compagnia nella sua fuga in Egitto. Accetta come vera la leggenda secondo cui fu catturato dai ladri lungo la strada e fu liberato grazie ad un giovane che si suppone fosse il figlio del capo dei ladri. Dopo aver afferrato il suo bottino guardò il Bambino in grembo alla Madre e rimase così colpito dalla maestà che irradiava dal suo bel viso da convincersi che fosse qualcosa di più di un uomo. Infiammato d'amore lo abbracciò e disse: "O beatissimo tra i bambini, se mai si presentasse l'occasione di avere pietà di me, ricordati di me e non dimenticare il momento presente". Si dice che questo fosse il ladro che fu crocifisso alla destra di Cristo e rimproverò l'altro ladro quando bestemmiò, dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 4Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male" (Lc 23,40-41). Poi, rivolto a nostro Signore e vedendo in lui quella maestà che gli era apparsa nel bimbo, si ricordò del suo patto e disse: "Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Quindi, per accendere l'amore, ritengo che valga la pena accettare questa leggenda come vera, senza fare affermazioni avventate sulla sua autorità. "Ricordami quando entrerai nel tuo regno". Quindi, per accendere l'amore, ritengo che valga la pena accettare questa leggenda come vera, senza fare affermazioni avventate sulla sua autorità. "Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Quindi, per stimolare l'amore, ritengo che valga la pena accettare questa leggenda come vera, senza fare affermazioni avventate sulla sua autorevolezza.

 

CAPITOLO XLIX. La contemplazione di Gesù bambino.

Inoltre, non pensi di guadagnare un po' devozione contemplandolo a Nazaret come un ragazzo tra i ragazzi, obbediente alla madre e mentre aiutava il padre putativo con la sua opera?

Tienilo presente anche quando all'età di dodici anni salì a Gerusalemme con i suoi genitori e rimase in città quando tutti iniziarono il loro ritorno, ignari che lui fosse rimasto. Unisciti a sua Madre nella sua ricerca durante quei tre giorni. Quale fiume di lacrime non verserai quando sentirai sua Madre che riprende suo Figlio con il dolce rimprovero: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48).

 

CAPITOLO L. La riflessione sul battesimo, sul digiuno e sulla tentazione di Cristo.

Se invece ti diletti a seguire la Vergine dovunque vada, cerca le cose più profonde che sono nascoste in lei. Così al fiume Giordano contemplerai il Padre nella sua voce, il Figlio nella sua forma umana, lo Spirito Santo nella colomba. Lì, ammessa alle nozze spirituali, guarderai in alto lo Sposo che ti è stato donato dal Padre, riceverai la purificazione portata dal Figlio ed il pegno d'amore dallo Spirito Santo.

Poi lo Sposo ha dedicato a tuo beneficio la solitudine del deserto ed ha santificato il digiuno, per insegnarti che è lì che devi affrontare l'astuto nemico in battaglia. Considera che queste cose sono state fatte per te ed in tua vece; meditare sul modo in cui sono state fatte ed imita ciò che è stato fatto.

 

CAPITOLO LI. La donna sorpresa in adulterio.

Ora ricorda la donna che fu colta in adulterio e ciò che fece e disse Gesù quando gli fu chiesto di pronunciare la sentenza. Egli scrisse sulla terra, per mostrare come loro appartenessero alla terra anziché al cielo, e poi disse: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Ma quando queste parole li colpirono tutti con terrore e li scacciarono dal tempio, immagina quanto furono misericordiosi i suoi occhi mentre si rivolse a lei e quanto era fu e tenera la voce con cui pronunciò la sua sentenza di assoluzione. Pensa come la donna potrebbe avrebbe sospirato e come avrebbe pianto quando Gesù disse: “Donna, …Nessuno ti ha condannata? … Neanch’io ti condanno". Beata fu questa donna, mi sento propenso a dire, a causa di questo adulterio, perdonata come fu per il passato e resa sicura per il futuro. O buon Gesù, quando sei tu che dici: “Neanch’io ti condanno”, chi altri condannerà? Quando è Dio che giustifica, chi potrà condannare? Ma neppure le parole che tu, o Gesù, hai aggiunto devono essere trascurate: Va' e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,6-11).

 

CAPITOLO LII.  La donna che bagnò i suoi piedi con le lacrime.

Ora entra nella casa del fariseo e guarda il tuo Signore al suo posto a tavola. Insieme a quella beatissima peccatrice avvicinati ai suoi piedi, lavali con le tue lacrime, asciugai con i tuoi capelli, baciali con i tuoi baci ed ungili con gli unguenti. Non ti senti già intrisa dal profumo di quell'olio sacro? Se ancora non ti permette di avvicinarti ai suoi piedi, sii insistente, supplicalo, alza verso di lui gli occhi pieni di lacrime ed estorcergli con profondi sospiri e gemiti indicibili ciò che cerchi. Lotta con Dio come fece Giacobbe, perché si rallegri di essere vinto. A volte ti sembrerà che distolga lo sguardo, che chiuda le orecchie, che ti nasconda i piedi che desideri toccare. Nondimeno sii insistente, in modo “opportuno e non opportuno” (2Tm 4,2), e grida: “Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? (Sal 13(12),1) Fino a quando dovrò gridare senza che tu mi ascolti (Cfr. Sal 22(21),3). “Rendimi”, buon Gesù, “la gioia della tua salvezza” (Sal 51(50),14). Perché “Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 27(26),8). Certamente non rifiuterà i suoi piedi ad una vergine, lui che li ha dati da baciare ad una donna peccatrice.

 

CAPITOLO LIII. Il paralitico calato dal tetto e risanato sia corporalmente che spiritualmente.

Non passare oltre quella casa in cui il paralitico è stato calato dal tetto davanti ai suoi piedi e dove bontà e potenza si sono incontrate. "Figlio, ti sono perdonati i peccati" (Mt 9,2). Che incredibile clemenza, che indicibile misericordia. Quell'uomo ricevette felice il perdono dei suoi peccati senza averlo chiesto, senza alcuna confessione preliminare, senza averlo guadagnato con alcuna soddisfazione, senza alcuna contrizione che potesse sembrare richiederlo. Era la salute fisica che chiedeva, non quella dell'anima, eppure ricevette la salute sia del corpo che dell'anima. Veramente, Signore, la vita è a tua disposizione Se decidi di salvarmi, nessuno oserà dire: Perché ti comporti così? Perché ti lamenti, fariseo? Forse il tuo occhio è cattivo perché Lui è buono? (Cfr. Mt 20,15) In verità “ha misericordia verso chi vuole” (Rm 9,18). Piangiamo e preghiamo perché lo voglia. Le opere buone aiutino anche la preghiera ad essere più fervida, ad aumentare la devozione, a suscitare l'amore. Le mani che si alzano in preghiera siano pure, non macchiate dal sangue dell'impurità, non macchiate da contatti illeciti, non contaminate dall'avarizia. Anche il cuore si elevi libero dall'ira e dalle liti, calmo e tranquillo, placato nella pace, fervido nella vita dalla purezza della coscienza.

Ma noi non leggiamo che il paralitico avesse compiuto nessuno di questi preliminari, eppure leggiamo che fu ritenuto degno di ricevere il perdono dei suoi peccati. Questa è la potenza dell'indicibile misericordia di Cristo e, come è blasfemo negarla, così è cosa stolta presumere di ottenerla. Egli può dire e fare a chi vuole ciò che disse e fece al paralitico: “ti sono perdonati i peccati” (Mc 2,5), ma chi si aspetta che gli vengano dette queste parole senza fatica, né contrizione, né confessione, né preghiera da parte sua, mai gli saranno perdonati i suoi peccati.

 

CAPITOLO LIV. L’accoglienza di Cristo nella casa di Marta e Maria.

Ma dobbiamo lasciare questa scena e venire a Betania, dove i sacri vincoli dell'amicizia sono consacrati dall'autorità di nostro Signore. Perché Gesù amava Marta, Maria e Lazzaro. Non c'è dubbio che ciò fosse dovuto alla speciale amicizia grazie alla quale ebbero il privilegio di essere più intimamente legati a lui. Ciò è confermato da quelle dolci lacrime con cui si associò a chi piangeva e che tutto il popolo interpretò come un segno d'amore: “Guarda”, dicevano, “come lo amava” (Gv 11,36).

Ed ecco, là gli prepararono una cena, dove “Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali” (Gv 12,2). Ora Maria portò un unguento in una scatola di alabastro e rompendo l'alabastro versò l'unguento sul capo di Gesù (Cfr. Gv 12,2-3). Sii lieta, ti prego, di prendere parte a questo pasto. Segna attentamente la parte interpretata da ciascuno di loro. Marta serviva, Lazzaro era a tavola, Maria versò unguento. Quest'ultima funzione è quella che spetta a te. Spezza dunque l'alabastro del tuo cuore e, qualunque devozione tu abbia, qualunque amore, qualunque desiderio, qualunque affetto, versalo tutto sul capo del tuo Sposo, mentre adori l'uomo in Dio e Dio nell'uomo.

Se il traditore è indignato, se si lamenta e mostra invidia, se chiama la tua devozione uno spreco, non farci caso. "Perché tali sprechi?" ha detto, “questo unguento potrebbe essere venduto a caro prezzo e il denaro dato ai poveri” (Cfr. Mc 14,4-5). Il fariseo si lamentava perché serbava rancore alla penitente per la grazia che lei aveva ottenuto. Giuda si lamentava perché era invidioso del valore dell'unguento versato. Ma il giudice non ammise l'accusa ed assolse la donna contro la quale era stata mossa. “Lasciatela stare”, disse, “ha compiuto un’azione buona verso di me” (Mc 14,6). Marta faccia il suo lavoro, svolga il suo servizio, prepari l'alloggio per il pellegrino, il cibo per l'affamato, la bevanda per l'assetato, i vestiti per chi ha freddo. Io sono tutto preso da Maria e lei da me; mi doni tutto ciò che ha e si aspetti di ricevere da me tutto ciò che desidera.

Cosa ne pensi? Non consiglieresti certo a Maria di lasciare quei piedi che dolcemente bacia, o di distogliere gli occhi da quel viso bellissimo che sta contemplando, o di smettere di ascoltare le dolci parole con cui si ristora?

 

CAPITOLO LV. L’ingresso di Cristo a Gerusalemme ed i bambini che proclamano: “Osanna”.

Ma ora dobbiamo alzarci e andarcene. Dove? tu chiedi. Certamente per accompagnare il Signore del cielo e della terra mentre cavalca un asino; meravigliata da queste grandi cose fatte per te, unisci la tua lode a quella dei bambini, gridando: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Mt 21,9). Ora dunque sali con lui nel grande cenacolo, arredato per la cena e gioisci nel condividere le delizie del pasto che ci porta la salvezza.

 

CAPITOLO LVI. La cena del Signore e ciò che è accaduto durante la stessa.

L'amore vinca la timidezza, l’affetto scacci il timore: in modo che egli possa almeno dare in elemosina alla mendicante le briciole di quella mensa. Oppure stai a distanza e, come un povero che guarda un ricco, stendi la mano per ricevere qualcosa, e le tue lacrime dichiarino la tua fame. Ma quando si alza da tavola, si cinge con l'asciugatoio e versa l'acqua nel catino, allora considera quale maestà è quella che lava ed asciuga i piedi degli uomini, quale grazia è quella che tocca con le sue mani sante i piedi del traditore. Guarda, aspetta e, infine, dagli da lavare i tuoi piedi, perché chi non sarà da lui lavato non avrà parte con lui.

Perché hai tanta fretta di uscire adesso? Aspetta un po'. Non vedi? Chi è quello, ti chiedo, che si china sul suo petto e reclina la testa per posarla sul suo petto? Felice è lui, chiunque egli sia. Oh, vedo: “Giovanni è il suo nome (Lc 1,63). O Giovanni, dicci quanta dolcezza, quanta grazia e tenerezza, quanta luce e devozione tu attingi da quella fonte. Lì ci sono davvero tutti i tesori della saggezza e della conoscenza, la fonte della misericordia, la dimora dell'amorevole gentilezza, il favo della dolcezza eterna. Che cosa hai fatto per meritarti tutto questo, Giovanni? Sei più grande di Pietro, più santo di Andrea e più gradito di tutti gli altri apostoli? Questo è, invece, il privilegio speciale della verginità: sei stato scelto per essere vergine dal Signore e quindi amato più degli altri.

Esulta ora, o vergine, avvicinati e non tardare a reclamare per te una parte di questa dolcezza. Se non sei capace di cose più grandi, lascia che Giovanni si rallegri con il vino della gioia nella conoscenza della divinità, mentre tu corri a nutrirti del latte che sgorga dall'umanità di Cristo. Nel frattempo, quando affiderà i suoi discepoli al Padre con la più santa delle orazioni e dirà: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome” (Gv 17,11), tu china la testa, in modo che anche di te si possa dire: “Padre, voglio che [quelli che mi hai dato] siano anch’essi con me dove sono io” (Gv 17,24).

 

CAPITOLO LVII. L’agonia di Cristo sul Monte degli Ulivi.

È bello per te restare qui, ma dobbiamo partire. Lui stesso conduce al Monte degli Ulivi, tu seguilo. E sebbene, portando con sé Pietro ed i due figli di Zebedeo, si ritiri in solitudine, tu guarda anche solo da lontano e vedi come prende su di sé la nostra debolezza. Vedi come colui al quale tutto appartiene comincia ad essere sgomento e spaventato: " La mia anima è triste fino alla morte" (Mt 26,38), dice. Com'è possibile ciò, o mio Dio? La tua compassione per me ti spinge a mostrarti uomo, a tal punto da sembrare che non sei più consapevole di essere Dio. Preghi prostrato sul tuo volto ed il tuo sudore è diventato come gocce di sangue che cadono a terra”. Perché stai lì ferma? Corri, consuma quelle dolci gocce e lecca via la polvere dai suoi piedi. Non addormentarti con Pietro, perché non debba dire anche a te: “Così, non sei stata capaci di vegliare con me una sola ora?” (Mt 26,40).

 

CAPITOLO LVIII. Il tradimento di Cristo

Ma ecco che arriva il traditore seguito da una folla di empi e, mentre Giuda offre il suo bacio, essi mettono le mani sul tuo Signore. Lo tengono, lo legano e stringono con dei lacci quelle dolci mani. Chi potrebbe sopportare un simile comportamento? So che il tuo cuore ora è pieno di pietà, sei infiammata dall'indignazione. Lascialo stare, ti prego, lascialo soffrire, perché è per te che sta soffrendo. Perché brami una spada? Perché sei adirata? Se, come Pietro, taglierai l'orecchio a qualcuno, se amputerai un braccio o un piede, lui lo ripristinerà e senza alcun dubbio riporterà in vita chiunque tu ucciderai.

 

CAPITOLO LIX. Le ingiurie riversate su Gesù alla presenza del principe dei sacerdoti e di Pilato.

Seguilo piuttosto nel cortile del principe dei sacerdoti e bagna con le tue lacrime il suo bellissimo viso che essi ricoprono di sputi. Vedi con quale sguardo amoroso, come quanta misericordia, con quanta efficacia guarda Pietro che tre volte lo ha rinnegato e ora si volge, si ravvede e piange amaramente. Vorrei che i tuoi dolci occhi, o buon Gesù, guardassero me che tante volte, con la voce di quella serva insolente che è la mia carne, ti ho rinnegato con cattive azioni e disposizioni.

Ma ora è mattina e viene consegnato a Pilato. Là gli vengono mosse delle accuse e non dice nulla, perché è condotto al macello come una pecora e, come un agnello davanti al tosatore, non ha aperto la bocca. Osserva bene come sta davanti al governatore: ha il capo chino, gli occhi rivolti in basso, il viso sereno, parlando poco, pronto agli insulti e alla flagellazione. So che non resisti più, che non riesci a guardare mentre la sua dolcissima schiena è lacerata dai flagelli, il suo volto percosso, il suo capo maestoso coronato di spine, la destra che ha fatto il cielo e la terra ridicolizzata con una canna.

Guarda ora, dopo la flagellazione viene condotto fuori indossando la corona di spine e la veste di porpora. Pilato dice: "Ecco l'uomo" (Gv 19,5). Infatti è un uomo. Chi potrebbe dubitarne? Lo testimoniano le ferite lasciate dalle verghe, il livido delle piaghe, gli sputi che lo contaminano. Ammetti ora, o Satana, che questo è un uomo. In effetti è un vero uomo, dici. Ma perché, così insultato, non esprime la rabbia che un uomo mostrerebbe, non si agita e non si ribella ai suoi aguzzini come farebbe un uomo? Perciò è più che un uomo. Ma chi lo conosce? Sicuramente è conosciuto come un uomo mentre subisce il giudizio degli uomini empi, ma sarà conosciuto come Dio quando verrà lui stesso a giudicare.

 

CAPITOLO LX. La passione di Cristo e l’illusione del diavolo.

Te ne sei accorto troppo tardi, Satana. Cosa stavi cercando di fare quando hai incitato la donna a chiedere il suo rilascio? Hai aspettato troppo a lungo prima di parlare. Il giudice ha preso posto in tribunale, la sentenza è stata pronunciata e già il condannato è condotto alla morte portando la propria croce. Oh, che spettacolo! Lo vedi? Ecco, “sulle sue spalle è il potere” (Is 9,5). Questo è lo scettro della giustizia, lo scettro con cui regna. Gli viene dato vino misto a fiele. Viene spogliato delle sue vesti che sono poi divise tra i soldati. La tunica non è strappata, ma è data intera ad un solo designato a sorte. Le sue dolci mani ed i suoi dolci piedi sono trafitti da chiodi, è disteso sulla croce ed appeso tra due ladroni.

 

CAPITOLO LXI. Cristo in croce.

“Il Mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5) è sospeso a metà tra il cielo e la terra, unisce le altezze con le profondità ed unisce le cose terrene con le cose celesti. Il cielo è stupito, la terra si meraviglia; e tu che ne dici? Non mi meraviglio se quando piange il sole piangi anche tu, se quando la terra trema tu tremi con essa, se quando le rocce si spaccano il tuo cuore si squarcia, se quando piangono le donne che sono presso la Croce aggiungi le tue lacrime alle loro.

 

CAPITOLO LXII. La straordinaria pazienza di Cristo sulla croce.

Tuttavia, in mezzo a tutto ciò, considera quale tranquillità conserva in quel dolcissimo petto, quale amorevolezza egli mostra. Non bada ai torti che gli vengono fatti, non bada al dolore, disprezza gli insulti, ma piuttosto ha compassione di chi lo fa soffrire, guarisce chi lo ferisce, dà la vita a chi lo sta uccidendo. Con quale dolcezza d’animo, con quale devozione di spirito, con quale pienezza di carità grida: “Padre, perdona loro” (Lc 23,34).

 

CAPITOLO LXIII. La vergine sta più vicina alla croce.

Eccomi, Signore, ad adorare la tua maestà, non ad uccidere il tuo corpo; a venerare la tua morte, non a deridere la tua passione; a meditare sulla tua misericordia, non a disprezzare la tua debolezza. Allora la tua dolce umanità interceda per me, la tua indicibile bontà mi raccomandi al Padre tuo. Di' dunque, o dolce Signore: "Padre, perdonalo". Ma tu, o vergine, che puoi avere una confidenza maggiore con il Figlio della Vergine che non le donne che sono lontane, avvicinati alla Croce con la Vergine Madre ed il discepolo vergine, e guarda da vicino quel volto in tutto il suo pallore. Che cosa poi? I tuoi occhi resteranno asciutti quando vedrai la tua amatissima Signora in lacrime? Non piangerai quando la sua anima sarà trafitta dalla spada del dolore? Non ci sarà alcun gemito da parte tua mentre lo sentirai dire alla Madre: "Donna, ecco tuo figlio", ed a Giovanni: "Ecco tua madre"? (Gv 19,26-27). Affida così sua Madre al discepolo e promette anche il paradiso al ladro.

Allora uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia e ne uscì sangue ed acqua. Affrettati, non indugiare, mangia il favo con il tuo miele, bevi il tuo vino con il tuo latte (Cfr. Ct 5,1). Il sangue si cambia in vino per rallegrarti, l'acqua in latte per nutrirti. Dalla rupe sono sgorgati per te dei ruscelli, (Cfr. Sal 78(77),16) sono state aperte ferite nelle sue membra, una caverna nella parete del suo corpo, (Cfr. Ct 2,14) in cui, come una colomba, puoi nasconderti mentre baci le sue ferite una ad una. Le tue labbra, macchiate del suo sangue, diventeranno come un nastro scarlatto e la tua parola dolce.

 

CAPITOLO LXIV. Il decurione.

Ma aspetta ancora un po' che arrivi quel nobile decurione a togliergli i chiodi ed a liberare mani e piedi. Vedi come nelle sue felicissime braccia abbraccia quel dolce corpo e se lo stringe al petto. Allora potrebbe quel sant'uomo dire: " L’amato mio è per me un sacchetto di mirra, passa la notte tra i miei seni" (Ct 1,13). Sta a te seguire quel prezioso tesoro del cielo e della terra, reggere i piedi o sostenere le mani e le braccia, o almeno raccogliere con cura le gocce del prezioso sangue mentre cadono una ad una e pulire la polvere dai suoi piedi. Vedi anche con quanta delicatezza, con quanta sollecitudine il beato Nicodemo maneggia le sue membra, ungendole con unguenti, e poi, insieme al santo Giuseppe [d’Arimatea], le avvolge nel sudario e le depone nel sepolcro.

 

CAPITOLO LXV. Maddalena visita il sepolcro.

Non mancare poi di fare compagnia a Maddalena, ricordati di visitare con lei la tomba del tuo Signore, portando con te i profumi che hai preparato. Potessi tu meritare di vedere nel tuo spirito quello che lei vide con gli occhi! L’angelo che siede sulla pietra che è stata rotolata via dall'ingresso, e poi dentro la tomba un angelo che siede dove era posata la sua testa, ed uno che siede dove erano i suoi piedi, proclamando la gloria della sua risurrezione. Poi Gesù stesso che guarda con uno sguardo dolcissimo Maria che piange di dolore e le dice con voce soave: “Maria!”. Cosa c'è di più dolce di questa parola? Cosa potrebbe esserci di più tenero? Cosa di più delizioso? "Maria!" A questa parola sgorgano lacrime dal profondo dei suoi occhi e del suo cuore, sospiri e singhiozzi sgorgano dal suo intimo. "Maria!”. O beata Maria! cosa pensasti, cosa provasti, quando ti prostrasti a questa parola e rispondesti al suo saluto esclamando: “Rabbi”? Con quale affetto, ti chiedo, con quale desiderio, con quale fervore d'animo e devozione di cuore hai gridato “Rabbi”? Ma le lacrime precludono ogni ulteriore enunciazione poiché la voce è soffocata dall'emozione. L'eccesso di amore lascia l'anima muta ed il corpo insensibile.

Ma, dolce Gesù, perché tieni lontana dai tuoi piedi santissimi colei che nel suo amore desidera tanto di poterli stringere? Che comando severo! “Non mi toccare” (Gv 20,17). Ma perché, o Signore? Perché non posso toccarti. Non posso toccare, non posso baciare quegli amabili piedi, che per amor mio sono stati trafitti da chiodi ed intrisi di sangue? Sei più distante del solito perché sei più glorioso? Ma non ti lascerò andare, non ti abbandonerò, non risparmierò le mie lacrime, il mio seno scoppierà in singhiozzi e sospiri se non potrò toccarti.

La sua risposta: Non toccarmi. Non temere; questo dono non ti viene rifiutato ma solo differito. Va’ intanto a dire ai miei fratelli che sono risorto. Ella corre veloce, ansiosa di tornare presto. Ritorna, ma insieme ad altre donne. Gesù va loro incontro con affetto, rinvigorisce i loro spiriti e blandisce la loro tristezza. E notate, ora viene dato il dono che era stato precedentemente rimandato. Si avvicinarono e gli afferrarono i piedi. Rimani qui il più a lungo possibile, o vergine. Non lasciare che queste tue delizie siano interrotte dal sonno o turbate da alcun tumulto esterno.

 

CAPITOLO LXVI. Il disprezzo del mondo e delle cose presenti.

Ma poiché in questa misera vita nulla è stabile, nulla è eterno, e l'uomo non rimane mai nello stesso stato, la nostra anima ha bisogno, mentre viviamo, di essere nutrita di una certa diversità. Passiamo dunque dalla memoria di quanto accaduto nel passato all'esperienza di quanto è ora presente, perché anche queste cose ci insegnino quanto dobbiamo amare Dio.

Ripensa tutto questo nella tua mente, affinché tutto il tuo affetto sia rivolto interamente a lui. Il mondo non abbia valore per te, tutto l'amore carnale sembri contaminato. Dimentica che sei in questo mondo, perché hai spostato il tuo interesse su coloro che sono in cielo e vivono per Dio. “Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Non rinchiudere il tuo spirito con idoli d'argento in un’indegna borsa, perché non potrà mai volare verso il cielo se sei appesantito dalle monete; considera che ogni giorno sarà l'ultimo e allora non penserai al domani. Non ti spaventi la carestia del futuro, non farti abbattere dalla paura della futura fame, ma riponi tutta la tua fiducia in colui che nutre gli uccelli e veste i gigli. (Cfr. Mt 6,26-30) Sia lui il tuo fienile, la tua dispensa, la tua borsa, la tua ricchezza, la tua gioia; solo lui sia tutto in tutte le cose. E questo per il momento basti riguardo alle cose presenti.

 

CAPITOLO LXVII. La morte desiderata dai santi

Ma se tali sono i doni che fa ai suoi nel presente, quali saranno quelli che conserva loro per il futuro?

L'inizio del futuro e la fine del presente è la morte. C'è qualcuno che non abbia una naturale repulsione per la morte, che non ne senta il terrore? Le bestie feroci si proteggono dalla morte, preservano la vita con la fuga, i nascondigli e mille altri artifici. Ora esaminati attentamente. Quale risposta ti dà la tua coscienza, su cosa conta la tua fede, cosa ti promette la speranza, cosa si aspettano i tuoi affetti.

Se la tua vita è un peso per te, se sei stanco del mondo, se la carne ti porta solo dolore, allora davvero la morte è qualcosa che brami, per liberarti dal peso di questa vita, per porre fine al fastidio, per togliere il dolore del corpo. Arrivare a non temere la morte perché si ha una coscienza serena, una fede salda ed una speranza certa, ecco ciò che, a mio avviso, supera tutte le delizie di questo mondo, tutti i suoi onori e ricchezze. Una certa esperienza di ciò la farà specialmente l'uomo che a volte, sospirando sotto il peso della schiavitù, avrà potuto respirare l'aria fresca di una coscienza libera.

Queste sono le sane primizie della beatitudine a venire: allorché arriverà il momento della morte il naturale orrore che provi per essa sarà vinto dalla fede, addolcito dalla speranza, allontanato da una coscienza sicura.

 

CAPITOLO LXVIII. La morte a ragione è il principio della felicità eterna.

Considera anche come la morte è l'inizio della felicità eterna, la meta di tutte le tue fatiche, il distruttore del vizio. Perché così sta scritto: “Beati i morti che muoiono nel Signore. Sì - dice lo Spirito – essi riposeranno dalle loro fatiche” (Ap 14,13). Perciò il Profeta distingue tra la morte dei reprobi e quella degli eletti nelle parole: «Tutti i re dormono nella gloria, ciascuno nella propria casa, mentre tu sei stato gettato fuori dal tuo sepolcro come radice inutile, marcia e contorta” (Cfr. Is 14,18-19).

 

CAPITOLO LXIX. Le anime che escono dal corpo nella gloria e nel castigo.

Dormono infatti nella gloria coloro che sono morti con la testimonianza di una buona coscienza, perché agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi santi. In verità dorme nella gloria colui che si è addormentato assistito dagli angeli; i santi sono accorsi a prestare aiuto e conforto al loro concittadino e l’hanno sostenuto di fronte ai suoi nemici, scacciando coloro che lo assalivano, respingendo coloro che lo accusavano. E così, accompagnando la sua anima santa fino al seno di Abramo, la depongono in un luogo di pace e riposo.

“Non così, non così i malvagi” (Sal 1,4). Gli spiriti maligni con gli strumenti infernali estraggono le anime dal corpo come da una tomba fetida e le gettano, contaminate dalla lussuria e avvolte nella cupidigia, nel fuoco ardente. Le gettano ai vermi che li lacerano e le lasciano soffocare dal fetore eterno. Infatti “l'attesa dei giusti è gioia, ma la speranza degli empi svanirà” (Pr 10,28).

 

CAPITOLO LXX. La pace eterna e la gloria dei santi.

Quanto a quel riposo, quella pace, quel godimento nel seno di Abramo che è promesso a coloro che là riposeranno e che loro attendono, come nessuna esperienza ci ha insegnato cosa sia, così nessuna penna può descriverlo. Quelle anime felici stanno aspettando che il numero dei loro fratelli sia completo, affinché nel giorno della risurrezione, rivestiti della gloria della duplice veste (Cfr. Ap 6,11), possano godere della felicità senza fine del corpo e dell'anima allo stesso modo.

 

CAPITOLO LXXI. Il giorno del giudizio finale.

Ma ora volgi lo sguardo al terrore di quel giorno in cui “le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte” (Mc 13,25), “gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno” (2 Pt 3,10) nel calore del fuoco, gli inferi si spalancheranno e tutto ciò che è nascosto sarà messo a nudo. Dall'alto verrà il giudice con ira, il suo furore tutto in fiamme ed il suo carro come una tempesta. Nella sua ira esigerà vendetta e devasterà con fuoco fiammeggiante. Beato chi è pronto ad incontrarlo. Quale sarà allora la condizione dei miserabili che ora sono contaminati dalla lussuria, dissipati dall'avarizia, gonfiati dall'orgoglio? “Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni” (Mt 13,49), ponendo questi alla destra e gli altri alla sinistra (Cfr. Mt 25,33). Immagina ora di trovarti davanti al tribunale [di Cristo] tra queste due compagnie e di non essere ancora stato assegnata all'una o all'altra. Volgi ora gli occhi alla sinistra del Giudice e osserva quella moltitudine di miserabili.

 

CAPITOLO LXXII.

Che orrore c'è lì, che paura, che fetore, che dolore? Stanno lì miserabili ed infelici, digrignando i denti, la loro carne nuda tremante di paura, orribili a vedersi, i loro volti deformati, abbattuti dalla vergogna, confusi a causa della degradazione e della nudità del loro corpo. Vogliono nascondersi e non è loro permesso, cercano di fuggire e non è loro concesso. Se alzano gli occhi la furia del Giudice si abbatte su di loro dall'alto. Se li abbassano, l'orrore della fossa infernale si presenta davanti a loro. Non hanno scuse da offrire per i loro crimini, né c'è alcuna possibilità di sostenere che il giudizio è ingiusto, poiché qualunque cosa sarà decisa la loro stessa coscienza la riconoscerà come giusta.

 

CAPITOLO LXXIII. L’amore di Dio da contraccambiare per la grazia [ricevuta] della predestinazione.

Vedi ora come devi amare colui che ti ha separato da questa compagnia di dannati con la sua predestinazione, ti ha separato da essa con la sua chiamata e ti ha purificato con la sua giustificazione Ora volgi gli occhi a destra e guarda coloro tra i quali ti metterà glorificandoti.

 

CAPITOLO LXXIV. La gloria dei buoni.

Che grazia c'è qui, che onore, che felicità, che sicurezza. Alcuni sono elevati alla dignità di giudici, altri risplendono con la corona dei martiri, altri portano il fiore bianco della verginità, altri sono fecondi per aver elargito elemosine, altri sono illustri per la loro dottrina e la loro scienza, ma sono tutti uniti dal vincolo della carità. Su di loro risplende il volto di Gesù, non terribile ma amabile, non amaro ma dolce, non spaventoso ma attraente.

 

CAPITOLO LXXV. Siamo annoverati tra coloro che, come compenso, saranno salvati per grazia di Dio.

Ora mettiti in mezzo, non sapendo a quale compagnia ti assegnerà la sentenza dei giudici. Oh! che terribile attesa! Paura e tremore sono venuti su di me e l'oscurità mi ha coperto. (Cfr. Sal 55(54),6) Se mi manderà tra quelli di sinistra non potrò lamentarmi dell'ingiustizia; se mi porrà tra quelli di destra sarà da attribuirsi alla sua grazia, non ai miei meriti. Veramente, Signore, la vita dipende dalla tua volontà. Vedi allora, [o sorella], come il tuo spirito deve essere assorbito dal suo amore. Sebbene con tutta giustizia avrebbe potuto estendere anche a te la sentenza pronunciata contro i malvagi, ha preferito metterti tra i buoni che egli vuole salvare.

Ora immaginati unita a quella santa compagnia e senti la sua voce pronunciare il decreto: " Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo" (Mt 25,34), mentre quelle altre anime infelici ascoltano le dure parole piene di ira e di furore: " Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41). “E se ne andranno:”, leggiamo, “questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna” (Mt 25,46). Che dura separazione! che miserabile sorte!

 

CAPITOLO LXXVI. Il regno di Dio dopo il giudizio.

Quando i malvagi saranno stati allontanati per non vedere la gloria di Dio, e ciascuno dei giusti avrà preso il suo posto secondo il suo grado ed i suoi meriti negli ordini degli angeli, si formerà quella processione gloriosa con Cristo, nostro capo, davanti, seguito da tutti i suoi membri. Allora il regno sarà consegnato a Dio Padre perché regni in loro ed essi regnino con lui, ricevendo quel regno che era stato preparato per loro “fin dalla creazione del mondo” (Mt 25, 34).

 

CAPITOLO LXXVII. La felicità del regno di Dio.

Come sarà quel regno non possiamo nemmeno immaginarlo, figuriamoci parlarne o scrivere su di esso. Ma questo io so: che lì non mancherà proprio nulla di ciò che vorresti trovare, e nulla ci sarà di ciò che tu vorresti non ci fosse. Quindi non ci sarà lutto, pianto o dolore, paura, tristezza, discordia, invidia, tribolazione, tentazione, nessun cambiamento di tempo, né un cielo nuvoloso, nessun sospetto, né ambizione, né adulazione, né calunnia, nessuna malattia, nessuna vecchiaia, nessuna morte, nessuna povertà, nessuna oscurità, nessun bisogno di mangiare, bere o dormire, nessuna stanchezza, nessuna debolezza.

Cosa mancherà allora di buono? Dove non c'è lutto o pianto o dolore o tristezza, cosa può esserci se non gioia perfetta? Dove non c'è tribolazione o tentazione, né tempo variabile, né cielo coperto, né caldo eccessivo, né inverno rigido, cosa può esserci se non un perfetto equilibrio in tutte le cose ed una completa tranquillità della mente e del corpo? Dove non c'è nulla da temere, cosa può esserci se non totale sicurezza? Dove non c'è discordia, né invidia, né sospetto né ambizione, né adulazione né calunnia, cosa può esserci se non amore supremo e vero? Dove non c'è né povertà né bramosia, cosa può esserci se non abbondanza di tutte le cose buone? Dove non c'è deformità, cosa può esserci se non vera bellezza? Dove non c'è fatica o debolezza, cosa ci sarà se non completo riposo e forza? Dove non c'è niente di pesante o gravoso, che cosa c'è se non la più grande facilità? Dove non c'è la prospettiva della vecchiaia, la paura della malattia, cosa può esserci se non la vera salute? Dove non c'è né notte né oscurità, cosa ci sarà se non la luce perfetta? Dove tutta la morte e la mortalità sono state abolite, cosa ci sarà se non la vita eterna?

Cosa c'è ancora da cercare? Certo, ciò che supera tutte queste cose è la vista, la conoscenza e l'amore del Creatore. Sarà visto in se stesso, sarà visto in tutte le sue creature, mentre governerà tutto senza affanno, sosterrà tutto senza fatica, si donerà a ciascuno secondo la sua capacità e, direi, distribuendosi tra tutti, ma senza alcuna diminuzione o divisione di se stesso. Si vedrà quel volto amabile, tanto desiderato, sul quale “gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1 Pt 1,12). Chi può dire qualcosa della sua bellezza, della sua luce, della sua dolcezza? Il Padre lo si vedrà nel Figlio, il Figlio nel Padre, lo Spirito Santo in entrambi. No lo si vedrà “in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia”. (1 Cor 13,12) Poiché “lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2), adempiendo quella promessa che dice: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Da questa visione procederà quella conoscenza di cui dice ancora: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo " (Gv 17,3). Da qui nasce tanto amore, tanto ardente affetto paterno, tale dolcezza di carità, tanta abbondanza di godimento, tanto veemente desiderio, che né la sazietà diminuirà il desiderio, né il desiderio impedirà la sazietà. Che cosa è ciò? Sicuramente: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9).

 

CAPITOLO LXXVIII. Conclusione dell’opera.

 

Ecco, o sorella, questi sono alcuni semi di meditazione spirituale che mi sono preoccupato di seminare perché tu possa fare memoria dei doni di Cristo nel passato, fare esperienza di quelli presenti ed attendere quelli futuri. Avendoli seminati, l’unico mio desiderio è che da loro nasca e cresca una ricca messe dell'amore di Dio. La meditazione susciterà gli affetti, gli affetti genereranno il desiderio, il desiderio susciterà le lacrime, perché “le lacrime siano il tuo un pane giorno e notte” (Sal 42(41),4), finché non apparirai ai suoi occhi e gli dirai ciò che è scritto nel Cantico dei Cantici: “Il mio amato è mio e io sono sua” (Ct 2,16).

Hai ora ciò che hai chiesto: regole per le osservanze corporee mediante le quali una reclusa possa governare il comportamento dell'uomo esteriore; indicazioni per purificare l'uomo interiore dai vizi e adornarlo di virtù. Infine una triplice meditazione per consentirti di suscitare in te stessa l'amore di Dio, alimentarlo e mantenerlo acceso.

 

Righe notevoli.

Gli aiuti all’anima che ti mando sono piacevoli. Tuttavia, servono a poco se non li osservi nella pratica.

Se qualcuna fa qualche progresso in seguito alla lettura di questo libretto, come compenso per la mia fatica e la mia cura interceda per i miei peccati presso il mio Salvatore che amo, presso il mio remuneratore che attendo e presso il mio Giudice che temo.

 

 

[1] Testi di riferimento:

Edizione italiana: "Aelredo di Rievaulx, Regola delle recluse", a cura di Domenico Pizzini, Ed. Paoline 2003.

Edizione francese: "Aelred de Rievaulx, La vie de recluse, La prière pastorale", a cura di Charles Dumont O.C.S.O., Sources Chrétiennes N. 76, Les édition du cerf 1961.

Edizione inglese: "Aelred of Rievaulx, De institutione inclusarum (On the Institution of Recluses)", tradotta da M.P. Macpherson O.C.S.O, Cistercian Fathers Series 2 (Kalamazoo, MI, 1982; prima ed. 1971).

[2] Il testo della Patrologia Latina “Felix illa quae nec maritum admisit”, nel Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis (CCCM) diventa “Felix illa quae nec Martinum admisit”, rievocando così un racconto di Sulpicio Severo dove si parla di una vergine che non volle neanche parlare con san Martino, pur di mantenere la sua promessa di non incontrare uomini.

[3] Le Quattro tempora sono quattro distinti gruppi di giorni del rito romano della Chiesa cattolica, originariamente legati alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni e attualmente destinati a invocare e a ringraziare la provvidenza di Dio Padre per i frutti della terra e per il lavoro dell'uomo nell'ambito del mistero di Cristo come celebrato nel tempo. (Fonte Wikipedia)

[4] I “claustrali” (“claustrales”) sono i semplici monaci, distinti dagli “oboedentiales”, ovvero i monaci che nel monastero hanno un compito riguardante le cose temporali, e dai “praelati” (superiori).

[5] I “buoi” sarebbero i monaci con incarichi ed il loro lavoro, il letame, è come un rimprovero che viene gettato sui pigri.

La frase precedente dove parla di chi viene costituito “giudice” non è molto comprensibile ed è soggetta a diverse interpretazioni.

 


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17 novembre 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net