Petrus Abaelardus
EPISTOLA XVII.
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Pietro Abelardo
Lettera XII a Eloisa |
Estratto da "Patrologia Latina",
vol. 178, col. 0376B - J. P. Migne 1855 ( Hanc epistolam, sed non integram, habemus in Berengaris Pictaviensi, Abaelardi discipulo, in Apologia magistri sui contra S. Bernardum, quam habet in Appendice.) (Abbiamo questa lettera, anche se non integra, nell'Appendice all'Apologia magistri sui contra S. Bernardum di Berengario di Poitiers) |
Estratta da "Il Cristo. vol IV. Testi teologici e spirituali in lingua
latina da Abelardo a San Bernardo". A cura di Claudio Leonardi (Lettera
tradotta da N. Cappelletti Truci) - Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo
Mondadori Editore 1991 Link al testo italiano completo di note |
(0375C) Soror mea Heloissa quondam mihi in saeculo chara, nunc in Christo charissima, odiosum me mundo reddidit logica. (0375) Aiunt enim perversi pervertentes, quorum sapientia est in perditione, me in logica praestantissimum esse, sed in Paulo non mediocriter claudicare cumque ingenii praedicent aciem, Christianae fidei subtrahunt puritatem. Quia, ut mihi videtur, opinione potius traducuntur ad iudicium, quam experientiae magistratu. Nolo sic esse philosophus, ut recalcitrem Paulo. Non sic esse Aristoteles, ut secludat a Christo. Non enim aliud nomen est sub coelo, in quo oporteat me salvum fieri (Act. IV, 12) . Adoro Christum in dextera Patris regnantem. Amplector eum ulnis fidei in carne (0375D) virginali de Paracleto sumpta gloriosa divinitus operantem. Et ut trepida sollicitudo, cunctaeque ambages a corde tui pectoris explodantur, hoc de me teneto, quod super illam petram fundavi conscientiam meam super quam Christus aedificavit Ecclesiam suam. Cuius petrae titulum tibi breviter assignabo. |
1. O sorella mia Eloisa, un tempo a
me cara nel secolo, ora carissima in Cristo, odioso mi rese al mondo la
logica. 2. Dicono
infatti alcuni perversi e pervertitori, la cui sapienza ha il solo scopo di
portare a rovina gli altri, che io sono abilissimo nella logica, ma molto
debole in san Paolo. E pur riconoscendoti l’acutezza dell’ingegno, ti
tolgono la purezza della fede cristiana perché, almeno mi sembra, si
lasciano indurre a giudicare più dalla propria opinione che dall’autorità
dell’esperienza. 3. Io non voglio essere tanto filosofo da ripudiare Paolo;
non voglio immedesimarmi tanto in Aristotele da separarmi da Cristo, perché
«non c’è, sotto il cielo, altro nome per il quale possa salvarmi» (Cfr. At
4,12). 4. Adoro Cristo regnante alla destra del Padre. Stringo con le
braccia della fede colui che, incarnato nella vergine per opera del
Paracleto, opera divinamente cose gloriose. 5. E perché tu tolga dal tuo
semplice cuore ogni trepidante sollecitudine e ogni dubbio, sappi da me
direttamente che ho fondato la mia coscienza su quella pietra sulla quale
Cristo edificò la sua Chiesa (Cfr. Mt 16,18). E quel che è scritto su questa
pietra te lo dirò in breve. |
(0376C) Credo in Patrem, et Filium, et Spiritum sanctum, unum naturaliter et verum Deum: qui sic in personis approbat Trinitatem, ut semper in substantia custodiat unitatem. Credo Filium per omnia Patri esse coaequalem, scilicet aeternitate, potestate voluntate et opere. Nec audio Arium, qui perverso ingenio actus, imo daemoniaco seductus spiritu, gradus facit in Trinitate; Patrem maiorem, Filium dogmatizans minorem, oblitus legalis praecepti: Non ascendes, inquit lex, per gradus ad meum altare (Exod. XX, 26) . Ad altare quippe Dei per gradus ascendit, qui prius et posterius in Trinitate ponit. Spiritum etiam sanctum Patri et Filio consubstantialem et coaequalem per omnia testor, ut pote quem bonitatis nomine designari volumina mea saepe declarant. (0376D) Damno Sabellium, qui eamdem personam asserens Patris et Filii, Patrem passum autumavit; unde et patripassiani dicti sunt. |
6. Credo nel Padre, nel Figlio, nello Spirito santo,
per sua natura unico e vero Dio; che nelle persone si testimonia come
Trinità, in modo da mantenere sempre l’unità nella sostanza. 7. Credo che il
Figlio sia in tutto uguale al Padre, in eternità, in potenza, in volontà e
in opere. 8. Non voglio seguire Ario
che, spinto
da ingegno pervertito, o meglio sedotto da spirito demoniaco, ammette delle
gradazioni nella Trinità, sostenendo il dogma secondo cui il Padre è
maggiore e il Figlio minore, dimentico del precetto della Legge, che dice:
«Tu non salirai per gradi al mio altare» (Es 20,26). E senza dubbio ascende
per gradi all’altare di Dio chi pone nella Trinità un prima e un poi. 9. Do
testimonianza che anche lo Spirito santo è in tutto consustanziale e uguale
al Padre e al Figlio, come colui che nei miei libri spesso ho indicato col
nome di Bontà. 10. Condanno
Sabellio che,
identificando il Padre e il Figlio nella stessa persona, ritenne che il
Padre abbia sofferto la passione; onde i suoi seguaci sono detti
«Patripassiani». |
Credo etiam Filium Dei factum esse Filium hominis, unamque personam ex duabus et in naturis duabus consistere. Qui post (0377A) completam, susceptae humanitatis dispensationem passus est et mortuus, et resurrexit, et ascendit in coefum venturusque est iudicare vivos et mortuos. Assero etiam in baptismo universa remitti delicta, gratiaque nos egere, qua et incipiamus bonum, et perficiamus; lapsosque per poenitentiam reformari. De carnis autem resurrectione quid opus est dicere, cum frustra glorier me Christianum, si non credidero (0378A) resurrecturum? Haec itaque est fides in qua sedeo, ex qua spei contraho firmitatem. In hac locatus salubriter, latratus Scyllae non timeo vertiginem Charybdis rideo, mortiferos sirenarum modulos non horresco. Si irruat turbo, non quatior; si venti perflent, non moveor. Fundatus enim sum supra firmam petram. |
11. Credo anche che il Figlio di Dio si sia fatto
figlio dell’uomo, e che la sua unica persona consista di due e in due
nature. E che, dopo avere portato a termine il compito che si era assunto
facendosi uomo, soffrì la passione, morì e risorse, salì in cielo e verrà a
giudicare i vivi e i morti. 12. Affermo anche che col battesimo vengono
rimessi tutti i peccati, e che abbiamo bisogno della grazia sia per metterci
sulla via del bene sia per portarlo a termine, e che con la penitenza ci
rigeneriamo dai peccati. 13. In quanto alla resurrezione della carne, non
c’è neppure bisogno ch’io ne parli, perché sarebbe vano che mi gloriassi di
essere cristiano se non credessi che un giorno risorgerò. 14. Questa è la fede in cui sono fermo, dalla quale ricavo la sicurezza della speranza. 15. Ancorato a essa per la mia salvezza, non temo i latrati di Scilla, mi rido del gorgo di Cariddi, non pavento i canti ferali delle Sirene. 16. Se il turbine irrompe non mi scuoto; se i venti soffiano non mi muovo; perché le mie fondamenta poggiano su una salda pietra (Cfr. Mt 7,25; Lc 6,48) |
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21 novembre 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net