Pietro Abelardo
Lettera XII a Eloisa
Estratta da "Il Cristo. vol IV. Testi teologici e spirituali in lingua
latina da Abelardo a San Bernardo". A cura di Claudio Leonardi (Lettera
tradotta da N. Cappelletti Truci) - Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo
Mondadori Editore 1991
1. O sorella mia Eloisa
[1], un tempo a
me cara nel secolo, ora carissima in Cristo, odioso mi rese al mondo la
logica
[2]. 2. Dicono
infatti alcuni perversi e pervertitori, la cui sapienza ha il solo scopo di
portare a rovina gli altri, che io sono abilissimo nella logica, ma molto
debole in san Paolo. E pur riconoscendoti l’acutezza dell’ingegno, ti
tolgono la purezza della fede cristiana perché, almeno mi sembra, si
lasciano indurre a giudicare più dalla propria opinione che dall’autorità
dell’esperienza. 3. Io non voglio essere tanto filosofo da ripudiare Paolo;
non voglio immedesimarmi tanto in Aristotele da separarmi da Cristo, perché
«non c’è, sotto il cielo, altro nome per il quale possa salvarmi» (Cfr. At
4,12). 4. Adoro Cristo regnante alla destra del Padre. Stringo con le
braccia della fede colui che, incarnato nella vergine per opera del
Paracleto, opera divinamente cose gloriose. 5. E perché tu tolga dal tuo
semplice cuore ogni trepidante sollecitudine e ogni dubbio, sappi da me
direttamente che ho fondato la mia coscienza su quella pietra sulla quale
Cristo edificò la sua Chiesa (Cfr. Mt 16,18). E quel che è scritto su questa
pietra te lo dirò in breve.
6. Credo nel Padre, nel Figlio, nello Spirito santo,
per sua natura unico e vero Dio; che nelle persone si testimonia come
Trinità, in modo da mantenere sempre l’unità nella sostanza. 7. Credo che il
Figlio sia in tutto uguale al Padre, in eternità, in potenza, in volontà e
in opere. 8. Non voglio seguire Ario
[3] che, spinto
da ingegno pervertito, o meglio sedotto da spirito demoniaco, ammette delle
gradazioni nella Trinità, sostenendo il dogma secondo cui il Padre è
maggiore e il Figlio minore, dimentico del precetto della Legge, che dice:
«Tu non salirai per gradi al mio altare» (Es 20,26). E senza dubbio ascende
per gradi all’altare di Dio chi pone nella Trinità un prima e un poi. 9. Do
testimonianza che anche lo Spirito santo è in tutto consustanziale e uguale
al Padre e al Figlio, come colui che nei miei libri spesso ho indicato col
nome di Bontà
[4]. 10, Condanno
Sabellio
[5] che,
identificando il Padre e il Figlio nella stessa persona, ritenne che il
Padre abbia sofferto la passione; onde i suoi seguaci sono detti
«Patripassiani».
11. Credo anche che il Figlio di Dio si sia fatto
figlio dell’uomo, e che la sua unica persona consista di due e in due
nature. E che, dopo avere portato a termine il compito che si era assunto
facendosi uomo, soffrì la passione, morì e risorse, salì in cielo e verrà a
giudicare i vivi e i morti. 12. Affermo anche che col battesimo vengono
rimessi tutti i peccati, e che abbiamo bisogno della grazia sia per metterci
sulla via del bene sia per portarlo a termine, e che con la penitenza ci
rigeneriamo dai peccati. 13. In quanto alla resurrezione della carne, non
c’è neppure bisogno ch’io ne parli, perché sarebbe vano che mi gloriassi di
essere cristiano se non credessi che un giorno risorgerò
[6].
14. Questa è la fede in cui sono fermo, dalla quale ricavo la sicurezza della speranza. 15. Ancorato a essa per la mia salvezza, non temo i latrati di Scilla, mi rido del gorgo di Cariddi, non pavento i canti ferali delle Sirene [7]. 16. Se il turbine irrompe non mi scuoto; se i venti soffiano non mi muovo; perché le mie fondamenta poggiano su una salda pietra (Cfr. Mt 7,25; Lc 6,48)
[1] La
lettera fa parte di un
corpus epistolare celebre,
lo scambio di lettere tra Abelardo ed Eloisa (che recentemente da
parte di qualche studioso si vorrebbe un falso posteriore); sono in
tutto dodici lettere, precedute da una lettera ad anonimo,
un’autobiografia di Abelardo, la sua
Historia calamitatum.
Questa che pubblichiamo è la lettera XII, che porta l’epigrafe, per
il suo contenuto, di
fidei confessio. Il Gilson
l’ha definita il «supremo testamento» di Abelardo, dove egli non
rifiuta o rinnega il suo e loro amore, ma «prende lei come testimone
della sua fede, a lei ne confida la professione, come mosso
dall’intima certezza che nessuno meglio di lei saprà accoglierla e
custodirla». La lettera pare scritta tra il 1141 e la morte (1142).
[2]
Abelardo è cosciente che il rilievo da lui dato alla logica nello
studio della teologia gli ha messo contro tutto il «mondo», cioè la
classe dirigente ecclesiastica del suo tempo; ma egli pare qui
rifiutare decisamente la contrapposizione logica-Bibbia,
Aristotele-Paolo.
[3]
Come Abelardo subito dopo spiega. Ario (280-336) aveva negato la
pienezza della divinità al Verbo e allo Spirito santo, ottenendo per
altro uno strepitoso seguito, sia in Oriente sia in Occidente; venne
condannato come eretico dal concilio di Nicea (325), presieduto
dall’imperatore Costantino. Cfr.
Il Cristo II.
Testi teologici e spirituali in lingua greca dal IV al VII secolo,
a cura di M. Simonetti, Milano 1986, pp. 98-101.
[4]
Cfr. tra l’altro Abelardo,
Theologia scholarium» 2.
[5]
Questa seconda distinzione è in Abelardo particolarmente
significativa, perché egli poteva essere accusato soprattutto di
tendenze sabelliane. Sabellio riteneva che il Padre e il Figlio
fossero manifestazioni diverse di una stessa e unica persona;
Abelardo, pur dichiarando ripetutamente la diversità tra le tre
persone trinitarie, aveva poi difficoltà a costruire uno statuto
autonomo per esse, come lascia forse anche intravedere, nel contesto
stesso di questa lettera, la sua definizione dello Spirito santo
come bontà: le tre persone come qualità dell'unico Dio. Cfr.
Il Cristo cit. II, p. 77.
[6]
Testo che risente, evidentemente, di
1 Cor
15, 14:
Si autem Christus non resurrexit, inanis
est ergo praedicatio nostra, inanis est et fides vestra. (Ma se
Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota
anche la vostra fede).
[7]
Abelardo usa le figure mitologiche dei mostri marini che mettono in
pericolo la vita dei naviganti, per significare la sua sicurezza di
essere nella fede in Cristo.
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21 novembre 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net