MONACHESIMO

voce estratta da "Lessico Universale Treccani"


 Monachesimo — Complesso fenomeno religioso, con numerosi addentellati sociali e culturali. per cui nelle maggiori religioni, individui si allontanano dalla consueta vita sociale, per realizzare nel modo più completo in vita solitaria (anacoretismo) o in vita da comunità (cenobitismo) le norme della fede. Come tale il m. ha avuta le più varie manifestazioni: così sogliono essere considerati monaci i xάτοχοι che nell’antico Egitto dimoravano più o meno a lungo al servizio di Serapide a Menfi, anche se non è accertato per loro la dedicazione al dio per il conseguimento di una più alta perfezione spirituale, e si tenda piuttosto ad assimilarli agli ieroduli; in Grecia possono assimilarsi al m. alcune associazioni (θίασοι), fra cui va ricordata specialmente quella che si formò intorno a Pitagora, e continuata dopo di lui, che praticò specialmente l’astinenza dai cibi carnei e adottò l’abitudine dell’esame di coscienza e la consuetudine del silenzio. Nei secc. 2° e 3° d. C. gruppi neoplatonici s’unirono a praticare vita monastica comune. Nell’India forme di m. si svilupparono sia nell’induismo sia nel buddismo. Nell’induismo fiorì sia il fenomeno dell’anacoretismo, per cui singoli individui si ritirarono a vivere in solitudine dedicandosi alla contemplazione e alla mortificazione dei sensi, sia quello del cenobitismo di solito intorno a un maestro di vita spirituale che assicurasse ai seguaci, con la rinunzia del mondo, la salvezza. Essi devono praticare povertà e vita itinerante rifugiandosi nei monasteri solo in caso di necessità. Il monastero, di solito piccolo e destinato a poche persone, tranne che nelle più importanti località di pellegrinaggio come Varanasi, è retto da un mahant (equivalente per autorità e funzioni all’abate del m. cristiano); i monaci vivono poi di offerte o di proventi vari (possessi terrieri della comunità, ecc.), perché il monaco indù rinuncia ad ogni possesso personale. Fra le altre forme di m. dell’India va ricordata quella giainistica, che si distacca dall’induismo per maggiore sistematicità organizzativa. Anche i monaci giainisti vivono in convento sotto la guida di un maestro di vita spirituale o guru e prima di far parte del monastero devono compiere un periodo di iniziazione dopo di che sono sãdhu (monaco vero e proprio). Fra gli anziani viene eletto un capo amministrativo e disciplinare (ãchãrya), al quale ogni monaco è tenuto a fare la sua confessione. Più decisamente il m. si è affermato nel buddismo di cui ha costituito e continua a costituire la spina dorsale facendo anzi risalire la sua origine a Budda stesso che, con decisione rivoluzionaria, accettò fra i suoi monaci gente di ogni casta sociale, rendendo a tutti possibile la perfezione monastica con la pratica della povertà, la rinuncia ai beni mondani e la meditazione. In origine viventi in capanne o in caverne i monaci buddisti hanno poi costruito monasteri, di cui molti sono ancor oggi celebri per ricchezza, bellezza artistica e persino per potenza politica (per i monaci buddisti del Tibet). Per l’entrata nella vita monastica il buddismo esige, col consenso dei genitori per i minori, la sola esplicita richiesta, dopo la quale l’aspirante, ammesso a un periodo di noviziato, rinuncia ad ogni suo possesso, all’infuori di una ciotola e tre sai (in genere di color giallo). Egli riceve un’istruzione che lo preparerà alla piena vita monastica a cui si accede con una cerimonia di vestizione (usampada, o ingresso). I suoi voti però e i suoi impegni non sono mai irrevocabili, perché il monaco buddista è sempre libero di tornare al mondo. Accanto ai monaci, si ebbero nel buddismo anche monache, la cui istituzione, come sembra, non risale a Budda stesso; esse non raggiunsero però mai l’importanza spirituale e sociale dei monaci. Il m. buddista fiorisce ancora oggi in tutti i paesi ove si è affermato il buddismo, avendo considerevole importanza, oltre che in India, a Ceylon, nel Siam, in Birmania, nell’Asia Centrale, nel Giappone, nella Corea; era anche assurto a preminenza politica nel Tibet.

Il monachesimo cristiano. — Il m. ha avuto la sua importanza più grande, esplicandosi in forme molteplici, nel cristianesimo. Se le sue origini sono discusse, è certo che il m. ebbe le sue prime grandi espressioni nell’anacoretismo di s. Antonio, maestro in Egitto di una gran quantità di eremiti, cui si affianca per importanza e numero di seguaci il cenobitismo di s. Pacomio nell’alta Tebaide durante il 4° secolo. Accanto agli eremi e cenobi sorsero poi le laure, la terza importante manifestazione del m. più antico. Diverso nelle forme di vita associata, questo m. è concorde nell’esigere il completo distacco dal mondo, inteso questo come connaturatamente ostile a ogni vera vita cristiana e ancor più quindi alla perfezione. Per il raggiungimento di questa perfezione si esige una severa disciplina di vita (digiuno prolungato, astinenza da cibi carnei, perfetta castità) e intensa preghiera e meditazione dei testi biblici. Diffusosi in Asia Minore, il m. vi prese piede nella forma specialmente cenobitica di cui il più grande teorico fu s. Basilio di Cesarea. Partendo dal presupposto che la perfetta vita cristiana era stata quella dei primi fedeli intorno al Cristo e agli Apostoli, Basilio sottolinea del cenobitismo le possibilità di realizzare appunto quella vita nella comunione dei beni, nella rinuncia dell’individuo a ogni ricchezza, nell’amore fraterno, nell’assistenza reciproca, nella preghiera comune. Tale cenobitismo (e cenobi divennero lentamente anche le laure) ebbe per secoli una grande fioritura, culminata nei grandi monasteri di Costantinopoli e nella complessa organizzazione monastica del Monte Àthos. In tutta la sua storia il m. orientale fu, come è, sempre caratterizzato da severo ascetismo, da intensa vita contemplativa, a cui si unì spesso un’attività culturale, specialmente teologica, che rese possibile un grande ascendente sulle folle e una influenza profonda nella vita religiosa del mondo bizantino, e, attraverso la corte imperiale, anche su quella politica: nelle controversie monofisite e iconoclaste il m. esercitò azione addirittura decisiva sullo sviluppo degli avvenimenti. Importatovi dall’Oriente alla fine del 4° secolo il m. oltre che a Roma, per l’esempio e l’impulso di s. Girolamo, si affermò in Italia, ove abbiamo notizie di vari centri monastici nelle isole del Tirreno e nelle montagne dell’Appennino; in Gallia (vedere S. Martino di Poitiers) ove si ricordano insigni fondazioni ad Arles (vedere S. Cesario d'Arles), a Marsiglia, a Lérins; in Africa, ove s. Agostino stimolò, organizzò e diresse spiritualmente vari monasteri; in Spagna, ove conclusa la parentesi priscillanista (per cui monaci ed asceti furono sospèttati di collusioni manichee) insigni iniziatori di vita monastica furono s. Isidoro di Siviglia, s. Fruttuoso di Braga, s. Martino di Braga e s. Leandro di Siviglia; in Irlanda, i cui monasteri furono splendidi centri di vita spirituale e insieme di cultura, indisturbati nella loro attività, mentre l’Europa era agitata dalle migrazioni barbariche, e poi iniziatori di missioni (s. Bonifacio evangelizzatore della Germania) e di fondazioni monastiche (s. Colombano a Bobbio) di eccezionale importanza per la storia della civiltà europea. A tutte queste formazioni monastiche impose lentamente ma tenacemente e durevolmente la sua impronta la regola di s. Benedetto. Continuando la migliore tradizione del m. orientale, la regola benedettina si distingue però nettamente da questo per la sua moderazione nelle pratiche ascetiche, per la superiore sensibilità organizzativa, per l’importanza data alla preghiera canonica, per l’obbligo della stabilità del monaco nel monastero, ma specialmente per il riconoscimento dell’importanza del lavoro sia manuale (lavoro agricolo) sia intellettuale (studio, trascrizione di codici). inoltre s. Benedetto, obbligando i monaci alla vita nel monastero, impedì loro una diretta partecipazione alla cura delle anime e li distolse da ogni attività politica. Per la sua regola il m. benedettino, pur rimanendo identico a sé stesso nelle sue linee fondamentali, ha saputo, con superiore saggezza, adattarsi alle esigenze storiche che di volta in volta hanno imposto delle riforme. Così contro il rilassarsi della disciplina monastica fin dal 779 s. Benedetto del monastero d’Aniane rese più severo l’ascetismo della regola benedettina, proibendo tra l’altro ai monaci di dedicarsi agli studi. Nei primi decenni del sec. 10° invece, per costituire una salda unità contro il prepotere della feudalità laica, Cluny, sciogliendosi dalla dipendenza dai vescovi e sottoponendosi direttamente alla Curia romana, originò la riforma cluniacense che riunendo nell’obbedienza all’abate di Cluny un numero grandissimo di monasteri (questi alle dipendenze di un priore, con autonomia locale) fu per circa due secoli suscitatrice di grandi forze spirituali, sociali e politiche, permeando del suo rigorismo il papato del sec. 11°. A questa potenza raggiunta da Cluny volle contrapporsi specialmente il movimento cisterciense, che ebbe il suo più alto esponente in s. Bernardo di Clairvaux e che si propose di riportare l’ordine benedettino alla sua primitiva severità e alla sua funzione sociale (erezione di monasteri in località deserte e incolte; istituzione dei conversi). Sempre come riforma del m. benedettino vanno qui ricordati i camaldolesi e i certosini, sensibili alle esigenze dell’eremitismo, i vallombrosani, ecc. Ancora oggi, nelle sue varie forme e al di là di numerose crisi (si accenna qui solo alla crisi che il m. attraversò sul piano spirituale ed economico a causa degli abati commendatori nei secc. 15° e 16°), il m. benedettino è fiorente e fecondo (vedere anche la pagina "Dall'età barocca alla Rivoluzione Francese"). Al fenomeno monastico, che conobbe anche la fioritura di vari ordini femminili, potrebbero esser ricondotte anche le altre forme di vita associata del cristianesimo come gli ordini mendicanti (minori, predicatori, carmelitani, ecc.), i canonici (v.) regolari e i chierici (v.) regolari; ma in realtà se ne distaccano essenzialmente per la più attiva e stretta partecipazione alla viti civile ed ecclesiastica. Sia qui infine ricordato che il protestantesimo, in tutte le sue forme, ha segnato la fine del m., ovunque si sia affermato.


Riferimenti nel testo

  làura (o lavra) [che in epoca antica significa « cammino, strada » e poi « quartiere »]. — Organizzazione monastica bizantina. Distinta dall’eremo (dove il monaco vive solo) e dal cenobio (ove il monaco vive in comunità, in celle separate ma cinte da un muro), la 1aura indicava un gruppo più o meno grande di celle monastiche (per lo più formate di piccole capanne o di grotte scavate nel terreno arido e roccioso), ognuna separata dalle altre, ma con una chiesa in comune e con un sacerdote che amministrava i sacramenti e, spesso, ma non sempre, guidava i monaci nella vita spirituale (anacoreti perciò nel senso stretto della parola). Prime laure pare siano state quelle di Faran, nel deserto di Giuda, in Palestina, e di Gerico sorte entrambe per iniziativa di s. Caritone (323-330); ben presto altre ne sorsero con un massimo di fioritura nel sec. 5°, specialmente per merito di s. Eutimio il Grande e del suo discepolo s. Saba. Numerose laure scavate nella roccia, e frequentate sino al 13° sec, ed oltre, si trovano in Puglia e in Basilicata, interessanti, oltretutto, per gli affreschi che ricoprono celle e oratori. Altre laure scavate nella roccia, di grande interesse per l’architettura e per la pittura, sono in Cappadocia. Singolare la situazione del monastero delle Meteore in Grecia. Distrutte in Palestina dai Persiani e poi dagli Arabi nel sec. 7°, le laure nelle altre regioni, anche per conseguenza di abusi sorti per la scarsa disciplina dei monaci, si trasformarono in veri e propri cenobi, e la parola 1aura divenne sinonimo di monastero, restringendosi anzi, più tardi, ad indicare solo quei monasteri celebri per numero e santità di monaci. In questo senso famose sono lalaura di s. Saba a Gerusalemme, del monte Sinai e la Grande Laura del monte Àthos, ancora oggi esistenti.

S. Pacomio

S. Pacomio (Tebaide inferiore ca. 290-Pebu 346) monaco egiziano, istitutore del cenobitismo. Da pagano, si convertì al cristianesimo abbandonando la vita del soldato. Si ritirò allora a vita eremitica sotto la guida dell'anacoreta Palemone; optò in seguito per la vita comunitaria e istituì un primo cenobio sul Nilo a Tabennisi, cui ne seguirono altri nella regione. Fu il primo a dare ai monaci una regola, tramandata nella versione tradotta dal greco in latino da S. Girolamo, e un superiore. Fondamento ascetico del cenobio era la preghiera e la contemplazione, a cui si affiancava una pratica moderata della penitenza. Completava l'attività dei cenobiti il lavoro manuale per il mantenimento proprio e dei poveri. Festa il 9 maggio.

 S. Martino

S. Martino di Tours, vescovo (Sabaria, Pannonia, 316 o 317-Candes, Touraine, 397). Dopo aver prestato servizio nell'esercito romano, in cui suo padre era ufficiale, nell'Italia settentrionale e in Francia, ricevette il battesimo a 18 anni ad Amiens. Abbandonato l'esercito nel 354, si ritirò in un eremo nell'isola Gallinaria, si fece monaco e nel 371 fu consacrato vescovo di Tours per acclamazione popolare, dopo essere stato ordinato sacerdote da Ilario di Poitiers. È celebrato come il fondatore del monachesimo occidentale. Fondò a Ligugé il primo monastero d'Occidente e poi quello di Marmoutier (Maius Monasterium) verso il 375. Il suo mantello, da lui diviso con un povero secondo una leggenda agiografica raccolta da Sulpicio Severo, fu una reliquia tenuta in grande onore nel regno dei Franchi. A S. Martino, il santo più popolare della Francia medievale e uno dei più popolari d'Europa, sono connesse molte tradizioni (preparazione di cibi speciali, accensione di fuochi, questua rituale), legate anche alla posizione della sua festa, l'11 novembre, alla chiusura dei raccolti.

 S. Basilio

S. Basilio (Cesarea ca. 330-379), maestro e legislatore del monachesimo orientale, Dottore della Chiesa, vescovo di Cesarea di Cappadocia. E' considerato il primo dei grandi Padri della Chiesa; studiò a Costantinopoli e ad Atene, per poi darsi alla vita ascetica, anche dietro esortazione della sorella Macrina, in Siria, in Egitto e nel Ponto. Ordinato sacerdote, ed in seguito eletto vescovo non senza controversie, preferì ritornare alla vita solitaria onde evitare divisioni in seno al clero. Dopo la morte di Eusebio nel 370, Basilio gli successe quale vescovo dell'importantissima diocesi di Cesarea e spiegò allora tutte le sue grandi doti di uomo di studio e di governo per combattere gli ariani, dare ordine e vigore alle forze ortodosse e rinnovare la vita monastica, sostituendo alla contemplazione il lavoro e le opere di carità. Le sue Regole (in vigore ancora oggi) furono alla base di tutto il monachesimo orientale, di cui favorirono enormemente la diffusione. L'imponente attività pratica non gli impedì di attendere alla composizione di numerosi scritti. Fra quelli teologici primeggiano, insieme ad alcune lettere, il De Spiritu Sancto, in cui si difende la divinità dello Spirito Santo, assumendo però una posizione conciliativa nella disputa allora divampante sul dogma trinitario: le tre persone sono da lui definite come uguali nell'essenza e distinte nell'esistenza individuale, formulazione entrata definitivamente nel dogma cattolico dell'unica sostanza in tre persone. All'esegesi biblica sono piuttosto dedicate le Omelie, tra cui spiccano le nove che commentano i sei giorni della creazione; Basilio si attiene alla lettera del testo sacro, contro la tendenza assai diffusa della sua interpretazione allegorica. Di grandissimo interesse è l'Epistolario, con 365 lettere, ricco di notizie sulla vita e il pensiero del santo e sulla storia della Chiesa. La sua natura, serena pure nei disagi, vi si rivela schiettamente; un ulteriore saggio del suo equilibrio si ha nel Discorso ai giovani sul modo di trarre profitto dalle opere della letteratura greca, un opuscolo importantissimo per i rapporti tra cristianesimo e cultura classica, che Basilio non disprezza né proibisce, ma raccomanda di utilizzare dove se ne possano trarre insegnamenti morali utili all'educazione. Festa il 14 giugno.

Regola di San Basilio

Regola dettata da San Basilio in due tempi successivi: la prima (Regulae fusius tractatae) comprende 55 articoli sui doveri generali del monaco; la seconda (Regulae brevius tractatae) è una specie di casistica sulla vita monastica. In esse San Basilio presenta la condizione del monaco come lo stato ideale per raggiungere la perfezione cristiana. All'eremo Basilio preferisce il cenobio, dove la vita comune favorisce la correzione dei difetti e l'aiuto scambievole; il monaco disciplina il corpo nel lavoro manuale e rinfranca lo spirito nella preghiera e nello studio della S. Scrittura. In Oriente l'ordine basiliano ebbe subito grande sviluppo; in Occidente fu dapprima trapiantato in Sicilia nel sec. VIII.

 S. Benedetto di Aniane

S.Benedetto di Aniane (750 - ca 821), benedettino francese, considerato il secondo fondatore dell'ordine, edificò sulle terre della sua famiglia un monastero sottoposto ad una rigorosa disciplina. Collaborò con Carlo Magno alla riforma monastica, adoperandosi per assicurare l'osservanza della Regola nei monasteri dell'impero. (vedere anche la pagina "Da Benedetto da Norcia a Benedetto di Aniane")

S. Cesario

S. Cesario d'Arles (Chalon-sur-Saône 470 circa- Arles 542), dopo essere stato monaco a Lérins, si trasferì ad Arles dove compì gli studi di retorica. Fu ordinato sacerdote e nel 503 succedette ad Aonio come capo della diocesi. Convocò molti sinodi, dei quali il più importante quello di Orange del 529. Esercitò con l'apostolato pastorale e con gli scritti (in particolare le sue Regole) profonda influenza sulla vita monastica e su quella della chiesa medioevale.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net