2.

Appare la santa koinonia

Agli albori della comunità monastica

Estratto da “KOINONIA” di Fabio Ciardi

Città Nuova 1996

La vita di solitudine propria dell’anacoresi, nonostante la profonda comprensione della dimensione di comunione della vocazione cristiana, poteva ingenerare una certa dimenticanza del fratello, quasi che esso fosse in antitesi con Dio. È quanto accade al giovane Pacomio 1. Nel racconto di vocazione, si narra che quando gli apparve un angelo, lo trovò preoccupato. All’angelo che gliene chiede la ragione, Pacomio risponde: «Sto cercando la volontà di Dio». «La volontà di Dio - risponde l’angelo - è che tu serva gli uomini». «Sto cercando come fare la volontà di Dio - ribatte Pacomio, ancora tutto preso dalla propria incipiente esperienza anacoretica - e tu mi vieni a dire di servire gli uomini?». Ancora non aveva scoperto nel servizio dell’uomo il servizio di Dio. L’angelo deve ripetere per tre volte l'invito. Obbedendo, Pacomio costruisce una casa per accogliere i fratelli 2. E’ l’inizio della vita cenobitica, la nascita della comunità religiosa.

La nuova realtà appare immediatamente come un dono straordinario dall’Alto: «E per grazia di Dio che appare sulla terra la santa koinonia» 3. Così Teodoro, discepolo e successore di Pacomio, vede nascere la comunità monastica in seno alla Chiesa. Come lui Orsiesi, altro discepolo e successore di Pacomio, sintetizza e motiva la vita comunitaria con il ricorso al modello della Chiesa primitiva: Tutto eseguiamo «in conformità alla legge della santa koinonia come un solo uomo (...), come sta scritto: “Tutti i credenti formavano un cuore solo e un’anima sola" (At 4, 32)» 4. Tuttavia, prima ancora di essere oggetto di riflessione dottrinale, la comunità pacomiana è frutto di un’esperienza di vita.

 

La comunità nasce da un’esperienza

Pacomio si era convertito al cristianesimo perché colpito dall’amore concreto che gente sconosciuta di un villaggio aveva mostrato nei suoi riguardi mentre veniva condotto a forza, incatenato, per essere arruolato nell’esercito romano. «Venuta la sera - racconta la Vita copta -, gli abitanti di quella città portarono in carcere pane e viveri e forzarono le reclute a mangiare, poiché le vedevano in preda a un grande dolore. Quando il giovane Pacomio li ebbe visti, si rivolse ai suoi compagni: “Come mai questi uomini ci trattano così umanamente, visto che non ci conoscono neppure?". Gli risposero “Sono dei cristiani, e ci trattano così amabilmente a causa del Dio del cielo”. Egli allora si ritirò in disparte e passò la notte a pregare Dio dicendo: “Signore mio Gesù Cristo, Dio di tutti i santi, possa la tua bontà raggiungermi presto; salvami da questa tribolazione e io, da parte mia, servirò il genere umano per tutti i giorni della mia vita”» 5.

La sua vita, fin dall’inizio, è quindi segnata dall'amore. Se all'origine della vocazione di Antonio vi era stato il passo di Mt 19, 21, ossia l’invito ad abbandonare tutto per seguire Cristo, e quindi l’accento era posto sulla rinuncia, all’origine della vocazione di Pacomio vi è un gesto concreto di carità. Antonio aveva ascoltato la parola del Vangelo in chiesa, in un contesto liturgico. Pacomio incontra la parola di Dio fatta carne in alcuni cristiani che vengono a visitarlo in carcere. «Il modello, la regola della koinonia pacomiana vanno ritrovati in questo gesto concreto di amore e di servizio fraterno» 6.

La conversione coincide con una vocazione specifica: mettersi al servizio degli uomini. Le tradizionali pratiche ascetiche della vita anacoretica sono sostituite dall’impegno per aiutare i fratelli, istruendoli nel cammino di Dio.

Un’ulteriore esperienza determina la maturazione dell’idea di una vita vissuta nella comunione con i fratelli e segna un’ulteriore presa di coscienza del valore dei rapporti umani. Dopo sette anni di esperienza anacoretica, Pacomio avrebbe dovuto essere ormai maturo nella vita interiore. Tuttavia, quando si incontra con il suo fratello Giovanni e inizia con lui ad ampliare la propria dimora per accogliervi altri monaci, così da rispondere all’invito dell’angelo, viene a profondo diverbio con lui per una banalità. Si accorge allora di quanto egli sia ancora lontano da una vita perfetta e di come Dio e il fratello siano realtà inscindibili nell’itinerario spirituale: «Chi è in lite con il suo fratello - potrà scrivere più tardi - è nemico di Dio e chi è in pace con il suo fratello è in pace con Dio» 7. Di qui l’altro insegnamento: «Un cuore solo con il tuo fratello» 8. L’esperienza lo ha reso consapevole che l’anacoreta ha poche occasioni per praticare alcune virtù e scoprire i propri limiti e che il rapporto con gli altri è spesso occasione per una purificazione e crescita nella virtù.

Ancora un esperienza significativa: il fallimento del primo tentativo di vita comunitaria. I gravi dissensi all’interno del primo gruppo di discepoli che si uniscono attorno a Pacomio - per la verità si trattava più di una colonia di semianacoreti che non di una comunità come quella che poi nascerà in seguito - lo costringono a mandare via tutti i monaci che si erano radunati attorno a lui. La prima comunità, così come il primo rapporto a due con il fratello Giovanni, fu un fallimento e fece comprendere la necessità di un certo ordine comunitario. Occorreva dare alla convivenza delle regole chiare ed esigenti. È la scoperta dell’obbedienza come elemento decisivo della vita comunitaria.

Possiamo dire, in definitiva, che il nascere della prima forma esplicita di comunità è frutto di una esperienza, sia nei suoi risvolti più spirituali, come la comprensione del valore della carità e dell’unità, sia in quelli più istituzionali. Trattandosi della prima esperienza cenobitica, sarebbe interessante studiare la struttura e l'articolazione della comunità pacomiana in tutte le sue componenti. Ma fedeli al nostro obiettivo, ci soffermiamo solo sugli aspetti più marcatamente dottrinali e spirituali 9.

Il fondamento della carità

Abbiamo visto come la prima immagine che Pacomio ebbe del cristianesimo fu quella di una religione tutta orientata verso il servizio degli uomini per amore di Dio. In questa esperienza risiede il germe da cui si svilupperà la spiritualità sua e dei suoi successori. L’autore copto della Vita di Pacomio è talmente consapevole del valore della comunione e dell’unità che anticipa già al periodo anacoretico l’esperienza di carità. Scrive infatti che dopo la sua professione monastica, il rapporto con il maestro Palamone è tale che i due «abitarono insieme, come un solo uomo» 10.

L’istituzione pacomiana è rimasta strettamente legata al monachesimo egiziano da cui dipende. Per cui è ancora preminente la figura centrale dell’anziano, attorno al quale i discepoli si riuniscono in forma stabile, fino a formare una comunità. Con questa sua struttura tradizionale, l'impostazione del cenobio risente di una notevole organizzazione gerarchica. Tuttavia, è subentrata, come una novità, la forte visione della fraternità. Si scopre il fratello e l'importanza dei rapporti reciproci animati dalla carità. Entrando in monastero non si cerca più, come nell’anacoresi, un padre spirituale che inizi alla vita solitaria, ma una comunità di fratelli, una koinonia, dove si possa vivere assieme l’amore reciproco. Le fonti d'ora in poi usano costantemente la parola fratello per designare il monaco cenobita La parola monaco era usata per indicare i solitari, mentre i discepoli di Pacomio si riconoscono come uomini che vivono in fraternità e che fanno dei rapporti fraterni la loro struttura di vita.

Già nel più antico codice legislativo, i Praecepta atque Iudicia, appare evidente il ruolo centrale della comunione fraterna. Non a caso inizia con le parole di Paolo: «La pienezza della legge è la carità» (Rm 13, 10) 12. La maggior parte delle mancanze a cui il codice fa riferimento sono quelle contro la carità, che punisce in maniera energica, poiché sa che esse hanno una loro particolare gravità.

L’amore fraterno è uno dei temi principali dell’unica catechesi di Pacomio conservata in copto. In essa invita un fratello che serbava rancore (è il destinatario della catechesi) ad avere, o meglio ad essere «un cuore solo con il tuo fratello» 13. Lo prega poi di «non essere in lite con nessuno, perché chi è in lite con il suo fratello è nemico di Dio e chi è in pace con il suo fratello è in pace con Dio. Non hai imparato ora che niente è più grande della pace che porta ad amarsi a vicenda? Anche se sei santo da ogni peccato, se sei nemico del tuo fratello, ti rendi estraneo a Dio. (...) In quale pericolo ci troviamo, allora, se ci odiamo a vicenda, se odiamo le nostre stessa membra, una sola cosa con noi, figli di Dio, tralci della vera vite, pecore del gregge spirituale adunate dal vero pastore, l’unigenito Figlio di Dio che si è offerto in sacrificio per noi. (...) Che cosa presenterai a tua difesa davanti al Cristo? Ti dirà: “Odiando il tuo fratello odi me"» 14.

II monaco che muore nell'odio e nell’ostilità verso il fratello, sarà giudicato senza misericordia, perché su questa terra non ha dato prova di misericordia. La mancanza di misericordia è una colpa mortale che verrà alla luce quando si scopriranno i suoi peccati, che secondo 1 Pt 4, 8, avrebbero potuto essere coperti con il manto dell'amore. Ogni ricorso alla penitenza e all’austerità personale non serviranno a niente, perché «se hai odiato il tuo fratello - dirà il Signore -, allora ti sei reso estraneo al mio regno» 15. La pace con i fratelli deve essere la garanzia della pace con Dio.

L’amore che Pacomio insegna e un amore sempre concreto, che si manifesta in mille espressioni. E’ compassione: «In questo consiste l’amore di Dio: soffrire gli uni per gli altri» 16. È aiuto reciproco nel combattimento per la salvezza e la perfezione. È correzione fraterna in vista del raggiungimento della pienezza della legge, cioè della carità. È luogo di mutua edificazione: «Tutti ti siano di profitto cosicché tu sia di profitto a tutti» 17.

La Vita copta, riproponendo in maniera simbolica il messaggio di Pacomio, racconta che poco prima di morire, il padre della koinonia vide la Geenna, oscura e tenebrosa e «vide alcuni che nell’oscurità stavano come girando intorno ad una colonna, credendo di andare avanti e di avvicinarsi alla luce, e non si accorgevano di girare a vuoto. Guardò ancora e vide nella Geenna tutti i monaci della congregazione, che procedevano l'uno dietro l’altro, tenendosi stretti per il timore di perdersi, a causa della profonda oscurità. Quelli che aprivano la marcia, avevano, per rischiararsi, la piccola luce di una lampada; solo quattro fratelli la vedevano, mentre gli altri non vedevano assolutamente nulla. Pacomio guardava il loro modo di procedere: chi smetteva di stare accanto a colui che lo precedeva, si perdeva nell’oscurità, insieme con quelli che lo seguivano». Allora, Pacomio chiama per nome uno per uno i fratelli prima che si stacchino dagli altri: «Tienti attaccato a chi ti precede, per non perderti!» 18. Raggiungere la salvezza era stata la grande ricerca di tutta l’anacoresi, costantemente testimoniata dagli Apoftegmi. «Cosa devo fare per ottenere la salvezza?» era la domanda di rito che il novizio rivolgeva all’anziano. La sapienza dell’anziano era tutta condensata nella risposta a questa domanda. Pacomio ha scoperto che la salvezza la si raggiunge insieme, aiutandosi, sostenendosi l’un l’altro, nella concreta attenzione reciproca. Pacomio stava tracciando un modo nuovo di andare a Dio. «Noi siamo stati tutti come un solo uomo», poteva dire alla fine della propria vita 19.

LO SVILUPPO DOTTRINALE

Il tema della fraternità è ripreso con forza dai discepoli di Pacomio, Teodoro e Orsiesi. Anzi, saranno proprio loro a tradurre in termini teologici e spirituali l’esperienza del maestro e la realtà della sua istituzione. L’uso stesso del termine koinonia per designare la nuova comunità, è di loro conio.

La medesima progressione che si è notata nella scoperta della vita comunitaria si ritrova nella riflessione dottrinale. Il riferimento alla prima comunità di Gerusalemme, intatti, non compare mai negli scritti attribuiti a Pacomio. Occorrerà attendere Orsiesi perché l’esperienza della koinonia venga riletta alla luce dei riferimenti espliciti alla comunità gerosolimitana, così da giustificare, interpretare e trovare nuovi spunti per una maggiore comprensione della vita comunitaria. A partire da Teodoro si scoprono i testi giovannei sul precetto del Signore (cf. Gv 13, 34) e quello sul segno dei discepoli (cf. Gv 17, 21). Emergono poi altri luoghi biblici di riferimento, quali l’esortazione di Paolo a praticare le opere di misericordia e la comunione come sacrificio che piace a Dio. Appare anche l’applicazione alla comunità dell’esclamazione del Salmo 132: «Ecco com’è bello e gioioso che i fratelli stiano insieme».

Teodoro, nelle sue catechesi, evidenzia i motivi della santa koinonia: «E per grazia di Dio che appare sulla terra la santa koinonia mediante la quale egli ha fatto conoscere la vita degli apostoli agli uomini che desiderano essere a loro immagine davanti al Signore di tutti eternamente. Gli apostoli, infatti, abbandonarono tutto e seguirono il Cristo con tutto il loro cuore e perseverarono con lui nelle sue prove e parteciparono alla sua morte di croce» 20. La vita apostolica viene qui descritta semplicemente come una vita nella povertà e nell’imitazione di Gesù, fino alla partecipazione alla sua croce. E la vita apostolica così come era stata scoperta dalla primitiva anacoresi. Per uno sviluppo dottrinale della comunità modellata sulla forma di vita comunitaria degli apostoli, sulla separazione dal mondo e la comunione dei beni, dovremo attendere Orsiesi che, come abbiamo accennato, per primo nei suoi Regolamenti stabilisce una relazione tra koinonia e ideale espressamente comunitario quale emerge dai sommari degli Atti.

Pur senza il riferimento agli Atti, per Teodoro l'imitazione degli apostoli porta alla vita comunitaria. La coscienza di essere insieme alla sequela del Maestro basta a Teodoro per sapere come ci si deve amare: «Sappiamo che noi siamo i discepoli di Cristo e per questo ci amiamo a vicenda senza ipocrisia» 21. Si lascia tutto, anche la famiglia, per entrare in un'altra famiglia. La realizzazione della santa koinonia non può essere raggiunta, infatti, se non quando i legami dell’amore puramente naturali, «secondo la carne», saranno stati frantumati e tutti i fratelli saranno avvolti dall’amore spirituale. Di qui i regolamenti che ripetutamente prescrivono la separazione dalla famiglia e regolano le relazioni con i parenti. Al padre che volesse entrare a vedere il proprio figlio si risponderà, ad esempio: «Non c’è affetto secondo la carne, né autorità secondo la carne nella nostra vocazione, ma tutti noi siamo fratelli, secondo la parola del Salvatore: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 81» 22.

Come per Pacomio, anche per Teodoro la carità rimane al centro della koinonia e le conferisce il senso più profondo: «Scegliamo quale nostra sorte la vocazione della santa koinonia e l’amore vicendevole con ciascuno» 23. «Il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso” è più grande di ogni altro comandamento e solo per grazia del Signore possiamo adempierlo» 24 «Riconosciamo inoltre la forza dell’amore di ciascuno al vedere come ci rivolgiamo l’uno all’altro con pace e come ciascuno giustifica il suo prossimo piuttosto che se stesso» 25. «Custodiamo il dono che abbiamo ricevuto senza aver fatto nulla per meritarlo. Osserviamo la legge e ciascuno di noi sia per il suo prossimo motivo di edificazione e via per entrare nella gioia del regno dei cieli» 26.

Per Teodoro non c’è crimine più grave del diventare per il fratello causa di sofferenza o di scandalo: è un crimine ben più grave dell’impurità. A questi fratelli riferisce la frase: «Hanno cercato di tornare indietro scandalizzando quelli che erano venuti prima di loro e che tramite loro si erano avvicinati a Dio» «Il nostro dovere è quello di confermare i fratelli che hanno amato con tutto il cuore le istituzioni della koinonia». Di qui la raccomandazione insistente rivolta a tutti: «Abbiamo cura di esortarci a vicenda affinché produciamo frutti di ogni sorta in ciò che è gradito a Dio» 28.

Teodoro, che si trova alla successione di Pacomio in un momento in cui la comunità è lacerata da scismi e divisioni, invita a tornare alle origini della vocazione. Tornare alle origini significa soprattutto tornare all’amore fraterno. Per questo la pressante preghiera a Dio perché «faccia ritornare ciascuno di noi alle origini della vocazione, cioè all’attesa delle promesse che Dio ha fatto al nostro padre Apa, di cui abbiamo professato i precetti camminando sinceramente nell’adempimento della legge, cioè formando tutti un solo cuore, soffrendo gli uni per gli altri, praticando l’amore fraterno, la misericordia, l’umiltà (...)» 29.

L’amore della legge di Dio e della santa koinonia sono infatti un dovere per i monaci: li obbligano a vivere qui in terra come si vive in cielo. Cosi gli uomini, vedendo le loro opere buone, possono lodare Dio e riconoscerli quali autentici discepoli di Cristo, che conformemente alla loro vocazione si amano reciprocamente senza falsità. La sorte della vocazione nella santa koinonia è indissolubilmente legata all’«amore vicendevole con ciascuno» 30. Fino a che punto Teodoro sia convinto dell’obbligo e della grandezza di questo comandamento dell’amore, è evidente da queste parole: «Il comandamento ama il prossimo tuo come te stesso e trattieni la tua lingua (Gc 1, 26; 1 Pt 3, 10) avanzeranno onorevolmente alla testa del tuo popolo (cf. Nm 10, 33) finché non giungerà nel regno di Dio, [e questo riguarda] sia i monaci che i laici» 31.

L’insegnamento dottrinale di Orsiesi arricchisce la comprensione della comunità con nuovi riferimenti scritturistici. Per primo collega esplicitamente l’esperienza della comunità pacomiana con il modello della comunità di Gerusalemme, come scrive nel suo Liber: «Che la nostra comunità e la koinonia, con la quale ci uniamo gli uni agli altri, vengano da Dio, ce lo ha insegnato l’Apostolo (...). Leggiamo la stessa cosa anche negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine dei credenti era un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà alcuna cosa, ma tutto fra loro era comune”. (...) Con queste stesse parole concordano quelle del salmista che dice: “Ecco com’è bello e gioioso che i fratelli vivano insieme”. Anche noi, che viviamo nella koinonia e siamo uniti da carità vicendevole, facciamo in modo che come abbiamo meritato di partecipare alla sorte dei santi padri in questa vita, possiamo parteciparvi anche nella vita futura (...)» 32.

Questo modello dei primi cristiani, sempre secondo l'insegnamento di Orsiesi, si attualizza in una comunione fatta di quotidianità, che permea il vissuto concreto. La koinonia della carità si vive nell’ordinario della vita di ogni giorno e nella semplicità, informando con essa tutto quanto. Leggiamo nei Regolamenti: «E anche ogni altro compito che dobbiamo adempiere in conformità alla legge della santa koinonia eseguiamolo come un solo uomo, con quel discernimento proprio di una fede zelante, come sta scritto: “Tutti i credenti formavano un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32), affinché Dio benedica il nostro pane e noi lo mangiamo con gioia e letizia nello Spirito Santo (...)» 33.

Un ulteriore arricchimento alla concezione della comunità viene dal considerarla luogo dove si è riuniti nel nome del Signore, e quindi luogo della presenza del Signore stesso. «Abbiamo grande timore per non essere assolutamente di scandalo - leggiamo sempre nei Regolamenti - nel luogo dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù. Egli infatti è con loro e in mezzo a loro, come ha detto (cf. Mt 18, 20)» 34. È colto qui in profondità il valoro teologico e il senso mistico della comunità, costituita tale dal Signore stesso, presente in mezzo ai monaci uniti nel suo nome.

All’orizzonte rimane sempre il precetto dell’amore scambievole: «Per questo, obbedendo a quanto il Signore e Salvatore ha ordinato agli apostoli dicendo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Da questo sarete veramente riconosciuti come miei discepoli", dobbiamo amarci gli uni gli altri e mostrare che siamo veramente servi del nostro Signore Gesù Cristo, figli di Pacomio e discepoli della koinonia» Si tratta di un amore che, riprendendo l’insegnamento di Pacomio, non conosce distinzione di persone: «Bisogna che dica più spesso e ripeta le stesse cose: guardatevi dall'amare alcuni e odiare altri, dall’aiutare l’uno e trascurare l'altro (...)» 36.

Orsiesi, al pari di Teodoro, rimprovera chi, nella comunità, ha perduto questo atteggiamento di amore concreto e attento al fratello: «Vi sono alcuni che vigilano su se stessi e vivono secondo il precetto di Dio, eppure dicono tra sé e sé: “Che c’è tra me e gli altri? Io cerco di servire Dio e di osservare i suoi comandamenti; quello che fanno gli altri non mi riguarda!”» 37. Orsiesi invece sa e insegna che «dopo aver reso conto della nostra vita, dovremo ugualmente rendere conto anche degli altri, di quelli che ci sono stati affidati». Questo, continua, non riguarda solo i superiori, è piuttosto compito di «ciascun fratello della comunità, poiché tutti devono portare i pesi gli uni degli altri per adempiere la legge di Cristo (Gal 6, 2)». E dopo aver ricordato le parole di Paolo a Timoteo, «custodisci il deposito», conclude: «Anche noi abbiamo un deposito affidatoci da Dio: la vita dei nostri fratelli» 38. Orsiesi esclude così, in modo assoluto, la ricerca di una salvezza individualistica.

Le opere buone e la koinonia sono il sacrificio che piace a Dio. L’essere un cuore solo e un’anima sola come i credenti della primitiva comunità di Gerusalemme richiede infatti l'assoluta sottomissione ai fratelli, la non appartenenza a se stessi. Come è stato ben scritto, nella koinonia pacomiana non c’è spazio «per la ricerca di una perfezione personale o il perseguimento di un proprio progetto di santità. La frequenza e, se vogliamo, la durezza con cui i Praecepta stroncano alla radice ogni individualismo, ogni ricerca di privilegio, anche nei suoi aspetti più quotidiani e banali dalle pretese sul cibo al considerare un qualsiasi oggetto come proprietà personale, va letta in quest’ottica. Ormai il monaco non solo non ha più nulla di proprio, ma non appartiene più a se stesso, ha liberamente consegnato la sua vita ai fratelli. Tutto fin da principio è offerto, è dato» 39.

PRINCIPALI PROBLEMI EMERGENTI

 Dopo questo sguardo sulla nascita e il cammino di comprensione della comunità pacomiana, possiamo ora concludere che nonostante una certa rigidità della legge tipica di questo inizio di vita cenobitica, la koinonia è stata ispirata e vive sotto la legge dell'amore, anzi dell’amore scambievole.

1 modelli e i luoghi di riferimento scritturistico che d’ora in poi illumineranno la comunità monastica e religiosa sono individuati con chiarezza: il Salmo 132, i testi giovannei sull’amore reciproco e l’unità dei credenti, i sommari degli Atti, i testi paolini sulla carità.

La comunità pacomiana conserva forti tratti di ascetismo, ereditati dall’anacoresi; tuttavia, è subentrata una sensibilità nuova. «Alle pratiche ascetiche degli anacoreti, lunghe preghiere, digiuni, a volte ascesi bizzarre, Pacomio contrappone la via del servizio, via privilegiala per i piccoli e i deboli» I fratelli più piccoli nel cenobio, egli insegna, «non si danno a grandi esercizi e ad un ascetismo esagerato, ma procedono semplicemente, in obbedienza e spirito di servizio, in purità e osservanza delle regole: agli occhi degli anacoreti non conducono una vita perfetta, e sono considerati di molto inferiori». Invece, «sono molto superiori agli anacoreti, perché procedono nello spirito di servizio in cui camminò l’Apostolo, come sta scritto: “Per amore dello Spirito, servitevi gli uni gli altri, in spirito di affabilità e in piena longanimità”» 41.

L’ascesi nella koinonia si esprime principalmente nella rinuncia in vista della comunione, così da consentire di diventare una cosa sola, nell’obbedienza, nella misericordia, nell’aiuto, nell’edificazione, nella custodia e nella vigilanza degli uni nei confronti degli altri. Anche la povertà radicale è in vista della comunione dei beni.

La comunità ha trovato i suoi fondamenti teologici: l’origine soprannaturale della koinonia, in seguito alla chiamata divina, e quindi la sua natura di dono e di carisma; la carità come fondamento della koinonia; la dimensione ecclesiale che consente di utilizzare, per la koinonia, le immagini stesse della Chiesa: corpo, vigna, gregge, famiglia di Dio, popolo di Dio...

I pacomiani hanno aperto così la strada per una feconda riflessione dottrinale, basata su un'intensa esperienza di vita, che consentirà alla comunità monastica di iniziare il suo cammino nella Chiesa, in una ricca molteplicità di espressioni.

 NOTE

 1 Pacomio nasce a Esneth, Alta Tebaide, nel 288. Arruolato forzatamente nell'esercito di Massimino nel 312, a seguito della vittoria di Costantino viene congedato dall’esercito. Riceve il battesimo probabilmente nella notte di Pasqua del 313. Dopo tre anni, abbraccia la vita monastica sotto la direzione di Palamone. Dopo sette anni, si sposta a Tabennisi, nell’Alto Egitto. Gli si associa Giovanni, il fratello maggiore. Con lui costruisce un locale per accogliere altri monaci. Dopo un primo fallimento di vita comunitaria, nuovi discepoli si raccolgono attorno a Pacomio. L'affluenza cresce costantemente. Pacomio sa far fronte al numero sempre più folto di discepoli con una sapiente capacità organizzativa. Costruisce un secondo monastero in una vicina località desertica denominata Pbow, a cui seguono ulteriori fondazioni. All’ombra del monastero maschile nasce presto anche quello femminile. Pacomio invita infatti la sorella Maria, venuta a visitarlo, a imitarlo nel proprio stile di vita. Maria si stabilisce vicino a lui, dando vita a un cenobio di donne (ne conosciamo almeno un altro, nell’ambito pacomiano) che adotterà la Regola di quello maschile. Palladio nella sua Storia Lausiaca scrive a proposito dei pacomiani: «Hanno anche un monastero di donne, circa quattrocento, in cui vigono le stesse regole e lo stesso sistema di vita, tranne per ciò che riguarda la melote» (Testo critico e commento a cura di G.J.M. BartELINK, Mondadori, Verona 1974, p. 161). La federazione giunse cosi a comprendere nove monasteri di uomini e due di donne. Pacomio morì a Pbow, il 9 maggio 346. In italiano possediamo un’ottima edizione degli scritti di Pacomio e dei discepoli, Teodoro e Orsiesi: Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti. Introduzione, traduzione e note a cura di L. CREMASCHI, Edizioni Qiqajon, Bose 1988. Qui (pp. 429 438) si può trovare una esauriente bibliografia. Sempre in lingua italiana si può leggere: Vita copta di S. Pacomio, Traduzione, introduzione c note a cura di F. MOSCATELLI. Messaggero, Padova 1981.

2 Cf. J.M. LoZANO, La comunità pacomiana: dalla comunione all'istituzione, «Claretianum», 15 (1975), pp. 237-267. Per un’attenta analisi delle differenti versioni della vocazione di Pacomio, cf. H. VAN CraneNBURGH, Étude comparative des récits anciens de la vocation de Saint Pachôme. «Revue Bénédictine», 82 (1972), pp. 280-308.

3 Seconda catechesi, 1, p. 297. I testi sono citati nell’edizione della Cremaschi, di cui viene indicata la paginazione.

4 Regolamenti, 51, p. 166.

5 Vita copta, p. 40.

6 Pacomio e i suoi discepoli, p. 15. Per un primo approccio sulla dimensione comunitaria della spiritualità di Pacomio. cf. H. BACHT, Pachôme et ses disciples, in Théologie de la vie monastique, p. 69; Id., Monachesimo e Chiesa. Studio sulla spiritualità di s. Pacomio, in J. DANIELOU - H. VORGRIMMLER, Sentire Ecclesiam.... Roma 1964. pp. 193-224; P. DESEILLE, L'ésprit du monachisme pachômien. Bellefontaine 1968; E. Bianchi. La vita di comunione in S. Pacomio e i suoi discepoli, «Parola Spirito e Vita», 11 (1985), pp. 265-278.

7 Catechesi, 36-37, pp. 220-221.

8  Catechesi, 8, p. 208.

9 Guardando alla comunità pacomiana, vengono immediatamente in rilievo l'efficiente organizzazione, la forte struttura gerarchica, una certa rigidità e un ascetismo sostenuto. Non possiamo qui seguire il complesso sviluppo della legislazione, come pure dell’istituzione pacomiana in se stessa. Notiamo solo che nel passaggio da Pacomio a Teodoro, la comunità sembra si sia gradatamente istituzionalizzata. I successori di Pacomio sembrano infatti preoccupati di disciplinare e organizzare un gruppo che è ormai un popolo. 1 membri delle comunità si moltiplicano in pochi decenni. Quando viene codificata la legislazione, in ogni monastero vivevano da milleduecento a milleseicento monaci. Ogni monastero era un vero e proprio villaggio.

10 Vita copta, p. 46,

11 «Nella tradizione pacomiana (...) il termine monaco è evitato con cura e quello di fratello è l'appellativo tecnico usato per designare un pacomiano» (LoZano, la comunità pacomiana. p. 250). Negli insegnamenti riportati dalle vite copte, emerge la centralità della comunità e la sua superiorità rispetto all'anacoresi. Cf. Vita copta, pp. 182-183.

12   Precetti e giudizi, proemio, p. 139.

13 Catechesi, 8, p. 208.

14 Catechesi, 36-37, pp. 220-221.

15 Catechesi, 39, p. 225.

16 Vita copta, n. 42, p. 93.

17 Catechesi, 14, p. 211.

18 Vita copta, pp. 177 .178.

19 Vita saidica terza, citato in Pacomio e i suoi discepoli, p, 31,

20 Catechesi seconda, 1, p. 297.

21 Catechesi terza, 27, pp. 311 312.

22 Catechesi terza, 17, pp. 306-307.

23 Catechesi terza. 36. p. 316.

24 TEODORO, Frammenti, 2,2, p. 332.

25 Catechesi terza. 26, p. 311.

26 Catechesi terza. 4, pp. 299-230.

27 Catechesi terza. 20, p. 308.

28 Catechesi terza. 41. p. 417.

29 Catechesi terza. 23, p. 310.

30 Catechesi terza, 36, p. 316.

31 Frammenti, 2,2. p. 332.

32 Liber Orsiesi, 50, pp. 407-408.

33 Regolamenti, 51. p. 166

34 Regolamenti, 2, p 151.

35 Liber Orsiesi, 23, p. 391.

36 Liber Orsiesi, 16, p. 381.

37 Liber Orsiesi, 8, p. 380.

38 Liber Orsiesi, 11, pp. 382-383.

39 Pacomio e i suoi discepoli, pp. 31-32.

40   Ibid.. p. 32,

41   Vita copta, pp. 183 -184.


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12 novembre 2016        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net