Fausto di Riez
Estratto e tradotto da: "Augustine
Through the Ages:
An Encyclopedia
(Agostino attraverso i secoli: un'enciclopedia)",
di Thomas A. Smith - Wm. B. Eerdmans Publishing, 1999
FAUSTO DI RIEZ
(circa 405 -
circa 490), vescovo di Riez
nella Gallia meridionale. Probabilmente un britannico di nascita ed un gallo
per educazione, Fausto da giovane divenne monaco del monastero dell'isola di
Lérins nella Gallia meridionale, divenendo abate dell'abbazia intorno al
433. Trasferitosi come vescovo nella sede di Riez intorno al 457 come
successore di Massimo
[1], egli divenne forse il più venerato
predicatore e teologo gallico dei suoi tempi. Sidonio Apollinare
[2] ebbe contatti con lui tramite lettere
(epp. 9.3; 9.9) e gli indirizzò un poema (carmina 16). Fece parte
di una delegazione episcopale che nel 475, per conto dell'imperatore Giulio
Nepote, concluse un trattato di pace con il re visigoto Eurico (o Evarico)
[3].
Le sue opere esistenti consistono in un
lungo trattato, De gratia, un trattato più breve, De spiritu
sancto, undici lettere (la più lunga delle quali, l'epistola 3,
sembra che l'abbia fatta circolare come un libello) e un numero elevato ma
insicuro di sermoni. I sermoni raccolti di "Eusebius Gallicanus" (CCL
101-101B), una volta attribuiti a Fausto, ora sono generalmente considerati
il prodotto di una redazione del sesto secolo, sebbene contengano
indubbiamente del materiale di Fausto
[4].
La reputazione di Fausto nella storia del
pensiero cristiano si deve principalmente all'epistola 3 e al De
gratia, entrambi prodotti della controversia teologica locale. Nell'Epistula
3, in realtà un trattato scritto probabilmente intorno al 470 in risposta ad
una richiesta di un altro vescovo, Fausto afferma la dottrina della
corporeità dell'anima, un insegnamento preso in prestito dalla settima
Conferenza di Giovanni Cassiano. Tutte le cose create, comprese le anime
e gli angeli, devono essere intese come corporee, perché circoscritte dal
punto di vista temporale e spaziale. La circolazione
dell'epistola 3 portò
alla stesura di una confutazione nel lungo trattato di De statu animae
di Claudiano Mamerto
[5], in cui l'autore, derivante da
Sant'Agostino, difende la dottrina dell'anima incorporea.
Una maggiore attenzione è stata data al
trattato De gratia di Fausto, che è stato considerato da molti
storici della dottrina (Harnack, Loofs, Tixeront, Seeberg) essere una
dichiarazione a tutto tondo della dottrina "semi-pelagiana" della grazia
divina. L'opera fu scritta intorno al 474 contro un presbitero, Lucido, che
aveva adottato una rigida posizione predestinataria nel descrivere
l'operazione della grazia divina. L'insegnamento di Lucido era stato
condannato dai Concili episcopali di Arles e Lione nel 473/74, a seguito del
quale apparentemente fu chiesto a Fausto di articolare una dottrina di
grazia più congeniale al consenso dei vescovi di Provenza. Il trattato è
citato in termini molto favorevoli da Gennadio di Marsiglia nel suo Liber
de viris illustribus 86 (circa 490), ma è considerato sospetto nel
cosiddetto Decretum Gelasianum
[6] (fine V/inizio VI secolo).
Sebbene non sia del tutto esatto affermare
che la sua dottrina della grazia sia una posizione di compromesso, Fausto
considerava chiaramente sia l'affermazione "pelagiana" del libero arbitrio
sia la logica predestinataria delle successive opere anti-pelagiane di
Agostino come posizioni estreme da evitare. Fausto le paragona (De gratia
1.1) a Scilla e Cariddi (nell'Odissea di Omero) ed agli errori cristologici
che enfatizzano o il divino o l'umano. A dire il vero, Pelagio è un
pestifer doctor, mancando sia di giudizio che di pietà, ma coloro che
come Lucido sostengono che la volontà umana non ha posto nell'economia della
salvezza, sono colpevoli di assorbire lo stesso spirito eretico. Tra i due
estremi, Fausto sottolinea la generale disponibilità dei mezzi di salvezza e
delle doti umane esistenti, sebbene indebolite, dell'intelletto e della
volontà, sottolineando nel contempo la necessità che la grazia di Cristo
porti l'autentica libertà. Dio attira l'essere umano verso la salvezza, per
così dire,
tramite l'"appiglio"
della volontà
[7]
(per quondam voluntatis ansulam, De gratia
1.16). Fausto, tuttavia, sta attento ad affermare che mentre in un dato
contesto di vita il movimento della volontà può, per ordinazione di Dio,
precedere la concessione di grazie speciali, la grazia di Dio alla fine
precede ed abilita la volontà umana (De gratia 2.10).
Fausto sembra aver conosciuto almeno alcune
delle opere di Agostino, anche se forse non di prima mano. Le citazioni
dirette di Agostino sono scarse, ma diversi luoghi comuni agostiniani sono
sparsi attraverso il lavoro di Fausto. Mostra anche l'influenza di Giovanni
Cassiano, Origene (tramite la traduzione
di Rufino del De
principiis) e probabilmente anche di Ilario di Poitiers. La questione di
quanto Fausto fosse "agostiniano" rimane incerta, in parte perché i contorni
dell'"agostinianismo" alla fine del V secolo non sono precisi; per esempio,
Prospero di Aquitania
[8] nel De vocatione omnium gentium
(circa 435) mostra che anche i sostenitori di Agostino avevano notevolmente
ammorbidito il predestinazionismo
[9]
del loro maestro. Così, mentre molti studiosi (F. Suarez, L. de
Tillemont, J. v. Kuhn, A. Engelbrecht, A. Koch e A. Harnack, inter alios)
hanno considerato Fausto di Riez un semi-pelagiano ed alcuni (R.
Bellarmine, H. de Noris, J. Basagne) come un vero pelagiano, altri (D.
Erasmus, J. Driedo, J. Stilting e, più recentemente, C. Tibiletti e T.
Smith) suggeriscono che la dottrina della grazia di Fausto è allineata più
strettamente a quella di Agostino di quanto si pensasse in generale.
Certamente si esiterebbe ad etichettare Fausto di Riez un "agostiniano"; la
sua antropologia teologica, molto simile a quella di Cassiano, ha le sue
radici nelle fonti pre-agostiniane e non agostiniane. Egli, d'altra parte,
scrivendo all'indomani delle controversie sia pelagiane che semi-pelagiane,
si era certamente appropriato della sensibilità anti-pelagiana e della
preoccupazione di Agostino riguardo alla gratuità della grazia. Le sue considerazioni sulle
conseguenze e sulla trasmissione del peccato originale dipendono chiaramente
da Agostino. Ma, a differenza di Prospero d'Aquitania che venne prima di
lui, Fausto di Riez non era un sostenitore di Agostino, avendo modificato
gradualmente l'insegnamento di quest'ultimo per renderlo più ampiamente
accettabile. Piuttosto, ha tentato di produrre un resoconto scritturale
equilibrato del rapporto tra la grazia divina ed il libero arbitrio umano,
innestando molti aspetti del pensiero di Agostino in quel resoconto senza
legare esplicitamente il nome di Agostino agli apparenti eccessi del
predestinazionismo.
Mentre il suo posto nella storia della
dottrina è alquanto ambiguo, Fausto è stato incluso negli Acta sanctorum
dei Bollandisti (festa, 28 settembre), ed alcuni culti locali intorno a Riez
sembrano essere fioriti nel XVIII secolo.
Bibliografia
- M. Djuth, “Faustus di Riez: Initium Bonae
Voluntatis”, AugStud 21
(1990): 35-53;
- M. Simonetti, “Fausto di Riez e i Macedoniani”,
Augustinianum 17 (1977): 333-54;
- M. Simonetti, "Il De Gratia di Fausto di Riez",
Studi Storico-Religiosi 1, n. 1 (1977): 125-45;
- T. Smith, "De Gratia": Faustus of Riez's Treatise
on Grace and Its Place in the History of Theology (Notre Dame, Ind.:
University of Notre Dame Press, 1990);
- C. Tibiletti, “Libero arbitrio e grazia in Fausto di
Riez”, Augustinianum 19 (1979): 259-85;
- C. Tibiletti, “Fausto di Riez nei giudizi della
critica", Augustinianum 21 (1981): 567-87;
- G. Weigel,
Faustus of Riez:
An
Historical Introduction
(Philadelphia: Dolphin Press,
1938).
Note del traduttore.
[1]
San Massimo, nacque a Décomer oggi Château-Redon (Basse Alpi), verso
l'anno 388 e morì a Riez nel 460. Fu monaco ed abate a Lérins dopo
che sant'Onorato fu eletto vescovo di Arles nel 427. Verso la fine
del 430 venne eletto vescovo di Fréjus, ma riuscì a sottrarsi alla
nomina, per non accettare una carica di cui si credeva indegno;
infine, però, nel 434 venne eletto vescovo di Riez da S. Ilario.
(Fonte: sacrocuore-bologna.it)
[2]
Sidònio Apollinare - Vescovo e scrittore gallo-romano (n. Lione fra
il 430 e il 433 - m. 487 circa). Di nobile famiglia, genero
dell'imperatore Avito, prefetto di Roma (468), rientrato nelle
Gallie fu eletto (470 circa), per quanto semplice laico, vescovo di
Clermont. Organizzò la resistenza contro Eurico re dei Visigoti (ma
più tardi dedicherà un poema ad Eurico vittorioso). Come scrittore
era un tipico esponente della cultura e della civiltà della Gallia
romanizzata, ove al sentimento della romanità già si univano
elementi "barbarici". Gli scritti di Sidonio (24 carmi in esametri,
distici elegiaci ed endecasillabi, di vario argomento 147 lettere
raccolte da Sidonio stesso in 9 libri) hanno scarso valore
letterario per gli evidenti artifici di scuola, ma sono interessanti
perché sono pressoché l'unica fonte per la storia politica, sociale
e letteraria di quel periodo. (Fonte
Enciclopedia Treccani)
[3]
L'Enciclopedia Treccani
aggiunge che: "I suoi scritti contro l'arianesimo gli causarono
l'esilio nel 478 per ordine del re visigoto Eurico e poté rientrare
nella sua sede episcopale solo alla morte del re, avvenuta nel 485".
[4]
Eusebio d'Emesa, o Eusebio Emeseno, vescovo d' Emesa, oggi Homs,
città della Siria presso il Monte Libano ed
antica sede metropolitana della provincia romana della
Fenicia Seconda (o Fenicia Libanese) nella diocesi civile d'Oriente
e nel patriarcato di Antiochia. Eusebio era nato in Edessa, città
della Mesopotamia, circa nel 300. Fu discepolo di Eusebio di Cesarea
e molto caro all'imperatore Costanzo che l'avrebbe voluto promuovere
alla sede patriarcale di Alessandria; ma Eusebio la rifiutò per
ricevere poco tempo dopo la sede di Emesa. Morì circa nel 359.
Compose diverse opere ed inoltre sono conosciute col suo
nome numerose omelie o sermoni che sono invece più certamente
attribuibili a Bruno di Segni, Eucherio di Lione, Fausto di Riez,
Cesario d'Arles ed altri.
Questa raccolta di sermoni è contenuta in certi
manoscritti sotto il nome di un misterioso "Eusebio" che nel Medio
Evo è stato erroneamente identificato in Eusebio d'Emesa.
Questo autore sconosciuto viene inoltre citato come
Eusebio Gallicano o Pseudo Eusebio Gallicano o Pseudo Eusebio
d'Emesa.
(Fonte Wikipedia
sotto le voci: Eusèbe d'Émèse
e Eusèbe gallican)
[5]
Claudiano Mamerto, in latino Claudianus Mamertus (Colonia Julia
Viennensis, ... – Colonia Julia Viennensis, 474 circa), fu uno
scrittore, teologo e filosofo di origine galla, di espressione
latina e di fede cristiana, vissuto in epoca tardo-imperiale. È
considerato uno degli ultimi rappresentanti della patristica
dell'Occidente romano.
[6]
Il Decretum Gelasianum (titolo completo: Decretum Gelasianum de
libris recipiendis et non recipiendis) è un documento contenente,
tra le altre cose, un elenco di opere religiose da considerare
canoniche, una lista dei sinodi e degli scrittori ecclesiastici
riconosciuti, e un altro elenco che indica le opere da rigettare.
Tradizionalmente attribuito a papa Gelasio I (492-496), è in realtà
originario della Gallia meridionale del VI secolo, anche se alcune
parti possono essere fatte risalire a papa Damaso I (di cui riprende
il De explanatione fidei) e all'ambiente romano. (Fonte
Wikipedia)
[7]
Come dice in altro modo Giovanni Cassiano nella Conferenza XIII,
cap. 18: "Dio ispira il
principio della salvezza e infonde in ciascuno l’ardore della buona
volontà".
[8]
Prospero d'Aquitania, (Limoges, 390 circa – Roma, 463 circa), è
stato uno scrittore, teologo e monaco cristiano latino, difensore
delle opere di Agostino d'Ippona sulla grazia e sulla
predestinazione. (Fonte Wikipedia)
[9]
La prima elaborazione di una dottrina sistematica sul tema della
predestinazione risale a Sant'Agostino (354-430); questi la formulò
all'interno della sua lotta contro il pelagianesimo e sulla base
della sua dottrina sul peccato originale. Agostino vuole garantire
la causalità esclusiva della grazia, e per questo definisce la
predestinazione "la prescienza e la preparazione dei benefici di
Dio, mediante cui sono salvati nella maniera più sicura tutti coloro
che vengono salvati" [De dono
perseverantiae 14,35]. All'interno della massa dei peccatori
perduti a motivo del peccato originale (Agostino parla di "massa
dannata"), solo pochi sono prescelti per la vita eterna. La
predestinazione di Agostino ha perciò le caratteristiche della
gratuità, dell'infallibilità e del particolarismo, nel senso che
riguarda solo una piccola parte dell'umanità.
La Chiesa Orientale continuerà a tramandare la posizione
unanime (per lo meno fino ad Agostino) della patristica: la
predestinazione alla salvezza eterna avviene sulla base della
prescienza divina, la quale non ha valore cogente nei confronti
della volontà e delle azioni degli uomini.
Il predestinazionismo
Poco dopo Agostino, Lucido (†474) sostiene una doppia
predestinazione, ma il Sinodo di Arles del 473 gli fa ritrattare le
seguenti tesi, a cui comunemente ci si riferisce come all'errore del
predestinazionismo:
- Gesù Cristo non è morto per la salvezza di tutti;
- la prescienza di Dio costringe con la forza l'uomo alla
rovina eterna;
- gli uni sono predestinati alla morte eterna, gli altri
alla vita eterna.
Il Sinodo di Orange del 529 respinge l'esistenza di una
predestinazione al male.
(Fonte Cathopedia)
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marzo 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net