Faustus Rhegiensis SERMO PRIMUS. Ad monachos. |
FAUSTO DI RIEZ
PRIMO SERMONE. AI MONACI |
"Patrologia Latina", vol. 58 di J. P. Migne, 1848 |
(Tradotto da "Patrologia
Latina", vol. 58 di J. P. Migne, 1848) |
1. Ad locum hunc, carissimi, non ad quietem, non ad
securitatem, sed ad pugnam, ad certamen convenimus, ad agonem huc
processimus, ad exercenda cum vitiis bella conscendimus.
Vita
(altri manoscritti hanno, più giusamente, "vitia") enim nostra hostes nostri sunt, de quibus Scriptura pronuntiat dicens:
Cave ne unquam habeas cum eis sedem.
Necessaria nobis est, fratres, pervigil cura, indefessa custodia,
quia conflictus iste sine fine, hostis iste sine pace est. Hostis
iste vinci potest, recipi in amicitiam non potest. Et ideo praelium
istud quod suscepimus, satis durum satisque periculosum est, quia
inter hominem geritur, et nisi cum ipso homine non finitur. Ideo nos
ad tranquilla haec secreta et spiritualia castra contulimus, ut
quotidie contriti, passiones nostras infatigabili congressione
certemus; ut quotidie moribus nostris quasi famulas voluntates
nostras subjiciamus, ut cordis nequitias circumcidamus vel linguae
gladium retundamus. Non solum invicem non inferamus injurias, sed
nec ab aliis sentiamus illatas. |
1. Carissimi, non ci siamo riunti in questo
luogo per stare tranquilli e sicuri, ma per combattere e per
gareggiare: siamo venuti qui per partecipare alla gara e diamoci da
fare per esercitarci nella lotta contro i vizi. Infatti, i nostri
vizi sono i nostri nemici, di cui riferisce la
Scrittura dicendo: Guardati
bene dal fare alleanza con essi (Dt 7,2; Es 34,12: Vulg.). Ci è
necessaria, fratelli, una vigile attenzione ed un'instancabile
sorveglianza perché questo conflitto è senza fine e questo nemico è
senza quiete. Questo nemico può essere superato, ma non potrà mai essere
accolto come amico. Perciò, questa guerra che abbiamo intrapreso è
abbastanza dura e pericolosa, perché viene condotta nell'uomo e
termina solo con lo stesso uomo. Per questo motivo siamo convenuti
in questo tranquillo, segreto e spirituale accampamento, per
combattere ogni giorno con contrizione contro le nostre passioni con
una lotta infaticabile; per assoggettare ogni giorno le nostre
volontà, come fossero delle serve, alle nostre regole, per
sopprimere le malvagità del cuore e per smussare la lama della
lingua. Non solo non dobbiamo offenderci a vicenda, ma non dobbiamo
neanche percepire le offese fatteci da altri. |
2. Peculiariter enim ista ad professionem nostram
pertinent, nihil in hac vita consolationis requirere, nihil honoris;
praesentium rerum solatia refugere, et ad promissa aeternae
remunerationis praemia animum praeparare.
Subjectione et abjectione gaudere, et paupertatem
studio quaerere; et non solum facultates, sed ipsas voluntates de
cordibus eradicare.
Nihil enim proprium habere interdum res necessitatis
exigit, nihil autem concupiscere res virtutis. |
2. Queste (intenzioni), dunque, riguardano in
modo particolare la nostra professione (religiosa), in questa vita
non dobbiamo cercare nessuna consolazione e nessuna gloria; dobbiamo
guardarci dal sollievo dei beni presenti e preparare l’animo a
ricevere i premi promessi dell’eterna ricompensa. Dobbiamo
rallegrarci della sottomissione e dell’umiliazione e ricercare con
ardore la povertà; dobbiamo sradicare dai nostri cuori non solo i
beni materiali, ma anche la stessa volontà (di possederli). Poiché
talvolta non si possiede nulla di proprio per questione di
necessità, mentre il non desiderare nulla è questione di virtù. |
3. Illud etiam scire debemus, quod
qui inter nos vitam habere constituimus, aut cum grandi periculo vel
diligentes vel etiam negligentes sumus. Unde felix est illa anima
quae, dum bene in congregatione versatur, multorum gaudium est, et
plurimi ex ea vel aedificantur vel illuminantur. Bona enim dum
multis communicantur, adduntur. Ad quod etiam sapientissimi illius
sententia respicit, quae dicit: Filimi, si sapiens fueris, tibi
et proximis tuis (Prov. XXIII, 15). Itaque si quis in
congregatione positus, humilitatem se sequentibus aut patientiam
praebuerit, quantum ex se bonum proximis commodat, tantum in se
aliorum lucra convertit. Si vero econtrario per inobedientiam vel
superbiam quaeret, quod pejus est, facilius inveniri solet, ad mali
exemplum sive iniquitatis alios attraxerit, quantos destruxerit, de
tantis periculum damnationis incurrit, quantis detrimentum fuit,
tantis damna contraxit, et peccatum quod ab illo semel recessit, ad
eum multipliciter redundabit. Quamobrem sicut ille valde admirandus
est atque laudandus est cujus cursus bonus multorum profectus est,
ita ille non immerito lugendus est cujus vita multorum ruina est.
Ideoque, fratres carissimi, quae ad aedificationem pertinent, ea in
medio positi agere studeamus, ne via nostra aliorum virtutibus
noceat, et ne aliorum fervorem tepor noster debilitet; et ne aliorum
patientiam nostra iracundia violet, nec aliorum humilitatem superbia
nostra depravet, ne aliorum pulchritudinem foeditas nostra
contaminet: ne aliorum ardentes exstinguamus lampades, si nostras
illuminare non possumus. Et quidem illae fatuae virgines, quamlibet
fatuae essent, non tamen alienas exstinguere lampades, sed suas
illuminare cupiebant; et ideo ad istarum similitudinem, si cui
nostrum deest pinguissima gratia humilitatis, et si deest ignis
fidei, si flamma fervoris, si oleum caritatis, si lumen
discretionis, veniat ad eos quos magis abundare prospexerit, gratiam
in se a proximis non auferendo, sed imitando transfundat, et bona
possessionis alienae non solum sine damno, sed etiam cum lucro
possessoris invadat. Nunquam enim sentit luminis damnum plurimis
ignis accensus, nec minuit solis lucem considerantium multitudo,
quanti ad eum perspexerint, tantis munera sua commodat; et ipse
tamen semper integer perseverat. |
3. Dobbiamo anche sapere che, avendo deciso di
vivere in comunità, stiamo insieme con grande rischio (per tutti
noi) sia che siamo diligenti che negligenti. Pertanto è un'anima
felice quella che, comportandosi bene nella comunità, è di conforto
per molti e numerosi (fratelli) che sono illuminati ed edificati da
essa. Poiché mentre comunica a molti cose buone, queste aumentano
(in lei). Si riferisce a ciò anche la sentenza di quell'uomo molto
sapiente che dice: "Figlio
mio, se sarai saggio, lo sarai per te e per il tuo prossimo"
(Agostino, Sermone 35,1; Cfr. anche Pr 23, 15). Pertanto, se
qualcuno che risiede in comunità offrirà ai fratelli umiltà e
pazienza, quanto offre di sé come bene al prossimo, altrettanto
converte dentro di sé il profitto degli altri. Se, invece, al
contrario a causa della disobbedienza o dell'orgoglio, ciò che è
peggio e che più facilmente avviene, qualcuno attrarrà verso un
modello di vita malvagio ed iniquo, quanti (fratelli) distruggerà
incorrerà nel pericolo di altrettante dannazioni, e per quanti sarà
di detrimento, contrarrà altrettante pene ed il peccato che è uscito
da lui una volta, si riverserà su di lui in molti modi. Per cui,
così come è molto da ammirare e da lodare colui il cui cammino è
progredito come bene di molti, altrettanto è sicuramente da
deplorare colui la cui vita è la rovina di molti. (Cfr. Pr 9,12) Per
questa ragione, fratelli carissimi, cerchiamo di compiere in modo
visibile le cose che riguardano la nostra edificazione, affinché la
nostra strada non danneggi
le virtù degli altri e la nostra tiepidezza non indebolisca
il fervore degli altri; affinché la nostra iracondia non violi la
pazienza degli altri, la nostra superbia non corrompa l'umiltà degli
altri e la nostra indegnità non contamini lo splendore degli altri:
affinché non estinguiamo le lampade ardenti degli altri se non
possiamo illuminare le nostre. Ed in effetti quelle vergini stolte,
per quanto sciocche fossero, tuttavia non desideravano spegnere le
lampade delle altre, ma accendere le loro; perciò, se a qualcuno di
noi manca la fertilissima grazia dell'umiltà, la fiamma del fervore,
l'olio della carità, il lume della discrezione, a costui accada la
similitudine delle vergini stolte. Guardi attentamente chi ha una
maggiore abbondanza, non sottraendo al prossimo la grazia a proprio
vantaggio, ma trasferendola dentro di sé con l'imitazione e portando
con sé i beni posseduti da altri non solo senza perdite, ma anche
con vantaggio per il possessore. Perché un lume acceso non perde mai
intensità anche se accende tante fiamme, così come non diminuisce la
luce del sole se è osservato da una moltitudine, quanti guardano ad
esso ad altrettanti offre i suoi doni; lo stesso, tuttavia, rimane
sempre intatto. |
4. Benedicta illa anima est a Deo
cujus humilitas alterius confundit superbiam, cujus patientia
alterius exstinguit iracundiam, cujus obedientia pigritiam tacite
alterius increpat; cujus fervor inertiam alieni teporis exsuscitat,
qui proximi sui prae ira turbatum oculum cordis gratia consolationis
atque aedificationis illuminat. Melius est huic quam illi qui
fratrem paululum ab aliquo contristatum, non tamen solatio suo
porrecta manu non sublevat, sed titubantem, sicut parietem
inclinatum maleloquiorum impulsu adjuvat ad ruinam, et salubriter
pro disciplinae ratione correctum per sinistra consilia sic incitat,
ut allidat; sic armat, ut perimat. |
4. Benedetta da Dio è quell'anima la cui umiltà
confonde l'orgoglio altrui, la cui pazienza distrugge l'iracondia di
altri, la cui obbedienza rimprovera in silenzio la pigrizia altrui;
il cui fervore rianima l'inerzia di altri dovuta alla loro
tiepidezza. Quell'anima illumina l'occhio del cuore del suo prossimo
sconvolto a causa dell'ira, col favore della consolazione e
dell'edificazione. Meglio è questo (fratello) piuttosto che quello
che non tanto non rasserena e non aiuta con la sua consolazione un
fratello un po' contristato da un altro, ma aiuta chi già è
titubante e vacillante ad andare in rovina istigandolo a calunniare.
Con perversi consigli incita a danneggiarsi quel fratello che si era
utilmente corretto con una norma di disciplina. Come lo incita, allo
stesso modo lo distrugge. |
5. Itaque, fratres, cui mala propria non sufficiunt, ille sic agit, ut judicium etiam alienae perditionis incurrat. Certi sumus, carissimi, quod nisi caveamus, nisi nostras quotidie passiones resecemus et circumcidamus, deteriores multum nos effici quam fueramus, dum in hoc saeculo viveremus: ita ut fiant extrema nostra pejora prioribus. Et quidem, carissimi, quandiu quae ad mundum pertinent, illis actibus et negotiis eramus militantes, in quibus nunc et erubescimus, tunc nobis adversarius non obstabat, imo etiam consentiebat, quod circa miserabilem ac perditam vitam nostram non inveniebat in quo exerceret invidiam suam. Delectabantur illum nostra opera, sufficiebantque illi per se nostra crimina et peccata. Quis enim suscipiat bellum contra militem suum, et quis velit impugnare subjectum suum? Sed super omnem infelicitatem erat vita illius cui nocere dedignabatur inimicus. At vero nunc postquam voluptatibus illius renuntiavimus, vidit cultores suos ad actoris pristini rediisse famulatum, vidit in nobis quodam modo idola sua in Dei templum mutari, et frendens et tanquam leo rugiens omnes nocendi aditus pervigil insidiator explorat. De quo leone apostolus bene attestatur: Vigilate, quia adversarius vester diabolus, ut leo rugiens circuit quaerens quem devoret (I Petr. V, 8). Beati quos hic leo inquirendos judicat et sequendos utique virtutum vestigiis et odore meritorum. Non enim ab illo inquiruntur nisi boni, quia se ultro ingerunt mali. Post illos violenter currit. Hos etiam negligenter incurrit. Beati igitur quos hic leo invidia cogitur quaerere, et malitia non permittitur invenire. Terribiliter quidem sonat in auribus nostris dum audivimus Tanquam leo rugiens. Sed quia dictum est: Escae ejus electae sunt; quod quaerit electionis est; quod rugit desperationis est. Sicut in alio loco legimus: Dentibus suis frendet et tabescet. Ita haec loquitur sermo divinus, ut terrori conjuncta sit consolatio. Cruenti quidem est frendet; sed victi quod tabescit. Et inter quanta sint illa quae a Deo praeparata sunt homini livor prodit inimici. |
5. Così dunque, fratelli miei, colui al quale
non bastano i propri mali, si comporta in modo tale da incorrere
anche nel giudizio di una colpa altrui. Siamo certi, carissimi, che
se non evitiamo, se non laceriamo e se non sopprimiamo ogni giorno
le nostre passioni, ci rendiamo molto peggiori di come eravamo, per
tutto il tempo che vivremo in questo mondo: così che "l'ultima
nostra condizione sarà peggiore della prima" (Cfr. Mt 12,45). In
effetti, carissimi, fintanto che queste cose appartengono al mondo,
presteremo servizio alle loro azioni ed attività, nelle quali ora
arrossiamo, mentre l'avversario non ci osteggia e dal basso
acconsente, per il fatto che non ha trovato in cosa esercitare la
sua invidia riguardo alla nostra miserabile e depravata vita. Le
nostre azioni lo dilettavano e gli bastavano i nostri crimini ed i
nostri peccati. Chi, infatti, intraprenderà la guerra contro il
proprio soldato e chi sarebbe disposto a combattere contro un suo
sottomesso? Ma sopra ogni infelicità c'era la vita di colui a cui il
nemico disdegnava di nuocere. Ed ora, dopo che abbiamo rinunciato
alle sue passioni, vede i suoi cultori ritornare alla servitù del
precedente pastore, vede in un certo senso i suoi idoli trasformati
dentro di noi in tempio di Dio. Digrignando i denti e come leone
ruggente, l'instancabile insidiatore mette tutti alla prova
avvicinandosi per nuocere. Del quale leone bene ci attesta
l'apostolo (Pietro): "(Siate
sobri,) vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente
va in giro cercando chi divorare" (1 Pt 5,8). Beati coloro che
il leone giudica siano da scrutare e da seguire soprattutto a causa
delle impronte di virtù e della fragranza dei meriti. Perché sono
solo i buoni ad essere ricercati da esso, perché i malvagi si
offrono di propria volontà. Il leone corre con accanimento dietro ai
buoni. Corre invece contro i malvagi con svogliatezza. Beati,
dunque, coloro che il leone è costretto a cercare con invidia e che
non riesce a trovare con la malizia. Certamente risuona nelle nostre
orecchie in modo terribile ciò che abbiamo udito: "Come
leone ruggente". Ma poiché sta scritto: "Le sue esche sono quelle elette"; (Gerolimo,
Epistula ad Eustochium,
cap. 2) ciò per cui cerca è l'elezione; ciò per cui ruggisce è la
disperazione. Così da un'altra parte leggiamo: "(Il
malvagio) Digrigna i denti
e si consuma" (Sal 112 (111),10). In questo modo la parola di
Dio parla di queste cose, affinché la consolazione sia unita alla
paura (Cfr. 1 Pt 5,10). Senza dubbio la parola "digrigna"
si riferisce al crudele, mentre al vinto "si consuma". E tra tutte le cose che sono state preparate da Dio per
gli uomini, l'invidia rivela il nemico. |
6. Haec itaque, carissimi, cogitantes, et in hoc agone desudantes gloriosi et praeclari patris nostri nos et discipulos meminerimus esse et filios. Rapiamus unusquisque quod possumus de bonis intestati parentis. Hic de haereditate assumat fidei olosericam gestorum varietatem pretiosam. Hic mansuetudinis ac simplicitatis occupet talentum. Ille decus pectoris benevolentiae ac sapientiae monile sibi vindicet. Hic margaritam compunctionis et thesaurum castitatis invadat. Licet enim ille locupletissimus Dei amicus, quidquid habuit integrum secum tulerit, et nobis tamen, si volumus, totum reliquit. Ita ergo agamus bona illius sectantes, ut qui in aeternam gloriam suscitandus sub fine saeculorum reddetur, nunc Ecclesiae prole divina in filiis per merita jam resurgat. |
6. Meditando su questi pensieri, carissimi, ed
impegnandoci molto in questo combattimento, ci ricorderemo di quale
glorioso ed illustre nostro padre noi siamo discepoli e figli.
Ciascuno di noi prenda ciò che può dei beni patrimoniali del
genitore. L'uno si attribuisca in eredità quella preziosa e pura
varietà di atteggiamenti di fede. L'altro prenda un talento di
dolcezza e semplicità. L'altro ancora rivendichi come decoro del
petto la collana della benevolenza e della sapienza. L'altro afferri
la perla della compunzione ed il tesoro della castità. Anche se
questo ricchissimo amico di Dio portò via con sé tutto ciò che
aveva, tuttavia, se vogliamo, egli ci ha lasciato tutto. Ricercando
questi suoi beni comportiamoci perciò in modo tale che colui che ci
sarà restituito alla fine dei secoli, resuscitando nell'eterna
gloria, fin d'ora riviva già nei suoi figli, prole divina della
Chiesa, grazie ai suoi meriti. |
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25 marzo 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net