Di Aimé SOLIGNAC - Estratto da "Dictionnaire
de Spiritualité", Tome 11 - Ed. Beauchesne 2004
- Circa quindici manoscritti hanno trasmesso un breve scritto, a volte senza
nome dell'autore, ma il più delle volte attribuito a "Novato il
cattolico" (una volta ad Agostino); il più antico è il manoscritto
Parigi. Biblioteca Nazionale lat. 12634 (E, scritto circa nel 600), dove A. de
Vogüé riconobbe la Regola di Eugippio (si veda "Revue
d'Histoire de la Spiritualité"
(RHS), 47, 1971, pp. 233-265). Il titolo varia ancora: il più delle volte,
Sententia (o Sermo)
de humilitate et obedientia. et de calcanda superbia;
l'inizio del testo è effettivamente quello di un sermone indirizzato da un
vescovo o da un sacerdote, non in una chiesa a dei laici "che ascoltano solo il
rumore delle parole", ma a dei monaci che vivono in comunità, e desiderosi "di
ascoltare la parola di salvezza dalla quale sono stati chiamati" (1-5).
Edito per la prima volta da Margarin de La Bigne nel 1575 (Bibliotheca
Veterum Patrum, Lyon, 3, col 727 seg.; ripreso e corretto nelle successive
edizioni della Magna Bibliotheca), poi da L. Holstenius e L. Allatius come
appendice al Codex Regularum (Parigi, 1663, ristampata in Patrologia
Latina Vol. 18, 67-70), il testo è stato oggetto di un nuovo esame partendo
dai manoscritti indicizzati da allora e di un'edizione critica di L. Villegas (Les
Sentences pour les moines de Novat le catholique,
in Revue Bénédictine, Tomo 86, 1976, pp. 49-74, edizione del testo pp. 66-74,
con confronti multipli con altri autori); il testo del manoscritto E è anche
ripreso in Eugippii Regula, ed. L. Villegas e A. de Vogüé, in Corpus
Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (CSEL) 87, 1976, p. 61-67.
Anteriore della Regula Eugippii (530-535), poiché compare nella
raccolta di testi che essa riunisce, questo scritto risale al più tardi al primo
quarto del VI° secolo; l'identità del suo autore rimane da precisare, essendo il
nome Novato abbastanza comune all'epoca, in Africa o in Italia.
Il contenuto di questo sermone, diviso in centododici brevi sentenze, non
manca di interesse. L'autore osserva innanzitutto che il monaco deve combattere
contro il diavolo (6-10); ma questo avversario è vinto solo dall'umiltà e dalla
carità, seguendo l'esempio di Cristo (11-16). La "prima via della salvezza è
quindi l'umiltà" (18), che porta ogni monaco a considerare gli altri come
superiori a lui, benché siano uguali in dignità (19-26). Inoltre è necessario
che questa umiltà sia vera, e non simulata, perché si tratta di piacere a Dio e
non agli uomini (28-37).
L'obbedienza
segue l'umiltà; è anch'essa fondata sulla carità: da qui viene la pace, un altro
frutto della carità che è la pienezza della legge (47-48, cfr. Col 3,14). Il
monaco deve anche combattere contro i suoi difetti, per consentire di essere
guarito da Cristo medico (53-59) e per sopportare con gioia il suo giogo ed il
suo peso (63-66, cfr. Mt 11, 28-30). Non si preoccuperà delle differenze tra
monaci per l'indumento, il cibo ed il posto a tavola (67-80), eviterà qualsiasi
discorso malevolo e correggerà i suoi fratelli se cederanno a questa cattiva
abitudine (82-83) . Inoltre, - notazione originale - ognuno deve essere per gli
altri come un abate, perché un solo abate non può controllare tutto (84-90).
Tutte la cose saranno utili al monaco, se possiederà allo stesso tempo "umiltà,
obbedienza e carità: non c'è altra via verso Dio; questa è la via, la verità e
la vita "(91-93, cfr. Gv 14,6). In conclusione l'autore ritorna sul pericolo
della superbia, perché la Scrittura e l'esperienza dimostrano che "colui che
mantiene la via dell'umiltà progredisce e non perisce" (112).
Si noterà l'ispirazione chiaramente evangelica e paolina di queste frasi;
nella loro brevità, offrono una vera sintesi delle esigenze ascetiche della vita
cenobitica, al seguito di Cristo. L'autore non tratta né della preghiera, né
della contemplazione.