Ildegarde di Bingen
Estratto da “IL CRISTO”, Vol. V, a cura di Claudio Leonardi,
Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 20064
Tra i personaggi più singolari del suo tempo, Ildegarde, nata nel 1098 in un
paese non lontano da Magonza, in Renania, entrò ancora bambina in una
comunità religiosa di origine benedettina, retta da Jutta di Spanheim, sul
colle dedicato a san Disibodo, dove era anche un monastero maschile. Fin da
giovanetta ebbe delle visioni che, secondo una classificazione prodotta in
quel tempo da Riccardo di San Vittore, possono definirsi del terzo tipo:
visioni cioè che consistevano nel vedere, con gli occhi interiori, in
perfetta normalità, senza fenomeni di esaltazione corporea o psichica di
nessun genere, mentre stava con le altre persone, delle scene vivacemente
colorate, che una «voce» (la voce di Dio) poi le spiegava. Solo nel 1138,
quando Ildegarde aveva quarant’anni, la voce le comandò di scrivere quello
che vedeva e udiva. Nacquero così tre grandi ed eccezionali opere, i
racconti delle sue visioni: tra il 1141 e il 1150,
Scivias (cioè
sci vias:
«conosci le vie»), tra il 1158 e il 1163 il
Liber vitae meritorum e tra il 1163 e la morte il
Liber divinorum operum.
Educata da Jutta, Ildegarde aveva avuto una cultura e una formazione
letteraria mediocre. Un monaco, Volmaro, l’aiutò a scrivere, cioè a regolare
la grammatica e la sintassi, perché Ildegarde non accettò mai che ci fossero
mutazioni di lessico nei suoi scritti. Sapeva che erano scritti da lei, ma
che le erano dettati dalla «voce» divina, e li riteneva perciò
immodificabili.
Quando cominciò a scrivere, Ildegarde era stata eletta badessa da due anni,
nel 1136, alla morte di Jutta. Da questo momento la sua notorietà crebbe di
continuo; le sue visioni, oltre ad avere carattere mistico esprimendo il
desiderio e la consapevolezza di unione con Dio, erano infatti di tipo
profetico. Tendevano a suggerire un comportamento storico nel presente e nel
futuro, descrivendo non soltanto condizioni spirituali ma anche condizioni
ontologiche e storiche. Ildegarde divenne ben presto e sempre di più una
coscienza collettiva a cui molti, potenti del mondo o semplici uomini, si
rivolgevano: una coscienza dinamica, che suggeriva o imponeva un
comportamento con l’autorità che le veniva dalla «voce». Ricca diventò la
sua corrispondenza con la grande mistica Elisabetta di Schònau (1129-1164) o
con l’imperatore Federico Barbarossa (1152-1190), che consigliava e
contestava (nel 1155 gli scrisse: «Ti comporti come un bambino»). Il momento
non era facile per la Chiesa e per tutto l’Occidente: il contrasto tra
papato e Impero era tuttora grave, l’Europa divisa tra i fautori dei due
poteri, le città italiane si ribellavano al re germanico, in Inghilterra i
contrasti portarono all’uccisione di Tommaso Becket, i papi romani erano
spesso affiancati da antipapi, scoppiavano forme di eresia e di ribellione
(tra le altre quella di Arnaldo da Brescia).
Ildegarde si vide approvare il suo primo scritto visionario,
Scivias, da papa Eugenio III, in Germania, tra il 1147 e il
1148. Questo le diede un prestigio e una libertà non comuni nel mondo
cristiano. Così scriveva ed esortava e ammoniva, per lettera e con la
predicazione, che teneva non solo in circoli ristretti, girando in Renania e
in Baviera, ma persino nelle chiese. Incitò alla riforma i papi Anastasio IV
(1153-1154) e Adriano IV (1154-1159), e ne criticò l’operato con durezza.
Tutta questa attività non poteva avvenire senza contrasti gravi. Se ebbe
difficoltà a lasciare Disibodenberg per fondare il suo monastero a
Rupertsberg, vicino a Bingen, nel 1150, ben maggiori difficoltà trovò con
l’autorità ecclesiastica nel 1178, quando il monastero fu sottoposto ad
interdetto (cioè a privazione di ogni rito religioso) per avere Ildegarde
disobbedito, seguendo la sua «voce», ai superiori nella diocesi. Lei stessa
confessò di non avere mai avuto un’ora di tranquillità, stretta tra la
consapevolezza di una pace divina e di una paura invincibile. L’interdetto
fu tolto pochi mesi prima della sua morte, avvenuta a poco più di
ottant’anni, nel 1179.
Ildegarde non fu solo una scrittrice di visioni. Agli interessi spirituali e
politici, unì interessi scientifici, naturali, medici. Scrisse una
Physica o
Liber simplicis medicinae, che contiene anche un erbario e un
bestiario; le
Causae et curae o
Liber compositae medicinae, le
Subtilitates naturarum diversarum creaturarum, la
Symphonia harmoniae caelestium revelationum, e altro ancora.
In queste opere Ildegarde rivelò un’attitudine fuori del comune per
l’analisi dei fenomeni naturali, nel cosmo e nell’uomo; dentro il quadro
tradizionale delle scienze naturali propose soluzioni nuove e inedite
intuizioni. Qualche studioso ritiene che Ildegarde offra un’interpretazione
dei fenomeni umani dettata da un determinismo fisiologico (in particolare in
riferimento al sesso) e che la sua analisi dei fenomeni cosmici,
rigorosamente interna alla fisica dei quattro elementi (terra, acqua, aria,
fuoco), la porti a una cosmogonia materialista. Ma, più verisimilmente,
questa visione naturalistica di Ildegarde corrisponde alla sua visione
teologica.
Ildegarde concepisce, o meglio vede e descrive Dio come una «luce vivente»;
una luce non statica ma in eterno movimento, che crea, conserva e rinnova il
cosmo e l’uomo. In questa luce una fiamma azzurra (il Verbo che s’incarna
diventando uomo) brucia perennemente: lo Spirito santo. All’interno di
questa Trinità dinamica, che tutto muove attraverso
vis, virtus et viriditas, cioè con la propria energia, la
propria forza, il proprio eterno germogliare
(viriditas non ha corrispondenti linguistici diretti in
italiano), il Cristo è al centro della divinità e dell’umanità. Egli è la
plenitudo fructuositatis, cioè la pienezza del manifestarsi di
Dio, e insieme il
pulcherrimus et amantissimus vir. Nel Verbo-fatto-uomo
Ildegarde comprende come tutta l’opera divina, anzi Dio nella sua più intima
natura, si riveli e manifesti nell’uomo; dunque l’uomo, in analogia con
Cristo, è un essere insieme umano e divino; Cristo nasce dall’incontro tra
la luce e le tenebre; le tenebre (l’ombra azzurra) fanno parte della bianca
luce divina; la luce di Dio fa parte dell’uomo (Ildegarde chiama sé stessa
«ombra della luce vivente»). La sua cristologia non è una soteriologia
(sebbene nei suoi scritti il tema della salvezza sia sempre presente), ma
un’antropologia dove Cristo rappresenta, piuttosto che la mediazione, la
continuità tra uomo e Dio. Per questo i fenomeni e i rapporti fisici e
fisiologici tra gli uomini (uomini e donne) non hanno bisogno di allegorie
per essere spiegati: la natura, come l’uomo, porta le impronte della
divinità, è a suo modo divina; descriverla significa intenderla come è
concepita in Dio.
La profezia di Ildegarde è legata a questo annuncio: la realtà umana e
quella divina sono una medesima realtà. Una realtà d’amore che la donna
impersona. Infatti Ildegarde trasferisce nel suo linguaggio teologico la
tradizione iconografica che vede nello Spirito santo una donna. E giustifica
profeticamente questo trasferimento con la constatazione che la Chiesa,
condotta dai maschi, ha tradito per molti aspetti la sua missione. Anche per
questo concepisce la Chiesa tutta raccolta esclusivamente intorno
all’eucarestia, pieno segno storico del Cristo. La profezia, da secoli ai
margini della vita ecclesiastica e spirituale, torna con Ildegarde nella
Chiesa a pieno titolo. È un grande evento per la Chiesa e per la donna.
Proponiamo alcuni passi dai tre densi libri di
Scivias; da essi si potrà ammirare la straordinaria ricchezza
e novità di linguaggio di Ildegarde (la quale tra l’altro scrisse anche un
glossario da una lingua, rimasta sconosciuta, al tedesco). Il testo latino,
arricchito dalle illustrazioni tratte dal manoscritto Wiesbaden, Hessische
Landesbibliothek, 1 (che risale al 1165), scomparso dal 1945, è quello
curato da A. Führkötter con l’aiuto di A. Carlevaris:
Hildegardis Scivias, Turnholti 1978 (CCCM XLIII e XLIII A). La
traduzione è di Benedetta Valtorta.
Bibliografia: una bibliografia su Ildegarde è stata curata da W. Lauter,
Hildegard-Bibliographie
I, Alzey 1970; II, Alzey 1984; poi si può vedere
Medioevo latino. Bollettino bibliografico della cultura europea dal secolo
VI al XIII,
a cura di C. Leonardi e altri, Spoleto 1980 sgg.
Si potrà consultare:
F. Haug-L.
Erwegen,
Les collaborateurs de sainte Hildegarde,
«Revue bénédictine»
XXI 1904, pp. 192-203, 302-15, 381-403;
H. Liebeschütz,
Das allegorische Weltbild der heiligen Hildegard von Bingen,
Leipzig 1930 (rist. anast. Darmstadt 1966);
B. Widmer,
Heilsordnung und Zeitgeschehen in der Mystik Hildegards von Bingen,
Basel-Stuttgart 1955;
A. Führkötter-M. Schrader,
Die Echtheit des Schriftums der heiligen Hildegard von Bingen,
Köln-Graz 1956;
H. Schipperges,
Hildegard von Bingen. Die Schöpfung
der Welt in Gottes. Ebenbild,
Olten 1958;
H. Schipperges,
Das Menschenbild Hildegards von Bingen,
Leipzig 1961;
O. D’Alessandro,
Mistica e filosofia in Ildegarda di Bingen,
Padova 1966;
C. Meier,
Die Bedeutung der Farben im Werk Hildegards von Bingen,
«Frühmittelalterliche Studien» VI 1972, pp. 245-355;
H. Schipperges, introduzione a
Hildegard von Bingen, Mystische Texte der Gotteserfahrung,
Olten-Freiburg i.B. 1978;
G. Müller,
Schau des Geheimnisses.
Die Eucharistie in der prophetischen Theologie Hildegards von Bingen,
«Internationale Katholische Zeitschrift» VIII 1979, pp. 530-42;
M.L. Arduini,
Alla ricerca di un Ireneo medievale,
«Studi medievali» XXI, 1980
pp. 269-99;
G.L. Müller,
Charisma und Amt. Die heilige Hildegard von Bingen in der Auseinandersetzung
mit dem kirchlichen Amt,
«Catholica.
Jahrbuch für Kontroverstheologie» XXXIV 1980, pp. 279-95;
M. Pereira,
Maternità e sessualità femminile in Ildegarda di Bingen,
«Quaderni storici» XLIV 1980, pp. 564-79;
P. Dronke,
Problemata Hildegardiana,
«Mittellateinisches Jahrbuch» XVI 1980, pp. 97-131;
M. Schmidt,
Maria -
«materia aurea» in der Kirche nach Hildegard von Bingen,
«Münchener theologische Zeitschrift» XXXII 1981, pp. 16-32;
B. Gorceix, introduzione a
Hildegarde de Bingen, Le livre des oeuvres divines
(Visions),
Paris 1982, pp.
XV-CI;
P. Dronke,
Women Writers of the Middle Ages.
A Critical Study of Texts from Perpetua († 203) to Marguerite Porete (†
1310),
Cambridge 1984, pp. 144-201, 326-7 (trad. it.:
Donne e cultura nel Medioevo. Scritti medievali dal II al XIV secolo,
Milano 1986, pp. 195-268, 359);
E. Gronau,
Hildegard von Bingen, 1098-1179. Prophetische Lehrerin der Kirche an der
Schwelle und am Ende der Neuzeit,
Stein 1985 ;
C. Meier,
Eriugena im
Nonnenkloster?
Uberlegungen zum Verhältnis von Prophetentum und Werkgestalt
in den figmenta prophetica Hildegards von Bingen,
«Frühmittelalterliche Studien» XIX 1985, pp. 466-97;
B. Newman,
Hildegard of Bingen: Visions and Validation,
«Church History» LIV 1985, pp. 163-75;
A. Eder, «Weiblichkeit und Sexualität bei Hildegard von Bingen», in
Minne ist ein swaerez spil,
Göppingen 1986;
M. Schmitt,
Hildegard of Bingen. A Prophetic Sign for her Times,
«Benedictines» XLI 1986, pp. 31-41;
S. Flanagan,
Hildegard of Bingen as Prophet: The Evidence of her Contemporaries,
«Tjurunga» XXXII 1987, pp. 16-45;
E. Gössmann,
«Ipsa enim quasi domus sapientiae»:
The Philosophical Anthropology of Hildegard of Bingen,
«Mystics Quarterly» XIII 1987, pp. 146-54;
B. Newman,
Sister of Wisdom. St. Hildegard's Theology of the Feminine,
Berkeley, Calif. 1987;
M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, «Ildegarda la profetessa», in Medioevo al femminile, a cura di F. Bertini, Roma-Bari 1989, pp. 145-169.
Molti contributi in
Hildegard von Bingen 1179-1979. Festschrift zum 800.
Todestag derHeiligen,
a cura di A.P. Brück, Maina 1979.
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28 giugno 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net