SAN COLOMBANO
LE OPERE
Tomás Ó Fiaich
Estratto da “San Colombano attraverso le sue parole”, Abbazia San Benedetto – Seregno 2000
Introduzione
Gli scritti di Colombano che ci sono pervenuti sono tutti in latino. Molti di essi si riferiscono alle controversie alle quali prese parte o fanno riferimento al nome di alcuni suoi contemporanei, di conseguenza ci permettono di aggiungere inediti dettagli biografici al materiale che ci fornisce Jonas. Inoltre, grazie ad essi, molti aspetti del suo pensiero e della sua personalità sono meglio comprensibili: come, ad esempio, l’innato tradizionalismo, la diffidenza per le innovazioni, il rispetto per il papato, il disprezzo per i ricchi e i potenti, la schiettezza, l’attenzione amorevole per gli amici.
È quindi grave che molti dei suoi scritti siano andati perduti, soprattutto il suo commento al Salterio che, come Jonas precisa, egli scrisse in giovane età. Alcune copie di esso sopravvissero per secoli dopo la sua morte e la biblioteca di S. Gallo ne possedeva una nel IX secolo, cosìcome Bobbio nel X secolo. Lo stesso Colombano menziona nelle sue lettere i tre «volumi» che egli indirizzò a Papa Gregorio, la relazione che mandò ad Arigius e il trattato che egli scrisse sui Tre capitoli: tutti questi scritti sono scomparsi allo stesso modo. Oggi rimane solo una delle sue numerose lettere a Papa Gregorio. Jonas cita un trattato scritto a Milano contro gli ariani e lettere ai re franchi Teodorico e Clotario, ma non si ha nessuna traccia neanche di essi. Tuttavia il volume che raccoglie i suoi scritti sopravvissuti è imponente e lo rende di gran lunga il più eminente uomo di lettere irlandese, tra i suoi contemporanei. Questo titolo è stato forse attribuito al suo precedente omonimo di Iona, al quale invece si possono attribuire solo alcuni versi di alcune poesie in latino, insufficienti a competere con gli scritti del santo di Bobbio. Gli scritti di Colombano possono essere facilmente raggruppati in quattro categorie:
1. regole monastiche e penitenziali
2. lettere
3. sermoni
4. poesia
Queste opere sono apparse in numerose edizioni e un nome irlandese importante che va citato unitamente ad esse è quello del francescano del XVII secolo Fr. Patrick Fleming della Contea di Louth, che partendo da Louvain viaggiò per gran parte dell’Europa e cercò nei monasteri e nelle biblioteche materiale relativo a Colombano. Visitò Bobbio nel 1623 ed entro il 1630 consegnò il risultato della sua ricerca su Colombano nelle mani dell’editore. Poi intervenne la sua prematura morte e fu solo nel 1667 che la Collectanea Sacra di Fleming fu pubblicata da Fr. Thomas Sheerin. Tra le più recenti edizioni degli scritti di Colombano, quella dell’Abbé Migne nella sua Patrologia Latina, vol. 80, assicurò al santo irlandese un posto tra le opere dei padri occidentali in tutte le grandi biblioteche del mondo, ma non si sforzò di arrivare ad un testo critico o di separare i suoi scritti originali da quelli, che le generazioni successive gli attribuirono. Questi furono gli obiettivi che un gruppo di eruditi tedeschi si propose di raggiungere alla fine del secolo scorso: tra di essi Dümmler pubblicò la composizione «Rowing Song» [1] nel 1881 (attribuendola però a un altro sconosciuto Colombano del periodo carolingio), Gundlach pubblicò le rimanenti poesie e le lettere in prosa nei Monumenta Germaniae Historica, Epistolae nel 1892 e Seebass pubblicò alcuni sermoni, le due Regole monastiche e il Penitenziale in una rivista di storia della Chiesa tedesca tra il 1894 e il 1897. A queste edizioni può essere aggiunta quella del loro compatriota Bruno Krusch, il quale nel 1902 pubblicò su MGH (riedito nel 1905 in forma riveduta) ciò che rimane dell’edizione critica standard della Vita di Colombano ad opera di Jonas. Una nuova edizione del testo di Jonas, basata su un solo manoscritto (curata da M. Tosi)[2], è stata pubblicata in Italia nel 1965.
Tutte queste edizioni degli scritti di Colombano sono state superate ai nostri giorni dallo splendido volume Sancti Columbani Opera, edito dal dottor G. S. M. Walker e pubblicato dal Dublin Institute for Advanced Studies nel 1957. Non solo tutte le opere di Colombano sono rese qui disponibili per la prima volta in un volume unico ma, per quanto riguarda la perfezione della ricerca e l’appropriata presentazione, è stato raggiunto un livello che non sarà facilmente superato. È da questa splendida edizione curata da Walker che sono riprodotti i testi del presente volume e le mie traduzioni devono moltissimo a queste versioni precedenti. Poiché il mio libro è tuttavia indirizzato ad un lettore comune, mi sono preso la libertà di rendere il testo latino più comprensibile di quanto non sia stato fatto da Walker nella sua edizione.
Occorre poi certamente menzionare due altre edizioni moderne del Penitenziale di Colombano: Le Pénitential de Saint Columban di Jean Laporte (Tournai, 1958) e The Irish Penitentials del Dr. Ludwig Bieler (Dublin Institute for Advanced Studies, 1963) due opere di grande livello critico. Non sarebbe corretto terminare questa breve introduzione sugli scritti di san Colombano senza citare l’opera assai stimolante di J. W. Smit, Studies on the language and style of Columba the Younger (Columbanus), Amsterdam, 1971. Smit mette in discussione l’attribuzione delle poesie di Columbanus attribuendole al Colombano di Bobbio. Questo aspetto sarà trattato in seguito nella sezione dedicata alla poesia di Colombano. Qui sarà sufficiente aggiungere che Smit fornisce inoltre un’interpretazione critica e una traduzione di molti tra i più difficili passaggi delle lettere in prosa, suggerendo alcune correzioni. Questa parte della sua opera mi è stata assai utile e ho seguito le sue interpretazioni in diversi passaggi.
1. Regole monastiche e penitenziali
Due sono le Regole attribuite a san Colombano: la Regula Monachorum, o Regola dei monaci e la Regula Coenobialis, o Regola comunitaria. Ognuna delle due Regole si trova in una serie di manoscritti che risalgono al IX o al X secolo. La Regula Coenobialis fu in seguito ampliata con l’inclusione di altro materiale dai successori di Colombano a Luxeuil. La Regula Monachorum fu in seguito abbreviata per l’omissione di materiale ritenuto non più rilevante. Ne consegue pertanto che quest’ultima, e solo una parte della prima, è stata scritta dalla penna di Colombano. Il Penitenziale di san Colombano è uno dei documenti esistenti di maggior valore per lo studio della dottrina penitenziale nella Chiesa irlandese. Fu elaborato un sistema penitenziale privato sia per i laici che per i monaci, che, essendo il primo nella tradizione irlandese ad essere praticato sul continente, esercitò un influsso significativo sullo sviluppo della nuova teologia del Sacramento della Penitenza.
Tutti e tre i documenti sono scritti in un latino piuttosto arido, in forte contrasto con lo stile retorico e immaginativo degli altri scritti di Colombano.
La Regola dei monaci
La Regola di san Colombano per i suoi monaci è un esteso trattato sulle virtù fondamentali dell’obbedienza, della povertà, della castità, della mortificazione, del silenzio, ecc., da osservarsi nel monastero, piuttosto che una lista di regole dettagliate relative alla vita quotidiana. Laporte ha suggerito che i primi capitoli sono la sintesi di un’opera composta a Bangor da Comgall. La Regola è severa nelle sue richieste ma il tono è equilibrato e ovunque tollerante. Ad eccezione di un lungo capitolo che stabilisce le regole per la recita dell’Ufficio Divino e alcune prescrizioni relative al cibo e al bere, la Regola si occupa esclusivamente delle disposizioni relative allo spirito. In questo la Regola di Colombano differisce enormemente dalle dettagliate regole prescritte dalla Regola di san Benedetto.
La Regola comunitaria
Come la Regola dei monaci, la Regula Coenobialis fu redatta per una delle comunità monastiche di Colombano, probabilmente una comunità diversa da quella per cui fu scritta la regola precedente. Walker prende in considerazione i capitoli dal I al IX di questa Regola, per comprendere il nucleo che risale allo stesso Colombano. Egli considera gli ultimi capitoli della recensione più breve e le interpolazioni della versione più lunga riveduta, quali aggiunte dei successori di Colombano a Luxeuil. Queste evidenziano una certa attenuazione delle prescrizioni più severe rintracciabili nella Regola precedente.
Questa Regola offre un quadro più dettagliato della vita quotidiana degli antichi monaci irlandesi, di quanto non faccia qualsiasi altra fonte. Tuttavia, anche qui una mancanza di sistematicità è evidente e la Regula Coenobialis sembra essere sorta da una raccolta di decisioni pratiche, prese in occasione di deviazioni dalla disciplina, piuttosto che da un tentativo consapevole di redigere un regolamento sistematico, in grado di ordinare l’intera vita del monastero.
Ecco uno stralcio della Regula Coenobialis, capitoli III-V, che riguarda l’omissione delle preghiere, la mancanza di rispetto per le cose sacre e l’abuso della parola:
Il monaco che non si inchina a chiedere, in atteggiamento di preghiera, quando lascia la casa e che, dopo avere ricevuto la benedizione, non fa il segno della croce e non va alla croce, come è prescritto, riceve dodici colpi come correzione. Allo stesso modo, colui che dimentica la preghiera prima o dopo il lavoro riceve dodici colpi. Colui che mangia senza fare il segno della croce, dodici colpi. Colui che tornando a casa non si inginocchia per pregare riceve dodici colpi come correzione. Ma il fratello che confessa tutte queste cose ed altre, per le quali meriterebbe una punizione più severa, riceve una penitenza dimezzata, e così via. Perciò mitigate queste mancanze per il momento. Il monaco che tossendo sbaglia nel canto all’inizio di un salmo, è, come da prescrizione, punito con sei colpi. Allo stesso modo colui che tocca il calice della salvezza con i denti riceve sei colpi. Colui che non segue l’ordine del sacrificio, sei colpi. Colui che sorride durante l’Ufficio delle preghiere, sei colpi. Se scoppia a ridere forte, una punizione severa, a meno a che ciò capiti per una scusa condonabile. Colui che riceve il pane benedetto con le mani sporche, dodici colpi. Colui che dimentica di fare l’oblazione prima di andare a Messa, cento colpi. Il monaco che racconta episodi futili a un altro monaco, se tace immediatamente, è obbligato al silenzio o riceve cinquanta colpi. Colui che si difende con impeto quando viene interrogato su qualcosa e non chiede subito perdono, dicendo «è colpa mia, mi dispiace», riceve cinquanta colpi. Colui che in tutta onestà oppone consiglio ad altro consiglio riceve cinquanta colpi. Colui che colpisce l’altare, cinquanta colpi. Colui che urla forte o parla senza freno, a meno che non ve ne sia necessità, sia obbligato al silenzio o riceva cinquanta colpi. Colui che chiede scusa in modo da essere perdonato faccia un’adeguata penitenza. Colui che risponde a un fratello che gli indica qualcosa, dicendo «non è come tu dici», eccetto che per gli anziani che si rivolgono con franchezza ai più giovani, sia obbligato al silenzio o riceva cinquanta colpi. L’unica eccezione a ciò è concessa quando si risponde a un fratello di pari dignità, qualora egli si ricordi qualcosa che è più vicino alla verità di quanto non dica l’altro.
Il Penitenziale
I Penitenziali irlandesi contengono elenchi dei vari modi in cui la gente è portata a commettere il peccato, insieme alla penitenza considerata appropriata per ogni mancanza. Il più antico tra quelli irlandesi rimasti è il Penitenziale di Vinnian, il quale può essere identificato o con Finnian di Clonard (morto nel 549) o con Finnian di Moville (morto nel 579).
Il Penitenziale di Colombano dipende fortemente da quello di Vinnian. Al contrario di quanto sostengono alcuni altri studiosi, don Jean Laporte, ha dimostrato che si tratta di un documento singolo, distinto comunque in tre parti: una per i monaci, una per il clero secolare e una per i laici. A parte alcuni paragrafi aggiunti in seguito, non c’è ragione per mettere in dubbio l’autenticità dell’intero documento, il cui autore è Colombano. Esso risale probabilmente al primo periodo trascorso nel continente, ad Annegray o a Luxeuil. Le penitenze imposte dai Penitenziali irlandesi sembrano nel complesso severe, rispetto alla nostra concezione moderna e il Penitenziale di Colombano non costituisce eccezione. I passi seguenti, presi dalla sezione dedicata ai laici, indicano la lunghezza e la severità delle penitenze imposte per i peccati del furto, dello spergiuro, dell’offesa e dell’ubriachezza. Nonostante ciò, se confrontati con le penitenze più severe della scomunica pubblica e perpetua rispettata nei secoli precedenti, esse offrivano al penitente la speranza della riconciliazione e della riammissione ai sacramenti dopo il termine del periodo di penitenza:
Se un laico commette un furto, cioè ruba un bue o un cavallo o una pecora o un qualsiasi animale del suo vicino, se lo ha fatto una o due volte, deve innanzitutto risarcire il suo vicino della perdita, che egli ha causato e fare penitenza per centoventi giorni nutrendosi con pane e acqua. Ma se egli ha rubato spesso e non può restituire la refurtiva, faccia penitenza per un anno e centoventi giorni e prometta di non farlo mai più. Egli potrà fare la Comunione a Pasqua del secondo anno, cioè dopo due anni, a condizione che, con i frutti del proprio lavoro, faccia innanzitutto carità ai poveri e poi offra una festa al prete che gli ha assegnato la penitenza. Così è rimossa la colpa della sua cattiva abitudine.
Se un laico spergiura, se lo fa per bramosia, venda tutti i suoi beni e li dia ai poveri e si dedichi completamente al Signore. Abbandoni il mondo, sia tonsurato e serva Dio in un monastero fino alla morte. Ma se lo fa non per bramosia ma per paura della morte, faccia penitenza per tre anni nutrendosi di pane ed acqua e andando in esilio disarmato. Per altri due anni si astenga dal vino e dalla carne, poi offra la vita di uno schiavo o di un servo in cambio della sua, liberandolo dal giogo della sottomissione e faccia di frequente la carità per due anni. In questo periodo potrà legittimamente consumare tutti i cibi eccetto la carne. Potrà fare la Comunione solo dopo il settimo anno.
Se un laico sparge sangue in una disputa o ferisce o mutila il suo prossimo, è obbligato a riparare il danno che ha fatto. Se egli non ha il denaro con cui pagare, prosegua egli stesso il lavoro del suo prossimo, fino a quando quest’ultimo sarà malato e chiami il dottore.
Dopo la guarigione dell’uomo, faccia penitenza per quaranta giorni nutrendosi di pane e acqua.
Se un laico si ubriaca o mangia o beve fino al punto di rimettere, faccia penitenza per una settimana nutrendosi di pane ed acqua.
2. Le lettere
Sei sono le lettere di Colombano rimaste; altre, della cui esistenza siamo certi, sono andate perdute. Una settima lettera, a lui attribuita, che riguarda la controversia sulla Pasqua, non è forse sua e Walker l’ha relegata in appendice. La sesta lettera ha uno stile differente dalle altre e anche la sua tradizione manoscritta si discosta da quella usuale. Essa non ha un destinatario preciso ma è piuttosto un’esortazione, che costituisce poi il titolo attribuitogli in alcune delle fonti.
Le sei lettere possono essere ordinate nel modo seguente, secondo l’ordine in cui furono scritte:
1) A papa Gregorio Magno, scritta probabilmente nel 600.
2) Ai vescovi francesi riuniti a Chalon, 603.
3) A un papa recentemente eletto, o papa Sabiniano nel 604 o, meno probabilmente, papa Bonifacio II nel 607.
4) Ai suoi monaci a Luxeuil e nel vicinato, scritta a Nantes nel 610 mentre era in attesa dell’espulsione dalla Francia.
5) A papa Bonifacio IV, scritta a Milano nel 613.
6) A un giovane discepolo, con destinatario e data sconosciuti (può essere stata scritta nel 610 o a Domoal o a Chagnoald, entrambi suoi minister).
La controversia sulla Pasqua compare ampiamente nelle lettere 1, 2 e 3 ed è menzionata di passaggio nella lettera 4. Lo stile epistolare di Colombano è caratterizzato da un complesso ordine delle parole, dall’uso frequente dell’allitterazione, dei proverbi e dei giochi verbali e dal ricorso ad alcune parole rare di derivazione greca. Tutte le lettere sono lunghe, con una sola eccezione, e, talvolta, sono addirittura prolisse. Esse presentano un tono di predicazione che le rendono affini ai sermoni. Nel loro latino, comunque, sono composte con cura da un autore che poteva essere a tratti incisivo e a tratti persuasivo, senza rinunciare a quelle raffinatezze stilistiche che la buona retorica richiedeva.
Lettera a Papa Gregorio Magno, AD 600 [3]
Grazia e pace a Te da Dio nostro Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo.
Io desidero, Santo Padre (e non volerlo ritenere esagerato da parte mia) porti alcune domande in merito alla Pasqua, come recita quel verso della Scrittura: «Domanda a tuo padre ed egli ti mostrerà i tuoi fratelli maggiori ed essi ti parleranno». Quando un uomo indegno come me scrive a un uomo illustre come te, il mio poco valore rende valida anche per me la grande osservazione che, come si dice, un certo filosofo fece una volta vedendo una meretrice dipinta: «Io non ammiro l’arte, ma ammiro la sfrontatezza». Nondimeno mi prendo la libertà di scriverti, rassicurato dalla certezza della tua umiltà evangelica, presentandoti la causa della mia afflizione. Perché uno non ha ragione di vantarsi di scrivere, quando è la necessità a domandarlo, anche se lo scritto è indirizzato a un superiore.
Ho letto il tuo libro che contiene la regola pastorale, breve nello stile, esauriente nella dottrina, ricca di cose sacre. Riconosco che l’opera è più dolce del miele per colui che si trova nella necessità. Pertanto, nella mia sete, ti prego in nome di Cristo di offrirmi i tuoi trattati su Ezechiele, i quali, come ho appreso, sono stati composti con notevole abilità. Ho letto sei libri di Girolamo su di lui, ma non ne ha illustrato nemmeno la metà. Ma, se ti è cosa gradita, inviami qualcosa delle lezioni che hai tenuto in città. Mi riferisco alle ultime cose spiegate nel libro. Inviami, inoltre, il Cantico dei cantici, a partire da quel passo in cui si dice: «Andrò sulla montagna della mirra e sulla collina dell’incenso» fino alla fine. Parlane brevemente, te ne prego, anche usando i commenti di altri o il tuo. Al fine di risolvere ogni oscurità su Zaccaria, rivela i suoi segreti, cosicché la cecità dell’Occidente possa renderti grazie riguardo a ciò. Ognuno sa che le mie domande sono incalzanti, le mie richieste sono esigenti. Ma anche le tue risorse sono grandi, poiché tu sai bene che da una piccola provvista poco può essere preso e da una grossa molto può essere tratto.
3. I sermoni
Tredici sono i sermoni che Walker accetta come opere autentiche del santo irlandese; altri due, i cui manoscritti non sono molto affidabili, sono da lui considerati dubbi. Laporte sostiene di avere trovato i frammenti di altri sermoni composti da san Colombano, ma non l’opera completa. D’altra parte, va aggiunto che l’autenticità della grande maggioranza dei tredici sermoni fu messa in dubbio, in passato, da due eminenti studiosi tedeschi, Hauck e Seebass. Queste argomentazioni sono state contrastate da Walker, il quale ritrova in questi sermoni numerose assonanze con altre opere di Colombano e richiama l’attenzione sulla somiglianza tra il testo biblico citato sia nei sermoni che in altre opere del santo. Più recentemente, Smit, senza scendere nei dettagli della questione, ha messo in dubbio la paternità di tutti questi sermoni di Colombano.
Walker suppone che l’intera serie dei tredici sermoni costituisca una parte unica e che essi furono pronunciati da san Colombano nel 613 a Milano. Questo spiegherebbe la grande attenzione del sermone I riguardo alla dottrina della S. Trinità, che fu uno dei punti centrali in questione, nella controversia con gli Ariani. I sermoni sono scritti con uno stile retorico simile a quello delle lettere, ma con maggiore ritegno e con un effetto meno polemico.
4. Poesia
Cinque sono le poesie attribuite a Colombano, che sono riconosciute da Walker come autentiche; una sesta (un breve epigramma sulle donne), è considerata incerta. Esse variano in lunghezza, dal componimento breve di diciassette versi con acrostici a Hunaldus, all’affascinante componimento di almeno centosessanta versi brevi a Fidolius (con un epilogo in buona parte aggiunto). C’è in tutti questi componimenti un intento fortemente didattico ed essi sono ricchi dei tipici temi di Colombano, quali la brevità della vita e l’inutilità delle cose terrene. I tre componimenti a Hunaldus, Sethus e Fidolius hanno in gran parte la medesima tradizione manoscritta e un manoscritto dell’VIII secolo inoltrato, ora a Berlino, fornisce il nome di Colombano. L’attribuzione del «De Mundi Transitu» è incerta; il componimento stesso si ritrova in un manoscritto di Zurigo del IX o X secolo, con il nome di Colombano aggiunto successivamente al margine da una mano ignota. Il «Carmen Navale» si ritrova solo in un manoscritto di Leyden del X secolo, dove il nome dell’autore, in parte illeggibile, è indicato come «... banus».
In base a quanto è sopra detto, non sorprende che la paternità di alcuni o di tutti questi componimenti, da parte di Colombano, sia stata occasionalmente messa in dubbio; più di recente e con maggiore serietà essa è stata messa in discussione dallo studioso olandese, J. W. Smit. Le sue principali argomentazioni sono le seguenti:
L’autore delle lettere in prosa si firma sempre Columba; l’autore delle due poesie a Hunaldus e a Sethus si firma Columbanus.
La poesia contiene molte espressioni prese a prestito dai poeti classici, in netto contrasto con le lettere in prosa di Colombano, dove tutti gli echi degli scrittori classici possono essere visti, secondo l’opinione di Smit, come prestiti attinti dai Padri, in particolare da san Gerolamo.
I metri classici di alcune poesie renderebbero Colombano il primo autore irlandese ad averli usati, secoli prima dei suoi compatrioti. Riguardo ai componimenti singoli Smit fa le seguenti osservazioni: Hunaldus è un nome germanico che ricorre nell’VIII secolo e Sethus può forse derivare da un nome arabo del IX secolo; i versi del «De Mundi Transitu» sembrano risalire al VII secolo; gli acrostici sono rari nel VI secolo ma comuni nell’VIII e nel IX secolo; nel componimento a Fidolio sono utilizzati termini usati da Alcuino nel IX secolo; il «...banus» (autore del «Carmen Navale») potrebbe appartenere ad altri nomi, escluso Colombano.
Smit pertanto parrebbe propenso a rifiutare la paternità di Colombano riguardo a tutti questi componimenti. Le tre poesie a Hunaldus, Sethus e Fidolius furono scritte, secondo il suo punto di vista, da un irlandese di nome Colombanus, presente sul continente durante la seconda metà del IX secolo. Si può aggiungere che la teoria di Smit ha implicazioni serie, riguardo la supposta cultura della letteratura classica nelle antiche scuole irlandesi, in quanto la poesia di Colombano sembra esserne una prova inconfutabile e risalente al VI secolo.
In una lunga recensione del libro di Smit in «Latomus», vol. 31 (1972), pp. 896-901, il Professor Ludwig Bieler individua l’inconcludenza di alcune delle argomentazioni sopra citate. L’assenza di prestiti diretti dagli autori classici negli scritti in prosa di Colombano sarebbero attribuibili al loro stile e al loro intento: sono scritti relativi a problemi personali o ecclesiastici urgenti e non offrono la medesima opportunità di riflettere sulla «saggezza degli antichi», come nel caso dei componimenti moralizzanti. Riguardo al doppio nome egli accetta sia l’affermazione di Jonas, secondo cui Colombano era noto anche come Columba, sia l’uso indiscriminato da parte del biografo delle due forme, nel loro valore letterale, e pertanto non terrebbe in alcun conto le argomentazioni, contro l’autenticità delle poesie di Colombano, basate solo sul criterio del nome. Il giudizio complessivo del Dr. Bieler sulla teoria di Smit è che, al di là dei meriti del libro, la sua tesi non è dimostrata.
È probabile che il libro di Smit causerà ulteriori dispute, riguardo agli scritti di Colombano e specialmente riguardo alle opere poetiche che gli sono state attribuite. Fino a che non ci sarà un consenso tra gli studiosi più qualificati a giudicare, la questione dovrà rimanere aperta e questo significa accettare, per il momento almeno, la possibilità che Colombano possa avere composto alcuni dei versi che gli sono stati attribuiti.
La paternità del «Carmen Navale» è ovviamente più debole di quella degli altri due componimenti
.
A Hunaldus
Hunaldus, secondo l’opinione di Walker, fu probabilmente un allievo di Colombano. Forse studiò con Colombano nella scuola monastica di Bangor. Questo suggerirebbe che il componimento appartiene alla prima parte della vita di Colombano e che fu scritto prima che egli lasciasse l’Irlanda. A quel tempo, i suoi doveri di insegnante lo avrebbero immerso negli studi latini e c’è molta eco dei poeti latini in questi versi: una presa direttamente da Orazio, una da Prudentius e una da Juvencus. Altre due poesie del santo, «Ad Sethum» e «De Mundi Transitu», sono state attribuite al periodo irlandese. Infatti, Walker suggerisce, a tale proposito che, a causa del suo ritmo la seconda, l’ultima fra le due, fu scritta per essere cantata.
Il componimento «Ad Hunaldum» è scritto nella forma dell’acrostico: le lettere iniziali dei versi formano la frase «Columbanus Hunaldo». Questo era senza dubbio un espediente letterario che fu popolare presso i poeti gaelici fino al XVIII secolo. E una delle due occasioni in cui, nei suoi scritti, il santo usa la forma «Columbanus». Nelle sue lettere in prosa egli usa costantemente la forma «Columba» e spesso gioca sul significato del nome. Il componimento, come Colombano è solito fare nei suoi scritti, pone l’accento sulla natura transitoria della vita, sulla vanità della gloria terrena e sul principio dell’eternità. Al verso 16 il poeta sembra accorgersi che la loquacità è una delle sue colpe e al verso 17 mette l’accento sulla virtù della moderazione, particolare quest’ultimo che i suoi critici non gli attribuiscono mai.
Carme Navale
Questa è la poesia più famosa che è stata attribuita a Colombano ed ha meritatamente trovato collocazione in molte antologie. Il riferimento al Reno, al verso 2, suggerisce che fu composto dal santo durante il suo viaggio lungo il fiume nel 610 e, in effetti, è possibile che sia stato cantato dai suoi monaci, mentre remavano contro la corrente delle acque.
Il componimento consiste in ventiquattro esametri. Un ritornello è ripetuto ogni due versi e lo stesso ritornello muta in parte nel corso della poesia. «Mantenete salda la mente contro l’astuzia di satana, proteggete voi stessi riparandovi con la virtù, pensate, ragazzi, a Cristo e fategli eco».
A Fidolius
Questo componimento mostra il suo autore in un tono più delicato e l’effetto complessivo è molto affascinante. Il metro adonico svelto conferisce disinvoltura e grazia al componimento, che qualche critico ha considerato tanto estraneo al carattere del santo, da rifiutarne la paternità della poesia, solo per questo motivo. In ogni caso, il contenuto è abbastanza serio: «il male proviene dal benessere», come è dimostrato negli esempi presi in prestito dalla mitologia classica. La maggior parte di essi sono presi da Orazio, Ode III, ma le immagini sono state tratte anche da Virgilio e Ovidio. Fidolius non è stato ancora identificato. In base all’analogia con Sedulius (= Siadal), si può ipotizzare che egli sia stato un irlandese, che portava il ben attestato nome di Fiadal.
Dopo 159 versi in metro adonico, il componimento si conclude con sei versi in esametro. Uno di questi fa riferimento all’età dello scrittore e se, da una parte, la sua interpretazione ha dato luogo a grosse controversie, sembra implicare che il suo autore è un uomo anziano. Walker suggerisce che la poesia sia stata composta a Milano nel 613 e la elogia notevolmente come la più grande creazione letteraria di Colombano: «Nonostante i suoi toni seri, la poesia è estremamente piacevole; è un’opera notevole per un autore del VI secolo. Dal punto di vista letterario è la coronazione dell’opera di Colombano», e ancora: «Raramente sono stati composti in 504 anni versi latini di questa qualità e pare davvero che Orazio abbia nuovamente cantato, grazie alle parole di un irlandese esiliato nella valle del Po».
[1] È il Carme navale.
[2] Michele Tosi, fondatore della Rivista Archivum Bobiense, è prematuramente scomparso alla Edizione critica delle opere di san Colombano a cui stava lavorando.
[3] Coerentemente alla scelta di rimandare alla traduzione delle opere già pubblicate in questa collana, il passo è qui riportato, come testimonianza degli scambi culturali nella quotidianità di un tempo in cui i libri sono cosa preziosa e rara, passata di mano in mano per essere copiata, uno dei grandi compiti assunti nella tradizione monastica.
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10 maggio 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net