San Bruno
Dal sito: “Certosini.info”- 2019
Giovinezza e vita nel secolo
Bruno nasce a Colonia nel 1030. Ancora giovane andò a Reims, dove fin dal
1057 il vescovo Gervasio gli affidò la direzione della scuola di cui era
stato allievo, dove fu precettore del futuro papa Urbano II.
Nel 1076 lasciò i suoi incarichi nella scuola e nella cancelleria e fu
costretto a cercare rifugio presso il conte Ebal di Roucy, a causa del
dissidio col vescovo Manasse di Gournay, che lui aveva accusato di simonia
(pratica di vendere e comprare cose religiose come cariche ecclesiastiche,
assoluzione di peccati e indulgenze). Poté tornare in Francia solo nel 1080
quando Manasse fu deposto da apposito concilio.
Vocazione monastica
In quegli anni difficili nacque la sua vocazione alla vita monastica. In una
lettera Bruno racconta quell'inizio fervoroso. Egli e due suoi amici, accesi
d'amor divino, nel giardino di un certo Adamo avevano fatto voto di
consacrarsi a Dio.
Si voleva che Bruno fosse il successore di Manasse; ma egli, pur sapendo che
con la mitra non gli veniva offerto solo un onore, ma anche un potente mezzo
per cooperare al bene e alla riforma di quella chiesa e forse della nazione,
non accettò, anzi distribuì i suoi averi ai poveri, ed andò con due
compagni, Pietro e Lamberto, nell'abbazia di Molesmes da san Roberto, che
poi fu uno dei fondatori dell'Ordine cistercense. Si sistemò in un
romitaggio alle dipendenze del monastero, a Sèche-Fontaine, per breve tempo.
Il luogo e le circostanze non soddisfecero Bruno, che, seguendo la divina
ispirazione, volle continuare altrove la ricerca di un luogo adatto alla sua
vita solitaria. Si recò, quindi, con sei compagni dal vescovo di Grenoble,
Ugo, che li condusse alla solitudine desiderata, spinto egli stesso e
guidato da una visione avuta in sogno: sette stelle che indirizzavano sette
pellegrini al deserto di Certosa.
La Gran Certosa
Il primo monastero fu fondato nel Delfinato, regione del versante
occidentale delle Alpi, a sud-ovest della Savoia, vicino all'attuale città
di Grenoble, nell'estate dell'anno 1084, verso la Festa di Giovanni
Battista, in una zona montana e boschiva, a 1175 m. di altitudine, nel cuore
del massiccio che, al tempo di Bruno, si chiamava «Cartusia», donde il nome
italiano di «Certosa» e francese di «Chartreuse».
I lavori di costruzione cominciarono subito e proseguirono rapidamente. La
parte principale infatti doveva essere ultimata prima dell'inizio
dell'inverno. Le celle per gli eremiti vennero costruite attorno ad una
sorgente e dovevano somigliare alle capanne dei pastori e dei boscaioli:
costruzioni primitive e rustiche, ma abbastanza solide. Dovevano infatti
resistere da un anno all'altro al peso della neve. All’inizio ciascuna
abitazione (o cella) ospitava due monaci, probabilmente per risparmio di
tempo e di mezzi; solo in seguito ogni solitario ebbe la propria cella.
La chiesa fu l'unico edificio in pietra: condizione indispensabile per la
sua consacrazione, che avvenne il 2 settembre 1085 per il ministero del
vescovo Ugo e sotto il patrocinio della Madonna e del Battista. Oggi, nel
luogo dove si suppone che fossero ubicate un tempo le celle dei primi
certosini, sorge una cappella detta «Cappella di San Bruno» e un'altra
dedicata alla Madonna, chiamata «Madonna di Casalibus». La vita di quei
primi padri della Gran Certosa ci è nota per le testimonianze dello
scrittore Guigo, nella Vita di Sant’Ugo, e del viaggiatore Guiberto di
Nogent dalle quali, aggiungendo alcune notizie contenute nelle
«Consuetudini» di Guigo e alcune frasi significative delle lettere di San
Bruno, di Pietro il Venerabile e di San Bernardo, emerge un quadro
pittoresco di fervore, di austerità e di autentico spirito monastico. Il
vescovo Ugo procurò loro ogni sicurezza proteggendoli in ogni contesa con i
vicini e facilitando a Bruno e alla sua famiglia il pieno possesso del
deserto di Chartreuse. I nuovi solitari poterono quindi vivervi
completamente separati dal mondo in un ritiro legalmente inviolabile, che
formava solo la cornice esterna di un’esistenza dove l’essenziale era
altrove. San Bruno manifestava premura paterna verso i suoi fratelli e senso
dell'equilibrio e della misura che gli faceva dire ai suoi, forse troppo
fervorosi come è abituale ai principianti: «Se l'arco è continuamente teso,
si allenta e diviene meno atto al suo compito». Invece, al vescovo di
Grenoble, il suo amico Ugo, allorché si tratteneva troppo a lungo con i
monaci per amore della solitudine, ricordava i doveri del suo ministero:
«Recatevi presso le vostre pecorelle». Alla vista delle belle pareti di
roccia coperte di neve e risplendenti al sole, lasciava espandere dal suo
cuore profondo e contemplativo la sua preghiera abituale di ammirazione e di
adorazione del Creatore: «O Bontà di Dio!».
Ma sei anni dopo sopravvenne una grossa prova: una chiamata del Vicario di
Cristo, Urbano II, già suo alunno alla scuola di Reims, che lo voleva
accanto a sé nella Città eterna, al servizio della Santa Sede. Si preparò
subito a partire, manifestando una grandissima sensibilità d'obbedienza ai
pastori della Chiesa; seppur con sacrificio non indifferente, Bruno lasciò
così il suo deserto e i suoi fratelli.
Nei sei anni durante i quali visse alla Gran Certosa, Bruno aveva dato
inizio alla vita solitaria certosina dirigendo quella piccola comunità, la
prima culla dell'Ordine. È facilmente immaginabile il fervore iniziale,
l'ispirazione carismatica, come altresì l'apertura di tutti allo Spirito
Santo nell'ascolto della Parola di Dio e nell'unione dei cuori. Ricordando
più tardi questa prima sua esperienza di solitudine nelle montagne del
Delfinato insieme ai suoi fratelli, Bruno scrisse loro: «fratelli, sappiate
che il mio unico desiderio, dopo Dio, è quello di venire da voi e di
vedervi». Nel decennio che il Santo trascorrerà in Calabria, la vita sarà
somigliante a quella trascorsa alla Gran Certosa.
Occorre far risalire a quei due periodi le fonti della spiritualità
certosina. Le grazie concesse dallo Spirito Santo ai nostri primi Padri
hanno loro permesso di rendere l'Ordine quale è oggi. Infatti, essi hanno
scolpito lo spirito certosino che i figli attuali di San Bruno, generati
alla vita monastica da quella generazione di testimoni, ricevono dalle loro
preghiere e dai loro esempi. Fin da allora essi hanno guidato nel deserto
molti uomini, che plasmarono la forma della vocazione certosina e formarono
il corpo dell'Ordine e la sua spiritualità di preghiera contemplativa nel
silenzio e nella solitudine.
Venuta in Italia
Quando Bruno obbedì alla chiamata del Papa, previde che la sua giovane
comunità di Certosa avrebbe sofferto molto dell'allontanamento del suo Padre
e fondatore. E così fu. I suoi figli, reputando di non poter continuare
senza di lui la vita che con lui avevano abbracciata, si dispersero.
Bruno da Roma riuscì tuttavia a convincerli a riprendere la “via del
deserto” e sotto la direzione di Landuino, da lui indicato come superiore,
il gruppo si riunì di nuovo nell’eremo abbandonato. Ma l'anima di Bruno,
ormai abituata alla preghiera solitaria e al colloquio continuo con il
Signore, non si trovò a suo agio nell'ambiente della corte pontificia
dell'epoca; ancor meno nelle distrazioni provocate dai suoi compiti. Da qui
la grande nostalgia di Bruno per il suo deserto silenzioso.
Accadde poi che Urbano II dovette fuggire da Roma, poiché l'Imperatore
tedesco Enrico IV e l'antipapa Guiberto - noto sotto il nome di Clemente III
- avevano invaso i territori pontifici. Bruno si trasferì con la corte
papale e venne così nell'Italia meridionale. Su proposta del Papa Urbano i
canonici di Reggio Calabria l'elessero arcivescovo. Egli declinò la mitra
per amore della sua vocazione contemplativa e con il desiderio di ritrovare
al più presto la solitudine e il silenzio che il suo cuore bramava. Poi
ottenne il permesso di ritirarsi in solitudine negli stati normanni
recentemente conquistati dal conte Ruggero d'Altavilla. Bruno ritrovava
finalmente la sua cara solitudine con Dio e la purezza del suo colloquio con
Lui.
Il generoso conte Ruggero gli offrì un territorio nella località chiamata
Torre, a circa 850 metri di altitudine, nel cuore della Calabria
«Ulteriore», l’attuale Calabria centro-meridionale.
Ivi Bruno fondò l'eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di 2 km più a
valle - ove sorge l'attuale certosa - fondava per i fratelli conversi il
monastero di Santo Stefano.
In Calabria
Il Santo descrisse la natura del luogo ricevuto in dono in una lettera
indirizzata a Rodolfo il Verde, uno dei due compagni che fecero insieme a
lui, nel giardino di Adamo, il voto di consacrarsi alla vita monastica:
«In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali
molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno
del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo
abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della
sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che
si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e
i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi
descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno
innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la
piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti
irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».
Bruno ottenne il terreno mediante un atto steso a Mileto nel 1090. Arrivato
nell'alta valle del fiume Ancinale, nelle vicinanze di Spadola (unico
abitato allora ivi esistente), ne seguì il corso verso una sorgente che si
perdeva in un dedalo di piccole valli, di burroni e dirupi, dietro la radura
di Santa Maria. Proprio in questa radura, egli trovò «una buona fontana»,
che più tardi venne opportunamente sistemata, nonché abbellita con un
monumentino, di stile barocco, su cui trovasi inciso l'anno «1190» in
ricordo dell'antica sorgente. Vicino alla stessa fontana vi era una piccola
grotta e San Bruno si rallegrò d'aver trovato il luogo ideale per una
fondazione monastica. Egli cominciò, quindi, ad organizzare i gruppi ed a
fissare la loro rispettiva dimora: i padri, nella conca e radura del bosco
(Eremo di Santa Maria); i fratelli con i servizi domestici a circa due
chilometri di distanza, nel monastero di Santo Stefano, destinato anche a
ricevere coloro che non potevano seguire completamente le regole del
deserto.
Più tardi, quando il conte Ruggero gli assegnò il guardaboschi Mulè (con
figli), Bruno fece in modo che gli operai (parte dei quali sposati) si
stabilissero a qualche distanza dai monaci, perché questi fossero da loro
nettamente separati. Sorsero così le prime abitazioni che furono all'origine
del paese di Serra. Si era intorno all'anno 1094.
A quell'epoca era fiorente in Calabria il monachesimo italo-greco dei santi
monaci basiliani; e certamente questa terra era un paradiso per i monaci del
Medioevo. Senza legarsi ad essi, senza voler entrare nei loro gruppi, Bruno
seguiva certe loro austerità, secondo le tradizioni monastiche calabresi,
che si trovano bene illustrate nella documentazione dell'epoca. Così si
spiega appunto che pregava in una grotta, come tanti dei suoi predecessori
nella vita monastica solitaria. Le austerità di quel tempo imponevano
d'altronde di lavarsi nelle acque dei torrenti vicini anche se gelide, ciò
che i monaci facevano con particolare spirito di penitenza.
Nacque così certamente la tradizione plurisecolare di San Bruno penitente,
assorto in preghiera nell'acqua, che i serresi vollero immortalare
convogliando le acque in un cosiddetto «laghetto» e collocandovi dentro la
statua di San Bruno inginocchiato.
Bruno, riprendendo il genere di vita che aveva condotto in Francia,
trascorse così, nell'eremo di Santa Maria, nella vita contemplativa in
solitudine, gli ultimi dieci anni della sua esistenza.
Avvenne in questo periodo una memorabile visita, l'incontro di Bruno con
Landuino, il suo successore nel governo della comunità della Certosa
francese, che intraprese un lungo e faticoso viaggio per incontrarsi con il
fondatore dei certosini.
I due uomini di Dio, secondo la tradizione, si abbracciarono presso la Croce
Ferrata sulla strada da Soriano a Serra, con tanta carità ed effusione di
teneri sentimenti, come fa supporre la lettera di Bruno ai confratelli di
Certosa.
In questo secondo periodo di vita monastica, Bruno è ormai diventato un
monaco maturo per la vita eterna. Egli si trova ormai padre spirituale di
due comunità che hanno recepito il suo spirito e hanno fatto tesoro della
sua maturità spirituale, della sua unione con Dio, della sua esperienza
degli uomini, della sua saggezza e della sua bontà paterna.
Morte di San Bruno
Nel giugno 1101 morì il conte Ruggero, assistito dal nostro Patriarca.
Poco tempo dopo, la domenica 6 ottobre dello stesso anno, muore pure Bruno,
circondato dai confratelli accorsi dalle case dipendenti da Santa Maria del
Bosco.
Dopo aver ricordato le sue diverse età a partire dalla infanzia e narrato il
corso di tutta la sua vita, degno di sapienza e di dottrina, e dopo aver
professato la propria fede nella Trinità, il Santo morì e fu seppellito
nella spelonca ove aveva passato parte delle sue giornate. Il suo
successore, il Beato Landuino, fu sepolto accanto a lui, nella medesima
fossa. Il terzo Maestro dell'Eremo di S. Maria fece trasferire le due salme
nella chiesa dell'Eremo. Dopo la sua morte gli eremiti di Santa Maria della
Torre, conforme un uso molto diffuso nell’epoca per i personaggi illustri,
con una lettera circolare indirizzata alla Sede Apostolica e all’intera
chiesa, annunciarono la morte di Bruno e chiesero suffragi. Il monaco
incaricato di portare questa lettera alle comunità dei diversi paesi che
potessero aver conosciuto direttamente o indirettamente il defunto, portava
con sé pure un rotolo, costituito da una serie di pergamene tra loro cucite,
della larghezza di 25 centimetri, racchiuse in un cilindro di legno o di
metallo che veniva portato appeso al collo. In quella pergamena un monaco di
Serra ha raccolto centosettantotto memorie funebri, i Titoli, che ci hanno
tramandato dati preziosi sulla fisionomia spirituale di Bruno.
Il Papa Leone X autorizzò, il 19 luglio 1514, il culto di San Bruno, con una
sentenza orale (vivae vocis oraculo), e il 17 febbraio 1623 Gregorio XV ne
estese il culto alla Chiesa universale, da celebrarsi nell'anno liturgico il
giorno 6 d’ottobre.
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5 aprile 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net