Nelle mani di San Benedetto
Più di
duemila anni fa, tutta la pianura lombarda, paludosa e boschiva, era abitata da
tribù celtiche (i Galli Insubri), conquistate da Caio Mario un secolo prima di
Cristo. Durante l’Impero romano, soprattutto quando Milano diventa (con
Diocleziano e Costantino) capitale d’Occidente, le terre intorno vengono
affidate come premio ai soldati che lasciano l’esercito e si trasformano in
coloni. La terra veniva divisa in appezzamenti regolari: tracce vaghe di
“centuriazione” (la spartizione del territorio classica per la civiltà latina)
sono visibili nelle fotografie prese dall’aereo e usate dal Comune per i rilievi
urbanistici.
L’insediamento romano sarebbe anche avvalorato dalle memorie di Felice
Castiglioni, il parroco che, a fine Settecento, ricostruisce la chiesa: afferma
infatti di aver trovato negli scavi stoviglie, cocci e monete di epoca imperiale
e una lapide con l’iscrizione COR. MAN., che interpreta come “Cortis. Manlii”,
ovvero sede di una guarnigione romana agli ordini di un ufficiale di nome
Manlio. Il nome del luogo, “Cortemano”, compare comunque nel primo documento
esistente: il testamento di Rotoperto, feudatario longobardo, dell’aprile 745. È
appena morto re Liutprando, al trono è salito il giovane Rachis che passerà poi
la corona a Desiderio.
L’anziano consigliere di Liutprando divide il suo patrimonio: tra l’altro lascia
all’abbazia benedettina di Santo Stefano
in Vimercate terre dell'Alto Milanese e dispone che le “decime”, ovvero i
redditi che ne derivano, vengano destinate a soccorrere poveri e pellegrini. “In
loco Cortemano” Rotoperto aveva una casa gentilizia con tre case tributarie
(cascine coloniche): vengono affidate in eredità ai figli e in usufrutto alla
moglie Retruda. È forse in mezzo a queste case, sicuramente dotate di una
cappella per i riti religiosi, che si dovrebbero situare, secondo una antica
tradizione popolare, tramandata per via orale fino a questo secolo, le due
campanelle d’oro donate alla Chiesa dalla regina Teodolinda all’epoca della
conversione al cristianesimo dell’intero popolo longobardo.
Se in questo primo reperto si attribuisce comunque una presenza
benedettina, questa si evidenzia nel documento appena successivo, che è dell’835, quando regna Ludovico figlio di Carlo Magno
imperatore, il re dei Franchi che ha sconfitto i Longobardi e ha costruito il
primo Sacro Romano Impero. Terre di “Corcomanno” (ma anche di “Paterno”) “in
comitatu mediolanensis” (nel territorio di Milano) vengono date in proprietà,
con il pagamento di dodici denari d’argento ogni anno, dall’abate Teodorico
dell’abbazia di Nonantola (vicino a
Modena) al mercante milanese Simpliciano, con diritto di eredità per i suoi
figli maschi. Ancora un contratto che riguarda un convento benedettino; e i
monaci, che passano secoli a regolare il flusso delle acque, a disboscare i
terreni e a impiantare le nuove coltivazioni, sembrano aver distribuito i loro
possedimenti in relazione alla distribuzione geografica dei loro insediamenti.
E
allora le terre, ma anche le “celle” (piccole chiesette dove i monaci si
ritrovano a pregare nelle pause del lavoro sul territorio) passano, per la zona
a nord di Milano, al convento di San
Simpliciano, dedicato al segretario di Ambrogio che aveva convertito
Agostino, e che aveva riassorbito nell’VIII secolo
altre presenze religiose (come san “Protaso ad monachos”, sempre in Milano).
L’abbazia di San Simpliciano (che ritorna in vari modi su Cormano
fino all’anno 1800) è accertata in una lettera di papa Giovanni VIII
(anno 880): e all’abbazia di San Simpliciano arrivano ulteriori donazioni di
terre a nord della città. Ne ricapitola l’elenco l’arcivescovo Oberto nel
gennaio 1147 e ne conferma il possesso all’abate Oprando il papa Alessandro III
con una bolla del 12 marzo 1178. In entrambi i documenti si cita la “ecclesia
Sancti Salvatoris” di Cormano.
Così celebravo il 21 marzo alle scuole elementari di Cormano.
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21 marzo 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net