Gli scritti monastici antecedenti la Regola di san Benedetto
Estratto da “La Regola di san Benedetto”, a cura di Georg Holzerr, *
Abbazia "Mater Ecclesiae", Isola san Giulio (Novara) - Ed. Piemme 1992
3.
Il monachesimo della Gallia meridionale e del Giura, terreno d’origine della
Regola di Benedetto
Circa cinquant’anni fa veniva formulata per la prima volta la tesi della
priorità cronologica della cosiddetta
«Regola del Maestro»,
di un Autore anonimo, sulla Regola di Benedetto. Questa affermazione ha
suscitato un gran fervore di studi sulle Regole, attraverso i quali si è
raggiunta una certa chiarezza. Semplificando un po’ le cose, possiamo riassumere
la tesi oggi comunemente accettata nel seguente modo: un quarto della Regola di
Benedetto è presa totalmente da quella del Maestro, due quarti ne sono
fortemente influenzati, un ultimo quarto non sembra avere nessuna relazione con
essa
[1]. A ciò bisogna indire aggiungere che tra gli studiosi sta
guadagnando sempre maggior consenso l’ipotesi di F. Masai († 1979) e di E.
Manning, secondo cui il terreno d’origine della cosiddetta Regola del Maestro
sarebbe la Gallia meridionale e il luogo della sua nascita i monasteri del
Giura.
Il centro più importante del monachesimo della Gallia meridionale fu senz’altro
il monastero di
Lérins,
di fronte a Cannes, fondato all’inizio del V secolo, probabilmente nel 410.
Nella Regola del Maestro si avverte l’influsso di alcuni «Padri di Lérins», e
più precisamente di quelli qui sotto riportati:
—
Onorato,
il fondatore, e più tardi vescovo di Arles (†428/9);
—
Ilario,
discepolo di Onorato, autore della «Vita di Onorato», Vescovo di Arles († 449);
—
Eucherio,
vescovo di Lione († 450/455);
—
Fausto,
vescovo di Riez († 490/500);
—
Cesario,
vescovo di Arles († 542), autore di una Regola per monache e di una per monaci e
di «Prediche per monaci»; alla sua cerchia appartiene:
—
Ferreolo,
vescovo di Uzès († 581), autore della «Regula Ferioli», contemporanea a quella
di Benedetto.
Conosciamo poi altri
scritti
monastici, provenienti da ambienti molto vicini a Lérins, i quali, utilizzati
dapprima per la composizione della Regola del Maestro, passarono poi, talvolta
quasi letteralmente, anche in quella di Benedetto:
—
la
II Regola dei Padri
(426/7 circa).
Composta dal diacono Vigilio per Lérins (A. de Vogüé);
—
la
Regola dei quattro Padri
(460/70 circa).
I nomi di questi Padri, Serapione, Macario, Pafnuzio e ancora Macario, fanno
supporre che siano di origine egiziana; eppure la Regola è il frutto di un
sinodo di abati svoltosi nella Gallia meridionale e ci è pervenuta nel più
antico manoscritto della redazione finale della RM, cui è preposta;
—
gli
Atti della milizia del cuore
(Actus militiae cordis) Cf RM 10,123. Alcune parti del Prologo e di RB 4-7
risalgono a questi «Atti della milizia del cuore»;
—
una
Regola del monastero; Originariamente questa «Regola del monastero» comprendeva
sette parti, come indica un titolo , che precede RM 11: 1) organizzazione del
monastero; 2) specie e modo; 3) osservanza (dei tempi della preghiera); 4) gradi
gerarchici: abate, decani, cellerario (il testo riguardante l’abate fu poi
trasferito negli «Actus militiae cordis», data la sua funzione di guida
spirituale); 5) proprietà; 6) sorveglianza; 7) misura. Questa ripartizione
influenza lo schema della RB.
—
uno scritto
Sull’umiltà. Attribuito ad un certo abate Pinufio (Manning), in uso nella Gallia
meridionale già prima di Cassiano e del Maestro.
Un pio cristiano di nome Romano († 463 circa), volendo fondare un monastero in
una sua tenuta nel Giura, divenne prima monaco del monastero di Lione
(Monasterium Interamne (Insula Barbara). Questo monastero più tardi fu assegnato
come proprietà a Benedetto di Aniane.), sul Rodano, per poter apprendere la
Regola e il tenore di vita di quei monaci. Giunto il momento, ritornò nel Giura
portando con sé, come guida, alcuni scritti (Un libro con la Vita dei Santi
Padri e le Istituzioni dei Santi Abati. Cf VPJur 11.) ed iniziò la
fondazione del primo monastero, cui ne seguirono ben presto anche altri (I
monasteri si trovavano nella Franca Contea (il più importante a Condat) e nel
Giura svizzero (Romainmôtier?). Più tardi, gli scritti che il fondatore aveva
portato con sé furono rielaborati e completati: nasceva così, lentamente, la
cosiddetta Regola del Maestro. Ricordiamo alcuni dei più grandi Padri giuresi,
la cui memoria è giunta fino a noi:
—
Romano (
† 463 circa), fondatore;
—
Lupicino
( † 480 circa). La prima stesura della Regola del Maestro, nota anche in Italia
meridionale, risale a questo periodo
[2];
—
Eligendo
(† 510): si deve a lui un’accurata rielaborazione e completamento delle fonti
originali (VPJur 59);
—
un
Anonimo,
che scrive per il monastero di San Maurizio in Wallis, rinnovato nel 515 circa,
«La Vita dei Padri del Giura», oltre ad una Regola
[3], che presumibilmente non è altro se non la stesura
definitiva della Regola del Maestro. A questo Autore va il merito di aver
nuovamente riordinato il materiale che nel frattempo si era fatto
straordinariamente ricco
[4].
Lo stesso
Benedetto,
che probabilmente non ha neppure conosciuto la versione definitiva della Regola
del Maestro, bensì solo una delle prime fasi di redazione, forse quella del
tempo dell’abate Lupicino, sembra riferirsi ad essa anche se in modo non
esplicito (Benedetto dà inizio al Prologo in modo sorprendente con: «Ascolta,
figlio mio, gli insegnamenti del Maestro (Magister!)». Nel capitolo finale usa
poi due volte il termine «describere», che può significare scrivere, ma anche
«trascrivere»).
Il testo anonimo ha ricevuto il nome di
Regola del Maestro,
perché tutti i capitoli sono strutturati sulla base dello schema: «Il discepolo
domanda-il Maestro (Magister) risponde». Troviamo lo stesso genere letterario in
Basilio ( † 379), il quale risponde alle domande degli interlocutori con frasi
della Scrittura, cui aggiunge alcune semplici spiegazioni. Già da questo si può
vedere che Benedetto, pur rifacendosi al Maestro, non lo copia pedissequamente:
innanzitutto, non pretende di essere «teologo», benché non gli manchi una
profonda visione teologica della realtà; inoltre evita la tendenza del Maestro
all’esposizione prolissa e lo stile un po’ pedante; non si conforma al suo gusto
per i dettagli ritualistici, né condivide la sua propensione al livellamento
generale (Se Benedetto ha conosciuto la redazione primitiva della RM, si è già
trovato di fronte alla prolissità riscontrabile nella redazione finale del
testo? Tale questione rimane ancora aperta.). Benedetto non ha solo abbreviato
il manoscritto originale, ma lo ha reso più uniforme e ricco, sia attingendo al
patrimonio spirituale di altri santi Padri», sia filtrandolo attraverso la sua
discrezione e fine sensibilità umana ed ecclesiale. Il fatto che Benedetto nella
stesura della sua Regola abbia preso alcuni brani dal Maestro, o che, anche dopo
la sua morte, siano state fatte alcune
aggiunte (Secondo
E. Manning le sezioni aggiunte alla RB (in Laterano) dopo la morte dell’Autore
sarebbero: Prol 40-50; 8-18 (in parte); 64, 1- 6; 65 (?). In più punti si può
notare la presenza di diversi strati redazionali),
non autorizza né a tralasciare il commento di tali parti del testo, né a non
parlare più di «Benedetto».
4.
Le radici delia Regola di Benedetto in Africa, Egitto e Asia minore
Nel capitolo conclusivo della Regola, Benedetto nomina due volte i
«santi Padri»
(Cf RB 73, 2.4), che conosceva molto bene, poiché leggeva le loro opere
attentamente e assiduamente (Cf RB 48,15-16), come faceva con la Sacra Scrittura
(Cf RB 73, 3). Il loro pensiero e le loro affermazioni gli erano perciò del
tutto familiari e ritornano frequentemente nel suo scritto, anche se non sempre
sono riportate alla lettera. Un brano della «Vita dei Padri del Giura» (VPJur
174) ci dà un’idea dei testi (tradotti in latino), di cui poteva disporre un
monaco del VI secolo: «Noi non intendiamo affatto screditare, con inopportuna
arroganza, le “Istituzioni” curate da Basilio il Grande, vescovo della capitale
della Cappadocia, dai santi Padri di Lérins, come pure da san Pacomio, antico
abate della Siria (!) e, in tempi più redenti, dal venerabile Cassiano. Anzi,
ogni giorno leggiamo le loro Regole; tuttavia è nostra intenzione attenerci alla
seguente Regola, che è stata adottata in considerazione del clima del nostro
paese e delle nostre necessità di lavoro. Noi preferiamo questa (seguente)
Regola a quelle degli Orientali, poiché essa si addice meglio al nostro
temperamento e alla nostra debolezza, e può quindi essere osservata con maggior
profitto e senza eccessivo sforzo anche dai monaci della Gallia». Da questo
testo si può cogliere la grande stima di cui erano circondati i Padri di Lérins,
di cui già si è parlato, e anche l’ammirazione nutrita per gli scritti monastici
orientali. Nella prassi, però, si dà la preferenza ad una Regola occidentale,
che è verosimilmente quella del Maestro, anche se il manoscritto, rovinato e
lacunoso, non permette di confermare questa ipotesi.
Oltre agli Autori ricordati nel brano della «Vita dei Padri del Giura» appena
citato, se ne possono menzionare anche altri, benché minore sia il loro influsso
sulla Regola di Benedetto.
Alcune affermazioni dottrinali sull’obbedienza, contenute nei brani della Regola
strettamente dipendenti dal Maestro
[5], fanno pensare agli scritti di
Ireneo di Lione
( † 202), discepolo di Policarpo ( † 156) di Smirne, in Asia Minore.
Un’altra opera, che pare aver influenzato direttamente o indirettamente la
nostra Regola, è la «Didascalia
degli Apostoli»,
scritta da un vescovo giudeo-cristiano della Siria del Nord all’inizio del III
secolo (Tale scritto fu presto tradotto in latino.) (RB 1980).
Cipriano,
vescovo di Cartagine e martire († 258): nello scritto «Gli Atti della milizia
del cuore», come pure nella Regola di Benedetto (Cf RB 4, 20-33.55-58; 72, 11
ss.), si sente l’eco del suo Commento al Padre Nostro. In generale la sua opera,
molto letta, può essere considerata come uno dei principali sentieri attraverso
cui è giunta a Benedetto la spiritualità dell’epoca dei martiri, di cui il
nostro Autore ha nostalgia non meno (Cf RB Prol 28.47.50; 4, 20-33.62-73;
5,10-13; 7, 35-43; 9, 8; 14, 1-2; 58,1-4.13-16; 72, 7.) che per la Chiesa
primitiva (Prol 50; 1, 2; 21, 1-4; 33, 6.):
- Basilio Magno
(330-379), vescovo di Cesarea in Cappadocia (Cesarea (oggi Kaysari), allora
città greca, si trova in Turchia ad est di Ankara). È l’unico Autore che
Benedetto nomina espressamente. Tenendo presente che nell’Epilogo rimanda alla
«Regola del nostro santo padre Basilio»
[6] e che apre il Prologo proprio con delle parole riprese da
una Esortazione a lui attribuita (Prol 1,4), viene da chiedersi se non abbia
fatto ciò nell’intento di mettere sotto il suo patrocinio la sua Regola
[7]. Del resto, l’influsso di Basilio si sente in tutto lo
scritto di Benedetto, innanzitutto nella grande stima per la vita comunitaria e
nella sua stessa sobrietà. A sua volta Basilio è stato fortemente influenzato
dal movimento ascetico sorto intorno ad Eustazio di Sebaste ( † dopo il 377),
promotore di una riforma della Chiesa e dell’intera vita cristiana, non soltanto
di quella monastica. Tuttavia il Sinodo di Gangra (340) ne condanna ugualmente
l’estremismo unilateralmente monastico; ciò provoca la separazione di Basilio da
Eustazio (con il quale aveva visitato gli asceti della Siria, della Palestina e
del basso Egitto), perché il Cappadoce evita assolutamente ogni eccesso e
concepisce la vita monastica come una vita cristiana intensamente vissuta.
- Pacomio ( †
347), egiziano d’origine. Da giovane soldato, trovandosi in gravi difficoltà, ha
modo di esperimentare la carità fraterna di una comunità cristiana. Grazie a
questo incontro giunge alla fede. Fonda quindi in Tebaide, nell’alto Egitto,
lungo il corso del Nilo, il monastero di Tabennesi, cui segue la fondazione di
altri otto monasteri maschili e due femminili. Divenuto così abate generale di
una moltitudine immensa di monaci, scrive le sue Regole, che contengono brevi
indicazioni di carattere ascetico e organizzativo
[8]. La sua opera era ampiamente letta e conosciuta nei
monasteri del Giura (Cf VPJur 174).
Orsiesi
( † 380 circa), secondo successore di Pacomio e autore del «Liber» (Tradotto da
Girolamo insieme agli scritti pacomiani), scritto di profonda spiritualità,
tutto ispirato alla Sacra Scrittura e imperniato sul valore della «koinonia»
(comunione).
- Agostino,
vescovo di Ippona (354-430). Compie il passo definitivo verso la conversione e
il cammino di fede dopo aver udito il racconto della vita del monaco egiziano
Antonio ( † 356); si fa quindi egli stesso monaco e fonda un monastero; più
tardi, già vescovo di Ippona (Africa del nord), raccoglie attorno a sé una
comunità di chierici e conduce con loro vita monastica. Si occupa spesso del
monachesimo della sua terra, così fiorente da sopravvivere anche all’invasione
dei Vandali (È importante la sua opera De opere monachorum (400 circa),
sul lavoro manuale dei monaci). L’idea centrale della Regola di Agostino
(«Praeceptum» dal titolo: «Haec sunt, quae ut observetis praecipimus... »), cioè
la Chiesa primitiva di Gerusalemme quale modello e prototipo del monastero,
viene accolta da Benedetto ed emerge soprattutto in
quei capitoli della Regola, in cui il nostro Autore si discosta dal Maestro (Cf
RB 33, 6 (espropriazione dei beni); 34 (necessità individuali); 63, 13 e 72, 10
(amore e timore); 64, 11 (odio per il male e amore al fratello); 64,15 («essere
più amato che temuto»)). Il monachesimo della Gallia meridionale, terra
d’origine della Regola del Maestro, si riconcilia infatti con la dottrina
agostiniana della grazia solo sotto Cesario ( † 542), esponente di un
agostinianesimo moderato. In un primo momento essa era sembrata ai monaci
contraria alla necessità dell’impegno ascetico personale, e per questo l’avevano
rifiutata in favore di quella di Origene.
- Origene
(185-253/4 circa), figlio di un martire e martire egli stesso. Dedica la vita
all’insegnamento delle verità di fede e prepara i catechisti di Alessandria, sua
città natale. Infonde in essi amore e venerazione per la Sacra Scrittura
[9]
e li stimola al combattimento ascetico contro il potere del male
[10],
pur senza negare la necessità della grazia, Questo suo pensiero viene accolto
nella Regola del Maestro, dove si cita espressamente «una sapiente sentenza di
Origene» (RM 11, 62; RB 4, 51-54) e attraverso il Maestro penetra nella Regola
di Benedetto (Prol 4.22-27.29-32.41.47.48- 49; 1,3-5; 4, 62-73). Certamente
l’influsso di Origene sul monachesimo fu molto grande[11].
- Evagrio Pontico
(† 399); grande conoscitore degli scritti di Origene, elabora in particolare la
dottrina dell’«ascesa»: «La fede accresce il timor di Dio, che riceve forza dal
dominio di sé (enkrateia), reso a sua volta saldo dalla costanza (hypomone) e
dalla speranza (elpis). Da tutto ciò nasce la libertà dalle passioni (apatheia),
che ha per figlia la carità (agape). L’agape, poi, apre alla conoscenza naturale
(gnosis physike), cui seguono la conoscenza di Dio (theologia) e, quale fine
ultimo, la beatitudine (makariotes)» (Log prakt. Prol.). La dottrina di Evagrio
sull’«ascesa» influenza fortemente le opere di Cassano e, di conseguenza, se ne
sente l’eco anche nelle Regole del Maestro e di Benedetto (cf RB 72,11).
- Giovanni Cassiamo
(360-430/5): il suo pensiero risente molto dell’influsso di Origene, conosciuto
attraverso Evagrio. Dopo aver compiuto gli studi, abbraccia la vita monastica e
da giovane monaco intraprende per circa quattordici anni numerosi viaggi, per
visitare i monaci d’Egitto — soprattutto le colonie semi-eremitiche situate nel
delta del Nilo —, quelli della Siria, della Palestina e della Mesopotamia.
Proprio in questi viaggi ha modo di conoscere e assimilare non solo la dottrina
di Origene († 253), ancora largamente accolta nei monasteri, ma anche la
teologia mistica di Gregorio di Nissa († 349), fratello di Basilio († 379).
Verso il 415 Cassiano fonda a Marsiglia un monastero maschile e uno femminile. A
quest’epoca risale anche la composizione delle sue due ampie e notevoli opere
[12],
«Le Conferenze» e le «Istituzioni», due volte ricordate nella Regola di
Benedetto (Cf RB 42, 5; 73, 5; Benedetto non nomina esplicitamente Cassiano,
forse a causa della sua dottrina sulla grazia, molto contestata e in dissonanza
con quella di Agostino). Attraverso di esse l’Autore intende far conoscere e
diffondere la spiritualità egiziana, benché ritenga necessario un adattamento
alle condizioni climatiche e ambientali dell’Occidente (cf Conl 1,23). Benedetto
deve
molto a Cassiano, in particolare la sua concezione dell’abate come maestro (Cf
RB Prol 8-11.45-50.50; 1, 2; 2, 1- 10.11-15 e la sua dottrina sulla «discredo»
(Cf RB Prol 28; 3,4-6.7-11; 4, 41-50; 7, 44-48; 58, 1-4; 64, 17-19; 68, 1-3.4-5;
71, 1-4). Tuttavia, quando si incontra un riferimento alle «Istituzioni», non
bisogna pensare esclusivamente a quelle di Cassiano (si veda nota 3), del quale
Benedetto cerca di evitare soprattutto l’unilateralità dottrinale e la tendenza
assolutistica a far coincidere vita cristiana e vita monastica. In ciò egli è
aiutato dal fatto che non intende scrivere un trattato, ma solo una «piccola»
Regola per monaci.
Infine Benedetto (cf RB 42,3;73,5) raccomanda le «
Vite dei Padri»,
che trovano in lui una grande risonanza. Diamo l’elenco delle singole opere:
—
la «
Vita di Antonio»
(† 356) scritta da Atanasio di Alessandria († 373);
—
la «
Vita di Pacomio»
(† 346) tradotta da Dionigi il Piccolo († 550 circa) monaco scita (goto),
stabilitosi a Roma;
—
la
«Storia dei monaci d’Egitto» La traduzione è opera di Rufino di Aquileia (†
410), conoscitore diretto del monachesimo orientale;
—
la «
Vita di Onorato»
di Lérins (+ 428) il cui autore è Ilario di Arles († 449);
—
la «
Vita dei Padri del Giura»
(scritta nel 515 circa);
—
i
«Detti dei Padri»
[13].
Se a Roma, al tempo di Benedetto, erano tradotti gli scritti orientali
[14], ciò significa che esisteva anche una cerchia di persone
interessate a tali opere, che Benedetto deve aver conosciute.
5.
Punto di incontro della spiritualità orientale e occidentale e porta aperta
sull’avvenire
In Benedetto confluisce e si sintetizza tutta una tradizione proveniente
dall’Egitto, dalla Siria, dall’Asia Minore greca, dall’Africa del Nord, dalla
Gallia meridionale e dal Giura. Queste radici, che affondano profondamente nel
passato
e si diramano in tutte le province, spiegano la forza interiore della Regola di
Benedetto. Non si può dire che il nostro Autore sia un concorrente del
monachesimo orientale, ma non si può non riconoscere che abbia compiuto un’opera
di rilettura e di intelligente adattamento alla situazione ambientale di alcune
pratiche ascetiche antiche; inoltre bisogna ricordare che ha sottolineato il
valore e l’importanza del lavoro.
Il radicamento di Benedetto nella migliore tradizione spirituale della
cristianità ancora indivisa spiega in gran parte l’efficacia, difficilmente
sopravvalutatale, che la sua Regola ha avuto nel mondo occidentale, al punto da
diventare il
documento di base
del monachesimo e della vita religiosa. Col suo insegnamento è stata maestra dei
giovani popoli germanici, ai quali ha comunicato i principi della «serietà dei
costumi» (Cf RB 73,1), dell’«ora et labora», del «sopportarsi vicendevolmente» e
l’anelito al «bene sommo della pace»; In altre parole, ha trasmesso il
concetto cristiano di «comunione» e anche di «autorità», ha insegnato a
prendersi cura dei malati, dei poveri e degli stranieri.
Anche se non sempre e non ovunque lo spirito di Benedetto è stato accolto dai
nuovi popoli,
non può non sorprendere il fatto che la sua Regola abbia avuto la forza in
Occidente di imporsi su tutte le altre e sia entrata profondamente nelle
coscienze. Nei prossimi paragrafi cercheremo di analizzare le cause di questo
straordinario sviluppo.
6.
Una biografia come messaggio spirituale
Intorno al 593 papa
Gregorio Magno
(† 604) scrive i suoi quattro libri dei «Dialoghi», che per il loro genere
letterario ricordano gli Autori greci. L’intento dell’opera è di mostrare che
non soltanto in terra straniera, per esempio in Egitto o in Gallia, ma anche sul
suolo italico si può diventare «uomini spirituali». A questo scopo si narrano
vita e miracoli di numerosi vescovi e monaci, veri «uomini di Dio». Il secondo
libro dei Dialoghi è dedicato esclusivamente all’eminente figura di Benedetto.
Gregorio vuole narrare, a lode e gloria del Salvatore, alcuni miracoli di questo
uomo tanto venerabile, «Benedictus» (Dial 1,36). Naturalmente, dato il fine di
questa biografia, non ci si deve aspettare da essa stile e metodo propri della
storiografia moderna. Papa Gregorio, pieno di entusiasmo per la narrazione,
compone un mazzo di «Fioretti», attraverso cui descrivere la vita del Santo. Il
racconto dei miracoli, che vengono ascoltati volentieri, non è fine a se stesso,
ma gli serve per annunciare una dottrina, chiarire questioni morali e ascetiche,
e trasmettere la sua straordinaria esperienza psicologica, spirituale e mistica.
Nel nostro commento abbiamo spesso riportato le profonde riflessioni di
Gregorio, maturate probabilmente durante la sua permanenza a Costantinopoli.
Il racconto dei miracoli mira soprattutto ad attribuire a Benedetto «lo spirito
e la potenza» degli apostoli e dei profeti, così che Gregorio, nella sua
conversazione col discepolo Pietro, può affermare: «Quest’uomo era ripieno dello
spirito di tutti i giusti» (Dial 2,8).
Benedetto ha un’anima ecclesiale e la sua esistenza è tutta plasmata sulla
Scrittura: ciò gli ha reso possibile, dopo i primi limitati tentativi, di vivere
ed insegnare un’autentica
forma di vita monastica.
È questo il motivo per cui Gregorio Magno nei suoi «Dialoghi sui miracoli dei
Padri italici» riserva un posto così eminente all’abate di Montecassino, che
nell’insieme dell’opera risulta essere proprio, per così dire, la
figura centrale
di un mosaico, circondata da tanti altri personaggi minori, presentati nel primo
e nel terzo libro dell’opera. Il quarto libro, poi, ha come tema la
«sopravvivenza dell’anima dopo la morte» (Dial 3,38) e con la sua descrizione
del Paradiso forma, per così dire, il firmamento che domina l’intero mosaico.
Quasi alla fine della sua biografia Gregorio osserva: «Egli scrisse una Regola
per i monaci, insigne per la sua discrezione e luminosa nel suo stile» (Dial
2,36). L’alta
lode di questo abate
«romano»
[15]
e della sua
Regola
per bocca del papa Gregorio ha contribuito in modo decisivo alla sua accoglienza
da parte dei popoli germanici, che la preferirono a tutte le altre.
* Ndr. Alcune note non molto lunghe sono state inserite direttamente nel testo.
[1]
Sono tratti letteralmente dalla RM i seguenti passi della RB: RB
Prol 5-45.50; 1, 1-10; 2, 1.18a.18b-25.30.35-37; 4, 1-7,9-59.62-74; 5-7.
I versetti che non hanno alcun riferimento alla RM sono: RB Prol
46-47.49; 2, 26-29.31-36; 3, 12- 13; 13,12-14; 16, 5; 18, 1-19, 2;
20,4-5; 21,1.5-6; 22,2; 25,4; 27, 2-3.5-7; 29, 1-2; 31,6-7.10- 14.16-19;
34,1-7; 36, 4-10; 38, 5- 7; 40.1-2; 41, 2-5; 42, 2-7; 44, 5; 45, 1-2;
46, 1-4; 48, 14-21; 49, 1- 3; 51, 3; 52,1; 53,1-2.8-9.12.15- 17.23-24;
55, 1-3.7-12.20-22; 57,1-3; 58,5-7; 59, 7-8; 60, 8-9; 61,11-62,11;
63,10-19; 67,5- 70, 2; 70, 4-7; 71,6-9; 73,1-9.
Cf Adalbert de Vogüé, La Règle de S. Benoit, I, SC 181 (Parigi 1972), pp
174-185.
[2]
L'abate Eugippo († 533) di Lucullano, presso Napoli» usa una Regola
analoga. Egli è un successore di S. Severino († 482), fondatore di
monasteri nel Norico (per esempio a Passau). Questi monaci ridiscesero
nell’Italia meridionale. L’abate Eugippo ha certamente conosciuto la
spiritualità del monachesimo orientale (PL 62,1167-1170). Egli è stato
anche in rapporto con Dionigi il Piccolo (PL 67,345-408).
È giunto fino a noi un manoscritto della RM in una redazione primitiva
che risale all'epoca di Eugippo (Parigi, B. N. lat. 12634), il
cosiddetto manoscritto E. Secondo A. de Vogüé si tratterebbe di
un estratto ricavato dalla stesura finale della RM; secondo
Masai-Manning, invece, il manoscritto E attesterebbe una delle
prime fasi redazionali della RM e la sua originaria successione dei
capitoli.
[3]
I monaci di S. Maurizio richiedono una Regola all'abate e presbitero
Marino di Lérins. Egli li indirizza ai monasteri del Giura, dove già
esiste il testo della Regola (VPJur 1-2). Da quella regione un Autore
sconosciuto invia loro la Vita dei Padri del Giura, dove per tre
volte si nominano le Istituzioni dei Padri o Regola (cf VPJur
174), che con ogni probabilità è la RM. Infatti l’Autore afferma di
voler presentare «gli atti, la vita e la Regola» dei Padri del Giura e
la RM si compone proprio di una parte che contiene gli «atti e la vita
dei monaci» (cf RM 1 T e RM 10,123), e di un'altra intitolata «Regola
del monastero» (cf RM 11 T). Il manoscritto a noi pervenuto della
Vita dei Padri del Giura è mutilo; in esso invece di trovare le
preannunciate «istituzioni» o la «Regola», ci imbattiamo nella nota:
«Dopo aver contemplato il grande mare di queste istituzioni» dobbiamo
condurre a termine la Vita dei Padri (VPJur 175). Tra la RM e la Vita
dei Padri del Giura esistono molti paralleli contenutistici.
[4]
Siamo in possesso di due manoscritti di questa redazione finale della
Regola del Maestro. Essi risalgono al manoscritto compilato per
Maurizio (tale monastero è stato rinnovato nel 515 sotto il re
Sigismondo). Sono i manoscritti di Parigi, B.N. lat 12205, chiamato P,
scritto verso il 600 nell’Italia meridionale, e il manoscritto Clm
28118, conservato a Monaco, che fu utilizzato da Benedetto di Aniane.
Questa è la tesi di Masai-Manning, mentre A. de Vogüé ritiene che la
redazione finale della RM sia opera di un solo autore vissuto
nell’Italia meridionale.
[5]
Cf RB Prol 5-7| 5,1-9. La tricotomia di corpo-anima-spirito sottolineata
dal Maestro (cf RM thp 28; 1, 80; 81, 18-19) che si trova in 1 Ts 5, 23,
è frequente nei Padri. La incontriamo già in Ireneo: «L’uomo perfetto è
composizione e unione dell’anima che riceve lo Spirito del Padre ed è
unita alla carne: questa è la creatura a immagine di Dio» (Adv haer
5, 6, I).
[6]
RB 73, 5. Basilio elabora delle Regole in forme di domanda-risposta.
Benedetto conosce questo Asketikon nella traduzione latina di
Rufino (345-410), Regula Basilii, che tramanda il testo in una
delle sue prime redazioni. Per esempio, leggendone il Prologo si ha
l’impressione di sentire un discorso tenuto per qualche circostanza
particolare e annotato da un veloce scrivano. Si è erroneamente creduto
che Rufino abbia voluto unire insieme, di proposito, le Regole «più
lunghe» e le «più brevi» che compaiono invece solo in una fase
redazionale posteriore dell’opera.
[7]
La fama di Basilio era indiscussa presso la gerarchia ecclesiastica,
come pure presso i monaci. Anche Cassiano lo cita espressamente (CInst,
Praef 5) così come l'Autore della VPJur (174). Si può presumere che
l’abate di Montecassino lo abbia nominato per riguardo a Bisanzio.
[8]
Girolamo (347-419/20) ha tradotto in latino queste Regole. Si avverte il
loro influsso in Cassiano ( † 430), in Cesario di Arles ( † 542) è in
Benedetto (cf RB 21, 1 -4; 38, 5-9 ecc.).
[9]
Durante la sua visita alla Chiesa di Roma nel 212 Origene conosce il
presbitero Ippolito († 235), discepolo di Ireneo di Lione († 200 circa),
che ci riporta a sua volta al suo maestro Policarpo di Smirne († 22
febbraio 156).
[10]
Il combattimento ascetico è visto in analogia alla «lotta» di Gesù
contro il male e alla «lotta» dei martiri; cf RB Prol
2.3.28.29-32.40.45; 4, 55-58; 5, 10-13; 7, 35-43; 24, 3; 48, 17- 18; 49,
6-7.
[11]
Egli ha tra i suoi seguaci Didimo di Alessandria († 396) e Gregorio il
Taumaturgo († 270 circa), dal quale è stata influenzata la spiritualità
dei Cappadoci fino a Basilio.
[12]
Le Institutiones o Istituzioni dei Padri che riguardano il modo
di condurre la vita cenobitica (in Egitto) e gli otto vizi capitali; le
Collationes o Conferenze dei Padri sull’insegnamento spirituale
degli anacoreti del Basso Egitto.
[13]
Benedetto mostra in più punti di essere impressionato dall’austerità del
monachesimo orientale e, in confronto, giudica «tiepida» l’ascesi di
quello occidentale: RB 18, 25 (numero dei, salmi); 40, 6 (misura del
vino), All’origine della traduzione latina dei Detti dei Padri,
conosciuta da Benedetto, si trovano testi in lingua greca: la
Historia lausiaca di Palladio († prima del 431); la Historia
Monachorum in Aegypto (un racconto di viaggio del 400 circa); gli
Apophtegmata Patrum (una raccolta dei detti dei Padri in parte
ordinata per argomento, in parte per autore). Questi detti dei Padri
sono incisivi e rigorosi, talvolta anche ingenui o idealisti.
[14]
Il diacono Pelagio e il suddiacono Giovanni (i futuri pontefici Pelagio
I, 556-561 e Giovanni III, 561- 574) curano la traduzione latina dei
Detti dei Padri (Verba seniorum) che probabilmente viene resa
nota nel 543-545. Benedetto ha conosciuto tale traduzione.
[15]
Il codice di Verona (VIII secolo) riporta la Regola e definisce
Benedetto “romensis”.
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20 luglio 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net