CONOSCENZE SULLE RELIQUIE DI FLEURY E DI MONTECASSINO

 

Estratto da: Renaissance de Fleury n° 113 - marzo 1980

Libera traduzione

 


 

 

Prima parte - Conoscenze sulle reliquie di Fleury

professor A. BEAU
Docente onorario della facoltà di medicina di Nancy


Le reliquie di san Benedetto

 

Le conclusioni di tutti i lavori della commissione medico chiamata ad esaminare le reliquie di san Benedetto sono le seguenti:

 

La maggior parte delle ossa attribuite a san Benedetto si trovano collocate nella grande teca del monastero di Fleury, a Saint-Benoît sur Loire; salvo una mandibola conservata in un reliquiario speciale, e un frammento importante della regione pareto-occipitale del cranio posto anch'esso in un reliquiario particolare.

 

Timpano dell'Abbazia di Fleury con Cristo circondato dai quattro Evangelisti e la storia della traslazione delle reliquie nella parte inferiore.

 
Si possono ricollegare altre reliquie a questo insieme di resti scheletrici, prelevate in diversi tempi da questo insieme, e perfettamente autenticate. Ad esempio: un frammento di costola (Benedettine del Calvario di Orléans), altro frammento di costola (Benedettine del Santo-Sacramento di Parigi), estremità superiore di un radio sinistro (Grande seminario di Orléans), parte inferiore di un radio destro e parte inferiore di un perone sinistro (tutti due all'abbazia della Pierre-qui-Vire), frammento della parte centrale di un osso lungo (abbazia di Santa Marie di Parigi), estremità inferiore di una radio sinistro (abbazia di Saint-Wandrille), frammento di falange dell' alluce sinistro (abbazia N. - D. des Gardes), frammento della parte centrale di un osso lungo (abbazia di Timadeuc), rotula sinistra (abbazia di Aiguebelle), frammento di omero sinistro (abbazia della Grande Trappe).
Tutti questi frammenti ossei formano, per le loro caratteristiche, uno insieme coerente all'eccezione tuttavia di alcuni elementi (frammento occipito-parietale, sterno e vertebre cervicali) che sono oggetto di uno rapporto annesso. Invece un certo numero di frammenti ossei conservati in differenti luoghi ed attribuiti tradizionalmente a san Benedetto manifestamente non appartengono, a causa dei loro caratteri anatomici, all'insieme dei frammenti di Fleury. Prima di essere eliminati da questo insieme sono stati oggetto di un dettagliato studio.


Tutti questi frammenti ossei sono stati oggetto di un studio anatomico e antropologico scrupoloso, tanto in ciò che riguarda la loro morfologia esterna che la loro struttura interna (radiografie sistematiche, esami in fluorescenza).
I risultati dettagliati di queste investigazioni sono registrati in un rapporto anatomico dettagliato.


Tutti questi frammenti di ossa appartengono manifestamente alla specie umana, nessuno dubbio poteva esserci su questo punto.


Queste ossa appartengono allo scheletro di un stesso individuo per le ragioni seguenti:
a) Hanno tutta un stessa colorazione esterna brunastra molto caratteristica.
b) Hanno apparentemente la stessa densità, nel loro insieme la corticale è sottile, la trabecolazione interna, quando appare, è ben distinta, ha una colorazione bruno-rossa ancora più accentuata della superficie esterna delle ossa.
c) I differenti frammenti ossei offrono una simmetria di perfetta esattezza.
d) I frammenti ossei si collegano perfettamente e le superfici articolari reciproche sono perfettamente congruenti.
e) Le dimensioni di queste differenti ossa offrono, nel loro insieme, delle proporzioni armoniose.


Lo scheletro ricostituito con l'aiuto dei differenti elementi che ci sono stati presentati risulta essere incompleto.


Lo scheletro così ricostituito appartiene manifestamente a quello di uno individuo di sesso maschile: la conformazione particolare delle ossa del bacino è particolarmente netta. La direzione delle ali iliache che non permettono l'allargamento di questa cavità, lo spessore delle ali iliache, la conformazione del foro otturato ne sono una testimonianza valida. Parimenti si deve segnalare il forte sviluppo di certe parti ossee, in particolare della mandibola che è robusta e pesante. Tutte le inserzioni ossee dei differenti muscoli presentano sporgenze notevoli (per esempio sviluppo ostacolato delle apofisi ).


Questo scheletro è appartenuto ad un uomo vecchio. La sutura pareto-occipitale destra presenta una sinostosi quasi completa, fenomeno che sopraggiunge generalmente a partire dall'età di 75 anni. Siccome questa sutura rimane ancora leggermente visibile, l'età della persona doveva avvicinarsi a questo valore. Peraltro la corticale delle ossa lunghe è sottile, il sistema transcolare ogivale dell'estremità superiore del femore è sparito da rarefazione, i bordi articolari di certe cavità sono irregolari a causa della presenza di piccoli osteofiti (formazioni ossee). Tutte queste caratteristiche sono segni di vecchiaia.


La taglia dell'individuo al quale è appartenuto questo scheletro può essere determinata dalla lunghezza dei suoi femori. Riferendosi alle tabelle stabilite per questo scopo si constata che questa taglia doveva essere localizzata tra 1,64 e 1,65 m.


Alcune caratteristiche particolari devono essere notate:
a) l'abrasione della superficie triturante del molare restante, caratteristica che si osserva frequentemente nelle persone sottomesse ad un'alimentazione a predominanza vegetariana.
b) la perdita del primo molare inferiore sinistro durante la vita ed il riempimento del suo alveolo con tessuto osseo cicatrizzante.
c) l'esistenza di un'osteite della parete esterna dell'occipitale con una cicatrice irregolare.
d) dal punto di vista osteologico, la parte dell'osso sacro che rimane è appiattita.


10° I soli criteri portati da un studio attento della morfologia esterna e della struttura interiore delle ossa non permettono di fissare di un modo preciso il lasso di tempo trascorso dalla morte dell'individuo al quale è appartenuto questo scheletro. Tuttavia, lo stato di conservazione dei frammenti ossei e la loro colorazione permettono di pensare che si tratti di un scheletro che data parecchi secoli. Un'anzianità di circa 1400 anni è perfettamente ammissibile.
Queste conclusioni anatomiche sono dunque molto precise: convergono perfettamente coi dati della tradizione storica. Evidentemente, in questo genere di ricerca, la certezza assoluta non esiste, e persone pessimiste di natura potranno contestare sempre la realtà dei fatti. Tuttavia, davanti ad un insieme simile di prove, si deve sinceramente riconoscere che esistono le più forti presunzioni in favore dell'autenticità di queste reliquie.

Professor A. Beau

Decano onorario della Facoltà di Medicina di Nancy

Riferimenti:
1) La vie du bienheureux Père saint Benoît. Deuxième livre des "Dialogues", Grégoire le Grand. Traduction nouvelle par les Bénédictins de Paris (1922).
2) Texte du Palimpseste de Munich - in : (Al Fleureau). Le corps de saint Benoît à Fleury-sur-Loire (Gien, 1941)
3) Texte de la translation des reliques de sainte Scholastique à Juvigny (latin) in : Offices propres de quelques festes de saincts particuliers celebrez au monastère de sainte Scholastique à Juvigny, ordre de sainct Benoist - Toul, 1648.
4) Dom Déodat Galli - Saint Benoît en France - Ed. de Fleury 1949.


    


La cripta dell'abbazia di Fleury dove sono conservate le reliquie e l'urna che le contiene


 


 

Seconda parte - Conoscenze sulle reliquie di Montecassino

Anselm Davril, monaco dell’abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire

 

 


Siamo documentati meno bene sulla storia delle reliquie trovate nel 1950 che sulla storia della tomba di san Benedetto. Nella prima parte cercheremo di descrivere ciò che è stato trovato, poi si tenterà di seguire la storia di questo deposizione.

La ricognizione del 1950


Il racconto dettagliato della scoperta e della ricognizione delle reliquie contenute nel loculo sotto l'altare maggiore di Montecassino è stato pubblicato da Dom T. Leccisotti nella prima parte dell'opera "Il sepolcro di S. Benedetto". Eccone brevemente il riassunto.


Il martedì 1 agosto 1950, sotto la presidenza di Dom Ildefonse Rea, Abate Ordinario di Montecassino, si demolì l'altare maggiore, ricostruito in mattoni dopo i bombardamenti, e si cominciò a scavare. La sera, verso le 18, si scoprì la lastra di marmo con iscrizione che aveva fatto porre Jean Antoine Caraffa nel 1486. Tolta questa lastra, apparve l'urna di alabastro nella quale l'abate Angelo della Noce aveva fatto porre le reliquie nell'agosto 1659. L'urna misurava 75 cm di lunghezza, 39 cm di larghezza e 33 cm di altezza senza il coperchio; fu tolta dal loculo, poi trasportata nella parte degli edifici già restaurati dove risiedeva la comunità.
L'indomani, l'urna fu aperta. Sotto il coperchio si leggeva l'iscrizione "Ssmi Benedicti et Scholast. sacra ossa et cineres"; all'interno si trovava un cofanetto in legna di cipresso, abbastanza rovinato, che conteneva a sua volta un cofanetto di piombo sul coperchio del quale era inciso: "Ssmus P. P. Benedictus et Scholastica". Quest'ultimo cofanetto misurava 55 cm di lunghezza, 25 cm di altezza, era diviso da una lama di piombo in due parti disuguali, la più grande piena per due terzi di ossa mescolate, l'altra piena per metà di frammenti e di ceneri.
Il 5 agosto ebbe luogo una prima perizia medica da parte dei professori O. Lambertini, M. Mazzeo, L. Olivieri, P. Scrocea dell'università di Napoli ed il professore O. Matronola dell'università di Roma. Durante un secondo sessione, l'8 agosto, il dottor D. Catalano, radiologo assistente dell'istituto di anatomia di Napoli, procedette ad un esame radiologico di alcune delle ossa.
Lo studio anatomico delle ossa fu in seguito portato avanti dal Professor Olivieri durante le sessioni del 14, 21, 28 gennaio, 4 e 10 febbraio 1951, mentre il Dottor Catalano continuava lo studio radiologico. Infine dal 26 al 29 settembre, il Professor A. Revolta fece subire alle ossa un trattamento destinato a metterle al riparo da deterioramenti futuri.
Il Padre M. H. Laurent, nel suo resoconto "Il sepolcro" ha rimproverato ai monaci di Montecassino di non avere utilizzato il metodo di datazione con radio-carbonio sulle ossa esumate nel 1950. Il ricorso a questo procedimento, che era stato considerato anche a proposito delle ossa di Fleury e di Juvigny, era in effetti perfettamente illusorio ed irrealizzabile perché sarebbe occorso distruggere la maggior parte delle ossa per arrivare al massimo ad un'approssimazione di parecchi secoli. Ci si riferirà a questo riguardo alla documentazione raccolta da Dom T. Leccisotti dal Professor Olivieri e soprattutto dall'istituto di Geochimica dell'università di Roma e che ha pubblicato nel suo articolo "Ancora del sepolcro di S. Benedetto", p. 321-329.


 

Le reliquie furono infine rimesse in loco e furono sigillate il 1° dicembre 1955 sotto l'altare maggiore della basilica magnificamente restaurata.


Ciò che è stato trovato nel 1950



Secondo lo studio pubblicato dal Professor L. Olivieri ed dal Dottor D. Catalano, ecco la nomenclatura delle ossa contenute nell'urna di alabastro:
Vi risparmio le 8 pagine di descrizioni delle ossa, per venire al dunque:
Il paragone tra queste nomenclature e quella delle ossa conservate a Fleury ed a Juvigny, o proveniente da questi due depositi, fa risultare un certo numero di doppioni che impedirebbero di supporre che le ossa conservate in Francia ed a Montecassino possano appartenere agli stessi individui maschili e femminili. Sembra chiaramente di essere in presenza, sia da una parte che dall'altra, di due scheletri distinti di uomo e di donna.
È tuttavia spiacevole che non sia stato possibile, per sollevare definitivamente ogni esitazione su questo punto, di procedere ad un confronto, se non delle ossa stesse, ciò che avrebbe comportato delle grosse difficoltà, per lo meno meno delle ossa di Montecassino coi calchi di quelle di Fleury e di Juvigny che sarebbe stato facile trasportare. Al posto di ciò dobbiamo accontentarci di giudicare su una nomenclatura sommaria dove le dimensioni stesse delle ossa sono date raramente, e su alcune foto e radiografie, senza che sia stato possibile confrontare le superfici articolari. Se non si fosse provveduto ad un tale confronto tra le ossa di Fleury e quelle di Juvigny, non si sarebbe mai scoperto che i due astragali conservati da una parte e dall'altra appartenevano allo stesso individuo. E ciò benché le perizie siano state condotte a Fleury ed a Juvigny dagli stessi anatomisti.


Storia delle reliquie esumate nel 1950


Fotografia dell'epoca che ritrae le reliquie di Montecassino


Nella quarta parte del volume "Il sepolcro, La testimonianza storica" p. 99-242, Dom T. Leccisotti vuole provare l'autenticità di queste reliquie partendo dalla continuità della tradizione cassinese, ma i suoi sforzi sono stati giudicati severamente dalle recensioni apparse nelle principali riviste storiche. Egli ha avuto tuttavia il merito di riunire e pubblicare i testi che, insieme ai dati dell'archeologia, permettono di fare la storia di questo deposito di reliquie.
Soltanto l'appartenenza allo stesso corpo della reliquia di Leno-Brescia e delle ossa del 1950 potrebbe obbligare ad ammettere che queste ossa erano già conosciute e venerate come reliquie di san Benedetto prima della scoperta di Didier nell' XI° secolo. Ma bisogna rinunciare a questa ipotesi malgrado l'affermazione de "Il sepolcro", p. 44, nota 1. Difatti il cubito sinistro che porta ancora tracce di aderenza di carne che abbiamo visto a Brescia è diverso dalle ossa di Montecassino, così come ci sono descritte ne "Il sepolcro", tanto quanto da quelle di Fleury.
Dice Dom PH. SCHMIDT nel "Bulletin d'Histoire Bénédictine" 5, p. 354-355: "Sono costretto a dire che le pagine dedicate all'esame dei dati storici non mi hanno convinto per niente. Tralasciando il tono che è quello della polemica e della tesi che bisogna provare ad ogni costo, mi sembra che manchi di critica e di metodo di fondo". Il P. M. H. Laurent, o.p. nella "Revue d'Histoire Ecclésiastique" 47 (19,52), p. 653-660 fa una critica più dettagliata del volume, forse troppo esclusivamente negativa. Citiamo solamente queste righe: "La tesi di Montecassino ci è oggi esposta con un'abbondanza di notizie. Discutere i molteplici dettagli di queste pagine sarebbe un vano lavoro. Tre punti sono fondamentali: la testimonianza di Paul Diacre; il racconto del ritrovamento dovuto allo zelo dell'abate Didier; le relazioni dei diversi ritrovamenti chi si sono succeduti durante il XV° e il XVI° secolo. Questi testi ci autorizzano ad attribuire gli scheletri ritrovati nel 1950 a san Benedetto ed a santa Scolastica? Lo si è creduto, ma mi si permetterà di dubitare". (Bisogna aggiungere che il P. Laurent, non accorda neanche credito alla tesi di una traslazione a Fleury). Dom T. Leccisotti ha risposto a queste critiche con il libro "Ancora del sepolcro di S. Benedetto", in "Benedictina" 7 (1953) p. 195-318 senza portare nessuno elemento nuovo.)
Quando alle numerose testimonianze portate da Dom Leccisotti sulla credenza nella presenza del corpo di S. Benedetto a Montecassino, non ci dicono niente sulla natura di questo corpo. Pur ammettendo con P. Meyvaërt, in base alla testimonianza dell'abate Berthaire, che fin dalla fine del IX° s. ci si rifiutava di ammettere a Montecassino che la traslazione menzionata da Paolo Diacono avesse avuto luogo. Resta l'ipotesi di una restituzione parziale da Fleury in seguito alla lettera di papa Zacccaria. Nessuna testimonianza storica ci induce a credere che abbia avuto luogo, e anche supponendo che abbia potuto aver luogo, è certo che le reliquie del 1950 non provengono da questa restituzione poiché vi si trovano ossa o frammenti di ossa di tutte le parti del corpo e il confronto delle nomenclature fa apparire l'esistenza di parecchi doppioni di ossa. Ancora una volta si riscontra che solo la reliquia di Leno-Brescia avrebbe potuto portare una certezza, se fosse stata riconosciuta come facente parte dell'insieme delle ossa di Fleury-Juvigny.
La storia delle reliquie esumate nel 1950 non può cominciare dunque che con il ritrovamento dell'abate Didier nel 1066, ma i racconti di questo ritrovamento non ci dicono niente sulle reliquie stesse. Il "Chronicon Casinese" di Leone di Ostia non fa nessuna menzione di santa Scolastica né della sua tomba e non ci dice esplicitamente se la tomba di S. Benedetto sia stata aperta. I supplementi di informazioni forniti da Pierre Diacre, nella misura in cui si può dar loro affidabilità, suppongono che le due tombe furono aperte, che le ossa e le ceneri furono separate e conservate a parte. A destra, in un loculo di marmo, le ossa dei due santi, a sinistra, in un cofanetto di legno, le loro ceneri. Ma non si ci dice dove era posto il mattone che "porta il nome del santo confessore", unico criterio dell'identificazione dei resti di S. Benedetto. Non ci si dice neanche niente sullo stato di conservazione delle ossa mentre l'Epitome ed il Sermone di Pierre Diacre precisano che Costantino e Simplicio furono ritrovati "cum integris ossibus suis quiescentes". Non sappiamo dunque esattamente ciò che ha trovato l'abate Didier.
Durante quattro secoli le cose rimasero nello stato in cui Didier le aveva lasciate, attraversando tutte le vicissitudini passate dal monastero e dalla basilica. I testi non c'insegnano niente di preciso sulle ossa e si è visto che quando il cardinale commendatario Giovanni di Aragona fece intraprendere degli scavi sotto l'altare maggiore, non solo non si sapeva esattamente ciò che si andava a trovare, ma uno degli scopi dei lavori intrapresi era di assicurarsi della presenza delle reliquie del santo fondatore che certuni mettevano in dubbio a causa di voci concernente la traslazione. Dopo vari tentativi si ritrovò il "loculus marmoreus" ed il "loculus ligneus" di Didier che fu aperto, ed il documento del notaio Cristoforo Perone ci dice che le reliquie non furono toccate: "ad corpora beatissimi patris Benedicti et Scholasticae redierunt, ex quorum carne super tabulam porfiream mannam continue distillare viderunt, et miraculose in ipsa tabula conservari, ed ipsam non egredi, ed ex hoc dicta corpora sanctorum non amoverunt, et continue a monachis ipsa corpora custodiri fecerunt". Al contrario le reliquie di Costantino, Simplicio e Carlomanno furono depositate nella sagrestia.
Alcuni giorni più tardi il cardinale di Aragona si recò personalmente a Montecassino e fece riaprire il loculo di marmo. Secondo il racconto anonimo che P. Meyvaërt, completando i Bollandisti, chiama BI-lL 1143 c, i tentativi fatti allora per estrarre delle reliquie si sarebbero conclusi con un insuccesso, "sed levare nequibat neque tenere quia in modum olei relabebantur nec tamen quicquam digitis adherebat. Quare territi omnes cessaverunt et rursum claudentes abierunt". Ma si tratta di un racconto agiografico che si può utilizzare solamente con precauzione. Sembra infatti che certe reliquie (quali ed in quale quantità?) dovettero pure essere estratte, a testimonianza dell'autentica del 1487 conservato a Subiaco: "Hic sunt reliquie. .. extracte de sepultura eorum in Monte Cassino per venerabilem dominum episcopum Aquilanum". Parimenti un inventario cassinese del 1497 segnala nel tesoro delle reliquie dell'abbazia: un dito di san Benedetto, un braccio di santa Scolastica e delle "reliquiae S. Benedicti", senza altra precisione.
Non sembra che i due loculi, di marmo e di legno, furono aperti o modificati quando Jean Antoine Caraffa fece rimettere a posto l'altare maggiore il 18 novembre 1486. Il processo verbale di C. Perone segnala che le reliquie di Costantino, Simplicio e Carlomanno, trovate in loculi di legno, furono rinchiuse in cofanetti di piombo prima di essere rimesse al loro posto, ma non segnala nessuna modifica concernente le reliquie di san Benedetto e di santa Scolastica, che furono ricoperte con una lastra di marmo che porta un'iscrizione.
Un secolo più tardi, il 12 marzo 1545, l'abate Dom Geronimo di Piacenza, che aveva fatto abbattere l'abside con l'altare di San Giovanni Battista per trasportare il coro dietro il santuario, volle, una volta ancora, ingrandire l'altare maggiore e si imbatté, sempre inaspettatamente, sulle tombe di san Benedetto e di santa Scolastica: "Si scoprì un principio d'una grotta: e volendo vedere, che cosa era si trovò essere: dove erano li sepulchri del Santissimo Padre Benedetto, et Scholastica". Si trovò poi la lastra di marmo con l'iscrizione posta dal governatore J. A. Caraffa (il racconto detto sopra del Card. Giovanni di Aragonia); " tolta questa, prosegue il narratore, il sepolcro apparve e presero la testa di san Benedetto e quella di santa Scolastica e le fecero baciare con molte lacrime da tutti i monaci che videro della manna trasudante delle sante ossa. Questo ebbe luogo il dodicesimo giorno del mese di marzo, un sabato. Il 13 dello stesso mese, il governatore venne con tutti i cittadini di San Germano ai quali l'abate fece baciare le sante reliquie"  (probabilmente sempre i due crani). Poi il sepolcro fu murato di nuovo.
Per la prima volta abbiamo dunque una precisione concernente le reliquie stesse, ci si segnala la presenza dei due crani ancora in buono stato poiché si può prenderli e darli a baciare ad un pubblico numeroso. Ma questo racconto non è contemporaneo agli avvenimenti poiché è dovuto a Dom Onorato Medici, redattore degli "Annali Cassinesi", continuazione del "Chronicon Casinense", che fece professione a Montecassino nel 1571, cioè ventisei anni dopo gli avvenimenti (e Dom Medici non redasse i suoi Annali nell'anno della sua professione). Sebbene non ci sia motivo di mettere in dubbio la veridicità del fatto del ritrovamento delle reliquie, tuttavia si deve essere più prudenti sui dettagli che ci fornisce. Si sarà notato che dapprima parla di sepolcri al plurale (li sepulchri); poi, dopo la scoperta della lastra di marmo con l'iscrizione, del sepolcro al singolare, (il sepulchro), ciò che sembra più conforme a quello che sappiamo dei lavori eseguiti nell' XI° e XV° secolo. Ci è anche permesso di porci una domanda sui due crani di san Benedetto e santa Scolastica. Vedremo che si riparlerà nel 1659 del capo di san Benedetto, per spiegare che è stato rotto accidentalmente, mentre di quello di santa Scolastica non se ne parlerà più. E come può essere che attualmente vi siano solo dei piccoli pezzi dei due crani se erano ancora entrambi in buono stato nel 1545? Anche se fossero spezzati dovrebbero esserci tutti i frammenti. Invece si è lontani da questo risultato, in particolare per quel che riguarda lo scheletro femminile, come si può constatare leggendo la nomenclatura delle ossa o guardando le figure 40 e 41 de "Il sepolcro", che rappresentano le ossa disposte secondo la ricostruzione ideale dei due scheletri
Nel 1637 l'abate Simplicio Caffarelli fece di nuovo delle modifiche nella chiesa, volendo abbassare il livello del santuario. Inoltre l'altare di san Benedetto viene spostato leggermente a destra e di una distanza di più di tre palmi all'indietro , con lo scopo di porlo perpendicolare alla lanterna della cupola. Scavando si rinvennero all' "angolo del Vangelo" (cioè a sud, perché, spiega Dom Leccisotti , l'altare era posto verso il coro) i corpi dei santi Simplicio e Costantino in piccole urne ai piedi del sepolcro di san Benedetto segnalato dalla lastra di marmo di J. A. Caraffa. Le ossa del santo Patriarca non vennero toccate, ci si dice, per timore dei castighi del cielo. Al contrario, le reliquie di Simplicio e Costantino furono portate alla sagrestia così come quelle di Carlomanno ritrovate in un cofanetto di piombo all' "angolo dell'epistola", dunque a nord.
Il 7 agosto 1659, sotto l'abate della Noce, ebbe luogo, in occasione del nuovo piano di sviluppo del santuario, un'ultimo ritrovamento che ci fornisce alcuni dettagli sulle reliquie stesse. Della Noce le descrive così: "ex recenti inspectione anni 1659, costae aliquae, cranii partes crassiores, os quod vocatur sacrum, altera licet parte corrosum superesse conspeximus , praeter ossa minutiora innumera, cineresque copiosos, in eadem capsula sepositos".
Si tratta probabilmente delle reliquie dei due santi mischiate nello stesso "loculus" di marmo. È tuttavia sorprendente che l'abate che identifica l'osso sacro non dica niente della scapola e dell'osso iliaco molto più importante. Se ci si riferisce alle nomenclature o alle foto delle figure 40 e 41, si constata che l'osso sacro è l'elemento più importante delle ossa dello scheletro maschile, mentre la scapola e l'osso iliaco sono stati attribuiti dagli anatomisti allo scheletro femminile. Della Noce era in grado di fare questa distinzione, ed è volontariamente che menziona solamente le reliquie di san Benedetto e non quelle di santa Scolastica, o queste ultime non si trovavano nel "loculus" che aprì? Stessa osservazione a proposito dei "cranii partes crassiores" che sarebbero tutto ciò che resta dei due capi che l'abate Geronimo di Piacenza avrebbe fatto venerare nel 1545, dunque un secolo prima. La stessa spiegazione che Della Noce fornisce ai Bollandisti: "caput quoque ex marmoreae tabulae casu, in ipsum procidentis loculum, fuisse ex parte comminutum"  suppone che vi era un solo cranio quando aprì il "loculus".
È l'abate Della Noce che fece preparare l'urna di alabastro che contiene il cofanetto di legno di cipresso ed il cofanetto di piombo diviso in due scomparti che furono rinvenuti il 1° e il 2 agosto 1950. È sempre lui che, a giudizio di Dom Pantoni, fece costruire i rivestimenti di mattone sulle pareti del "loculus".
In conclusione, se risaliamo alla storia della deposizione delle reliquie esumate nel 1950, dobbiamo dire che si tratta evidentemente delle reliquie chiuse nel 1659 dall'abate Della Noce. Sono molto probabilmente quelle stesse che vennero alla luce nel 1484, sebbene un punto interrogativo si ponga ancora a proposito delle ossa femminili. Con ogni probabilità, queste reliquie esumate nel 1484 sono quelle che l'abate Didier aveva deposto nella tomba di san Benedetto nel 1066. Ma che ha trovato Didier? Ha creduto di avere ritrovato i corpi di san Benedetto e di santa Scolastica. Su che cosa si basava questa credenza? Su un mattone che porta il nome del santo confessore, se crediamo a Pierre Diacre.
In definitiva, né la storia del sepolcro, né la storia della deposizione delle reliquie permettono di avere una certezza. Del punto di vista archeologico, non esiste prova che le ossa che erano nell'urna dell'abate Della Noce riposassero all'origine nelle tombe identificate come quelle di san Benedetto e di santa Scolastica e non altrove.
Comunque sia della presenza delle reliquie, è certo che un culto di san Benedetto esisteva a Monte Cassino fin dalla fine dell' VIII° secolo, come testimoniano i quattro calendari pubblicati da Dom Morin che menzionano tutti la festa del 21 marzo. E la dedica di un altare a san Benedetto il 3 giugno nell'oratorio San Giovanni Battista, menzionata da tre di questi calendari, permette di aggiungere che un culto esisteva sul luogo che san Benedetto aveva scelto per essere inumato e dove il suo corpo tornò in polvere, luogo che resterà sempre santo e venerabile per ogni figlio del santo Patriarca.
 


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net