CONOSCENZE SULLE RELIQUIE DI FLEURY E DI MONTECASSINO
Estratto da: Renaissance de Fleury n° 113
Libera traduzione
Prima parte -
Conoscenze sulle reliquie di Fleury
professor A. BEAU
Docente onorario della facoltà di medicina di Nancy
Le reliquie di san Benedetto
Le conclusioni di tutti i lavori della
commissione medico chiamata ad esaminare le reliquie di san Benedetto sono le
seguenti:
1° La maggior parte delle ossa attribuite a san Benedetto si trovano collocate nella grande teca del monastero di Fleury, a Saint-Benoît sur Loire; salvo una mandibola conservata in un reliquiario speciale, e un frammento importante della regione pareto-occipitale del cranio posto anch'esso in un reliquiario particolare.
Timpano dell'Abbazia di Fleury con Cristo circondato dai quattro Evangelisti e la storia della traslazione delle reliquie nella parte inferiore.
Si possono ricollegare altre reliquie a questo insieme di resti scheletrici,
prelevate in diversi tempi da questo insieme, e perfettamente autenticate. Ad
esempio: un frammento di costola (Benedettine del Calvario di Orléans), altro
frammento di costola (Benedettine del Santo-Sacramento di Parigi), estremità
superiore di un radio sinistro (Grande seminario di Orléans), parte inferiore di
un radio destro e parte inferiore di un perone sinistro (tutti due all'abbazia
della Pierre-qui-Vire), frammento della parte centrale di un osso lungo (abbazia
di Santa Marie di Parigi), estremità inferiore di una radio sinistro (abbazia di
Saint-Wandrille), frammento di falange dell' alluce sinistro (abbazia N. - D.
des Gardes), frammento della parte centrale di un osso lungo (abbazia di
Timadeuc), rotula sinistra (abbazia di Aiguebelle), frammento di omero sinistro
(abbazia della Grande Trappe).
Tutti questi frammenti ossei formano, per le loro caratteristiche, uno insieme
coerente all'eccezione tuttavia di alcuni elementi (frammento occipito-parietale,
sterno e vertebre cervicali) che sono oggetto di uno rapporto annesso. Invece un
certo numero di frammenti ossei conservati in differenti luoghi ed attribuiti
tradizionalmente a san Benedetto manifestamente non appartengono, a causa dei
loro caratteri anatomici, all'insieme dei frammenti di Fleury. Prima di essere
eliminati da questo insieme sono stati oggetto di un dettagliato studio.
2° Tutti questi frammenti ossei sono stati oggetto di un studio anatomico e
antropologico scrupoloso, tanto in ciò che riguarda la loro morfologia esterna
che la loro struttura interna (radiografie sistematiche, esami in fluorescenza).
I risultati dettagliati di queste investigazioni sono registrati in un rapporto
anatomico dettagliato.
3° Tutti questi frammenti di ossa appartengono manifestamente alla specie umana,
nessuno dubbio poteva esserci su questo punto.
4° Queste ossa appartengono allo scheletro di un stesso individuo per le ragioni
seguenti:
a) Hanno tutta un stessa colorazione esterna brunastra molto caratteristica.
b) Hanno apparentemente la stessa densità, nel loro insieme la corticale è
sottile, la trabecolazione interna, quando appare, è ben distinta, ha una
colorazione bruno-rossa ancora più accentuata della superficie esterna delle
ossa.
c) I differenti frammenti ossei offrono una simmetria di perfetta esattezza.
d) I frammenti ossei si collegano perfettamente e le superfici articolari
reciproche sono perfettamente congruenti.
e) Le dimensioni di queste differenti ossa offrono, nel loro insieme, delle
proporzioni armoniose.
5° Lo scheletro ricostituito con l'aiuto dei differenti elementi che ci sono
stati presentati risulta essere incompleto.
6° Lo scheletro così ricostituito appartiene manifestamente a quello di uno
individuo di sesso maschile: la conformazione particolare delle ossa del bacino
è particolarmente netta. La direzione delle ali iliache che non permettono
l'allargamento di questa cavità, lo spessore delle ali iliache, la conformazione
del foro otturato ne sono una testimonianza valida. Parimenti si deve segnalare
il forte sviluppo di certe parti ossee, in particolare della mandibola che è
robusta e pesante. Tutte le inserzioni ossee dei differenti muscoli presentano
sporgenze notevoli (per esempio sviluppo ostacolato delle apofisi ).
7° Questo scheletro è appartenuto ad un uomo vecchio. La sutura pareto-occipitale destra presenta una sinostosi quasi completa, fenomeno che
sopraggiunge generalmente a partire dall'età di 75 anni. Siccome questa sutura
rimane ancora leggermente visibile, l'età della persona doveva avvicinarsi a
questo valore. Peraltro la corticale delle ossa lunghe è sottile, il sistema transcolare ogivale dell'estremità superiore del femore è
sparito da rarefazione, i bordi articolari di certe cavità sono irregolari a
causa della presenza di piccoli osteofiti (formazioni ossee). Tutte queste
caratteristiche sono segni di vecchiaia.
8° La taglia dell'individuo al quale è appartenuto questo scheletro può essere
determinata dalla lunghezza dei suoi femori. Riferendosi alle tabelle
stabilite per questo scopo si constata che questa taglia doveva essere
localizzata tra 1,64 e 1,65 m.
9° Alcune caratteristiche particolari devono essere notate:
a) l'abrasione della superficie triturante del molare restante, caratteristica che si osserva
frequentemente nelle persone sottomesse ad un'alimentazione a predominanza
vegetariana.
b) la perdita del primo molare inferiore sinistro durante la vita ed il
riempimento del suo alveolo con tessuto osseo cicatrizzante.
c) l'esistenza di un'osteite della parete esterna dell'occipitale con una
cicatrice irregolare.
d) dal punto di vista osteologico, la parte dell'osso sacro che rimane è
appiattita.
10° I soli criteri portati da un studio attento della morfologia esterna e della
struttura interiore delle ossa non permettono di fissare di un modo preciso il
lasso di tempo trascorso dalla morte dell'individuo al quale è appartenuto
questo scheletro. Tuttavia, lo stato di conservazione dei frammenti ossei e la
loro colorazione permettono di pensare che si tratti di un scheletro che data
parecchi secoli. Un'anzianità di circa 1400 anni è perfettamente ammissibile.
Queste conclusioni anatomiche sono dunque molto precise: convergono
perfettamente coi dati della tradizione storica. Evidentemente, in questo genere
di ricerca, la certezza assoluta non esiste, e persone pessimiste di natura potranno contestare sempre la realtà dei fatti. Tuttavia, davanti ad un insieme
simile di prove, si deve sinceramente riconoscere che esistono le più forti
presunzioni in favore dell'autenticità di queste reliquie.
Professor A. Beau
Decano onorario della Facoltà di Medicina di Nancy
Riferimenti:
1) La vie du bienheureux Père saint Benoît. Deuxième livre des "Dialogues",
Grégoire le Grand. Traduction nouvelle par les Bénédictins de Paris (1922).
2) Texte du Palimpseste de Munich - in : (Al Fleureau). Le corps de saint Benoît à
Fleury-sur-Loire (Gien, 1941)
3) Texte de la translation des reliques de sainte
Scholastique à Juvigny (latin) in : Offices propres de quelques festes de
saincts particuliers celebrez au monastère de sainte Scholastique à Juvigny,
ordre de sainct Benoist - Toul, 1648.
4) Dom Déodat Galli - Saint Benoît en
France - Ed. de Fleury 1949.
La cripta dell'abbazia di Fleury dove sono conservate le reliquie e l'urna
che le contiene
Seconda parte - Conoscenze sulle reliquie di Montecassino
Anselm Davril, monaco dell’abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire
Siamo documentati meno bene sulla storia delle reliquie trovate nel 1950 che sulla
storia della tomba di san Benedetto. Nella prima parte cercheremo di descrivere
ciò che è stato trovato, poi si tenterà di seguire la storia di questo
deposizione.
La ricognizione del 1950
Il racconto dettagliato della scoperta e della ricognizione delle reliquie
contenute nel loculo sotto l'altare maggiore di Montecassino è stato pubblicato
da Dom T. Leccisotti nella prima parte dell'opera "Il sepolcro di S. Benedetto".
Eccone brevemente il riassunto.
Il martedì 1 agosto 1950, sotto la presidenza di Dom Ildefonse Rea, Abate
Ordinario di Montecassino, si demolì l'altare maggiore, ricostruito in mattoni
dopo i bombardamenti, e si cominciò a scavare. La sera, verso le 18, si scoprì
la lastra di marmo con iscrizione che aveva fatto porre Jean Antoine Caraffa nel
1486. Tolta questa lastra, apparve l'urna di alabastro nella quale l'abate
Angelo della Noce aveva fatto porre le reliquie nell'agosto 1659. L'urna
misurava 75 cm di lunghezza, 39 cm di larghezza e 33 cm di altezza senza il
coperchio; fu tolta dal loculo, poi trasportata nella parte degli edifici già
restaurati dove risiedeva la comunità.
L'indomani, l'urna fu aperta. Sotto il coperchio si leggeva l'iscrizione "Ssmi
Benedicti et Scholast. sacra ossa et cineres"; all'interno si trovava un
cofanetto in legna di cipresso, abbastanza rovinato, che conteneva a sua volta
un cofanetto di piombo sul coperchio del quale era inciso: "Ssmus P. P.
Benedictus et Scholastica". Quest'ultimo cofanetto misurava 55 cm di lunghezza,
25 cm di altezza, era diviso da una lama di piombo in due parti disuguali, la
più grande piena per due terzi di ossa mescolate, l'altra piena per metà di
frammenti e di ceneri.
Il 5 agosto ebbe luogo una prima perizia medica da parte dei professori O.
Lambertini, M. Mazzeo, L. Olivieri, P. Scrocea dell'università di Napoli ed il
professore O. Matronola dell'università di Roma. Durante un secondo sessione,
l'8 agosto, il dottor D. Catalano, radiologo assistente dell'istituto di
anatomia di Napoli, procedette ad un esame radiologico di alcune delle ossa.
Lo studio anatomico delle ossa fu in seguito portato avanti dal Professor
Olivieri durante le sessioni del 14, 21, 28 gennaio, 4 e 10 febbraio 1951,
mentre il Dottor Catalano continuava lo studio radiologico. Infine dal 26 al 29
settembre, il Professor A. Revolta fece subire alle ossa un trattamento
destinato a metterle al riparo da deterioramenti futuri.
Il Padre M. H. Laurent, nel suo resoconto "Il sepolcro" ha rimproverato ai
monaci di Montecassino di non avere utilizzato il metodo di datazione con
radio-carbonio sulle ossa esumate nel 1950. Il ricorso a questo procedimento,
che era stato considerato anche a proposito delle ossa di Fleury e di Juvigny,
era in effetti perfettamente illusorio ed irrealizzabile perché sarebbe occorso
distruggere la maggior parte delle ossa per arrivare al massimo ad
un'approssimazione di parecchi secoli. Ci si riferirà a questo riguardo alla
documentazione raccolta da Dom T. Leccisotti dal Professor Olivieri e
soprattutto dall'istituto di Geochimica dell'università di Roma e che ha
pubblicato nel suo articolo "Ancora del sepolcro di S. Benedetto", p. 321-329.
Le reliquie furono infine rimesse in loco e furono sigillate il 1° dicembre 1955
sotto l'altare maggiore della basilica magnificamente restaurata.
Ciò che è stato trovato nel 1950
Secondo lo studio pubblicato dal Professor L. Olivieri ed dal Dottor D.
Catalano, ecco la nomenclatura delle ossa contenute nell'urna di alabastro:
Vi risparmio le 8 pagine di descrizioni delle ossa, per venire al dunque:
Il paragone tra queste nomenclature e quella delle ossa conservate a Fleury ed a
Juvigny, o proveniente da questi due depositi, fa risultare un certo numero di
doppioni che impedirebbero di supporre che le ossa conservate in Francia ed a Montecassino possano appartenere agli stessi individui maschili e femminili.
Sembra chiaramente di essere in presenza, sia da una parte che dall'altra, di
due scheletri distinti di uomo e di donna.
È tuttavia spiacevole che non sia stato possibile, per sollevare definitivamente
ogni esitazione su questo punto, di procedere ad un confronto, se non delle ossa
stesse, ciò che avrebbe comportato delle grosse difficoltà, per lo meno meno
delle ossa di Montecassino coi calchi di quelle di Fleury e di Juvigny che
sarebbe stato facile trasportare. Al posto di ciò dobbiamo accontentarci di
giudicare su una nomenclatura sommaria dove le dimensioni stesse delle ossa sono
date raramente, e su alcune foto e radiografie, senza che sia stato possibile
confrontare le superfici articolari. Se non si fosse provveduto ad un tale
confronto tra le ossa di Fleury e quelle di Juvigny, non si sarebbe mai scoperto
che i due astragali conservati da una parte e dall'altra appartenevano allo
stesso individuo. E ciò benché le perizie siano state condotte a Fleury ed a
Juvigny dagli stessi anatomisti.
Storia delle reliquie esumate nel 1950
Fotografia dell'epoca che ritrae le reliquie di Montecassino
Nella quarta parte del volume "Il sepolcro, La testimonianza storica" p. 99-242,
Dom T. Leccisotti vuole provare l'autenticità di queste reliquie partendo dalla
continuità della tradizione cassinese, ma i suoi sforzi sono stati giudicati
severamente dalle recensioni apparse nelle principali riviste storiche. Egli ha
avuto tuttavia il merito di riunire e pubblicare i testi che, insieme ai dati
dell'archeologia, permettono di fare la storia di questo deposito di reliquie.
Soltanto l'appartenenza allo stesso corpo della reliquia di Leno-Brescia e delle
ossa del 1950 potrebbe obbligare ad ammettere che queste ossa erano già
conosciute e venerate come reliquie di san Benedetto prima della scoperta di
Didier nell' XI° secolo. Ma bisogna rinunciare a questa ipotesi malgrado
l'affermazione de "Il sepolcro", p. 44, nota 1. Difatti il cubito sinistro che
porta ancora tracce di aderenza di carne che abbiamo visto a Brescia è diverso
dalle ossa di Montecassino, così come ci sono descritte ne "Il sepolcro", tanto
quanto da quelle di Fleury.
Dice Dom PH. SCHMIDT nel "Bulletin d'Histoire Bénédictine" 5, p. 354-355: "Sono
costretto a dire che le pagine dedicate all'esame dei dati storici non mi hanno
convinto per niente. Tralasciando il tono che è quello della polemica e della
tesi che bisogna provare ad ogni costo, mi sembra che manchi di critica e di
metodo di fondo". Il P. M. H. Laurent, o.p. nella "Revue d'Histoire
Ecclésiastique" 47 (19,52), p. 653-660 fa una critica più dettagliata del
volume, forse troppo esclusivamente negativa. Citiamo solamente queste righe:
"La tesi di Montecassino ci è oggi esposta con un'abbondanza di notizie.
Discutere i molteplici dettagli di queste pagine sarebbe un vano lavoro. Tre
punti sono fondamentali: la testimonianza di Paul Diacre; il racconto del
ritrovamento dovuto allo zelo dell'abate Didier; le relazioni dei diversi
ritrovamenti chi si sono succeduti durante il XV° e il XVI° secolo. Questi testi
ci autorizzano ad attribuire gli scheletri ritrovati nel 1950 a san Benedetto ed
a santa Scolastica? Lo si è creduto, ma mi si permetterà di dubitare". (Bisogna
aggiungere che il P. Laurent, non accorda neanche credito alla tesi di una
traslazione a Fleury). Dom T. Leccisotti ha risposto a queste critiche con il
libro "Ancora del sepolcro di S. Benedetto", in "Benedictina" 7 (1953) p.
195-318 senza portare nessuno elemento nuovo.)
Quando alle numerose testimonianze portate da Dom Leccisotti sulla credenza
nella presenza del corpo di S. Benedetto a Montecassino, non ci dicono niente
sulla natura di questo corpo. Pur ammettendo con P. Meyvaërt, in base alla
testimonianza dell'abate Berthaire, che fin dalla fine del IX° s. ci si
rifiutava di ammettere a Montecassino che la traslazione menzionata da Paolo
Diacono avesse avuto luogo. Resta l'ipotesi di una restituzione parziale da Fleury in seguito alla lettera di papa Zacccaria. Nessuna testimonianza storica
ci induce a credere che abbia avuto luogo, e anche supponendo che abbia potuto
aver luogo, è certo che le reliquie del 1950 non provengono da questa
restituzione poiché vi si trovano ossa o frammenti di ossa di tutte le parti del
corpo e il confronto delle nomenclature fa apparire l'esistenza di parecchi
doppioni di ossa. Ancora una volta si riscontra che solo la reliquia di
Leno-Brescia avrebbe potuto portare una certezza, se fosse stata riconosciuta
come facente parte dell'insieme delle ossa di Fleury-Juvigny.
La storia delle reliquie esumate nel 1950 non può cominciare dunque che con il
ritrovamento dell'abate Didier nel 1066, ma i racconti di questo ritrovamento
non ci dicono niente sulle reliquie stesse. Il "Chronicon Casinese" di Leone di
Ostia non fa nessuna menzione di santa Scolastica né della sua tomba e non ci
dice esplicitamente se la tomba di S. Benedetto sia stata aperta. I supplementi
di informazioni forniti da Pierre Diacre, nella misura in cui si può dar loro
affidabilità, suppongono che le due tombe furono aperte, che le ossa e le
ceneri furono separate e conservate a parte. A destra, in un loculo di marmo, le
ossa dei due santi, a sinistra, in un cofanetto di legno, le loro ceneri. Ma non
si ci dice dove era posto il mattone che "porta il nome del santo confessore",
unico criterio dell'identificazione dei resti di S. Benedetto. Non ci si dice
neanche niente sullo stato di conservazione delle ossa mentre l'Epitome ed il
Sermone di Pierre Diacre precisano che Costantino e Simplicio furono ritrovati "cum
integris ossibus suis quiescentes". Non sappiamo dunque esattamente ciò che ha
trovato l'abate Didier.
Durante quattro secoli le cose rimasero nello stato in cui Didier le aveva
lasciate, attraversando tutte le vicissitudini passate dal monastero e dalla
basilica. I testi non c'insegnano niente di preciso sulle ossa e si è visto che
quando il cardinale commendatario Giovanni di Aragona fece intraprendere degli
scavi sotto l'altare maggiore, non solo non si sapeva esattamente ciò che si
andava a trovare, ma uno degli scopi dei lavori intrapresi era di assicurarsi
della presenza delle reliquie del santo fondatore che certuni mettevano in
dubbio a causa di voci concernente la traslazione. Dopo vari tentativi si
ritrovò il "loculus marmoreus" ed il "loculus ligneus" di Didier che fu aperto,
ed il documento del notaio Cristoforo Perone ci dice che le reliquie non furono
toccate: "ad corpora beatissimi patris Benedicti et Scholasticae redierunt, ex
quorum carne super tabulam porfiream mannam continue distillare viderunt, et
miraculose in ipsa tabula conservari, ed ipsam non egredi, ed ex hoc dicta
corpora sanctorum non amoverunt, et continue a monachis ipsa corpora custodiri
fecerunt". Al contrario le reliquie di Costantino, Simplicio e Carlomanno furono
depositate nella sagrestia.
Alcuni giorni più tardi il cardinale di Aragona si recò personalmente a
Montecassino e fece riaprire il loculo di marmo. Secondo il racconto anonimo che
P. Meyvaërt, completando i Bollandisti, chiama BI-lL 1143 c, i tentativi fatti
allora per estrarre delle reliquie si sarebbero conclusi con un insuccesso, "sed
levare nequibat neque tenere quia in modum olei relabebantur nec tamen quicquam
digitis adherebat. Quare territi omnes cessaverunt et rursum claudentes abierunt".
Ma si tratta di un racconto agiografico che si può utilizzare solamente con
precauzione. Sembra infatti che certe reliquie (quali ed in quale quantità?)
dovettero pure essere estratte, a testimonianza dell'autentica del 1487
conservato a Subiaco: "Hic sunt reliquie. .. extracte de sepultura eorum in
Monte Cassino per venerabilem dominum episcopum Aquilanum". Parimenti un
inventario cassinese del 1497 segnala nel tesoro delle reliquie dell'abbazia: un
dito di san Benedetto, un braccio di santa Scolastica e delle "reliquiae S.
Benedicti", senza altra precisione.
Non sembra che i due loculi, di marmo e di legno, furono aperti o modificati
quando Jean Antoine Caraffa fece rimettere a posto l'altare maggiore il 18
novembre 1486. Il processo verbale di C. Perone segnala che le reliquie di
Costantino, Simplicio e Carlomanno, trovate in loculi di legno, furono rinchiuse
in cofanetti di piombo prima di essere rimesse al loro posto, ma non segnala
nessuna modifica concernente le reliquie di san Benedetto e di santa Scolastica,
che furono ricoperte con una lastra di marmo che porta un'iscrizione.
Un secolo più tardi, il 12 marzo 1545, l'abate Dom Geronimo di Piacenza, che
aveva fatto abbattere l'abside con l'altare di San Giovanni Battista per
trasportare il coro dietro il santuario, volle, una volta ancora, ingrandire
l'altare maggiore e si imbatté, sempre inaspettatamente, sulle tombe di san
Benedetto e di santa Scolastica: "Si scoprì un principio d'una grotta: e volendo
vedere, che cosa era si trovò essere: dove erano li sepulchri del Santissimo
Padre Benedetto, et Scholastica". Si trovò poi la lastra di marmo con
l'iscrizione posta dal governatore J. A. Caraffa (il racconto detto sopra del
Card. Giovanni di Aragonia); " tolta questa, prosegue il narratore, il sepolcro
apparve e presero la testa di san Benedetto e quella di santa Scolastica e le
fecero baciare con molte lacrime da tutti i monaci che videro della manna
trasudante delle sante ossa. Questo ebbe luogo il dodicesimo giorno del mese di
marzo, un sabato. Il 13 dello stesso mese, il governatore venne con tutti i
cittadini di San Germano ai quali l'abate fece baciare le sante reliquie"
(probabilmente sempre i due crani). Poi il sepolcro fu murato di nuovo.
Per la prima volta abbiamo dunque una precisione concernente le reliquie stesse,
ci si segnala la presenza dei due crani ancora in buono stato poiché si può
prenderli e darli a baciare ad un pubblico numeroso. Ma questo racconto non è
contemporaneo agli avvenimenti poiché è dovuto a Dom Onorato Medici, redattore
degli "Annali Cassinesi", continuazione del "Chronicon Casinense", che fece
professione a Montecassino nel 1571, cioè ventisei anni dopo gli avvenimenti (e
Dom Medici non redasse i suoi Annali nell'anno della sua professione). Sebbene
non ci sia motivo di mettere in dubbio la veridicità del fatto del ritrovamento
delle reliquie, tuttavia si deve essere più prudenti sui dettagli che ci
fornisce. Si sarà notato che dapprima parla di sepolcri al plurale (li sepulchri);
poi, dopo la scoperta della lastra di marmo con l'iscrizione, del sepolcro al
singolare, (il sepulchro), ciò che sembra più conforme a quello che sappiamo dei
lavori eseguiti nell' XI° e XV° secolo. Ci è anche permesso di porci una domanda
sui due crani di san Benedetto e santa Scolastica. Vedremo che si riparlerà nel
1659 del capo di san Benedetto, per spiegare che è stato rotto accidentalmente,
mentre di quello di santa Scolastica non se ne parlerà più. E come può essere
che attualmente vi siano solo dei piccoli pezzi dei due crani se erano ancora
entrambi in buono stato nel 1545? Anche se fossero spezzati dovrebbero esserci
tutti i frammenti. Invece si è lontani da questo risultato, in particolare per
quel che riguarda lo scheletro femminile, come si può constatare leggendo la
nomenclatura delle ossa o guardando le figure 40 e 41 de "Il sepolcro", che
rappresentano le ossa disposte secondo la ricostruzione ideale dei due scheletri
Nel 1637 l'abate Simplicio Caffarelli fece di nuovo delle modifiche nella
chiesa, volendo abbassare il livello del santuario. Inoltre l'altare di san
Benedetto viene spostato leggermente a destra e di una distanza di più di tre
palmi all'indietro , con lo scopo di porlo perpendicolare alla lanterna della
cupola. Scavando si rinvennero all' "angolo del Vangelo" (cioè a sud, perché,
spiega Dom Leccisotti , l'altare era posto verso il coro) i corpi dei santi
Simplicio e Costantino in piccole urne ai piedi del sepolcro di san Benedetto
segnalato dalla lastra di marmo di J. A. Caraffa. Le ossa del santo Patriarca
non vennero toccate, ci si dice, per timore dei castighi del cielo. Al
contrario, le reliquie di Simplicio e Costantino furono portate alla sagrestia
così come quelle di Carlomanno ritrovate in un cofanetto di piombo all' "angolo
dell'epistola", dunque a nord.
Il 7 agosto 1659, sotto l'abate della Noce, ebbe luogo, in occasione del nuovo
piano di sviluppo del santuario, un'ultimo ritrovamento che ci fornisce alcuni
dettagli sulle reliquie stesse. Della Noce le descrive così: "ex recenti
inspectione anni 1659, costae aliquae, cranii partes crassiores, os quod vocatur
sacrum, altera licet parte corrosum superesse conspeximus , praeter ossa
minutiora innumera, cineresque copiosos, in eadem capsula sepositos".
Si tratta probabilmente delle reliquie dei due santi mischiate nello stesso "loculus"
di marmo. È tuttavia sorprendente che l'abate che identifica l'osso sacro non
dica niente della scapola e dell'osso iliaco molto più importante. Se ci si
riferisce alle nomenclature o alle foto delle figure 40 e 41, si constata che
l'osso sacro è l'elemento più importante delle ossa dello scheletro maschile,
mentre la scapola e l'osso iliaco sono stati attribuiti dagli anatomisti allo
scheletro femminile. Della Noce era in grado di fare questa distinzione, ed è
volontariamente che menziona solamente le reliquie di san Benedetto e non quelle
di santa Scolastica, o queste ultime non si trovavano nel "loculus" che aprì?
Stessa osservazione a proposito dei "cranii partes crassiores" che sarebbero
tutto ciò che resta dei due capi che l'abate Geronimo di Piacenza avrebbe fatto
venerare nel 1545, dunque un secolo prima. La stessa spiegazione che Della Noce
fornisce ai Bollandisti: "caput quoque ex marmoreae tabulae casu, in ipsum
procidentis loculum, fuisse ex parte comminutum" suppone che vi era un solo
cranio quando aprì il "loculus".
È l'abate Della Noce che fece preparare l'urna di alabastro che contiene il
cofanetto di legno di cipresso ed il cofanetto di piombo diviso in due scomparti
che furono rinvenuti il 1° e il 2 agosto 1950. È sempre lui che, a giudizio di
Dom Pantoni, fece costruire i rivestimenti di mattone sulle pareti del "loculus".
In conclusione, se risaliamo alla storia della deposizione delle reliquie
esumate nel 1950, dobbiamo dire che si tratta evidentemente delle reliquie
chiuse nel 1659 dall'abate Della Noce. Sono molto probabilmente quelle stesse
che vennero alla luce nel 1484, sebbene un punto interrogativo si ponga ancora a
proposito delle ossa femminili. Con ogni probabilità, queste reliquie esumate
nel 1484 sono quelle che l'abate Didier aveva deposto nella tomba di san
Benedetto nel 1066. Ma che ha trovato Didier? Ha creduto di avere ritrovato i
corpi di san Benedetto e di santa Scolastica. Su che cosa si basava questa
credenza? Su un mattone che porta il nome del santo confessore, se crediamo a
Pierre Diacre.
In definitiva, né la storia del sepolcro, né la storia della deposizione delle
reliquie permettono di avere una certezza. Del punto di vista archeologico, non
esiste prova che le ossa che erano nell'urna dell'abate Della Noce riposassero
all'origine nelle tombe identificate come quelle di san Benedetto e di santa
Scolastica e non altrove.
Comunque sia della presenza delle reliquie, è certo che un culto di san
Benedetto esisteva a Monte Cassino fin dalla fine dell' VIII° secolo, come
testimoniano i quattro calendari pubblicati da Dom Morin che menzionano tutti
la festa del 21 marzo. E la dedica di un altare a san Benedetto il 3 giugno
nell'oratorio San Giovanni Battista, menzionata da tre di questi calendari,
permette di aggiungere che un culto esisteva sul luogo che san Benedetto aveva
scelto per essere inumato e dove il suo corpo tornò in polvere, luogo che
resterà sempre santo e venerabile per ogni figlio del santo Patriarca.
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net