LA REGOLA DEL MAESTRO
L'OSSERVANZA
Estratto e tradotto da
"La Règle du Maître.
Introduction, texte, traduction et notes par Adalbert de Vogüé.
Sources Chrétiennes 105–7. Paris: Cerf, 1964–65
Nel quadro spaziale e temporale che abbiamo tracciato, la comunità del Maestro
conduce un'esistenza che ci è conosciuta nei minimi dettagli. Tuttavia, non
intendiamo crearne un'immagine pittoresca, ma solo abbozzare le linee principali
dell'osservanza e situarle nella storia delle istituzioni monastiche.
Tre quarti della giornata sono occupati dal lavoro manuale. Il lavoro deve
essere conforme alle esigenze del raccoglimento e del digiuno, ciò che fa
escludere il lavoro dei campi (RM cap. 86). Si praticano solo mestieri
artigianali e giardinaggio. Bisogna aggiungere anche i viaggi di lavoro o per
commissioni. Il desiderio del Maestro di imporre un comportamento monastico alle
spedizioni fuori dalla recinzione del monastero porta a minuziose regole: la
quantità del cibo, l'ora dei pasti, il modo di pregare l'Ufficio divino, il
cerimoniale per le visite e per i brevi incontri, i tempi riservati alla
lectio. Niente è stato lasciato al
caso.
La lectio, che occupa il primo o
l’ultimo quarto della giornata,
[1] è un esercizio comunitario. I fratelli si
riuniscono nei rispettivi gruppi di dieci ed ascoltano un lettore, uno dopo
l’altro, che legge l’unico codex.
Allo stesso tempo, uno dei litterati
insegna a leggere ai fanciulli ed agli analfabeti, mentre quelli che non hanno
ancora imparato a memoria il salterio si esercitano a recitarlo. Tutto ciò
costituisce l'opus spiritale. Il
Maestro gli attribuisce una tale importanza che non ne dispensa nessuno, nemmeno
quelli in viaggio. La lettura può sostituire il lavoro manuale in caso di
indisposizione fisica o di digiuno supererogatorio, (cioè “oltre quanto
d’obbligo”. Ndt.).
L'attività intellettuale non si limitava a queste tre ore al giorno. Durante il
lavoro manuale della giornata, i fratelli sono stati esortati a “ruminare” i
salmi e la Scrittura.
[2] Questa “meditazione” è un esercizio orale
svolto a bassa voce. Si possono porre anche questioni di interesse spirituale,
tranne che in presenza dell'abate. Soprattutto, il lavoro manuale è accompagnato
dalla lettura se i lavoratori formavano un gruppo sufficientemente numeroso.
L'intera giornata è così immersa nel raccoglimento e nell'attenzione alla parola
di Dio.
Oltre alle ore prescritte, i fratelli hanno a disposizione del tempo libero da
dedicare allo studio. Tali sono le ultime ore della notte dopo i Notturni in
inverno e l’intera giornata della domenica.
In materia di digiuno, il Maestro si mostra fedele all'antico principio
dell’unico pasto all'ora di nona.
[3] Come le prime generazioni di monaci, egli
non conosce altre variazioni se non il digiuno quaresimale più severo e
l'allentamento del digiuno nel tempo pasquale. Tuttavia, a Natale stabilisce dei
tempi di penitenza e di remissione analoghi a quelli del tempo pasquale. Inoltre
esclude il giovedì dal digiuno, tranne che in Quaresima. Oltre a queste
innovazioni, la RM mantiene il primitivo sistema del digiuno uniforme in tutti i
giorni dell’anno, differentemente dai sistemi più recenti in cui le disposizioni
alimentari variano con le stagioni.
[4]
Il mantenimento del digiuno nei giorni feriali in estate non poteva che apparire
oneroso. Un'eco di certe lamentele si percepisce nelle considerazioni che aprono
il capitolo 28. Inoltre, le impostazioni previste per i fanciulli e per i
viaggiatori sono come le basi di una mitigazione più generale. Da parte di
Cesario e Aureliano di Arles, così come da parte di san Benedetto, il digiuno
estivo viene ridotto a due o tre giorni alla settimana, una mitigazione non
ancora concessa nella RM se non a categorie speciali.
L'astinenza, d'altra parte, non è così rigorosa come ci si potrebbe aspettare.
[5] La carne veniva servita il giovedì santo
e tutti potevano scegliere portate di carne ai pasti durante il periodo pasquale
e natalizio. A parte le penitenze quaresimali, le regole alimentari della
comunità erano, nel complesso, abbastanza liberali.
[6] Il vino si consuma ai pasti in tutte le
stagioni ed i fratelli si riuniscono la sera in refettorio per un giro di
bevanda ogni volta che rimane del tempo dopo il pasto.
Il regime delle pene è notevolmente più complesso che in Cassiano. Cassiano
prevede solo la scomunica o le frustate, secondo la gravità della colpa (Institutiones
4,16). Il Maestro prescrive inoltre una
serie di ammonimenti privati.
[7] Inoltre, distingue due tipi di scomunica,
mentre Cassiano ne conosceva solo una. Quanto alle frustate, non vengono
amministrate agli adulti, tranne che raramente e con riluttanza.
[8] Per le colpe ordinarie il Maestro
preferisce i prolungamenti dei digiuni e la riduzione di pane e vino.
In materia di veglie, il Maestro ha conservato un'osservanza primitiva: la
grande veglia nella notte tra sabato e domenica (RM 49). Pur essendo questa
usanza piuttosto arcaica,
[9] essa è ancora una pratica comune nella
prima metà del VI secolo, quando i vescovi di Arles prescrivono due grandi
veglie settimanali. Le norme sulle veglie nella RM sono molto moderate per le
altre sei notti della settimana, soprattutto quando si confrontano i Notturni
del Maestro con quelli dell'Ordo
lirinensis. In tutti i tempi è lecito dormire durante le ultime ore della
notte, usanza che ancora prevaleva in alcuni monasteri romani in pieno VIII
secolo.
[10] In estate l'intera comunità approfitta
di questo secondo periodo di sonno ed un riposo all'ora di sesta compensa la
brevità della notte. Questa siesta sembra essere un'innovazione in rapporto alle
osservanze delle prime generazioni di monaci. Né Girolamo, né Cassiano, né
alcuno dei loro contemporanei ne parlano.
Il ciclo delle ore dell’Ufficio include Prima. Quest'ora è interamente
assimilata alla Terza, Sesta e Nona, senza che nulla suggerisca la sua origine
recente. Eppure è noto che Prima non apparse esplicitamente in Occidente prima
di Cesario d’Arles, e anche ad Arles divenne un ufficio quotidiano solo con
Aureliano. Anche Cassiodoro non la menziona.
[11] Questi fatti sembrano impedirci di
datare l'ordo del Maestro
anteriormente ai primi decenni del VI secolo. L'ordo
da cui dipende San Benedetto sembra aver conosciuto anche Prima, sia il nome
dell'ora che la sua conformità con le altre piccole ore.
Una caratteristica distintiva dell'orario dell’Ufficio è la sua semplicità. Le
ore solari sono rigorosamente rispettate, senza quei ritardi ed anticipazioni
che conferiscono una fisionomia così complicata all'orario di san Benedetto.
L'unica concessione di questo genere che il Maestro concede è quella di
anticipare un po' i Vespisti, specialmente d'estate (RM 34,12-13). Questa
fedeltà all'orario primitivo è un segno di anzianità della Regola.
Considerata nel suo insieme, questa osservanza non sembra particolarmente rigida
se confrontata con altre regole dell'antichità. Una vera preoccupazione per la
discrezione la ispira. Ma due tratti salienti distinguono il nostro legislatore.
Il primo è la sua inclinazione a considerare con sospetto tutti i tipi di
dispensa. Con spietata severità cerca di scoprire tutti i falsi pretesti di
malattia. Ufficio, lavoro, astinenza e digiuno, tutti i punti dell’obbedienza
devono essere gelosamente mantenuti dall'abate. L'abate deve diffidare di
chiunque cerchi di essere esentato da uno qualsiasi di questi punti.
[12]
In secondo luogo, il Maestro mostra un'estrema minuziosità. Nessun dettaglio
viene tralasciato, nessuna evenienza è lasciata all’imprevisto, nessuna
situazione sfugge dall’essere oggetto di precise regolamentazioni. Il risultato
più divertente di questa tendenza è lo straordinario capitolo 61, dove l'ora dei
pasti consumati fuori dal recinto del monastero è determinata tenendo conto di
tre variabili: la qualità di colui che invita, l’insistenza dell'invito ed il
giorno della settimana, ciò che dà luogo ad una decina di diverse soluzioni! Il
nostro autore tradisce spesso questa attitudine al giuridismo ed alla casistica.
Anche il suo vocabolario indica una formazione giuridica ed una tendenza a
vedere tutto da questa angolazione.
[13] Sicuramente nulla ha sminuito la sua
influenza quanto la minuziosa precisione delle sue regole. Una legislazione così
rigida e così dettagliata difficilmente poteva estendersi oltre lo stretto
recinto per cui era stata concepita. Ma avremmo torto a lamentarci, perché è
proprio questa abbondanza di dettagli precisi ciò che rende la RM un documento
ineguagliabile per lo storico.
[1]
L'orario normale per la lectio
è all'inizio della giornata. Si veda Cesario d'Arles,
Regula ad monachos 14 e
Regula virginum 19-20 (cfr.
Reg. Virg. 69). Il motivo è
ben affermato da Pelagio, Ep. ad
Demetriadem 23 (PL 30: 37b): la parte migliore della giornata, cioè
le prime tre ore, devono essere dedicate alla lectio. In
Ep. II ad virginem attribuita
a Cesario (PL 30: 1132c) si ha la stessa motivazione. Le regole galliche
del quinto e sesto secolo pongono tutte la lettura all'inizio della
giornata come Cesario. Si vedano i testi analizzati da G. Holzherr, "Die
Regula Ferioli", in Studia
Anselmiana 42 (Roma, 1957), pag. 227-228. L'agostiniano
Ordo monasterii, invece,
prescrive la lettura di Sesta all'ora none (cap. 3, in
Revue Bénédictine 42 [1930],
pag. 319). Può darsi che il Maestro abbia preso in prestito entrambe le
osservanze - la lectio mattutina e quella pomeridiana - da queste due
diverse tradizioni, ripartendole a seconda delle stagioni ed assegnando
a questa ripartizione un proprio significato pratico.
[2]
Salvo all’uscita dall’oratorio, dopo l’Ufficio (RM cap. 68). La
“meditazione” è una pratica costante ed universale nel monachesimo.
[3]
Girolamo, Epistula, 22,35.
Gli Egiziani che descrive Cassiano osservano anche loro un digiuno
uniforme tutto l’anno, senza variazioni stagionali (Conlationes
21, 29-30). Inoltre si dispensano dal digiuno non solo la domenica, ma
anche il sabato (Institutiones
3,10-12). A tale riguardo il Maestro non porta nessuna innovazione
accordando due giorni di dispensa a settimana. Egli sostituisce il
sabato, giorno di digiuno a Roma, con il giovedì.
[4]
Si vedano per esempio le regole di Ceasrio e di Aureliano.
[5]
RM 53, 26-33; Cfr. 45,3. Si confronti Cesario, Regula ad Monachos 24:
pullos et carnes nunquam sani accipiant, (I sani non ricevano mai
pollame e carne), che rende io tono di tutto il monachesimo antico.
[6]
La Regula Benedicti indica un menu quasi identico, ma assume un
atteggiamento restrittivo riguardo al secondo piatto ed al vino. Non c’è
traccia di queste riserve presso il Maestro.
[7]
Queste prescrizioni, di origine evangelica, mancano in Cassiano, ma
figurano in Pacomio, Basilio, Agostino e tutti i legislatori posteriori.
[8]
Una colpa molto grave (RM 24,87); rifiuto di dare soddisfazione (RM
13,69-72). Cesario dice categoricamente che chiunque arriva all'Ufficio
in ritardo deve essere punito con la verga (Reg.
ad Mon. 11). Per Colombano, le percosse erano la cosa ordinaria. In
questo, c'è un'opposizione radicale tra la RM ed il monachesimo di
Colombano.
[9]
La grande veglia sparirà nella
Regula Benedicti e nell’Ufficio Romano. Anche nell’Ordo
monasterii di Agostino non se ne fa menzione.
[10]
Si veda l’Ordo romanus XVIII,
19 (Andrieu, III, 207, 19). Si tratta dell’usanza contro la quale
insorgeva Cassiano, Inst.
3,5.
[11]
Expositio psalmorum 118, 164,
in Patrologia Latina 70, 895
c.
[12]
Si veda RM 69; 28,17; 53,5. La stessa diffidenza nei riguardi degli
ospiti (Cap. 78-79) e dei postulanti (Cap. 87-91).
[13]
Ce ne renderemo conto studiando per esempio l’impiego di parole come
debitus, iuste, iniuste, digne,
dignus, indigne.
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31 dicembre 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net