LA REGOLA DEL MAESTRO

TEMPO E LUOGO DI COMPOSIZIONE

Estratto da “The Rule of the Master” – Introduzione a cura di Adalbert de Vogüé – Cistercian Publications 1977

(Libera traduzione dall’inglese)

 

IL PERIODO DI TEMPO

Dalle fonti utilizzate, il terminus a quo per la composizione della Regola può essere accertato con una certa precisione. Se le Passiones affabilmente citate dal Maestro non possono essere datate con certezza, c'è un accordo generale che la Vita Siluestri fu composta negli ultimi anni del V secolo. Questa Vita è infatti citata da un apocrifo Simmachiano dell'anno 501, il Gesta Liberii, in termini che indicano un aspetto molto recente. 1 Questa citazione esplicita accompagna una serie di passaggi non dichiarati apertamente e tratti da testi composti certamente all'inizio del VI secolo, come ad esempio il Simbolo Atanasiano (Quicumque vult), la Regula Monachorum di Cesario, e soprattutto il De vita contemplativa di Giulio Pomerio. 2

Il terminus ad quem è più difficile da determinare. Dall'età dei più antichi manoscritti, sappiamo che la RM è stato composta certamente prima della fine del VI secolo. 3 Se il testo stesso viene esaminato, le fonti forniranno ancora una volta alcuni elementi di una risposta, almeno probabile. Il Maestro ama citare alcuni apocrifi sia proibiti che sconsigliati dal cosiddetto Decreto Gelasiano. 4 E’ evidente che il nostro autore non sospettava che la sua lettura preferita sarebbe stata l'oggetto di questo tipo di valutazione critica. Ora, il Decreto, senza essere un documento ufficiale, espresse tuttavia il punto di vista e le pratiche della "chiesa romana", cioè di persone che disciplinavano il clero di Roma. Indipendentemente dal fatto che il compilatore appartenesse a questo ambiente, 5 non sembra esserci alcun dubbio su ciò che egli dice dei principi lì professati. Di conseguenza, il Decreto ci permette di conoscere le opere che hanno goduto di popolarità tra i fedeli romani ed, allo stesso tempo, il giudizio uniformato del clero su queste letture.

Questa immagine è particolarmente interessante per noi perché, come vedremo in seguito, la RM è stato composta con ogni probabilità nelle vicinanze di Roma. In realtà, gli interessi letterari dei cristiani di Roma che vediamo rispecchiati nel Decreto sono molto simili a quelli manifestati dalla RM. 6 Ma allora, come si spiega l'apparente indifferenza del nostro autore alle riserve e persino alle interdizioni che riguardano un certo numero delle sue letture preferite? 7 Un tale atteggiamento, soprattutto a capo di una comunità, sarebbe incomprensibile a meno che il clero romano non avesse ancora preso una posizione pubblica sulle opere sospette. La data in cui la RM è stata composta deve quindi essere ricondotta a prima di quella del Decreto o, più precisamente, a prima che la “Chiesa romana” avesse preso le posizioni espresse in quel documento. 8

Se fosse così, ci piacerebbe di essere in grado di datare il famoso Decreto con precisione. Purtroppo, la sua data non è più certa di quanto non sia la patria del compilatore. Alcuni storici parlano degli anni 520-530. 9 Altri sono inclini a porre un periodo precedente e più ampio. 10 In ogni caso, per quanto questo documento sia insoddisfacente per gli standard della scienza moderna, si deve supporre un lavoro di ricerca e di critica che si adatterebbe molto bene con quello che sappiamo del movimento intellettuale inaugurato a Roma, sotto Papa Gelasio. 11 E', a quanto pare, durante i due o tre decenni successivi al suo pontificato che il clero romano pensò di condurre una severa cernita di ciò che era correntemente letto da parte dei fedeli. Questo terminus ad cjuem, anche se non preciso, ci riporta al primo quarto del VI secolo, vale a dire, il periodo al quale l'esame delle fonti ci aveva portato.

Questa datazione concorda con l'impiego della RM da parte di San Benedetto. Ed è compatibile con le poche tenui indicazioni cronologiche che possono essere dedotte dal lavoro del Maestro. Il Maestro ha vissuto in un'epoca in cui esistevano ancora "infedeli" (RM 95,21). Sappiamo dalla Vita di San Benedetto che l'evangelizzazione di Cassino non era stata raggiunta all’epoca in cui il santo patriarca andò a vivere lì. 12 Il Maestro parla anche dell’''imperatore” (82,2) e del “designato Cesare” (93,63). Queste allusioni al regime imperiale non ci costringono a datare la RM prima della caduta dell'Impero d’Occidente (476) 13 o dopo la riconquista bizantina dell'Italia (535-540). Anche i francesi oggi parlano del “re” e del “delfino” anche se la regalità è scomparsa da un secolo e mezzo. Il modo di parlare del Maestro è facilmente comprensibile in un momento in cui, sotto il dominio di un re gotico, gli spiriti dei "Romani" d'Italia rimangono orgogliosi nel ricordare la Roma imperiale e sono aperti alla speranza della liberazione dagli eserciti bizantini.

La data che proponiamo è confermata in qualche misura da alcune indicazioni del ciclo liturgico, ovvero: l'esistenza della Prima e della Sexagesima, un commento ai Salmi in un contesto battesimale, un sistema di due letture dal Nuovo Testamento nella Messa e l’usanza di non cantare l'Alleluia fuori dal tempo pasquale. Qui, come si vedrà, abbiamo caratteristiche che meglio si ritrovano nei dintorni di Roma e Campania nel corso dei primi decenni del VI secolo. 14

 

LA REGIONE

Cerchiamo di riesaminare la fonti per ottenere qualsiasi indicazione che ci possono offrire sul tema della patria del Maestro. Il fatto principale è l'uso dell'autore di quattro vite di santi tipicamente romani: Anastasio, Eugenia, Sebastiano e Silvestro. Questi santi non solo avevano un santuario a Roma e sono stati lì oggetto di un culto, ma i loro atti stessi sono tra i più caratteristici tra ciò che è stato chiamato “leggendario romano”. 15 Alcuni anni fa, H. Delehaye ha spietatamente smascherato queste leggende come opere di pura fantasia costituite partendo da alcuni limitati dati che si trovano nella tradizione liturgica di Roma: un nome, un luogo di culto, un anniversario - niente di più è stato necessario per i compositori di queste passioni, al fine di inventare, in una maniera tanto arbitraria quanto invariata, intere storie piena di gesta eroiche, magnifici trionfi e miracoli prodigiosi.

Che tale letteratura abbia potuto ingannare un monaco come il Maestro è facilmente comprensibile se ci si riferisce alle tendenze ascetiche che incorpora: verginità, digiuno, veglie e preghiere, così come il martirio, sono tutti tenuti in grande onore. E’ evidente che queste leggende sono state composte da monaci ed, in larga misura, per i monaci o per ferventi cristiani che condividevano lo stesso ideale. Santa Eugenia, l’eroina preferita del Maestro, per esempio, passa attraverso la vita monastica e l'ufficio abbaziale prima di soffrire, da ultimo, il martirio. Queste leggende, romane per i loro legami storici e topografici, portano soprattutto il timbro degli ambienti monastici della Città Eterna di cui sono il prodotto. 16

Più importante per noi è che il Maestro, per il modo di utilizzare così facilmente questi racconti agiografici, impone un’iniziale impronta romana al suo lavoro. Certamente è anche concepibile il fatto che, in questo periodo, il "leggendario romano" fosse diffuso in regioni molto distanti da Roma . 17 Ma le citazioni del Maestro suppongono una certa familiarità con i testi che sarebbe inspiegabile se, sia l'autore che gli uditori, non fossero stati imbevuti di questa letteratura attraverso letture fatte in comune. Questo interesse comunitario a sua volta sembra indicare una devozione collettiva, come è fatta per i santi locali. E’ difficile immaginare lontano da Roma una comunità che dedica tanta attenzione ai santi romani in un momento in cui ogni regione e quasi ogni città sta gelosamente mantenendo il culto dei propri martiri.

Una delle letture preferite del Maestro gli ha fornito la giustificazione per una osservanza che è anche tipicamente romana: la dispensa dal digiuno del giovedì. 18 La Vita Siluestri ha difeso questa dispensa contro le critiche da parte dei greci. Questa Vita testimonia i costumi romani contemporanei per quanto riguarda i giorni feriali particolarmente dedicati al digiuno. Sono gli stessi giorni che indica la RM, 19 in particolare il Sabato, che non è un giorno di digiuno in Oriente o in molte chiese d'Occidente.

Per perseguire ulteriormente i parallelismi esistenti tra le abitudini liturgiche di Roma e quelle del monastero del Maestro, è necessario informarsi al di là della cerchia dei libri che servivano come fonti per la RM. Anche se i libri evangelici, i sacramentari, e gli Ordines Romani ci forniscono informazioni dirette sullo stato della liturgia romana solo un secolo e mezzo dopo il tempo del Maestro, la tradizione che essi rappresentano di solito risale a molto prima. E’ molto significativo scoprire che questi libri liturgici concordano inoltre con la RM su molti punti: il Sabato di digiuno, una veglia per la Pentecoste, l'assenza di uffici del Venerdì e del Sabato Santo, l'abolizione della luce artificiale durante la notte che separa questi due giorni. Sia la RM che questi libri liturgici nominano i giorni festivi nell’identico modo: Sabbatus Pentecosten per la veglia di Pentecoste, Ascensa per l'Ascensione, Theophania, insieme ad Epiphania, per l'Epifania, 20 uicesima per la mezza Quaresima, preceduta da tricesima. 21 Inoltre, dato il presupposto che abbiamo determinato, la corrispondenza può essere stabilita tra alcune indicazioni fornite dalla RM e ciò che si conosce della liturgia romana all'inizio del sesto secolo. Questo è il caso della limitazione dell’Alleluia nel tempo pasquale 22 ed il sistema delle due letture dal Nuovo Testamento nella Messa.

D'altra parte, se non ci sono prove riguardo all’usanza della Sexagesima a Roma se non più tardi, la Campania è, con la Provenza, una delle due regioni in cui questa anticipazione del digiuno quaresimale ha fatto la sua comparsa nella prima metà del VI secolo. 23 Il commento ai Salmi trentaquattro e quindici che segue quello sulla preghiera del Signore, alla fine del Tema, ci indirizza altrettanto verso la Campania, per la quale, concesso il carattere battesimale di tutta questa introduzione, è difficile non associare questo commento con la consegna dei salmi ai catecumeni, un rito a quanto pare proprio della chiesa napoletana precisamente in quel periodo. 24 Queste due indicazioni convergenti ci muovono a situare il monastero del Maestro a sud-est di Roma, in direzione di Capua e Napoli, tanto più che non dà l'impressione di potere essere situato all'interno della città di Roma. E' solo una coincidenza che Santa Eugenia e San Sebastiano, i cui Atti il nostro autore ama citare, hanno le loro tombe sulla via Latina e sulla via Appia rispettivamente, proprio sulle due strade che conducono fuori verso la regione a sud-est di Roma? 25

Oltre a queste indicazioni liturgiche, si dovrebbero aggiungere alcune osservanze monastiche che si trovano sia nella RM che nei due Ordines Romani del secolo VIII. Queste sono il periodo di sonno dopo il Mattutino, 26 dopo aver detto Compieta nel dormitorio e terminandola con il versetto Pone Domine, e le numerose benedizione nel corso di pasti. 27 Anche queste ultime due usanze occorrono nell’Ordo Qualiter, una testimonianza dell'osservanza Cassinese in questo periodo. Per di più, questo Ordo conserva diversi tratti caratteristici del lavoro del Maestro.

Nell'ambito del vocabolario, l'espressione pullorum cantus, in cui alcuni hanno voluto vedere l'influenza spagnola o gallica, è molto evidente nella lingua dell’ambiente monastico romano dei secoli quinto e sesto. 28 Il Maestro utilizza altre speciali espressioni che fino ad ora sono state trovate solo in autori romani o italiani. 29 Se a questi fatti si aggiunge l'origine italiana dei due manoscritti della RM e l'uso massiccio della RM da parte dell'abate di Cassino non molto tempo dopo che è stato scritta, noi non potremo che concordare sul fatto che tutte queste indicazioni convergono abbastanza bene da permetterci di formare una convinzione. Questa localizzazione può quindi spiegare diversi tratti che, senza essere assolutamente caratteristici, sarebbero sicuramente attribuibili alla regione romana di questo periodo di tempo. Pensiamo qui alla derisione a cui i monaci sono sottoposti dai secolari, ed alle precauzioni prese per evitare un'interpretazione manichea del digiuno. L'importanza attribuita all’olio nella dieta è anche nell’atmosfera di questa regione. 30 Ed infine, il fatto che il nostro autore usi quasi costantemente il salterio romano non può essere trascurato. Questa versione dei salmi ha senza dubbio ricevuto il suo nome solo molto più tardi e forse lontano da Roma, 31 ma la tradizione immemorabile del suo uso per il Servizio Divino nelle basiliche romane giustifica sufficientemente questo nome e conferma che ci stiamo calando nella regione d’origine della nostra Regola.

Ci sarebbero scarsi risultati, noi crediamo, nel confutare una per una le varie altre proposte che sono state offerte in relazione al luogo di origine della RM. L'unica di queste ipotesi che merita una certa attenzione è quella che insiste sulle relazioni tra il Maestro ed il monachesimo della Provenza e soprattutto di Lerins. 32 È vero, gli scritti di Cassiano esercitano una forte influenza sul Maestro, ma nel suo tempo le Istituzioni e le Conferenze godevano ampia fama ben oltre la Gallia meridionale. 33 E se la Regula IV Patrum, la Regola di Cesario d’Arles ed il lavoro di Giuliano Pomerio potrebbero aver dato alla RM alcune delle loro caratteristiche, non vi è alcuna connessione tra i due ambienti in argomenti come: la struttura dell'Ufficio Divino, le pratiche di digiuno o l’organizzazione della comunità. 34 Inoltre, che il maestro citi un passaggio della Visio Pauli, che sembra essere stata molto apprezzata dei monaci della Gallia, è poco significativo, dal momento che altri passaggi dello stesso lavoro sono stati utilizzati, a volte esplicitamente, dalla RM che si rivela molto indipendente nelle sue citazione. 35

Possiamo quindi formulare la seguente conclusione con la massima probabilità: la RM è stata scritta nel primo quarto del VI secolo in una regione nei pressi di Roma, a sud-est, dove sarebbe stata aperta all'influenza dominante della Città Eterna e, più debolmente, a quella di alcune chiese della Campania. 36

 

NOTE AL CAPITOLO QUATTRO

 1. Si confronti L. Duchesne, Le Liber pontificialis, 2a ed., T. I (Paris: De Boccard, 1955), Introduction, p. CXIV, n. 54. Il testo Gesta Liberii intitola questa Vita il Liber Siluestri, che è il titolo che utilizza il Maestro (libris). Questo titolo appare ancora una volta in una guida del VII secolo (ibid., P. Cxv).

2. Si confronti RM 91,70. Pomerio, che fu maestro di Cesario negli ultimi anni del V secolo, sarebbe entrato nei ranghi del clero verso il 503. Il De uita contemplativa è stato scritto in questo periodo. Si veda P. Riché, Éducation et culture dans l'Occident barbare (Paris: Ed. Du Seuil, 1962) 70-71.

3. Cfr F. Masai, Édition diplomatique, 59-60.

4. PL 59: 157-180. Citiamo il testo, con relative suddivisioni dei capitoli, di E. von Dobschütz, Das Decretum Gelasianum (Lipsia, 1912) (Texte und Untersuchungen, 38, 4), riprodotto da H. Leclercq, "Gélasien (Décret)" in DACL 6: 740-745. Qui ci interessano solo i capitoli IV e V. Il cosiddetto Decreto Gelasiano respinge come "apocrifi” degli Atti di Andrea (quelli di Giovanni non sono menzionati), il Liber Proverbiorum sancti Sixti, il Reuelatio Pauli Apostoli (questo è esattamente il titolo che il Maestro da alla Visio) e altre opere, un numero considerevole delle quali proviene da autori ben noti come Fausto di Riez e Cassiano. “Apocrifo” significa quindi per questo documento “proibito, condannato” in un senso molto generale e qualunque sia la causa per l'ostracismo. Il Gesta sanctorum martyrum riceve il giudizio più qualificato. Una delle ragioni per la loro rimozione dalla lettura pubblica è il loro carattere anonimo. Lo stesso motivo risiede nella riserva mostrata verso il Actus beati Siluestri, anche se questo lavoro è tollerato. Gli scritti di Origene dovevano essere anche aggiunti a questa lista (Decretum, IV, 5, 2, RM 11:62); il compilatore del Decreto ha dichiarato che stava seguendo il giudizio di San Girolamo sulle opere di Origene, respingendone alcune e ammettendone altre. Usiamo la parola “apocrifi” per designare non solo opere proibite come lo erano dal Decreto, ma anche opere censurate da esso, più o meno chiaramente, come anonime o di dubbia autenticità.

5.         Si veda B. Altaner, Patrologie 3a ed. (Freiburg: Herder, 1951) p. 414. Si localizza il compilatore nella Gallia meridionale. Così anche E. Dekkers, Clavis Patrum Latinorum (Steenbrugge, 1951) 1676.

6. Ciò appare non solo per quanto riguarda gli scritti sconsigliati dal Decreto (cfr n. 4), ma anche quando il Decreto raccomanda vivamente la Vita Patrum di Girolamo (IV, 4, 2).

7. Per quanto riguarda ciò che il Maestro ha fatto proprio da Cassiano e Origene non si pone alcuna difficoltà: il primo non è mai nominato o neanche apertamente citato dal Maestro, ed il secondo non è condannato in toto dal Decreto. Citazioni dalle Passioni sono strettamente compatibili con il Decreto (IV, 4,1), che probabilmente aveva in vista solo la lettura pubblica di questi Atti durante gli uffici liturgici, anche se le critiche che livellano lo pseudo-Gelasio alle Passioni contrastano nettamente con la stima dichiarato per loro dal Maestro. L'opposizione aumenta quando il Maestro cita esplicitamente gli Atti di Andrea, l'Enchiridion di Sesto (senza nominare l'autore) e la Reuelatio Pauli, che sono tutti respinti come “apocrifi” dal Decreto. Inoltre, sia il compilatore che coloro che avevano ispirato il Decreto, senza dubbio non avrebbero visto di buon occhio il fatto di citare questi scritti come “Scrittura”.

8. O almeno alcune di queste posizioni. L'usanza di non leggere le Gesta martyrum in chiesa senza dubbio risale molto prima ed è da spiegare, soprattutto, dal conservatorismo liturgico di Roma. A questo proposito, si noti che la RM non parla di una lettura pubblica di queste Gesta durante l’Ufficio. Il capitolo quarantanove non specifica in che cosa consistano le lectiones delle veglie. E' dunque possibile che il monastero del Maestro si conformasse alla disciplina della Chiesa di Roma su questo punto.

9. Così afferma, in una conferenza inedita, A. Mundo, che a sua volta fa riferimento alle conclusioni di E. von Dobschiitz.

10. Cfr R. Massigli, citato da H. Leclercq, “Gélasien” in DACE, 6: 735-738; G. Bardy, “Gélase (Décret de)” in DBS, 3: 587-588, che propone gli anni 484 - 519. Ed anche C. Vagaggini, “La posizione di S. Benedetto nella questione semi-pelagiana”, Studia Benedictina ( Studia Anselmiana 18-19, [Roma, 1947]) p. 37, indica i primi due decenni del VI secolo.

11. Gelasio I (492-496) è l'iniziatore di quella che è stata chiamata la rinascita Gelasiana. È lui che ha convocato Dionigi il Piccolo a Roma e lo ha messo al lavoro.

12. Gregorio, Dial. 2, 8; Moricca, p. 95, 8: infidelium insana multitudo.

13. E’ noto, inoltre, che l'imperatore bizantino rimase nominalmente sovrano d'Italia al tempo dei re Ostrogoti (476-540).

14. Riguardo alla Prima, si veda sopra, e anche J. Froger, Les origines de Prime (Bibliotheca “Ephemerides liturgiche” 19) (Roma: Edizioni liturgiche, 1946) p. 74 e p. 102, n. 221. Per quanto riguarda le altre usanze, vedere di seguito. In La communauté et l’abbé, pag. 505, n. 1, si possono trovare due indicazioni complementari ottenute dal senso di praepositus e dalle istituzioni del Consiglio nella RM (cfr ibid., Pp. 193-198 e 388-402).

15. H. Delehaye, Etude sur le légendier romain (Bruxelles: Société des Bollandists, 1936). Ciò che è stato appena detto si riferisce più strettamente alle prime tre passioni. La Vita Siluestri è distinguibile da altre leggende romane per diversi tratti particolari, come L. Duchesne ha ben dimostrato (sopra). Inoltre, le tendenze ascetiche sono meno pronunciate in questo lavoro e l'interesse scende su altre cose.

16. Noi inoltre possediamo un semi-riconoscimento di paternità da Arnobio il Giovane, In Ps. 101: scripsimus passiones eorum in progenies alteras. Cf. In Ps. 123, che fa riferimento alle Passioni. Questi ed altri fatti simili sono stati portati alla luce da G. Morin, Etudes, textes, decouvertes, (Paris: A. Picard, 1913) 1: 347, n. 1. Si può aggiungere la stretta somiglianza tra l’importanza dello strumento giuridico nella Vita Siluestri (la controversa di Silvestro con gli ebrei) ed il Conflictus cum Serapione di Arnobio. Inoltre sono da notare queste tendenze ascetiche comuni sia alla RM che alle Passioni ed il posto d'onore accordato al tema del martire dalla RM nella sua dottrina sull'obbedienza (7,59 e paralleli). Nelle Passioni si percepisce uno spirito brioso, abbastanza avvertibile anche nel Maestro. Si vedano ad esempio le scene umoristiche nella Passio Anastasiae 12-14, 28.

17. La Passio Eugeniae era conosciuta nella Gallia meridionale prima del 518, come testimonia un passaggio di Avito vescovo di Vienne, Poem. VI; PL 59: 378 BC.

18. Cfr. RM 28,41-43, che cita l’Actus S. Siluestri. Confrontare questo con la motivazione del sonno dopo il Mattutino  ricorenndo alla Passio Eugeniae.

19. Mercoledì, Venerdì, e Sabato.

 20. La RM utilizza Epiphania sei volte (Cap. 39-45 e 53), e Theophania solo una volta (28,47). A Roma,  Epiphania appare in un sottotitolo del Sacramentario Gregoriano (Lietzmann, p. 16, n. 17), mentre Theophania figura in Gelasio. Anche se questi ultimi sono considerati non autentici, e grazie all’influenza gallica (C. Mohrmann, Etudes sur le latin des chrétiens [Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1961] 1: 269), la costante presenza della Teophania nel lezionario Comes di Würzburg rimane da spiegare (cf. H. Leclercq, "Lectionnaire” in DACL 8: 2286), così come quella di Murbach, di Alcuino e quella che si trova nelle tre più antiche copie del Capitulare Euangeliorum. Solo nelle più recenti di questi tre copie, che risalgono a dopo il 750 ed interpolate con elementi franchi, appare Epiphania, senza peraltro del tutto eliminare il suo rivale (Klauser, p. 141, n. 11-12). Sembra, quindi, che Theophania appartiene all'antico vocabolario romano almeno tanto quanto Epiphania. Quest'ultimo termine è caratteristico del lezionario di Capua e dei lezionari napoletani Cf. H. Leclercq, “Napoli” in. DACL 12: 759-763.

21.       Cfr 53: 3-4; Ordo Romanus XV, 81 (Andrieu, vol 3,115,1.); anche il Comes di Würzburg testimonia uicesima e tricesima a Roma.

22. Cfr. RM 28,46, e Giovanni il Diacono, Ep. ad Senarium 13; PL 59: 406, in cui è attestata la limitazione dell’Alleluia al tempo pasquale a Roma nei primi anni del VI secolo, anche se, secondo lo stesso autore, altre chiese lo hanno cantato durante tutto l'anno.

23. Cfr. RM 28,11, e J. Froger, ”Les anticipations du jeûne Quadragésimal”, Mélanges de science religieuse 3 (1946) 207-234. Invece della Sexagesima, la Quinquagesima è menzionata equivalentemente dal Liber Pontificalis, 1: 129 , 2, che attribuisce a Papa Telesforo l'istituzione di sette settimane di digiuno prima di Pasqua. L’autore compose questo lavoro a Roma sotto Ormisda (514-523). Come ha notato L. Duchesne (ibid., N. 2), “l'autore ... differiva dalla disciplina attuale e obbligatoria. Non aveva alcun dubbio nel voler fare propaganda a favore di una più rigorosa osservanza”. La RM manifesta la stessa tendenza ad osservare la Quaresima durante gli ultimi quaranta giorni, ma ottiene questo risultato in modo diverso. Si trattò di una questione di pratiche devozionali non ancora approvate dall'autorità ecclesiastica nei costumi ufficiali della Chiesa romana. Confrontare ciò con la distinzione fatta a riguardo dell'Alleluia tra la consuetudine delle chiese e quella dei monasteri (RM 28, 46-47).

24. Spedizioni a piedi o in carrozza, che sono spesso citate, rendono più senso se il monastero fosse stato situato in un luogo isolato e se dovessero fare i propri acquisti ad una certa distanza. In ogni centro di una certa importanza, sarebbe stata semplicemente una questione di recarsi al mercato. Inoltre, è previsto il più possibile il lavoro dei campi, anche se escluso per motivi ascetici (cap. 86). Infine, la satira sui girovaghi sembra supporre un territorio attraverso il quale sono sparsi monasteri ed eremi, piuttosto che un centro urbano.

25. Dobbiamo questo suggerimento e molti altri ad una conferenza inedita di D. Mundó, il cui testo ci ha gentilmente inviato.

26. Cfr. sopra alla nota 19. Inoltre, il Maestro in precedenza ha invocato la Passio Eugeniae, che lui stesso attesta al costume romano, così come ha giustificato la dispensa dal digiuno del giovedì  con l'aiuto della Vita Siluestri (sopra, n. 18).

27. Confrontare la RM 23 con l’Ordo Romanus XIX, 5-15. Lo stesso sistema di benedizioni è stabilito dall’Ordo Qualiter (B. Albers, Consuetudines monasticae [Monte Cassino 1970] 1: 44-6).

28. Cfr. Arnobio il Giovane, In Ps. 129, PL 53: 53 C: tertia (aistodia, uigilia) pullorum cantus transit.

29. Così pallios linostimos (RM 81, 5), sagos tumentacios (RM 81,31), lenis et racanis (RM 81,32), erigi nel senso di essere esclusi (RM 13,41).

30. Cfr. RM15,44; 53,7-8. L’astinenza dall’olio è una delle più onerose mortificazioni. Un altro dettaglio che può aiutare a localizzare il monastero del Maestro: i frutti di mare non sono mai menzionati. Questo coincide con l'assenza di qualsiasi allusione al mare o di un fiume.

31. Cfr R. Weber, Le Psautier Romain (Roma: Vaticano Poliglot Press, 1953) VIII-IX.

32. Ipotesi proposte o suggerite in varie forme da I. Schuster, Regula monasteriorum (Torino: Società Editrice Internazionale, 1945) p. 9, n. 1; B. Steidle, “Das Inselkloster Lerin und die RB” in Benediktinische Monatschrift 27 (1951) 'P' 388; F. Masai, “La RM à Moutiers-Saint-Jean” in A Cluny (Dijon 1950) 192-202; P. B. Corbett, “The RM and some of its problems", Studia Patristica (Berlin: Akademie-Verlag, 1957) 1: 82-93. Th. Payr, “Der Magister-text”, Studia Anselmiana 44 (Roma, 1959) 83-84: R. Hanslik, Benedicti Regula. Pag. xiv e Lxxv.

33. Cfr. Ferrandus, Vita Fulgentii 23-24 per l'Africa; Cassiodoro, Inst. 29 per l'Italia meridionale. A Roma stessa il Decreto Gelasiano, per la sua condanna di Cassiano, testimonia il suo successo.

34. Sugli Uffici ad Arles e nella RM, si veda sopra. Il digiuno: le suore di Arles digiunavano il lunedì, non il sabato. Il sistema decanale sembra non essere esistito nelle comunità di Arles, né vi era di conseguenza una qualsiasi dipendenza dal Maestro in questa materia. Vedere K. Hallinger, “Papst Gregor der Grösse und der Hl. Benedikt”, Studia Anselmiana 42 (Roma, 1957) 305-306. Praepositus ha di conseguenza un significato diverso nei due ambienti. Altri responsabili di cui parla Cesario sono per la maggior parte sconosciuti al Maestro.

35. Si aggiunga come promemoria che l'espressione porro a finibus aduenire Italiae (RM 1,36), può essere ugualmente ben compreso nei dintorni di Roma così come nella Gallia meridionale.

36. Ulteriori prove a sostegno di questa conclusione possono essere trovate nel mio articolo “Scholies sur la Règle du Maître”, RAM 44 (1968) 151-157. Si veda anche “La Règle du Maître et les Dialogues de S. Gregoire”, RHE 61 (1966) 44-76.

 


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8 maggio 2016                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net