LA REGOLA DEL MAESTRO

 

LA COMUNITÀ

Estratto e tradotto da "La Règle du Maître. " Tome I

Introduction, texte, traduction et notes par Adalbert de Vogüé.

Sources Chrétiennes 105–7. Paris: Cerf, 1964–65


La comunità raffigurata nella Regola del Maestro non è molto numerosa. L'autore ha in mente solo due "decanie" o gruppi di dieci monaci, ciascuno diretto da due prepositi, o decani, cioè ventiquattro religiosi. Se si contano anche l'abate ed il cellerario, ventisei persone in tutto. Il numero non è limitativo: in molti punti il Maestro consente la possibilità di un ulteriore aumento. [1] Un tale sviluppo sarebbe un segno del "favore di Dio".

Il sistema decanale in vigore nel monastero non è un'invenzione del nostro autore. L'istituzione è antica quanto il cenobitismo stesso e può persino rivendicare un precedente ebraico. [2] Che si tratti di ebrei o cristiani, i monaci erano continuamente attenti all'esempio dato nel deserto da Israele, dove Mosè divideva in gruppi di centinaia e di decine.

Nell'assegnare due prepositi a ciascun gruppo di dieci monaci (decania), il Maestro potrebbe essere stato ugualmente ispirato dai precedenti pacomiani. Per il Maestro, tuttavia, questi due superiori sono semplici colleghi su un piano di parità, non un capo ed il suo assistente come lo sono con Pacomio. Una doppia preoccupazione motiva questo sistema collegiale: rafforzare la sorveglianza sui fratelli e condividere l'onore tra due subordinati per ogni decania in modo tale che nessuno di loro possa classificarsi come assistente dell'abate e suo successore designato. [3]

Oltre al loro dovere di sorveglianza, i prepositi hanno una vera autorità sui loro uomini. A turni settimanali organizzano (ordinare) i servizi comunitari, l'istruzione data agli analfabeti ed ai fratelli che non conoscono il salterio, il lavoro manuale.

Il cellerario non appartiene a nessuno dei due gruppi decanali. Egli si trova sotto la sorveglianza immediata dell'abate. Il suo settore è il "cellarium", la dispensa: cioè le provviste di cibo, gli utensili da cucina e le stoviglie. Non si tratta dell’economo generale come è oggi nei monasteri benedettini. Altrettanto importante, se non di più, è il custos ferramentorum (RM 17) che è contemporaneamente magazziniere, guardiano, sacrestano, tesoriere, bibliotecario ed amministratore.

Insieme ai due portinai (RM 95) e ad alcuni artigiani in numero indeterminato (RM 50 e 85) sono i soli a detenere incarichi permanenti. Altri servizi del monastero sono colmati a turno settimanale. Ogni settimana vengono nominati due settimanari di cucina, veri domestici della comunità che non solo preparano e servono il cibo, ma fanno anche le pulizie; per il refettorio viene assegnato un lettore settimanale; due vigilgalli o "sentinelle" che annunciano gli uffici diurni e notturni; due sorveglianti degli ospiti (RM 79,5). Tutti appartengono alla stessa "decania", con alternanza di turni organizzati dai prepositi.

Durante l’Ufficio, le "antifone" (salmi antifonali) sono dette a turno dai fratelli che conoscono il salterio, a cominciare dall'abate e dai prepositi; quindi in ordine decrescente. Per le letture, invece, l'ordine è ascendente: prima i prepositi (lettura dell'Apostolo), poi l'abate (il Vangelo). Nessun ordine di precedenza sembra esistere tra gli altri fratelli di grado inferiore all'interno dei gruppi di dieci (RM 56,8).

In assenza di un ordine di anzianità o di merito, i minori o religiosi senza gradi vengono suddivisi in più categorie in base all'età, al livello di istruzione, alla competenza tecnica ed alla virtù. Sulla base dell'età, gli adulti si distinguono dai fanciulli. I fanciulli sembrano essere mescolati con i fratelli adulti all'interno delle decanie, sebbene regole speciali ne regolino il nutrimento, la lectio e le punizioni. Per quanto riguarda il regime alimentare si considera che la fanciullezza duri solo fino al dodicesimo anno (perinfantuli); per le pene si prolunga fino al quindicesimo anno.

Per quanto riguarda l’istruzione, i fratelli sono classificati come analfabeti, litterati (che sanno leggere) e psalterati (che conoscono il salterio a memoria). Questi ultimi godono del privilegio di poter essere invitati alla tavola dell'abate, se per lo meno sono professi. E solo loro hanno diritto alla lectio nelle ore prescritte dalla regola, mentre gli altri imparano a leggere o si applicano ai salmi.

Dal punto di vista dell’abilità professionale, si distinguono gli artifices, abili artigiani che conoscono un mestiere, e quelli che non hanno questa qualifica. Questi ultimi sono impiegati nel giardinaggio o nel fare commissioni all'esterno. Ricevere l’incarico di una commissione o essere mandato in viaggio è una missione di fiducia che richiede una buona dose di virtù (RM 11,38-39), ma allo stesso tempo è un compito laborioso e poco apprezzato che talvolta provoca dei rifiuti (RM 57, 14-16).

Infine, il Maestro ama distinguere i gradi di virtù tra i suoi soggetti (RM 2). Vedremo l'importanza che attribuisce alla qualità di "spirituale", verso la quale cerca di condurre tutti i fratelli. La comunità è anche divisa in abstinentes e comedentes, a volte apertamente segregati nel refettorio; in quelli che vegliano e in quelli che dormono; nei diligenti e nei negligenti, e così via. In materia di obbedienza e silenzio, ci sono delle regole speciali per i perfetti e gli imperfetti.

In questa rappresentazione della comunità si nota l'assenza di alcuni superiori. Non si parla di un maestro per i fanciulli: la loro formazione morale è affidata ai prepositi delle decanie, la loro istruzione a dei litterati che si succedono a turno; non viene detto niente di un secundus o di un assistente dell’abate per l'intera comunità, a meno che non intervenga qualche incidente nel processo di successione abbaziale. Non c’è un guardarobiere di ruolo: il custode degli arredi tiene gli indumenti nel suo ripostiglio ed i prepositi, a quanto pare, vigilano sul vestiario dei loro uomini (RM 11,150; 81,9-20). Questi fatti suggeriscono una comunità non molto numerosa, in cui le funzioni sono scarsamente differenziate e specializzate.

 


[1] Si veda RM 19,18; 22,3; 8 e si cfr. 23,5, 86,19, 92,44. Secondo 11,20, il sistema decanale deve essere istituito solo "se la comunità è numerosa". Possiamo concludere che l'autore non fosse sicuro di trovare nel suo monastero il minimo effettivo di due gruppi di dieci monaci?

[2] Si vedano gli aiutanti di Mosè nel governo del popolo in Esodo 18,21-22.

[3] La completa uguaglianza dei prepositi appare non solo nella mancanza di un ordine di precedenza tra le diverse decanie (22,1-2), ma anche nel provvedimento per il cambio di turno (vicibus) decretato per i due prepositi dello stesso gruppo di dieci (23,28;27,1).

 


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28 dicembre 2020                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net